LEWANDOWSKI OUT PER 15 GIORNI. NIENTE CLÁSICO COPERO E VALENCIA

Giuseppe Ortu Serra

Quando si dice piove sul bagnato. Solo che qui non si tratta di una pioggerellina passeggera; sembra piuttosto che stia piovendo a dogs and cats. Non basta la doppia sconfitta consecutiva che ha sbattuto le porte dell’Europa League in faccia al Barça e ha mantenuto vivo il Madrid in Liga; non bastano le assenze per infortunio di Dembélé e Pedri e quella meno importante (visto il rendimento) di Ansu, adesso arriva un’altra tegola sul capo dei blaugrana. Robert Lewandowski ieri ha lasciato il terreno di gioco con problemi fisici di origine muscolare.

Gli esami medici di questa mattina hanno diagnosticato un sovraccarico muscolare nel bicipite femorale della gamba sinistra. I tempi di recupero sono stimati in 15 giorni di stop. Sosta forzata che costringerà il polacco a saltare il clásico di Copa del 2 marzo al Bernabeu e la successiva partita di campionato contro il Valencia in programma per il 5 marzo al Camp Nou. Due incontri cruciali per il cammino della squadra in questa stagione. Sopratutto il primo, con un Barça che se dovesse riprendere immediatamente il cammino smarrito nelle ultime due sfide rimetterebbe le cose a posto con les merengues nel mental games tra le due formazioni. Ma che sarebbe catastrofico se il Barça dovesse uscire malamente dalla sfida del Bernabeu. Allora la deriva del cammino delle due squadre potrebbe rovesciarsi completamente.

Lewandowski sta in ogni caso vivendo un periodo involutivo della sua esperienza bacelonista. Ieri è stato un ologramma in campo, l’ombra di se stesso. In questo momento può essere più un peso che altro. Forse anche per lui l’assenza forzata può essere utile per staccare la spina e rigenerarsi mentalmente. Con Dembélé ancora indisponibile saranno Raphinha e Ferran a dividersi il reparto offensivo, con lo spagnolo che giocherà da nueve, e Gavi che agirà da falso extremo.

UN BRUTTO BARÇA CADE ANCHE AD ALMERÍA E RICADE IN VECCHIE PARANOIE MENTALI

Giuseppe Ortu Serra

Dopo l’eliminazione dai preliminari di Europa League il rischio era di perdere tranquillità e efficacia ed andare incontro ad una partita difficile e complicata. Il risultato, il gioco e il punteggio, ha confermato il timore. Un brutto Barça, squilibrato, impreciso e confusionario, è andato sotto nel primo tempo di Almería. Senza più riuscire a riprendere il risultato. Contro una squadra che lotta per non retrocedere, il Barça è sceso in campo con alcuni cambi nell’undici titolare. Jordi è tornato a sinistra, Eric ha preso il posto di Araujo, Roberto quello di Koundé. Davanti Ferran è sceso in campo per Raphinha. I padroni di casa hanno iniziato la gara con spirito garibaldino: corsa e aggressività. I blaugrana non sono stati pericolosi per tutto il primo tempo, cercando varchi in avanti che non si sono aperti. Così, alla fine, è stato l’Almería a passare al 25′ e ad andare più vicino al raddoppio. La rete è di Touré alla fine di una azione che ha visto la difesa di Xavi fuori posizione. Sulla veloce azione di ripartenza che ha trovato la squadra sbilanciata, Eric ha dovuto chiudere la posizione di Jordi, Christensen si è ritrovato da solo contro due uomini. Palla oltre le spalle dell’ex Chelsea per Touré che si è trovato solo davanti a Ter Stegen. Tiro sotto la traversa e rete.

La reazione del Barça è stata confusa, ancorché veemente. Ma è stata ancora la formazione di casa a sfiorare la rete. Con Baptistao, che ha calciato dalla linea del fondo verso il primo palo, costringendo Ter Stegen a rifugiarsi in angolo di piede. Clamoroso a dirsi, nei primi 45 minuti Fernando non ha effettuato nessuna parata.

Nella ripresa Xavi ha dato ingresso a Raphinha al posto di Kessie, con Gavi che è retrocesso a centrocampo. Con due extremos puri, il Barça ha attaccato costantemente, cingendo d’assedio la difesa avversaria, ma in modo sterile, non riuscendo a produrre altro che palloni buttati in mezzo all’area, puntualmente respinti dalla difesa avversaria. Mai una conclusione da fuori, un cambio di modalità di attaccare. Un unico, monotono, scontato spartito offensivo: il cross in area, tipica soluzione di quando non si hanno idee. Xavi continuava a sbracciarsi predicando di allargare il gioco, che non serviva a nulla se la squadra si limitava a crossare dalla tre quarti o dal fondo. In tutti i 90 minuti il Barça ha tirato solo una volta in porta: all’81° con Alarcón, dall’interno dell’area, su una palla respinta di testa dalla difesa dell’Almería. Quella è stata anche l’unica parata di Fernando.

Durante la ripresa Xavi ha messo mano alla squadra, cambiando il centrocampo e inserendo Pablo Torre per Busi. De Jong ha fatto il pivote, con Torre e Gavi interni. In difesa, invece, Alarcón è entrato per Sergi Roberto, Alonso per Jordi e Araujo in luogo di Eric. Nulla è cambiato. La confusione ha continuato a regnare sovrana.

Nell’ultima parte di gara la mossa della disperazione: Araujo in attacco al fianco di un Lewandowski che quest’oggi ha indossato i panni traslucidi di Casper. E non dissimilmente da lui, è apparso come un ologramma immateriale. Con Araujo in avanti sono stati buttati (nel vero senso della parola) in area di rigore altri palloni alla ricerca di una deviazione, di una spizzata fortunata. Comportamento, questo, da squadra in affanno con l’acqua alla gola e senza un gioco e un organizzazione, non da capolista dominatrice del torneo. Il Barça oggi ha dato questa impressione. Più che la capolista indomabile, è parsa una squadra senza idee che deve solo pensare alla salvezza. Se si vede che non si sfonda da una parte, si deve provare a attaccare un’altra posizione. Se con i cross alti non ottieni risultati, prova con il tiro da fuori. Oggi questa squadra non ha mai provato la conclusione da fuori, e solo due volte dall’interno dell’area: la prima con Gavi (tiro ribattuto dalla difesa), la seconda con Alarcón (unica parata del portiere avversario in tutta la gara). Forse un ufficiale dell’esercito esperto in tattica militare sarebbe stato più efficace se si fosse trovato in panchina.

Si temeva un contraccolpo psicologico all’eliminazione dai preliminari di Europa League e puntualmente si è avverato. Noi lo avevamo paventato perché conosciamo la storia recente di questa squadra. Cambiano gli allenatori, i giocatori, ma ai primi rovesci questa squadra ricade sempre nei soliti limiti e difetti. Un problema di personalità?, di esperienza?, di che cosa? Non si sa. Fatto sta che la storia si ripete.

Le responsabilità di questa sconfitta? Di tutti, giocatori e tecnico. Perché è quest’ultimo che deve dirigere la squadra da fuori e dettare la linea tattica, il modo di affrontare l’avversario. Ed oggi è stato sbagliato tutto, dall’inizio alla fine. Rubi, zitto zitto, scemo scemo, si è piazzato dietro e ha spazzato l’area per tutti i 90 minuti. Con tanti ringraziamenti.

Questa sconfitta, la seconda consecutiva dopo Old Trafford, rischia di far imboccare un tunnel pericoloso al Barça e di inaugurare una dinamica negativa. Se la squadra è così fragile mentalmente da cadere in questo modo ad Almería per il solo fatto di eswsre stata eliminata a Manchester, bisogna preoccuparsi seriamente. Questo rovescio non solo mantiene vivo il Madrid (cosa pericolosissima, conoscendolo), ma carica gli avversari in una maniera incredibile. Manco farlo apposta, la prossima sfida è proprio contro i blancos nella semifinale di andata di Copa (giovedì 2 marzo). Quello sarà, probabilmente, il turning point della stagione blaugrana. Adesso inizia un calendario complicato che vede anche la sfida contro il pericolante e pericoloso Valencia (domenica 5), la trasferta a San Mames (il 12) e nuovamente il Clásico liguero (19 marzo). Urge una sveglia immediata e un cambio di passo e mentalità per riprendere la corsa e fare in modo che la trasferta di Almería possa essere catalogata solo come una fastidiosa scivolata senza conseguenze e nulla più. La evolución marcará la carrera hasta el titulo.

GIL MANZANO E LA POLEMICA ARBITRALE DI MADRID

Giuseppe Ortu Serra

Il derby madrileno ci ha scodellato un puntuale argomento di discussione: quello arbitrale. A confutazione, si potrebbe dire. Mai partita arrivò con migliore tempismo. Da Madrid, sopratutto AS, continuano quotidianamente a inflazionare il mercato delle notizie con continui richiami al presunto scandalo arbitrale che vedrebbe coinvolto il FC Barcelona con la Dasnil 95 SL dei Negreira e con il medesimo Enrique Negreira. Notizie che, al di là dei titoli clamorosi, svelano una attività del tutto lecita compiuta da parte del club blaugrana. Come quando vuoi vendere un racconto senza contenuto e interesse e lo arricchisci con un titolo accattivante.

Ben altri fatti, invece, accadono in zone geografiche più interne alla Penisola Iberica, dove designazioni quanto meno incaute e arbitraggi sciatti e “buttati lì”, favoriscono perennemente una unica squadra: il Real Madrid. In giorni di prime pagine dedicate allo Scandalo Barça-arbitri, nel quale i vantaggi di cui avrebbe giovato il FC Barcelona sono tutti da appurare e provare, cosa praticamente impossibile da fare stante l’inesistenza di vantaggi ottenuti sul campo da parte del club blaugrana, Gil Manzano non poteva fare, ieri, miglior regalo al Barça e all’opinione pubblica.

Nella partita Madrid-Atletico, il Manzano, lo stesso che fu visto abbandonare il Bernabeu al termine di un Madrid – Villareal vecchio di qualche stagione con in mano buste con il logo del Real Madrid colme di doni e omaggi, ha inciso pesantemente con le sue decisioni sul risultato della gara, e sempre a favore dei blancos. Prima non concedendo un chiaro rigore per un inequivocabile “mani” di Valverde in area dopo pochi minuti di gara; poi, nella ripresa, estraendo un rosso diretto a Correa per una gomitata sul petto ai danni di un avversario. In Tottenham – Chelsea del pomeriggio di oggi, una condotta identica ai danni di Sterling non è stata meritevole nemmeno di un calcio di punizione. “Mogli e buoi dei paesi tuoi”, si dice. Il fatto è che non è tanto un discorso di dislocazione geografica delle mogli e dei buoi, quanto piuttosto del peso dei medesimi. Ogni squadra ha un peso specifico, politicamente e sportivamente, differente. E, a quanto pare, le mogli e i buoi di cui prima, in Spagna sono enormemente più grandi e… pesanti. Che i media di Madrid avessero almeno la compiacenza di stare in silenzio quando la “Divina Provvidenza” giunge puntualmente a toccare, beneficiandoli, quella squadra. Invece, forse per sviare le “maldestre” attuazioni arbitrali in Liga, e la vergogna che esse producono, cercano di trovare la polvere dove è pulito. Si sa come è il sistema: sollevare un polverone altrove perché i riflettori si spostino da un altra parte e lascino in ombra, a lavorare nel sottobosco, proprio là dove c’è il marcio. Dopo l’arbitraggio di Gil Manzano di ieri e le polemiche infuocate di Simeone e Gil Marín, come faranno da quelle parti, oggi, a blaterare dei favori arbitrali di cui ha goduto il Barça negli ultimi anni?

EUROPA ADDIO. VINCE IL MANCHESTER UNITED CONTRO UN BARÇA ANCORA ACERBO

Giuseppe Ortu Serra

Il Barça perde a Old Trafford, che sceglie il Man United come squadra che sbarca in Europa League. Retrocesso dalla Champions, la formazione di Xavi resta senza Europa, estromessa sull’uscio dalla competizione europea minore. A Old Trafford finisce 2-1 per i Red Devils per le reti di Fred ad inizio ripresa e Antony, vero fenomeno, al 72′. Il Barça era passato in vantaggio al 18′ con un calcio di rigore trasformato da Lewandowski con il brivido e concesso da Turpin per atterramento in area di Balde ad opera di Bruno Fernandez. Dal dischetto il polacco si è fatto intercettare il pallone da De Gea, che lo ha mandato a sbattere contro il palo interno alla sua sinistra prima di finire in fondo al sacco.

La gara si è divisa sostanzialmente in due frazioni di gioco vinte da ognuno dei contendenti. Primo tempo per il Barça, ripresa per lo United. Alla fine, però, è stato il Manchester a prevalere per la sua capacità di sfruttare meglio le occasioni create e capitalizzare la deriva positiva. Il Barça ha giocato bene il primo tempo come si diceva, frazione di gioco in cui ha sofferto solo alla prima occasione (respinta di Ter Stegen a tu per tu con B. Fernandez. Nella circostanza buco difensivo di Balde), ma poi ha preso le misure, iniziando a far girare la palla con calma e lucidità alla ricerca dello spazio libero e dell’uomo smarcato. In questa maniera Xavi e i suoi hanno imbrigliato uno United molto impreciso e irregolare, quasi irretito dall’organizzazione di gioco e dalla calma olimpica mostrati dai blaugrana. Così è giunta la rete del vantaggio. Con lo zero a uno il Barça ha continuato a gestire e dominare la partita con fin troppa facilità, ma non ha sentenziato la partita. Il Manchester ha sbagliato una infinità di palloni, risultando impreciso in ogni situazione del campo, non riuscendo in questo modo a proporre una azione fluida e veloce che potesse sorprendere l’attenta retroguardia blaugrana. Rashford, che all’andata aveva fatto ammattire la difesa azulgrana, non si è mai visto; idem dicasi per Weghorst e Sancho. Gli unici pericoli verso la porta di Ter Stegen sono giunti da centrocampisti: Fred e B. Fernandez, ma senza risultare particolarmente concreti ed efficaci. E così, sul finale di tempo, il Barcelona avrebbe potuto raddoppiare, indirizzando in tal modo la qualificazione verso la Catalunya. L’occasione, gigante, è capitata sui piedi di Sergi Roberto, che ha intercettato al limite dell’area dei Red Devils un pallone mal indirizzato da De Gea. El de Reus non è stato abile nello stop improvviso, mancando così la possibilità di calciare verso la porta praticamente sguarnita. Il ritorno di un difensore, poi, ha impedito il tiro quasi a botta sicura di Kessie. La grande occasione fallita risulterà, alla fine, determinante per le sorti dell’incontro e della qualificazione. Anche perché, nella ripresa, Ten Hag ha fatto entrare subito in campo Antony, acciaccato e per quello lasciato in panchina inizialmente.

Il 21 ex Ajax ha rivoluzionato totalmente la sua squadra, entrata in campo con la stessa effettività e esplosività che aveva messo nella prima azione del primo tempo. Il Barça, invece, come allora, ha iniziato a giocare svagato. E se al 2° minuto Ter Stegen aveva salvato il risultato, al 47° non è riuscito nella stessa impresa. Lo United ha iniziato con grande velocità e aggressività, il Barça ha risposto in maniera molle, inadeguata. Maglie larghe in difesa, testa ancora negli spogliatoi, e i rossi si sono infilati in area di rigore con una facilità disarmante. Inserimento di Fred da dietro, non visto e non seguito da nessuno, e rete del pareggio. Come quando un pugile sale sul ring dimenticandosi di allacciarsi i guantoni. Errore capitale.

La rete ha messo l’argento vivo nelle vene dei padroni di casa, accendendo la luce nella squadra di Ten Hag e l’entusiasmo in uno stadio che per tutto il primo tempo aveva fatto sentire solo la voce e i canti dei tifosi culés. L’1-1 ha chiuso il capitolo a favore del Barça e aperto uno nuovo in cui era lo United il protagonista assoluto. Miglior attore protagonista: Antony. Il biondo tinto ha da solo scardinato le maglie della difesa e del centrocampo blaugrana, che non sono più riusciti a reagire e a riprendere il controllo della palla come nei primi 45 minuti. Adesso era il Manchester a cavalcare l’onda come un surfista hawaiano, mentre il Barça ha iniziato a ballare e a commettere grossolani e sciocchi errori anche negli appoggi e nei movimenti già banali. La partita era definitivamente cambiata. Lo Utd agiva da Barça del primo tempo, e i blaugrana da Manchester.

Nonostante ciò i padroni di casa non hanno esondato nel punteggio, e almeno da quel punto di vista la gara è rimasta su un binario di equilibrio. Los de Xavi hanno punto due volte a metà della ripresa con Koundé e Kessie, ma De Gea ha fatto buona guardia. Troppo poco per ribaltare le sorti della partita e del gioco.

L’imprecisione nella gestione del pallone sotto pressione è continuata nelle fila del Barça, e i padroni di casa ne hanno approfittato al 72′ per chiudere la partita. La squadra ha perso palla sotto pressione in zona difensiva e i locali sono andati alla conclusione due volte in area di rigore. In ambo le circostanze i tiri sono stati respinti dalla difesa, ma sulla terza, Antony, al volo, ha trovato l’angolino lontano sul quale Ter Stegen nulla ha potuto.

Il Barça, anche prima del vantaggio avversario, ha provato a spostare il baricentro molto in alto per rendersi pericoloso in zona offensiva, con Balde che stazionava quasi stabilmente sulla trequarti e con la difesa che sosteneva la fase offensiva della squadra sistemandosi a tre. Balde è stato una spina costante nel costato destro dello schieramento inglese, ma pochi sono stati i pericoli concreti scaturiti. Ogni ripartenza britannica, invece, era pericolosissima, con il numero 28 che, vista la sua posizione di partenza, veniva tagliato fuori sin dall’avvio dell’azione dei padroni di casa.

Il Barcelona non ha comunque mai mollato, sebbene con tutte le difficoltà del caso e un gioco non più preciso e sereno come quello della prima metà di gara. Un buon segno e un passo avanti nella maturità generale della squadra rispetto ai catastrofici crolli a cui eravamo soliti assistere nelle disastrose trasferte europee delle stagioni passate. La buona volontà della squadra stava per essere premiata proprio allo scadere del tempo di recupero, quando una delle poche azioni limpide della ripresa ha portato alla conclusione in diagonale, sotto porta, Lewandowski. Portiere battuto sulla sua uscita bassa, ma sul pallone è intervenuto alla disperata Varane che ha evitato la rete del pareggio salvando sulla linea.

Il Barcelona avrebbe meritato la chance di giocarsela alla pari nei tempi di recupero. Ma così non è stato. Alla fine la differenza, con un tempo a testa, l’ha fatta la maggiore concretezza del Manchester United sotto porta. Nel primo tempo il Barça ha dominato ma tirato poco, non sfruttando le (poche) occasioni create. Nella ripresa lo United non ha perdonato. Ha sfruttato meglio la deriva favorevole dell’incontro, ha creato di più e sfruttato meglio quanto è stato in grado di produrre. Visto sotto questo punto di vista, la vittoria e il passaggio del turno del Manchester United sono meritati. Il Barça ha ancora molto da lavorare prima di diventare grande. Ma, possiamo dire, la strada è quella giusta. Forse ci vorrà più tempo del previsto per produrre una buona bottiglia di vino, ma siamo certi che alla fine il premio arriverà.

CHIACCHIERATA CON XAVI: IL RESUMÉ DI BARÇA – CADICE

Giuseppe Ortu Serra

Xavi è tornato sulla partita di ieri contro il Cadice e ha riassunto perfettamente, in due minuti e quarantasette secondi di chiacchierata, oltre 90 minuti di gara, incluso i suoi pensieri che hanno portato a schierare in campo quella formazione. Un concentrato di scibile calcistico, un proibitissimo Bignami da nascondere, come quando si era a scuola, nella seduta della sedia sotto al sedere.

In merito ai 90 minuti, il tecnico egarense è stato chiaro:

“Abbiamo giocato un buon primo tempo. Mi è piaciuta la circolazione della palla. Abbiamo segnato negli ultimi minuti e abbiamo, se non sentenziato, quanto meno indirizzato la partita. La ripresa è stata condotta a ritmo più basso. Non mi sono piaciuti gli ultimi 15/20 minuti di gioco. Abbiamo abbassato troppo la intensità e il ritmo. Eravamo anche stanchi per il gran numero di partite accumulate e abbiamo lasciato troppe occasioni al Cadice. Quello non mi è piaciuto. Però sono contento della dinamica, del gioco della squadra. Un’altra volta la porta a zero, ristabiliti gli otto punti; e questo è importante”.

Dal punto di vista tattico, Xavi ha spiegato che “Abbiamo riportato in campo i dos extremos, con Ansu che si accentrava e veniva dentro al campo per permettere a Balde di salire lungo la fascia e aggiungersi all’attacco. Ansu può giocare sia largo che accentrato. In questo modo può stare vicino a Robert e dargli una mano. Abbiamo cercato Gavi per attaccare per linee interne. Bene anche De Jong e Sergi Roberto. Abbiamo attaccato bene dalle fasce, dal centro. Lo dico sempre, noi attacchiamo in un modo e difendiamo in un altro”.

Xavi si è anche spinto a parlare dei singoli, sopratutto di coloro che giocano meno. “Sono molto contento per Ferran, che ha fatto un passo in avanti per guadagnare in fiducia, per Ansu, che ha giocato molto bene per la squadra. Sergi è un giocatore che può giocare in diverse posizioni. Sono contento per lui perché è un giocatore fantastico, si allena sempre bene. Bene anche Eric, perfetto nella linea difensiva“.

Parlando di tattica e del modo in cui è arrivato a costruire il centrocampo che ha schierato ieri, Xavi ha detto che “Nel ruolo di pivote possono giocare sia Frenkie que Sergi Roberto, ma ho preferito schierare Frenkie come mediocentro e Sergi più avanzato e libero da obblighi di marcatura”.

Riguardo alla posizione degli extremos all’interno della squadra, con Dembélé, Ferran e Raphinha che preferiscono giocare a destra, Xavi ha scherzato, dicendo che “sí, tenemos un lio“, per poi diventare subito serio e dire che in ogni caso tutti sanno e possono giocare anche a sinistra. “Dembélé ha giocato lì e ha segnato partendo da quella posizione. Abbiamo alternative e questo è molto positivo per la squadra”.

In merito alla sostituzione di De Jong e di Lewy, Xavi ha detto che non lo ha fatto pensando a Manchester, ma più che altro “al fatto che i due giocatori avevano accumulato molti minuti fino ad ora ed era giusto dare loro un po’ di riposo”. Ovviamente in ottica Old Trafford e pensando allo United di giovedì.

IL BARÇA BATTE IL CADICE AL CAMP NOU E TORNA A + 8SUL MADRID

Giuseppe Ortu Serra

Il Barça regola con un 2-0 il Cadice in uno scontro delicato per la classifica dell’avversario e perché era chiamato a rispondere al Madrid, vincente sull’Osasuna a Pamplona. Xavi ha messo in campo un undici con rotazioni per preservare qualcuno dei suoi per lo scontro campale di giovedì prossimo a Old Trafford nel ritorno degli spareggi per l’accesso alla Europa League. Con Dembe e Pedri infortunati, Araujo squalificato, Xavi ha schierato Eric in coppia con il ritrovato Christensen dall’inizio dopo l’iniziale panchina contro lo United di giovedì scorso. Balde ha recuperato la maglia da titolare e Koundé ha giostrato sul laterale destro. A centrocampo si è vista la novità Roberto interno sinistro. De Jong ha fatto il pivote e Gavi, recuperata la 6 della Liga, a destra. In attacco turno di riposo per Raphinha. Al suo posto Ferran, con Lewa nueve e Ansu a sinistra, chiamato a ripetere le buone sensazioni provate contro i Red Devils.

La partita non è stata particolarmente veloce sin dall’inizio. Si vedeva che mancava sprint e spunto sopratutto sui due out. Ferran, pur essendosi laureato certamente Hombre del partido, ha iniziato in maniera timida, facendo mancare alla squadra la verve, la velocità, lo spunto, la fisicità e la fantasia che hanno, invece, i suoi compagni di reparto, Dembélé e Raphinha. Per gran parte dell’incontro la squadra è risultata spuntata. Con il passare dei minuti il ragazzo è cresciuto, diventando il migliore in campo, ma ci ha lasciato, comunque, l’impressione di essere di un livello inferiore ai compagni citati per quanto riguarda la pericolosità in attacco, e sopratutto contro avversari di un livello ben superiore al Cadice, la scelta dell’allenatore dovrà ricadere su altri nomi. Ferran potrà andare bene in queste partite, ma contro gli ostacoli duri serve una velocità e una inventiva che non sono nelle sue corde. Ansu, dall’altra parte, è stato totalmente assente, rendendo il compito della squadra ancora più complicato.

Ferran è stato autore di una serie di giocate e serpentine in area, nella seconda parte del primo tempo, che hanno creato, da sole, più pericoli di quelli non giunti dai suoi compagni di reparto. Dai suoi piedi è nata l’azione della prima rete blaugrana. Azione ubriacante sulla destra dell’area di rigore e palla in mezzo, dove Lewy ha colpito di testa in maniera acrobatica. Sulla palla, respinta sulla linea dalla difesa amarilla andalusa, Roberto ha sentenziato colpendo di prepotenza e finalizzando la giocata. Questo è avvenuto sul finale di tempo, al 42′. Subito dopo è giunto il raddoppio. Questa volta il polacco non si è fatto respingere la conclusione e ha realizzato la sua 15ª rete personale con un bel destro rasoterra fatto partire dal limite dell’area di rigore.

La partita si è, di fatto, decisa in quei minuti finali, posto che fino a quel momento la gara era scivolata stancamente sui binari di uno zero a zero che lasciava presagire molte difficoltà per la formazione di casa.

La ripresa è stata controllata dal Barcelona, che ha tirato i remi in barca risparmiando energie fisiche e mentali per il cruciale scontro di Old Trafford. Verso la parte finale della gara, sopratutto grazie all’ingresso in campo di Ramos, tra le fila del Cadice, i giocatori dell’istmo hanno creato più di un grattacapo alla difesa blaugrana, mettendo a rischio, se non il risultato (ma quello non si può mai sapere), quantomeno il primato di Ter Stegen dei 17 cleen sheet totali in stagione. Il portiere tedesco è salito in cattedra dal 77°, quando ha inaugurato un duello diretto con gli attaccanti avversari, specialmente con Ramos, entrato al 73′ al posto di Roger Martí. Prima si è esibito in una bella respinta su colpo di testa di Alcaráz, poi con una respinta sul palo esterno in un uno contro uno Ramos. All’85’ è stato Lozano a colpire il palo alla destra di Marc André.

Il Barça ha annullato il colpo sparato dal Madrid con la vittoria di Pamplona, riportando a 8 il suo vantaggio, portando a sette le vittorie di fila e irrobustendo i numeri difensivi e offensivi di squadra. Adesso mente a giovedì e alla trasferta di Old Trafford per tentare di intraprendere un nuovo cammino europeo e cercare di stupire anche l’Europa.

È SOLO UN PAREGGIO TRA BARÇA E UNITED AL CAMP NOU. SARÀ OLD TRAFFORD A DECIDERE

Giuseppe Ortu Serra

Barça-Manchester Utd finisce con un risultato di parità che lascia tutto aperto per il ritorno a Old Trafford fra una settimana. Partita difficile al Camp Nou nei preliminari di EL contro i Red Devils. Che fosse dura si sapeva. La prova dei fatti ha dimostrato questa percezione.

Xavi ha sorpreso tutti con due mosse inaspettate: Marcos Alonso per Christensen e Jordi per Balde. La seconda scelta era anche legittima, con il 18 che attacca maggiormente la linea dell’out e sforna più assist in area del numero 28 (alla riprova dei fatti non è stato così, però). Piuttosto incomprensibile la prima mossa. Alonso ha sì segnato di testa, ma si è lasciato sfuggire Rashford nella circostanza della rete del pareggio, dando in generale una immagine di incertezza a tutto il reparto, che oggi ha regalato qualche errore gratuito e imprecisione di troppo. Dalla sua parte sono giunti quasi tutti i pericoli portati dal Manchester United. Dall’altra parte, Koundè è stato proposto da centrale, con Araujo che si è spostato sul laterale a destra per fronteggiare la verve e la velocità di Rashford. Il difensore francese, che stando ai “si dice” starebbe facendo fuoco e fiamme per ricoprire la posizione di centrale, ha dimostrato una insicurezza che dovrebbe far calare una cortina di silenzio tombale su ogni tipo di richiesta e pretesa.

Il primo tempo è stato combattuto ed equilibrato. 0-0 che ha mostrato, sì un Barça con maggior controllo e miglior gioco di insieme, ma un Manchester United con il maggior numero di occasioni da rete.

Ter Stegen è stato grandioso in due circostanze, su Weighorst al 27′ (respinta in uno contro uno con il numero 27) e su Rashford al 33′ (complicata respinta laterale con la mano di richiamo su tiro in diagonale sul secondo palo). Oltre a queste due circostanze i Red Devils hanno avuto una maggiore presenza nell’area di rigore avversaria di quanto non abbia fatto il Barça nell’area inglese. Blaugrana pericolosi con Lewandowski all’8′ e Jordi al 36′. In entrambe le circostanze De Gea si è fatto trovare pronto di fronte alle conclusioni de los del Barça.

Lo United ha iniziato meglio, con il Barcelona che ha preso il sopravvento nella parte centrale del match. Ma in conclusione del primo tempo il Barça è parso disunirsi e perdere la calma. Passaggi sbagliati anche sotto misura che hanno pregiudicato la manovra degli azulgrana e favorito la maggiore pericolosità degli avversari.

L’infortunio occorso a Pedri a metà del tempo non ha migliorato le cose. Infortunio muscolare al quadricipite della gamba destra per il numero 8. Al suo posto Roberto. Presenza invisibile, la sua, in tutta la gara. Un grosso problema per lo schieramento blaugrana che non ha più potuto contare sulla verve, le inventive, gli strappi del numero 8. Una assenza che, salvo miracoli non ipotizzabili al momento, si farà sentire enormemente al ritorno in Inghilterra.

La ripresa è stata memorabile per intensità di gioco, capovolgimenti di fronte, velocità e occasioni da rete. Le due squadre si sono affrontate a viso aperto creando senza soluzione di continuità e facendo esaltare e spasimare gli spalti a seconda di dove si stava svolgendo l’azione.

Il Barça è passato per primo con Alonso, che sugli sviluppi di un angolo ha incornato sul palo vicino. Esultanza con dedica al padre deceduto nei giorni scorsi. Uno a zero e Camp Nou in festa. L’esultanza è però durata il volgere di tre minuti. Azione di Rashford sulla destra, allontanato da Ten Hag dalla zona di interferenza di Araujo e spostato nella fascia opposta. Jordi fuori posizione e Alonso mangiato come un pedone degli scacchi. Guadagnato il fondo il 10 ha calciato in porta da posizione impossibile, uccellando colpevolmente Ter Stegen che si è fatto passare la palla tra corpo e palo. Il suo palo. Lo United ha insistito, mandando fuori giri per parecchi minuti il Barça che si è smarrito. Errori nei passaggi e nei movimenti hanno favorito il recupero palla degli inglesi che hanno dominato la parte centrale della ripresa sfiorando la rete in diverse circostanze. In una di queste è giunta la sfortunata autorete di Koundé, che ha toccato di petto nella propria porta un cross teso dalla destra di Rashford (sempre lui). Il Barça ha vacillato, lo Utd ha sprecato, tenendo in gara i blaugrana.

Xavi è corso ai ripari al 66′ con il cambio tattico e il passaggio dal falso extremo al tridente vero. Dentro Ansu e fuori Kessié, con Gavi (il migliore del Barça insieme a Raphinha e De Jong) retrocesso a centrocampo. Con lui anche Balde per Jordi e Christensen per Alonso. Cambiati gli interpreti della fase difensiva di sinistra, la più carente, e quella da dove sono partiti tutti i pericoli maggiori sofferti dalla retroguardia blaugrana, la squadra si è sistemata dietro e si è riproposta in avanti. Il 2-2 è giunto dopo pochi minuti. Cross del brasiliano in area per Lewa. Deviazione sottoporta non riuscita e palla che termina la sua corsa nell’angolo basso opposto. La rete di Raphinha ha riportato l’equilibrio non solo nel risultato, ma anche tatticamente in campo, dando al Barça una spinta animica impressionante.

Come se avesse ricevuto una iniezione di adrenalina dritta sul cuore, il Barcelona si è buttato in avanti con nuova linfa e nuovo coraggio. Gavi, irriducibile e battagliero come non mai, oltre che giocatore di una classe infinita, ha condotto la truppa blaugrana all’assalto all’arma bianca, come un ufficiale sprezzante del pericolo nella campagna insanguinata e infangata de La Somme. La squadra di Xavi ha così cinto d’assedio l’area rivale, andando vicino alla rete in parecchie circostanze. Balde, che ha fatto impallidire il tempo e mezzo disputato in precedenza da Jordi, ha fatto impazzire la difesa inglese pressando e diventando una presenza costante al limite dell’area avversaria. Con Christensen là dietro, la squadra non ha più rischiato. Un palo (quasi autorete di Casemiro) e una respinta sulla linea, le parate di De Gea su Raphinha e Ansu (tre volte), l’intervento disperato della difesa su colpo di testa a botta sicura di Araujo, più un netto rigore per fallo di mano (braccio largo) ignorato da terna e Var italiani, hanno poi cristallizzato il risultato su un pareggio che, a valutare l’intera gara e i suoi vari momenti, corrisponde forse al risultato più corretto. Certo, gli ultimi 15 minuti blaugrana e il coraggio mostrato dalla banda di Xavi sul prato del Camp Nou, spinto dai 92.000 che lo hanno affollato, avrebbero meritato il premio della rete per lo sforzo profuso e il grande spirito di abnegazione.

La qualificazione rimane appesa a un filo ed è ancora nel mezzo del guado. A Old Trafford bisognerà fare di più nella fase difensiva per meritarsela. E sopratutto, caro Xavi, questa volta con i giocatori giusti in campo dall’inizio.

BARÇA – DASNIL – JOSÉ MARÍA NEGREIRA. SOLO UN POLVERONE. IL FATTO NON COSTITUISCE REATO

Giuseppe Ortu Serra

In queste ultime ore si fa tanto parlare del nuovo “scandalo” che riguarderebbe e colpirebbe il FC Barcelona, per un’asserita condotta corruttiva dei vertici del club nei confronti di José María Negreira, all’epoca dei fatti vicepresidente del Comité Tecnico de Arbitros (CTA). Detta così parrebbe gran cosa. Ma è meglio usare il condizionale per due ordini di motivi. In primo luogo perché un fatto di reato non è tale fintantoché non viene provato, e non sulle pagine dei giornali o dietro le telecamere di qualche talk show, ma nelle aule di un Palazzo di Giustizia; secondariamente perché, stando a quanto trapelato dalle “segrete stanze” della P.G., a occhio e croce stiamo parlando, giuridicamente parlando, del nulla assoluto.

“Molto rumore per nulla”. Shakespeare ci ha scritto una splendida e divertente commedia degli equivoci con quel titolo. E qui non andiamo lontano da quel poema buffo con questa vicenda che, come l’opera presa a modello, intreccia meravigliosamente temi farseschi e giocosi con ampi richiami al tragicomico. Nulla di nulla è l’anticipazione di quanto stiamo andando a scrivere. Per rendere le cose più intellegibili e di facile comprensione iniziamo a presentare le parti in causa, o meglio i soggetti coinvolti nel procedimento sul quale la fiscalía (la magistratura) spagnola ha aperto un fascicolo con l’avvio delle indagini preliminari. I personaggi e gli interpreti, per usare un termine decisamente più cinematografico. Mettiamoli in evidenza come se fosse l’introduzione di uno dei romanzi di Agatha Christie, dove ci si preoccupa, prima dell’incipit, di fare la discovery, non delle prove, ma dei soggetti che animeranno nelle successive pagine la storia.

Da una parte abbiamo José María Negreira, già presentato come vicepresidente del Comité Tecnico de Arbitros (CTA). Tale organismo è equipollente all’Associazione Italiana Arbitri che contiene in sé il Designatore Arbitrale. Ebbene, Negreira era, sostanzialmente, il vice designatore. Dall’altra parte abbiamo il presidente blaugrana Bartomeu. Ancora lui!, direte voi. Sì e no. Nel senso che in questo caso, strano ma vero, non ha fatto nulla di sbagliato. Capita anche questo a volte. La vita è bella perché è varia. Nel mezzo, per citare le parole di Clint – Joe – Eastwood nel film Per un pugno di dollari (“I Baxter da una parte, i Rojo dall’altra … e io nel mezzo“) l’impresa Dasnil 95 SL, azienda di Negreira, che nel corso degli anni ha fornito “consulenze circa il profilo degli arbitri e il modo di comportarsi dei giocatori con essi”. Consulenze regolarmente documentate e fatturate (aspetto fondamentale nella ricostruzione giuridica dell’intera vicenda). Il compenso per questa attività di consulenza e profiling equivale a 1,4 milioni di euro spalmati in tre anni.

Dunque, secondo la magistratura, Bartomeu avrebbe, negli anni 2016, 2017, 2018 pagato il Negreira per ottenere informes sobre los arbitros con cui il FC Barcelona, prima squadra e filial, avrebbe avuto a che fare nelle successive partite. Una sorta di consulenza e approfondimento circa l’approccio comportamentale di un dato arbitro nel corso di una gara: aggressivo o conciliante; è uno che lascia correre o è pignolo e severo; permaloso, che accetta o meno il dialogo con i calciatori, facile ai cartellini, ecc. Sostanzialmente ciò che si fa regolarmente in ogni Paese calcistico attraverso un servizio specializzato, interno o esterno ai club, nello stilare profili attitudo-comportamentali dei singoli arbitri. Negreira per il Barcelona altro non faceva che tracciare i profili degli arbitri affinché i propri giocatori sapessero cosa potevano o meno fare, fin dove si potessero spingere con proteste o nei contrasti, e quale era il limite invalicabile. Questo per ogni arbitro, e per ogni gara. Una cosa normale per un club professionistico che deve avere a che fare con un organo, quello arbitrale, che prima di tutto è una persona. E ogni persona è un mondo a sé, un universo. Lo scopo della consulenza di Negreira e della sua Dasnil 95 SL era solo questo. In Italia organizzano dei seminari con questo oggetto.

Per aversi il delitto di corruzione è necessario che tra i suoi elementi costitutivi ci siano: 1) la dazione o promessa di una somma di danaro o altra utilità, per sé o per altri; 2) il compimento o l’omissione di un atto in violazione di un dovere del proprio ufficio da parte del corrotto; 3) il danno cagionato al proprio ufficio, società, ente; 4) l’illecito vantaggio per il corruttore.

Nel caso di specie Negreira non ha operato per avvantaggiare il Barça con designazioni pilotate al fine di fornire condotte arbitrali “a favore”, vale a dire non neutrali, o poste in essere con lo scopo di favorire, in violazione dei regolamenti di gioco, la squadra blaugrana. Nulla di tutto ciò. Negreira non è entrato nel merito della designazione, non ha influenzato la condotta dell’arbitro. La competizione non ne è stata danneggiata. Il Barcelona non ha ottenuto un illecito vantaggio da una condotta arbitrale coartata. Tutto si è svolto secondo i normali e comuni canoni di una gara calcistica tra tre parti totalmente terze tra di loro.

Secondo la ricostruzione che ne fa oggi El País, il figlio di Negreira, amministratore unico della azienda dal 2004, ha dichiarato ai magistrati che la consulenza verso il FC Barcelona prevedeva solamente informes, schede descrittive sul modus operandi tipico degli arbitri. Per tale attività la Dasnil 95 SL emetteva regolare fattura che il club blaugrana remunerava con pagamenti tracciabili. Non solo, il club, come confermato alla P.G. da alcuni membri della Directiva del Barça, ha regolarmente conservato tutte le relazioni della Dasnil 95 SL di Negreira.

Se tanto ci da tanto, in tutta questa vicenda non sussiste neanche un leggero fumus che possa concretarsi una figura di reato. In questo caso il pagamento non è stato fatto per ottenere dei vantaggi illeciti sul campo da parte di arbitri che sarebbero stati costretti, obbligati, invogliati da Negreira per assicurare un arbitraggio contra legem a favore del Barcelona, ma per le ragioni che abbiamo visto. Tutte queste relazioni sono sempre state redatte per iscritto, regolarmente pagate con sistemi tracciabili, accompagnate dall’emissione di regolare fattura da parte di Dasnil e conservate nel corso degli anni negli archivi del club. Quando mai si è vista una condotta corruttiva posta in essere con queste modalità? Ovviamente mai. Solo le cose legali si realizzano in questo modo, in quanto compiute alla luce del sole e nel rispetto della legislazione vigente e corrente. Come se ciò non bastasse, basterebbe prendersi la briga di andare a controllare le stagioni sportive del Barça di cui in parola per verificare se il club ha ottenuto, sul campo, vantaggi frutto da reato o meno. Se si facesse ciò ci si accorgerebbe, per esempio, che il Betis-Barça 1-1 del 29 gennaio 2017, incontro poi determinante per l’assegnazione del titolo a favore del Real Madrid, era stato caratterizzato da una rete di Neymar non concessa nonostante il pallone avesse oltrepassato la linea di porta di oltre mezzo metro prima di essere allontanato. Quella partita era stata la punta dell’iceberg di una serie di decisioni arbitrali che avevano decisamente danneggiato la stagione sportiva del Barça di quell’anno, come espulsioni, rigori subiti e non concessi, in una sinfonia di decisioni contro prese dagli arbitri nei confronti del Barcelona. Decisioni che hanno fatto da contraltare a quelle a favore del Real Madrid nella stessa stagione (reti in fuorigioco assegnate, goal regolari degli avversari annullati, rigori e quant’altro). Si corrompe qualcuno per averne un beneficio, non per essere danneggiati.

Al massimo si potrebbe parlare di un conflitto di interesse personale del Negreira, di inopportunità del suo comportamento, ma certo non di violazione di nessuna norma di legge o regolamentaria da parte del Barça. Senza dimenticare che, pur nell’ipotesi, qui negata recisamente, di un eventuale comportamento contra legem del club, ogni e qualsivoglia condotta sarebbe prescritta nel 2021. Come stabilisce la Legge dello Sport e il Codice disciplinare della RFEF, le sanzioni più gravi si prescrivono in tre anni.

In tal senso si è espresso anche Tebas questo pomeriggio. Lo stesso mandatario de LaLiga rimane tuttavia alla finestra nell’ipotesi in cui ci siano “sanzioni a livello penale”, aggiungendo: “Vedremo come andrà a finire questa investigazione” e “Queste cose non possono accadere nel calcio spagnolo, sia a livello etico che estetico”. Le sue parole dimostrano solo la sua impreparazione di diritto penale sostanziale, nient’altro. Fa specie, inoltre, che si spenda tanto in concetti elevati quale il “conflitto di interessi”, l'”etica” e l'”estetica” posto che il suo governo del calcio spagnolo è tutto fuorché privo di conflitti di interesse. Chi è che, da capo de LaLiga, ha promosso la vendita del 10,95% dei diritti televisivi al Fondo CVC a condizioni meno vantaggiose per il calcio spagnolo rispetto a quelle di altri investitori sul mercato? E se tale accordo non era il più vantaggioso per le squadre di Liga, per chi lo era? E ancora, chi aveva “garantito” che se il Barça avesse accettato i 250 milioni in cambio della cessione per 50 anni del 10,95% dei diritti audiovisuales a CVC, avrebbe potuto tesserare Messi? Conflitti d’interesse occulti, ombre e nubi che si addensano sul suo operato e sulla sua cosi detta etica. Javier Tebas è davvero l’ultima persona che possa ergersi a paladino dell’etica e della pulizia tout court. La sua armatura non è poi così fulgida come immagina.

IL BARÇA SBANCA ANCHE LA CERAMICA E PUNTA DRITTO LA LIGA CON UN MOMENTANEO +11

Giuseppe Ortu Serra

Il Barça supera anche il Villareal a La Ceramica, dove il Madrid ci aveva lasciato le penne, e vola ad un virtuale e momentaneo +11 rispetto al Madrid. Una partita molto difficile e complicata contro un avversario che in casa voleva fermare la capolista e ristorare la classifica dopo due sconfitte consecutive in campionato. Una gara, che se nel primo tempo è parsa più facile del previsto, nella ripresa ha messo in evidenza tutte le criticità di cui era capace e per cui era temuta da Xavi e da tutta la squadra. Il Barcelona è stato bravissimo nel primo tempo a incantare e ipnotizzare l’avversario con un gioco armonico che ha stregato la formazione di Setién. Nella ripresa, smessi i panni dello Scorpione di Giada, è stato altrettanto bravo a calarsi l’elmetto e impugnare il fucile per resistere al prevedibile ritorno dei locali.

Dunque un Barça dominante nel primo tempo che ha fatto sua la partita con la sesta rete di Pedri in Liga. Rete di pregevole fattura quella confezionata dalla squadra blaurgana. Recupero palla sulla trequarti di Koundé, con azione ripartita velocemente e conclusa con uno splendido triangolo a cavallo dell’area di rigore tra Pedri e Lewandowski. Il polacco, in uno spazio ristrettissimo, ha restituito al volo la palla al canario, che in area di rigore ha incrociato sull’uscita del portiere. Palla in fondo al sacco e Barcelona in vantaggio. La rete è giunta al 17′. Prima e dopo sempre Barça. Prima con Lewandowski, che proprio in apertura di partita, è stato fermato dall’uscita di Reina in un tu per tu nel quale l’estremo difensore è uscito vincitore (tiro respinto dal petto). Dopo con Raphinha, che su punizione ha sfiorato il sette sul palo lungo, e ancora con il polacco, sulla cui conclusione da centroarea, è stato ancora una volta il portiere dei locali ad avere l’ultima parola. Nell’azione in parola merita una menzione speciale De Jong, che ha servito il numero nove con una scucchiaiata da palla ferma oltre il capo del difensore avversario. De Jong è stato l’uomo in più della medular blaugrana. Uomo ovunque, ha cantato e portato la croce. Corsa a perdifiato con qualità e classe degne di un duca, l’olandese ha difeso e contrattaccato. Onnipresente nella linea dei difensori, a centrocampo e in attacco, è decisamente il quid pluris di questa squadra.

Il Villareal di Setién è stato pressoché assente ed è stato costretto a correre dietro l’avversario. Solo un errore di Pedri, con un retropassaggio di testa, ha generato l’unica occasione del submarino amarillo in tutti i primi 45 minuti. Ma il tiro di Morales è terminato ad un soffio dal palo della porta difesa da Ter Stegen.

Il secondo tempo è stato più nervoso, con diverse ammonizioni che hanno acceso gli animi in campo e reso il gioco meno fluido. Le squadre si sono leggermente allungate e la partita ha perso limpidezza, come l’acqua nel film “Cose nostre, Malavita”. Il Villareral ha provato a rendersi maggiormente pericoloso rispetto al primo tempo, riuscendoci ed esaltando la prova assoluta di Araujo. Il giocatore ha sbrogliato da solo almeno tre chance da rete dei locali, arrivando laddove pareva impossibile, allungandosi per recuperare palloni a scavalcare i difensori che parevano ormai preda delle maglie gialle che si sarebbero presentate praticamente davanti a Ter Stegen. La prova immensa del difensore uruguagio fa il paio con quella del primo tempo di De Jong.

Nella ripresa il Barça ha sofferto e stretto i denti sul finale di gara, ma è riuscito a vincere laddove il Madrid appena poche settimane fa aveva perso, portando a casa il 16° cleen sheet in 21 partite, record assoluto per il nuovo secolo in Liga e aumentando il vantaggio sui blancos a 11 punti. Vantaggio virtuale, s’intende, posto che les merengues devono recuperare la partita con l’Elche corrispondente all’attuale giornata. Ma in ogni caso, quando scenderanno in campo per la disputa del recupero, partiranno da -11, non certo il massimo a livello psicologico.

Frattanto il Barça continua a vincere, a segnare, a non subire reti, a giocare in maniera razionale, fluida, elegante, non disdegnando di tirare fuori le unghie quando c’è da aggrapparsi al risultato per tirarsi fuori dai momenti di difficoltà congiunturale all’interno del match. Una delle maggiori differenze tra questo Barça e quello delle passate stagioni è la capacità di resistere agli urti in maniera sicura. In ogni partita ci possono essere momenti in cui gli avversari prendono l’abbrivio, aumentano il ritmo delle vogate, mettono in campo tutto quanto hanno nelle gambe e nella testa. Mentre negli scorsi anni il Barça, attaccato con foga e disperazione dall’avversario, in maniera disordinata, rinculava, si impauriva e si disuniva, facendosi travolgere e non riuscendo più a reagire e a controbattere, adesso la squadra si comporta in maniera totalmente differente. Può anche abbassarsi di qualche metro, maggiormente a protezione dell’area di rigore, ma tiene botta, mostra il petto, i muscoli e reagisce a testa alta. Fa passare la buriana con il palleggio, trovando sempre l’uomo libero con gli inserimenti e i tagli senza palla di tutti i giocatori. Tutti accorciano verso la difesa, ma mai in modo passivo. Ogni volta che si rientra in possesso di palla, il primo pensiero è quello di smarcarsi e proporsi, anche sullo stretto, dando al portatore di palla una/due possibilità di passaggio. È uno spettacolo vedere questa squadra ripartire in questa maniera in mezzo alle difficoltà. Sempre con una lucidità calcistica di livello assoluto, sempre con una calma olimpica impensabile anche quando ci si trova nel bel mezzo della tempesta. Questo è il grande merito di questa squadra e di Xavi, il vero Deus ex Machina di una macchina che sembra perfetta.

A voler trovare il pelo nell’uovo bisognerebbe essere più cinici sotto porta. Nel secondo tempo specialmente, alcune ripartenze non sono state sfruttate a dovere per errori nell’ultimo passaggio, errori di precisione o nelle scelte di gioco. Lewandowski è stato uno di questi giocatori, anche se il polacco ha giocato una partita superba dal punto di vista del gioco di squadra e dell’impegno, tenendo alta la squadra, lottando su ogni pallone, facendosi fare fallo per fare respirare i compagni nei momenti in cui il Villareal ha dato il tutto per tutto nella ricerca della rete del pari. Questa può essere forse la partita più importante di tutta la stagione di Liga. Una vittoria da celebrare e festeggiare perché può essere veramente il turning point del campionato.

XAVI POMPIERE: “NON ABBIAMO ANCORA FATTO NIENTE”

Giuseppe Ortu Serra

La maggiore difficoltà a cui è andato incontro Xavi Hernandez nel post gara di ieri è stato tenere a freno l’euforia. Euforia, una delle parole più pronunciate durante i circa 14 minuti di conferenza stampa post Barça-Sevilla. La sala era fervente di sentire le parole di Xavi inneggianti alla superiorità del Barça e alla sua fuga in classifica. Quasi tutte le domande erano incentrate sul fatto che: “Il Barça ha già vinto la Liga”; “Il Barça è il candidato numero uno alla vittoria finale”. Un più 8 dal Madrid dopo una prestazione spumeggiante come quella contro il Sevilla di ieri sera non lascia indifferenti, anche ad un uditorio abituato ai trofei e ai trionfi, domestici e internazionali. Ma Xavi, giustamente, è entrato in sala stampa vestendo i panni del pompiere, come capitava a quei bambolotti anni ’70 che avevano outfit diversi per ogni occasione particolare. E così, dal Xavi Allenatore di pochi minuti prima, si è passati, dopo un veloce cambio di vestitini, al Xavi Pompiere. Elmetto rosso e tuta ignifuga e catarifrangente, il tecnico blaugrana ha iniziato a spargere schiuma sulle fiamme ardenti che già iniziavano a propagarsi incontrollate in sala stampa, dai seggiolini imbottiti della stampa ai bordi del tavolo del tecnico blaugrana.

“Non abbiamo ancora fatto niente” ha ripetuto più e più volte. “È una vittoria importantissima che dà morale, ilusión, entusiasmo, fiducia in se stessi e autoconvinzione. Ma nulla di più”. “Manca ancora molto cammino da fare, molta strada da percorrere. Siamo solo a febbraio. Non è la prima volta che si verificano rimonte incredibili nella parte finale del campionato. Io ne ho subita una da giocatore, e non voglio subirla da allenatore. Perciò testa bassa e concentrazione”.

Le parole del tecnico del Barça sembrano un copia e incolla di quanto scritto da questo blog a caldo nell’immediato dopo gara. Andatevelo a rileggere. Lo spartito da scrivere e ripetere è questo. Ancora non si è fatto nulla. È lo stesso tecnico a ribadirlo una volta di più. “Abbiamo vinto la Supercopa. Nient’altro”.

E a nulla servono le statistiche che dicono che quando si è girato al girone di andata con questi numeri si è vinto il campionato. Se si molla adesso, se ci si lascia prendere dall’euforia e si abbassa la guardia; se non arrivi in fondo, avere 53 punti adesso non serve a niente. È come nella divisione di un bottino: il 50% di niente è sempre niente.

Ai numeri che i colleghi gli snocciolano: 17 vittorie, 2 pareggi e una sconfitta; 42 reti fatte e 7 subite; 15 clean sheet portati a casa, 10 vittorie consecutive in tutte le competizioni, Xavi ha risposto con altri numeri, a contrario: “Ci sono ancora 54 punti disponibili in palio, domenica abbiamo una partita difficile a Vila-real contro un avversario che ha battuto il Real Madrid, c’è ancora il Clásico da giocare al Camp Nou”. Ancora tanta carne al fuoco e tanta strada da percorrere (“carrera de hacer por delante”).

Lo stesso Xavi riconosce che “L’euforia è una cosa importante. È importante per i tifosi, per l’ambiente, per noi stessi, ma dobbiamo pensare a ciò che ancora dobbiamo fare, non a quanto abbiamo fatto. Perché non abbiamo ancora fatto e vinto nulla”. Solo un passo. Del tipo, chi ricorderebbe mai la situazione attuale se alla fine del campionato non arrivassimo primi? E così, allo stesso tempo, Xavi rifugge dal concetto di essere favoriti. Anche questo concetto ha dovuto ribadirlo più volte davanti alle domande che gli venivano poste, tutte che ritornavano a battere sullo stesso tasto. “Siamo una delle squadre che possono lottare per la vittoria finale. Non siamo i favoriti. Insieme a noi c’è il Madrid, attuale campione di Liga e della Champions. Una squadra fortissima in grado di rovesciare i verdetti”. Concetto afferrato?

Principio non nuovo per Xavi, già puntualizzato anche nella conferenza stampa della previa.

Il tecnico de Terrassa oltre che difendersi dal Generale Entusiasmo e dall’euforia dilagante, ha parlato anche di aspetti tattici, come il ruolo di De Jong nella squadra: “È felice di giocare nella posizione in cui gioca. Ha la possibilità di dribblare, di inserirsi avendo le spalle coperte dalla difesa. Gli abbiamo trovato la posizione perfetta”.

Non solo De Jong, Xavi ci ha spiegato anche il perché di Jordi e non Balde e le differenze tra di loro: “Sono giocatori differenti. Jordi è un giocatore che ha il passaggio tra le sue caratteristiche, attacca molto dalla posizione di extremo ed è molto utile nelle fasi offensive quando devi attaccare una difesa chiusa dietro che non fa passare niente. Le sue capacità di inserimento e di mettere palle in mezzo dal lato corto dell’area sono importantissime. Quando ci sono avversari che difendono bassi e chiusi in questo modo, Jordi è fondamentale per ciò che ci dà. Balde è un giocatore con altre caratteristiche. Fa più movimento e entra dentro il campo”.

Questa è una squadra unita, compatta, in cui ognuno ha il suo ruolo e il suo compito all’interno del gruppo. Non ha prime donne o coloro che fanno tutto e da cui tutti dipendono. Questa vittoria, per esempio, è il frutto di giocatori come Kessie e Raphinha. Di loro ha parlato Xavi alla fine della partita. L’ex milanista è entrato per sostituire Busquets infortunato e ha risolto la gara con una giocata stupenda nella rete che ha sbloccato la partita, disputando, oltretutto, un match senza sbavature. Raphinha, criticato per un rendimento non all’altezza delle aspettative estive, ha giocato come forse non lo avevamo mai visto in precedenza. La seconda rete, quella di Gavi, è merito suo e di una apertura-assist visionaria. Un passaggio che, da solo, ha tagliato fuori completamente la difesa e il portiere del Sevilla. Un assist degno del genio di Messi. Questa squadra, a differenza di tante altre, sembra veramente una squadra stricto sensu. In cui le gare vengono risolte dai subentranti dalla panchina, da giocatori che giocano poco o da coloro che risultano del tutto inaspettati. Come in un film: Definitely Unexpected.