FC Barcelona – Sua Maestà Messi risolve il Derby

E’ ancora Messi show! Due perle dell’argentino risolvono il derby di Barcelona. Su punizione la prima rete, al 71′; su azione la seconda, un minuto prima del novantesimo. Due marcature che portano l’astro argentino ancora più in alto in tutte le classifiche di specialità della Liga e internazionali. Con questa nuova doppietta, il Diez sale a quota 31 nella graduatoria del Pichici, staccando la seconda posizione, occupata dall’altro blaugrana Suarez, di tredici reti. Primo anche nella specialità degli assist, dove guida il gruppo con 12 pases decisivos (tre in più di Jony). Con questi dati è ovviamente leader anche nella specialità goals + assists con 43 davanti al compagno di squadra Suarez (secondo a 24). L’egemonia di Messi perdura anche uscendo fuori dai confini nazionali, dove capeggia i partecipanti alla conquista della Scarpa d’Oro. Kylian Mbappe segue il Genio di Rosario a quota 26 segnature. Insomma, una stagione veramente da Pallone d’Oro, sopratutto se si pensa che il tanto sponsorizzato Ronaldo, in Italia non è nemmeno in testa alla classifica dei marcatori. Fermo a quota 19 reti, il portoghese deve accodarsi, in compagnia del baby Piatek, al 36 enne sampdoriano Fabio Quagliarella. Ben lungi dai 31 realizzati da Leo Messi.

Il Barça ha giocato contro i pericos con un occhio ai consumi di carburante mentale e fisico e con un altro al rassicurante vantaggio in classifica vantato sulla seconda posizione. Alla “vigilia” dei quarti di finale contro lo United del confermato Solskjaer (la partita è in programma il 10 aprile), l’obiettivo era vincere risparmiando quanto più è possibile energie. La stagione sta entrando nella sua fase decisiva, e arrivarci nelle migliori condizioni psicofisiche è basilare per continuare nel solco del triplete. Valverde, nella conferenza stampa della vigilia della sfida di questo pomeriggio contro l’Espanyol, aveva avvertito della necessità di fare riposare sopratutto Messi nelle sfide meno importanti. L’argentino gioca da dicembre su un dolore al pube che si vuole evitare che si trasformi in pubalgia. Dunque nelle partite di Liga scenderà in campo laddove è strettamente necessario per concentrarsi totalmente sulla Champions, quest’anno obiettivo numero uno del FC Barcelona.

La partita è rimasta sui binari di un apparente equilibro, solo sul piano del risultato, per gran parte della gara. Mancanza di concentrazione nelle conclusioni e uno spirito non garibaldino hanno fatto sì che il predominio sul gioco non si concretasse in una goleada nei primi 45′ di partita.

Nella ripresa, la magia su punizione del 10, un soffio al pallone da sotto, come una leggera carezza, ha mandato all’aria i piani dell’Espanyol, cercare di arrivare allo 0-0 finale con una continua e persistente perdita di tempo. La rete del raddoppio è giunta su un contropiede condotto da Malcom, subentrato a Arthur al 60′, e conclusa con un tocco di interno collo sinistro dal Diez che ha decretato la fine delle ostilità.

FC Barcelona – De Ligt. Ore decisive. I motivi per il Sì di Ajax e giocatore

Per De Ligt la prossima settimana sarà quella decisiva. A Can Barça l’umore è alto e allegro. Sopratutto ben speranzoso. Anche qualcosa di più. Il club blaugrana vanta più di un asso nella manica nell’operazione per portare il 19enne olandese, centrale dell’Ajax e della nazionale Orange, a Barcelona. Nelle giornate di lunedì e martedì ci saranno alcune riunione dell’ECA a cui saranno presenti Bartomeu e Grau (presidente e CEO barcelonisti). Dall’altra parte interverranno Overmars e Van der Sar (direttore sportivo e CEO dei lancieri). Quelle potrebbero essere le giornate per avere il contatto definitivo e la chiusura dell’accordo per il passaggio in blaugrana di Matthijs De Ligt. Il prezzo si aggirerebbe su una cifra vicina a quella pagata per Frankie De Jong.
Il Barça è molto fiducioso per la conclusione dell’operazione, e confida su molti aspetti che lo rendono eligibile e preferibile a tutte le altre concorrenti in lizza per assicurarsi le prestazioni del difensore olandese.

1) La volontà del giocatore.
De Ligt non ha mai fatto mistero della sua volontà di giocare nel Barcelona, club di cui era sostenitore sin da bambino. Di ciò non ne ha mai fatto un mistero. In rete sta facendo il giro dei quattro cantoni una sua foto in tenera età vestendo la camiseta blaugrana.
Il ragazzo è anche un grande estimatore della città, oltre che della squadra. L’anno scorso è stato visto in città con la famiglia Kluivert e non ha esitato a farsi fotografare in mezzo al gruppo familiare. Quando De Jong, suo compagno in nazionale e nel club ha firmato per il Barcelona, De Ligt non ha nascosto la sua gioia per aver compiuto quel passo. Dietro specifica domanda di un giornalista ha candidamente dichiarato che “A qualsisasi giocatore farebbe piacere giocare con Messi e vestire la maglia blaugrana”.

2) La chiave De Jong
Già detto dell’amicizia con il centrocampista, fiammante acquisto del club azulgrana per 75 milioni più 11 di bonus, i due biondissimi olandesi non hanno mai negato che vorrebbero continuare ad essere compagni di squadra anche nel futuro e nella loro prossima avventura calcistica lontano dalla madre patria. Lo aveva precisato anche lo stesso Ajax, che crede che i due possano crescere meglio e con maggiori prospettive restando uniti. Overmars, direttore sportivo dei lancieri, spinge per questa soluzioni, e in passato aveva espresso questa posizione molto chiaramente.

3) Lo stile Barça
L’Ajax è un club che continua a seguire i suoi ragazzi anche dopo che hanno lasciato la casa madre, scegliendo per loro la soluzione che più si sposa con la continua crescita professionale. Come una mamma, preferisce rinunciare a un introito maggiore pur di garantire la miglior destinazione per i suoi gioielli. La crescita di tutto il movimento calcistico nazionale passa anche per la giusta crescita e maturazione individuale. L’Ajax si è sempre fregiata di questo fatto. La trasformazione dei calciatori da grandi prospettive in campioni è sempre stato uno dei criteri che hanno guidato le scelte di mercato del club di Amsterdam. Non è solo un interesse affettivo, ma anche un interesse di calcio come Paese. La squadra nazionale può crescere, e così tutto il movimento futbolistico, solo con la corretta maturazione dei propri campioni. Il gioco del Barcelona, con la sua filosofia calcistica de toque, è da sempre stata quella più simile al calcio praticato dall’Ajax. Non per nulla il Barça di oggi nasce da due tra i personaggi più importanti di tutto il mondo blaugrana. Uno di questi è chiaramente Johan Cruyff. Lui, atterrato in Catalunya nella stagione 73-74 come calciatore, ha trasformato la mentalità e la visione calcistico-sportiva di una squadra, di una città, di un intera nazione. Da allenatore, giunto dopo i terribili momenti del Motin del Hesperia (il vergognoso ammutinamento della squadra verso i vertici societari) nella stagione 1988-89 al posto di Terry Venables/Luis Aragones, implementò e sviluppò quei concetti base che lui stesso, insieme agli altri Orange della squadra anni 70′ come Neeskens e Rinus Michels, avevano importato dall’Olanda.
Il cordone ombelicale con i Paesi Bassi non si è mai spezzato, anche se negli ultimi decenni il movimento brasiliano aveva preso il sopravvento. Lo stile, tuttavia, è sempre rimasto fedele al movimento della Rivoluzione Olandese. Proprio per questo stile calcistico De Jong ha scelto il Barça davanti a tutto e tutti, anche all’assegno in bianco che il Psg gli ha messo in mano per convincerlo a firmare per la formazione parigina. Sempre fedele a quello stile da Mamma Chioccia di cui si parlava, anche l’Ajax ha preferito guadagnare meno (il Psg offriva molto di più) pur di scegliere la città più adatta per far emergere tutto il talento e le potenzialità del suo ragazzo.
Ora la stessa cosa si sta ripresentando per De Ligt. Altri club sono disposti a offrire somme maggiori a quella che pagherebbe il FC Barcelona. E’ un dato di fatto, tuttavia, che nessuno possa garantire la continuità nello stile di gioco dei due ragazzi se non la formazione blaugrana. Sulla base della cifra pagata per il centrocampista, il Barça è fiducioso di poter concludere anche per il giovane difensore.

4) La sinergia Barça – Ajax 
Un ulteriore elemento che avvicina giorno dopo giorno De Ligt sempre più verso il Camp Nou è il progetto di collaborazione sportiva e manageriale tra i due clubs che porterebbe benefici ad entrambi. Sempre sulla scia di questa comune base di mentalità calcistica, i dirigenti di ambedue le squadre stanno gettando le basi per un rapporto di collaborazione che prevederebbe una sorta di passaggio dei più promettenti calciatori della Masia, che per motivi di concorrenza interna non possono giocare da subito in prima squadra, all’Ajax con lo scopo di farli maturare giocando in una formazione come quella di Amsterdam che ne sposa valori e stile di gioco. Quando pronti, poi, essi tornerebbero in blaugrana. In direzione opposta, il Barça beneficerebbe di rapporti privilegiati nell’acquisto dei gioielli che indossano la maglia dei lancieri.
Questa sinergia sarà stipulata tra le due società calcistiche se l’affare De Ligt dovesse andare in porto.

Giuseppe Ortu           

FC Barcelona Editoriale – Arthur e Vidal I due volti del centrocampo del Barça

Arthur e Vidal sono i volti del centrocampo del Barcelona di questa stagione. Due giocatori completamente differenti l’uno dall’altro. Tecnico e ragionatore il primo, irruento e istintivo il secondo. Entrambi i centrocampisti si sono inseriti alla perfezione nel tessuto calcistico della squadra nonostante i molti dubbi che li avevano accompagnati a Barcelona.

Diversi, diversissimi, si diceva. E grazie a questa differenza Arthur e Vidal permettono alla squadra di giocare in maniera diametralmente opposta a seconda che giochi l’uno o l’altro. Con il brasiliano abbimo un Barça più classico e fedele alla tradizione del juego de toque barcelonista. Con il cileno, la squadra diventa un inno all’assalto all’arma bianca e alla carica sfrenata della cavalleria. Con l’uno o l’altro sul terreno di gioco la squadra, e il suo modo di giocare, muta. Due giocatori totalmente differenti, ma entrambi fondamentali per la stagione del Barça, per i risultati che essa sta ottenendo, e per le speranze di triplete.

I due nuovi acquisti si sono inseriti alla perfezione in un tessuto complicato come quello del FC Barcelona. Solitamente i nuovi giocatori, salvo poche eccezioni, necessitano di un anno di apprendistato per entrare nei delicati e complicatissimi meccanismi del centrocampo de toque blaugrana. Fior di campioni hanno balbettato nella loro prima stagione al Camp Nou. Laudrup e Neymar sono due di questi esempi. A differenza loro né Arthur, né Vidal hanno avuto evidenti difficoltà ad adattarsi ad una realtà così particolare come quella del Barça. Vidal qualcuno ad inizio stagione lo ha avuto in effetti, ma tutto è presto rientrato.

Arthur, dotato del DNA Barça nonostante non abbia speso nemmeno un giorno nella Masia, è stato il più fulgido esempio di come un giocatore possa trovarsi nel suo habitat naturale nonostante provenga da una realtà lontana. E’ brasiliano, certo, ed in quanto tale è dotato di una tecnica che lo avvicina quasi automaticamente al tiqui taka. Le similitudini, tuttavia, iniziano e finiscono qui. I ritmi completamente diversi tra il campionato del brasilerao e l’Europa, e la Liga in particolare; la giovane età e la differente pressione di una maglia come quella blaugrana che richiede di essere al 100% per tutti i 90 minuti in tutte le gare della stagione, sollevavano alcuni dubbi sul suo immediato inserimento. Che fosse bravo lo si sapeva, bastava vederlo all’opera nel Gremio per capire che era un futuro crack, ma le previsioni e le speranze sono andate ben al di là di ogni più rosea previsione. Nel Gremio il ragazzo non perdeva un pallone neanche se ostacolato o caricato, ma sarebbe stato in grado di fare la stessa cosa ai ritmi raddoppiati del calcio europeo e all’alto standard richiesto in una squadra che del toque e della posesion ne ha fatto una filosofia di vita, uno stile inconfondibile e un marchio riconoscibile a qualsiasi latitudine terrestre? E ancora, sebbene sia stato in grado di essere il leader di un centrocampo che ha dominato in Copa Libertadores, risultando l’MVP della competizione, sarebbe riuscito a sopportare il peso di una camiseta indossata da Xavi, Iniesta, Koeman, Guardiola?

Ad entrambi gli interrogativi la risposta è stata ampiamente positiva. Sin dai primi allenamenti i compagni di squadra ne hanno magnificato la capacità di tenere la palla e di non perderne mai il controllo in qualsiasi situazione di gioco. Alla prima amichevole ufficiale, durante la gira americana, in lui si sono riviste le movenze, le capacità di palleggio e di regolare il ritmo della squadra, con accelerazioni e rallentamenti, di Xavi. In quella circostanza è bastata un’occhiata per dire immediatamente che quel ragazzo con il numero 8 sulle spalle (una scelta da predestinato) era il nuovo Xavi.

Entrato in squadra non ne è più uscito, perpetuando la tradizione della Casa. Con lui, in questa stagione, la squadra di Valverde ha fatto un salto di qualità enorme a centrocampo. Recuperi, possesso, ritmi differenti a seconda delle necessità del momento agonistico, assist verso i compagni d’attacco, visione di gioco e d’insieme. Tutto ciò che mancava dall’addio del numero 6 blaugrana è tornato come magicamente. Arthur deve ancora crescere sopratutto dal punto di vista fisico e della muscolatura, ma con lui in campo la squadra ha ripreso a dominare palla, gioco e avversari; in una parola, le partite.

Se Arthur rappresenta il ritorno alla tradizione, Vidal è la rivoluzione, la rottura, la mosca nel bicchiere di latte. A prima vista Vidal e il Barça non potrebbero essere più distanti come impostazione filosofica e pensiero calcistico. Mi piace definirlo un combattente, un guerriero che usa la clava in mezzo agli spadaccini. Ad inizio stagione, ad acquisto ufficializzato, gran parte del barcelonismo è insorto. Tutt’oggi, nonostante le eccellenti performance, si sopporta mal volentieri il vederlo in campo dal primo minuto. Si può anche accettare se entra a gara iniziata, ma non se parte titolare.
Dopo qualche scaramuccia creatasi nei primi mesi di campionato per qualche post poco gradito all’interno del vestuario, nella Junta Directiva e nella grada del Camp Nou (è anche stato sonoramente fischiato in occasione di una sostituzione), il cileno si è integrato perfettamente con i compagni e l’ambiente, calandosi nella nuova realtà. Lavoro, pazienza, rispetto e codice comportamentale. Questi sono i dettami di Can Barça. Chi non si uniforma è fuori. Vidal ha capito e in breve è diventato un elemento fondamentale nello scacchiere del centrocampo di Valverde. Vidal è l’alternativa assoluta a Arthur. L’opposto concettuale. Forza, grinta, aggressività, cattiveria e una certa improvvisazione e anarchia tattica conferiscono alla medular blaugrana quel quid pluris che mancava fino allo scorso anno e che garantisce grande spessore, tenuta e ritmo alle partite del Barcelona. A seconda della gara, o del momento all’interno della stessa, Il Barça è in grado di cambiare completamente pelle e di passare da un atteggiamento ad uno completamente diverso. In questo modo, con un solo cambio, la squadra è in grado di trasformarsi radicalmente come un camaleonte si trasforma per ingannare i suoi nemici.

La riprova di questa doppia faccia è nella partita contro il Lione di Champions. Il Bacrcelona ha iniziato con Arthur titolare e Vidal seduto in panchina. La squadra ha dominato l’avversario e la sfida, andando sul doppio vantaggio e meritando di andare oltre nel punteggio. Nella ripresa è cresciuta la formazione di Genesio. Ha portato il suo baricentro avanti di buoni venti metri, e ha premuto sul pedale dell’acceleratore. Il Barça ha pensato più che altro a controllare. Con il calo fisico di alcuni giocatori, causa di un abbassamento dell’intensità da parte blaugrana, e dell’aumento dei giri motore del propulsore lionnaise, la squadra di Valverde è andata pian piano in difficoltà.

Con la rete di Tousart il Barça si è spaventato e il Lione ha iniziato a intravedere il miracolo già messo in atto con la squadra di Guardiola nella doppia sfida dei gironi di Champions (due gare; una vittoria e un pareggio). I blaugrana hanno iniziato a girare a vuoto e i fantasmi della nottata romana devono essere riaffiorati alle menti dei giocatori. Messi & Co hanno perso la posesion e il controllo della gara, passando da un 77% di possesso dei primi 45′ a poco più del 50% del secondo tempo. Nel momento di massima pressione e sofferenza, Valverde ha deciso di cambiare il chip della sua squadra, facendo uscire Arthur per inserire Vidal. Si era al 74′. Come un pilota di Formula 1, il tecnico ha modificato la ripartizione di frenata, passando dall’avantreno al retrotreno. Appena il cileno ha messo piede in campo, ha iniziato a correre con l’indole di un cavallo selvaggio imbizzarrito. Sembrava posseduto dallo spirito di un antico guerriero pellerossa. Ha iniziato a dare battaglia, correre dietro i giocatori del Lione, disturbare la loro corsa, entrare in tackle, rubare palloni, spingere gli avversari sporcandone traiettorie di passaggi e disturbandone la manovra. Con il suo modo di fare non solo ha iniziato a farli giocare male, ma con la sua trance agonistica ha contagiato i compagni, infondendo loro nuova forza e spirito positivo. Li ha rianimati e incoraggiati. La gara è cambiata completamente. La squadra impaurita di pochi minuti prima si è trasformata in un gruppo pronto a ripartire e a restituire colpo su colpo. 4 minuti dopo il suo ingresso in campo il Barça è ripartito e Messi ha realizzato la rete del 3-1. Altri 3′ e Piqué ha portato a quattro le marcature. Ancora 5 minuti e Dembélé ha messo a segno la rete del definitivo 5-1.

Due giocatori, dunque, per due stili differenti, ma entrambi compatibili e utili alla causa blaugrana. Valverde ha trovato nell’attrazione degli opposti la ricetta per conseguire risultati, traguardi e trionfi.       

FC Barcelona – 1-4 Messi trascina il Barça alla conquista della Liga


Il Barcelona batte il Betis al Benito Villamarin con un recital di squadra e del suo uomo dei miracoli, Leo Messi, e sentenzia la Liga portando a 10 le distanze dall’Atletico secondo. 4-1 il risultato finale della gara che ha visto il campione argentino realizzare una tripletta da favola. La quarta marcatura porta la firma di Suarez. Per i padroni di casa ha iscritto il proprio nome sul tabellino Moron.
Le reti sono state una più bella dell’altra. Ha aperto Messi su punizione; ancora l’argentino ha raddoppiato su azione ubriacante in velocità della squadra e meraviglioso tacco smarcante di Suarez. La terza rete porta la firma dell’uruguayo con una azione personale alla Messi dopo uno slalom tra i difensori avversari. Moron, per il Betis, ha accorciato le distanze con un bel tiro a giro. Ma la meraviglia della serata porta ancora la firma di Messi con una vaselina dal limite dell’area che ha lasciato tutti di stucco per la sua bellezza.

Il FC Barcelona è sceso in campo ieri notte conoscendo già il risultato dell’Atletico Madrid, che nel pomeriggio era stato sconfitto a San Mames di Bilbao dall’Athletic Club. La vittoria della formazione blaugrana avrebbe praticamente chiuso ogni conto per la conquista del titolo di Spagna. Il risultato finale della sfida del Villamarin di Sevilla, quartiere di Heliopolis, ma sopratutto l’attuazione della squadra di Valverde, ha detto proprio questo. Anche in questa stagione, ma sopratutto in questa stagione, il Barça è irraggiungibile per qualsiasi avversario nella lotta per la conquista della Liga.

Alla conclusione del campionato mancano 10 gare e il vantaggio di 10 punti sui colchoneros rappresenta un divario francamente incolmabile. L’Atletico deve ancora giocare al Camp Nou, è vero, ma lo stato di forma degli azulgrana, il modo in cui giocano, e la dolcissima presenza di Messi, sono più di una garanzia sul fatto che mai i dieci punti di divario potranno essere colmati in un numero così esiguo di partite.

La prova che il Barcelona ha fornito ieri notte contro il Betis è stato un vero recital. Una partita monumental, una barbaridad, una gara brutal. Una squadra che si muove come all’interno di uno spartito in cui ogni nota è messa al posto giusto per poter rendere al massimo e deliziare il piacere musicale dello spettatore. L’esibizione della squadra di Valverde è stata un piacere per gli occhi. Una prova di forza e di bellezza condita da un pressing asfissiante, una pressione alta portata fin sul limite dell’aria di rigore avversaria per tutti i 90′. Ancorché si fosse già nel tempo extra del secondo tempo, con il risultato inchiodato su un granitico 4-1, i blaugrana ancora pressavano con tre uomini il portatore di palla del Betis che si trovava lungo l’out di destra nei pressi della propria area di rigore. A pochi secondi dalla fine dei tre minuti di recupero, concessi dall’arbitro della gara, il Barça ha recuperato palla nella trequarti avversaria e con Messi si è incuneato in area di rigore battendo a rete a colpo sicuro. Il pallone è andato a sbattere sul palo, e solo per uno strano e beffardo angolo di battuta la palla non è finita in fondo al sacco ed è uscita dalla parte opposta dopo aver attraversato tutta la linea di porta.
Questo per dire che la squadra blaugrana non si ferma mai a prescindere dal risultato o dal tempo sul cronometro. E questa è la sua forza.

Il Barça e il suo totem, il suo deus ex machina, il suo faro o pietra angolare a seconda di come si voglia chiamare Leo Messi, sono una perfetta macchina da calcio costruita per giocare divinamente, vincere tutto ciò che capita a tiro e, sopratutto, conquistare quel trofeo che da quattro stagioni sfugge ai giocatori blaugrana: la Champions League.

La orejona, la coppa dalle grandi orecchie, era stata posta nel mirino del club sin dall’estate. In occasione del Gamper Leo Messi, prendendo la parola prima dell’inizio della partita, aveva detto che quello sarebbe stato il trofeo, “la deliziosa coppa”, che la squadra avrebbe “finalmente riportato a casa”. Tutta la stagione è stata programmata per quell’obiettivo. La campagna acquisti è stata realizzata per quello scenario. Una rosa enormemente competitiva che permette di fornire al suo allenatore una serie di varianti tattiche e tecniche di infinita qualità che mancavano nelle ultime stagioni. Ieri notte, con Dembélé infortunato, Coutinho, Semedo e Alena in panchina, la squadra ha giocato con Messi e Suarez davanti e Rakitic, Busquets, Arthur e Vidal a centrocampo. Una rosa dalla qualità assoluta.

Alla sfida con il Manchester Utd manca meno di un mese, e la squadra è entrata nella modalità Champions. Il Betis di Quique Setien, impegnato nella lotta per la conquista dell’Europa, ha giocato una grande partita, sia dal punto di vista dell’intensità, del pressing e della qualità. I giocatori betici hanno cercato di dare la caccia ai blaugrana in ogni zona del campo, impegnandoli a fondo e costringendoli a tirare fuori il meglio da loro stessi. Il Barça ha bisogno di queste gare per preparare al meglio gli incontri europei. Messi & Co. sono scesi in campo per non dare scampo all’avversario e lo hanno aggredito, sbranandolo, come una fiera affamata con una preda di caccia.

In tutta questa perfetta esecuzione calcistica, che ha ricordato la famelica fame di calcio e di palla della squadra di Guardiola, Messi si è posto a suo più illustre paladino. La gara dell’argentino è stata da cineteca, da vero, e unico, Pallone d’Oro. Tre reti, che potevano essere quattro se non fosse stato per quel palo, recuperi difensivi e una serie infinita di giocate mirabolanti che hanno incantato compagni, avversari e pubblico sugli spalti. Alla sua terza marcatura personale, un’opera d’arte eseguita con un leggero tocco sotto al pallone passatogli da Suarez, appena una carezza, che dal limite dell’area ha fatto partire un pallonetto che ha scavalcato il portiere finendo in rete, tutto il Benito Villamarin  è scattato in piedi e ha iniziato ad applaudire senza sosta mentre intonava il coro: “Messi, Messi”. Un’ovazione e una standing ovation che non capita spesso a favore di un avversario, tanto meno se ha appena punito la squadra di casa con la rete del quattro a uno. Ieri non contava chi avesse segnato e contro chi. Dopo quella rete capolavoro il pubblico ha tributato il giusto riconoscimento non a un avversario, ma a un campione del calcio, al migliore giocatore del mondo e di tutti i tempi; campione dentro e fuori dal terreno di gioco. Con quel gesto, il pubblico di casa ha voluto riconoscere in Leo Messi un genio del calcio, un patrimonio di tutto il movimento calcistico mondiale.

Con questa tripletta (su punizione la prima segnatura), che segue la doppietta in Champions contro il Lione, il 10 ha già raggiunto 29 reti in campionato e lidera, incontrastato, la classifica del Pichici. Chissà se anche quest’anno, star mediatiche del pallone, o ingombranti manovre politiche, riusciranno a depredare del Pallone d’Oro il suo più naturale destinatario.    

FC Barcelona – Lo United nei Quarti di Champions

Sorteggi di Champions benevoli per quanto riguarda il FC Barcelona. Sarà il Manchester United l’avversario della formazione di Valverde nei Quarti di Finale di Champions League. Julio Cesar, portiere dell’Inter di Mourinho, è stato l’incaricato di effettuare il sorteggio degli accoppiamenti dei Quarti di finale di Champions League e del successivo turno di Semifinale, così come accadeva qualche stagione fa.

La mano innocente del portiere brasiliano ha estratto le palline che hanno accoppiato il Barça al Manchester United. Inizialmente l’andata si sarebbe dovuta disputare al Camp Nou e il ritorno a Old Trafford, ma per regolamento Uefa, essendo anche il City impegnato in casa nella gara di ritorno con il Tottenham, ed essendo la squadra di Guardiola meglio classificata rispetto ai Red Devils in Premier, l’organizzazione ha invertito l’ordine degli accoppiamenti. Così l’andata si disputerà a Manchester il 10 aprile; il ritorno sarà il 16 al Camp Nou.

Gli  altri accoppiamenti sono: Tottenham-Man City (9-17 aprile); Liverpool-Porto (9-17 aprile); Ajax-Juventus (10-16 aprile).

Insieme al sorteggio dei Quarti sono stati anche stabiliti gli accoppiamenti delle Semifinali, realizzando, come anni fa, un tabellone in stile tennistico. Cosicché gli abbinamenti successivi ai Quarti hanno decretato che la vincente di Man Utd-Barça incontrerà la squadra uscita vittoriosa dalla sfida tra Liverpool-Porto. Nell’altra Semifinale potrebbe così verificarsi lo scontro tra il City di Guardiola e la Juventus nel caso in cui entrambe le formazioni si sbarazzeranno delle rispettive avversarie. Anche il sorteggio per le Semifinali è tutto sommato favorevole, essendo riusciti a evitare City e Juventus. La formazione blaugrana potrebbe avere una autostrada verso la finale.

La sfida dei Quarti tra Manchester United e FC Barcelona suscita i fasti di antiche e recenti sfide. Come le due finali disputate dal Barça a Roma nel 2009 e a Wembley nel 2011, entrambe vinte dalla formazione blaugrana allora allenata da Pep Guardiola. Le gare di Messi, Villa, Ronaldinho. Gare caratterizzate dall’idioma catalano.
In passato, invece, erano sfide che parlavano maggiormente inglese, come quelle degli anni 80 di Coppa delle Coppe (Quarti di finale, stagione 1983-84: vittoria blaugrana in casa per 2-0; sconfitta a Old Trafford per 3-0, con il Barça che giocò il ritorno con la Meyba amarilla), o la Finale di Coppa Coppe del 1990-91 (sconfitta per 2-1 a Rotterdam con la Meyba azul).
Quelli erano altri tempi e altre maglie. Ed era un altro Barcelona. Forte, sì, ma a cui mancava la mentalità vincente e la consapevolezza della grandezza. Si era agli albori di una nuova era. L’anno successivo alla finale di Rotterdam arrivò la prima Champions contro la Sampdoria e, con essa, il club fece quel salto di qualità mentale che la portò a costruire il Dream Team di Cruyff e poi l’età del guardiolismo.

Da allora cambiò tutto. E le sfide contro il Manchester, che dall’esplosione del City non è più sufficiente indicare con il solo nome della città, hanno cambiato sponda e colori, prendendo quelli più solari, ridenti e colorati della Catalunya e di Barcelona.

FC Barcelona – Si ferma Dembélé

La vittoria del Barcelona contro l’Olympique Lyon in Champions non ha lasciato in dote solo il passaggio del turno ai Quati di finale, festeggiamenti e goals, ma anche fastidiose scorie. Ousmane Dembélé, che ieri è partito dalla panchina per un leggero fastidio muscolare subito nei giorni precedenti alla sfida di Champions, ha subito una ricaduta del medesimo infortunio. Il problema, che inizialmente era una semplice elongazione al muscolo ischio-tibiale, dopo lo sforzo di ieri si è trasformato in qualcosa di più serio. L’elongazione si è trasformata in rottura di alcune fibre muscolari. Il ragazzo dovrà quindi stare fermo per un periodo che va dalle tre settimane a un mese.

Dembélé era entrato in campo nella ripresa al 70′ per dare il cambio a Coutinho, calato rispetto al primo tempo, e dare peso al reparto offensivo in ju momento di difficoltà della squadra. In quel momento il risultato era fermo sul 2-1, il Barça appariva spaventato e sulle gambe, mentre il Lione stava producendo il massimo sforzo per arrivare alla rete del pareggio che sarebbe valsa la qualificazione ai Quarti. Valverde aveva bisogno di forze fresche che cercassero di rompere l’assedio che stava cercando di imporre la formazione di Genesio, e permettessero ai blaugrana di sfruttare i maggiori spazi che la squadra francese inevitabilmente era costretta a cedere nel tentativo di raggiungere il pari.

E’ stata una mossa dettata dalla necessità della gara. Il numero 11 è entrato e ha eseguito alla perfezione il suo compito, riuscendo anche a realizzare la rete del definitivo 5-1. Subito dopo la marcatura il giocatore ha sentito dolore. E’ rimasto in campo nonostante tutto e ha terminato la partita.

Questa mattina le prove mediche a cui è stato sottoposto Dembélé hanno riscontrato la rottura delle fibre muscolari ischio-tibiali. Se dovesse essere confermata la prognosi delle quattro settimane rientrerà giusto in tempo per l’andata del prossimo turno di Champions. Se l’evoluzione dell’infortunio dovesse essere maggiormente benigna, il ragazzo potrebbe essere disponibile per lo scontro del 6 di aprile, quando il Barça ospiterà al Camp Nou l’Atletico in quella che sarà l’epilogo della Liga.  

FC Barcelona – Manita Messianica del Barça contro l’OL

Il Barça passa ai Quarti di finale della Champions League con una mareante manita all’Olympique Lyon. 5-1 il risultato finale di una gara che ha mescolato una girandola di emozioni che hanno scosso i 99.000 e passa spettatori del Camp Nou fin dalle fondamenta. Una gran partita che ha mischiato sensazioni contrastanti di  tensione, gioia, paura, ancora gioia e infine leggera, ma incontenibile felicità. Leggerezza d’animo che dà quasi la sensazione di lievitare, come quelle lanterne di carta che si lasciano ascendere verso il cielo nelle calde e ambrate serate d’estate. Ieri sera il Camp Nou ha vissuto una delle sue magiche nottate trionfali europee, cariche di tensione che ti morde lo stomaco e ti attanaglia fino all’esplosione di gioia finale. Era appena un Ottavo di finale, ma all’Estadi sembrava di essere tornati alla semifinale contro il Bayern di Guardiola della stagione 2014-15, quella dell’ultima Champions e dell’ultimo triplete.

Dopo lo 0-0 dell’andata, risultato infido per la squadra di casa, con il Lione che poteva giocare per due risultati su tre; dopo le eliminazioni eccellenti del Psg, Real Madrid e Atletico; con ancora il ricordo bruciante della catastrofe dello scorso anno contro la Roma, la squadra blaugrana è scesa in campo dopo aver ascoltato appelli a giocare con la massima concentrazione una partita facile solo sulla carta. “E’ come una finale“, si era ripetuto da più parti a Barcelona alla vigilia, proprio per caricare della giusta importanza la sfida e sottolineare il fatto che la formazione di casa avesse solo un risultato a disposizione, la vittoria. Il Lione, d’altronde, era giunto a questa partita con il casellario delle sconfitte intonso, pulito e profumato come bucato fresco.

Forte della cabala e degli sconvolgimenti sportivi delle gare che avevano preceduto Barcelona-Lione, la formazione francese aveva cercato di aggiungere pressione a quella blaugrana con l’arroganza dialettica del suo allenatore. “Il Camp Nou è come lo stadio del Guingamp” aveva detto Genesio nella conferenza stampa della vigilia con il preciso obiettivo di creare inquietudine e destabilizzare l’ambiente e la squadra blaugrana. Chissà se Genesio avrà ripensato a quelle ingombranti parole mentre i 99.000 e passa del Camp Nou soffiavano come un tornado sul terreno di gioco per spingere, come la Dea Calipso, l’elegante e affusolato scafo da regata azulgrana contro la barca lionese che imbarcava acqua da tutte le parti. Forse in quei momenti avrà pensato che sarebbe stato meglio mantenere un profilo più basso e non alimentare, con le sue parole, l’orgoglio e lo spirito battagliero della più forte squadra al mondo.

Con Dembélé affetto da qualche problema fisico, convocato ma accomodatosi in panchina per evitare rischi, Coutinho è stato il prescelto per completare il tridente offensivo. Per lui era l’occasione del rilancio dopo una stagione in ombra e i primi fischi giunti dalle tribune del Camp Nou non più tardi di quattro giorni fa.

Il primo tempo è stato un recital monumental del Barça. La squadra ha preso sul serio gli appelli a non sottovalutare l’avversario e ha schiacciato sul piede dell’acceleratore sin dal primo minuto, deciso a chiudere la partita in un santiamén. Pressione alta intensa atta al recupero immediato del pallone, velocità negli scambi e nella circolazione del pallone, unite alla voglia di divertirsi e divertire, hanno trasformato la prima frazione in un monologo shakesperiano. Al termine dei primi 45′ minuti, con il risultato di 2-0 per i padroni di casa, il Barça aveva totalizzato un possesso di palla del 77%. Il Lione è stato sepolto dal gioco blaugrana, che ha praticamente impedito all’avversario di giocare la gara.

Le reti sono giunte su rigore, trasformato alla Panenka da Messi per atterramento in area di Suarez al 17′ e da Coutinho al 31′ al termine di una azione corale che ha messo il brasiliano, servito da Suarez, davanti alla porta sguarnita. Questa volta il numero sette non ha sprecato l’occasione fornitagli da Valverde e ha realizzato una prima parte di gara all’altezza del Coutinho della scorsa stagione. In palla, fresco sulle gambe e attivo nella ricerca del pallone e dello spunto vincente, è stato una costante spina nel fianco della difesa francese, schierata dal proprio allenatore con una linea di cinque che non è riuscita a contenere l’onda blaugrana. In chiara inferiorità numerica a centrocampo, il Lione non è stato mai in grado di contrastare le avanzate del Barça, che ha preso possesso della metà campo avversaria e ha gestito la gara a suo piacimento.

La ripresa, apertasi sul risultato di 2-0 per il Barcelona, ha visto un diverso atteggiamento del Lione. Più combattivo, e sopratutto meno timido, complice anche un calo dell’intensità dei ritmi di gioco da parte blaugrana, il Lione ha avanzato di 20 metri buoni il suo baricentro. Così facendo ha tenuto maggiormente il possesso della palla e ha iniziato a pungere la retroguardia barcelonista.

Si vedeva che la partita era cambiata e gli ospiti potevano colpire in qualsiasi momento. Al 58′infatti, dopo una mischia in area di rigore, è giunta la rete che ha dimezzato lo svantaggio nel punteggio, rimettendo in corsa per la qualificazione la formazione francese a cui, in quel momento, sarebbe bastata una rete per passare il turno ed estromettere il Barça stellare dei primi 45′.

La rete di Tousart ha avuto un effetto rinvigorente per il Lione e, all’opposto, narcotizzante per la formazione di casa. All’improvviso è subentrata la paura tra i blaugrana in campo e sugli spalti. I giocatori del Barça, spogliati di ogni sicurezza e quasi con le gambe tremanti, sono pericolosamente retrocessi sul limite della propria area di rigore. Il pubblico, altrettanto intimorito dai fantasmi romani che iniziavano a calare sulle gradinate come quei lord scozzesi con tanto di catene sonanti e testa mozzata tenuta in bella mostra in mano, ha iniziato a fischiare sonoramente ogni azione di un Lione che, improvvisamente, appariva baciato da una convinzione di onnipotenza. Sono stati 16 minuti di tensione e paura quelli che si sono vissuti dalla rete del 2-1 al 58′ all’ingresso di Vidal al posto di un esausto Arthur. Il Barça aveva perso il passo e non riusciva più a ripartire, né a arginare le avanzate francesi. Ter Stegen non ha dovuto effettuare grandi interventi in effetti, ma si sono generate una serie di pericolosissime mischie in area che facevano presagire la sensazione che il Lione sarebbe riuscito a passare ancora prima o poi.

L’ingresso del cileno, giunto al 74′, è stato il primo punto per riprendere la gara e andare a vincerla in scioltezza. Il neo entrato ha rinvigorito il centrocampo e ridato slancio ai compagni che vagavano spaesati dietro gli avversari. L’entusiasmo che Vidal ha apportato ai compagni, con la sua aggressività, i tackles vincenti a rubare palla, le spinte a infastidire e a sporcare stop e passaggi, hanno avuto l’effetto di risvegliare la squadra.

Quattro minuti dopo il suo ingresso in campo, il Barça ha segnato la rete del 3-1. Contropiede fulminante blaugrana e Messi il divino, il Messia del FC Barcelona e del calcio mondiale, palla al piede ha puntato l’area, mandato a tappeto con un doppio dribbling due avversari e segnato con un destro rasoterra che, seppur deviato dal portiere, si è insaccato a fin di palo.

Per il Barça è stata una liberazione, la fine di un incubo. Il doppio dribbling, con annessa caduta dei difensori, ha riportato alla mente degli spettatori più attenti l’azione similare che aveva portato Messi a battere Neuer in occasione del secondo goal nella semifinale contro il Bayern del 14-15. In quella circostanza fu Boateng a finire lungo sul prato del Camp Nou, destabilizzato dalla finta dell’argentino che gli aveva fatto perdere l’equilibrio. Ieri notte la situazione si è ripetuta.

La doppietta di Leo ha nuovamente infiammato la squadra e lo stadio, e il Barça è improvvisamente tornato quello imparabile del primo tempo. Appena tre minuti dopo, all’81’, un’altra azione di rimessa blaugrana, condotta sempre da Messi, ha portato l’argentino a servire a Piqué la palla per il quarto goal. All’86’, cinque minuti dopo, ancora Messi si è lanciato nell’ennesima azione palla al piede. Al limite dell’area ha innescato la velocità di Dembélé, entrato a metà della ripresa al posto di Coutinho. Il francese del Barça, di prima, ha realizzato la rete del definitivo 5-1.

Dembélé non si è allenato con i compagni. L’ora di Coutinho

Dembélé, che sabato scorso è uscito all’intervallo dell’incontro con il Rayo Vallecano per un leggero infortunio alla gamba sinistra dovuto ad una elongazione al muscolo ischio tibiale, non si è allenato con i compagni questa mattina alla Ciutat Deportiva Joan Gamper di Sant Joan Despì. Il fatto che il ragazzo abbia saltato il lavoro con il resto del gruppo, a due giorni dalla sfida di Champions contro il Lione, ha fatto scattare l’allarme in casa blaugrana. Difficilmente, quindi il francese sarà della sfida, e certamente non dall’inizio. Ousmane, che ultimamente si era convertito in uno dei giocatori con più ritmo della squadra, risultando decisivo in più di una gara con la sua velocità abbinata alla tecnica desequilibrante, sarà un’assenza che potrebbe farsi sentire sul terreno di gioco.

Se il francese dovesse realmente dare forfait, si presenterà per Coutinho l’occasione di dare una stretta virata alla sua stagione sottotono. Il brasiliano, finito dietro a Dembélé nelle preferenze di Valverde, non è ancora riuscito a ripercorre gli alti standard di rendimento che aveva offerto al suo impatto con il Camp Nou.
Nella scorsa stagione, dal suo arrivo in blaugrana a gennaio, il ragazzo era stato certamente decisivo per la conquista del doblete. La sua assenza in Champions è stata pagata cara dalla squadra che non ha potuto contare su forze fresche nel momento cruciale della competizione.
Quest’anno ci si attendeva la sua consacrazione. Contrariamente alle attese, il ragazzo ha subito una netta involuzione. Sempre ai margini dell’azione, appare involuto e intristito. Non partecipa attivamente con i compagni, non si assume responsabilità nelle giocate e cerca sempre la soluzione più scontata e anonima. E’ poco presente anche nelle conclusioni in porta a differenza dello scorso campionato, dove i suoi molteplici e importanti goals avevano risolto svariate partite. In questa stagione Coutinho raramente si porta alla conclusione, e quando gli si presenta l’opportunità la spreca banalmente. La aficiòn ha iniziato a farlo notare allo stesso numero 7, manifestandogli il suo malumore con i fischi che lo hanno accompagnato all’uscita dal campo durante la sostituzione con Rakitic nella gara con il Rayo. Per lui sono i primi fischi ricevuti dal pubblico da quando indossa la samarreta azulgrana. Un chiaro messaggio per invertire quanto prima la tendenza di un grafico che da tempo è entrato in territorio negativo.
Se dall’Inghilterra si stanno già inseguendo le voci di un futuro in Premier, Coutinho ha ancora la fiducia dello spogliatoio e del club. Ma è chiaro che deve fare, e dare, molto, molto di più.

La partita contro il Lione e l’infortunio di Dembélé giungono a puntino per fornirgli l’occasione di rilanciarsi nella massima competizione continentale. Per Coutinho è suonata forse l’ultima campanella. Deve dimostrare di essere all’altezza del compito e della maglia che indossa. Una prestazione alla Coutinho dello scorso campionato può dare una decisa strambata alla sua stagione e farlo veleggiare verso un traguardo trionfale. Il palcoscenico è quello giusto per riprendere a splendere.  

FC Barcelona – 3-1 con il Rayo per tenere il Cholo a distanza

Il Barcelona ha sbrigato la pratica Rayo con più patemi d’animo di quanto si potesse immaginare alla vigilia. Ieri, nella partita di campionato che precede lo scontro casalingo contro il Lyon valevole per il ritorno degli Ottavi di finale di Champions (0-0 il risultato dell’andata), il Barça è andato sotto nel punteggio. A quel punto, ha prima pareggiato, poi, nel secondo tempo, ha superato e distanziato l’avversario. Il risultato finale, 3-1 con marcature di Raul de Tomas, Piqué, Messi e Suarez, permette ai blaugrana di mantenere a distanza l’Atletico che, nel primo pomeriggio, aveva a sua volta battuto placidamente il Leganés por la minima (1-0 con rete di Saul su calcio di rigore, prima fallito e poi realizzato sulla respinta del portiere). Tra Barcelona e colchoneros rimangono sette i punti che li separano in classifica. Tra le due formazioni manca ancora lo scontro diretto che si giocherà al Camp Nou tra qualche giornata (il 6 di aprile). Dopodiché i giochi per la Liga saranno definitivamente chiusi, o incredibilmente riaperti. Fino a quel momento le due uniche contendenti al titolo di Campione di Spagna continuano a osservarsi dal periscopio a distanza di sicurezza.

La partita di ieri aveva posto, inizialmente, il dilemma se effettuare o meno delle rotazioni. In settimana si era parlato parecchio in città dello scontro di campionato contro il Leganés della scorsa stagione, disputato alla vigilia del ritorno di Champions (disastroso) contro la Roma all’Olimpico. In quella circostanza Valverde era andato alla sfida con tutti gli effettivi, non concedendo riposo né a Messi (che già stava giocando con qualche fastidio fisico), né a Suarez. Il risultato finale della partita di Coppa Europa aveva scatenato molte polemiche a Can Barça. La settimana che ha condotto alla partita contro il Rayo Vallecano di ieri aveva ripescato quel precedente, con sensazioni, analisi e suggerimenti in direzione Valverde su come quel precedente poteva essere letto, interpretato e… sfruttato.

Nonostante i dibattiti vari intavolati tra i media catalani e tra las carreteres della Ciudad Condal, Valverde ha comunque deciso di scendere in campo con il suo miglior undici, dando riposo inizialmente ai soli Rakitic e Dembélé. Dunque tutti in campo: Messi, Suarez, Busquets, Piqué. Per Dembélé ha giocato Coutinho; al posto di Rakitic è stato recuperato Arthur.

La partita è iniziata con il Barça deciso a chiudere subito la pratica per concedere un po’ di riposo ai suoi attori durante i 90′. Il Rayo ha approcciato la sfida con un intento chiaramente difensivo. Schierato sul terreno di gioco con un ermetico 5-4-1, los de Vallecas hanno chiuso ogni pertugio, sopratutto centrale, ai blaugrana. L’obiettivo dei biancorossi era chiaro. Bloccare gli azulgrana al limite della propria area di rigore, ingolfando corridoi centrali e laterali, e cercare l’immediata e veloce ripartenza a la contra. Così era stato preparato il piano; così è stato messo in pratica. Di fatto, alla prima occasione in cui il Rayo è riuscito a superare la metà campo, è passato in vantaggio. Contropiede fulminante e gran tiro del madridista de Tomas che ha trovato l’angolino alla sinistra di un incolpevole Ter Stegen.

I padroni di casa hanno ricominciato a macinare gioco, sebbene con minor chispa, intensità y con poca polvora, vale a dire senza molta effettività, e precisione, nelle conclusioni a rete. Un problema, questo, che si sta presentando spesso nelle partite del Barça: grande mole di gioco e scarsa precisione nell’ultimo passaggio e nei tiri in porta.

Dai e dai la rete del pari è giunta su azione da fermo. Calcio di punizione di Messi sul lato corto di destra dell’area raysta e perentorio stacco di testa di Piqué che ha realizzato la rete del pari.

Con l’uno a uno si è aperta anche la ripresa, dove i padroni di casa sono riusciti ad imporsi ad un Rayo che ha messo in campo un impianto di squadra che immeritatamente lo relega nella penultima posizione della classifica. Ma si sa che una liga competitiva come questa Liga propone anche di questi problemi. Un campionato altamente competitivo relega nelle ultime posizioni anche formazioni che in altri campionati europei stazionerebbero in zone meno infide e tormentate della graduatoria.

La rete del sorpasso è giunta su calcio di rigore concesso per atterramento di Semedo in area. Messi, dal dischetto, ha portato i suoi avanti nel punteggio. La terza segnatura porta invece la firma di Suarez al termina di una splendida azione corale in area di rigore avversaria. Gran merito va ascritto anche a Rakitic, da pochissimo entrato in campo al posto di un lento, sonnolento e fischiato Coutinho. Quello di Coutinho è il dilemma di questa stagione barcelonista. Dopo lo scorso campionato, nel quale ha trascinato i compagni al doblete, grazie ad un gioco spumeggiante, veloce, fantasioso e ficcante, oltre ad importanti reti, quest’anno il ragazzo è in piena involuzione tecnico-tattica. C’è, ma non c’è in campo. La sua presenza non incide; non si assume responsabilità o rischi, non si smarca. Sopratutto, non ha più il killer instinct che aveva lo scorso anno. Sono molteplici i suoi errori sotto porta. Anche ieri il brasiliano ha avuto la palla del vantaggio sullo 0-0, ma la sua conclusione, a tu per tu con il portiere avversario, è stata sprecata con un molle tiro finito sul corpo del numero uno in uscita.
Chi, invece, sta rendendo per come ci si attendeva, è Arturo Vidal. Anche ieri è stato uno dei migliori per palloni recuperati, intensità, corsa e agonismo. Un elemento che sebbene faccia storcere il naso a gran parte del barcelonismo, sopratutto quando lo vede scendere in campo da titolare, è di una importanza fondamentale in questa squadra per ciò che riesce a portare alla causa comune. Un giocatore, il cileno, che non ha l’eguale in rosa. Un unicum che permette di dare quel tocco di furore agonistico e di rozzo istinto primordiale, ad una formazione che fa del tocco e della raffinatezza il suo patrimonio genetico. Un giocatore, per intenderci, che lo scorso anno all’olimpico di Roma avrebbe fatto enormemente comodo.       

Il doppio binario del Var spagnolo

Il Var in Spagna viaggia su due binari, distinti e paralleli. Così come la sua applicazione, distinta a seconda della squadra nei cui confronti viene applicato. Così abbiamo un Var per il Real Madrid, e uno per tutti gli altri. Barcelona e Atletico compresi. 

Il Var che si applica al Madrid è bivalente. A volte sembra affetto da cecità fulminante, in altri casi ha la vista di falco. Talvolta, addirittura, fa voli pindarici di pura fantasia. Due pesi e due misure insomma. Le regole che valgono per il Var blanco non sono le stesse che si applicano per quello popolare, destinato, cioè, alla massa delle squadre spagnole, siano esse nobili o meno nobili, di prima o seconda fascia. La riprova di ciò l’abbiamo avuta sia in Levante-Real Madrid di una giornata fa, sia nel Clasico di ieri. 

Nella partita del Ciutat de Valencia, il Var per il Levante non è intervenuto quando Morales è stato atterrato in piena aerea di rigore a pochi passi da Courtois. L’arbitro ha fatto proseguire e il Var non ha nemmeno preso in considerazione l’episodio. Comportamento diametralmente opposto per il Var in versione Madrid nell’occasione del rigore assegnato a Casemiro. In quella circostanza l’arbitro ha indicato subito il dischetto. Il Var ha preso in considerazione l’episodio, lo ha rivisto più e più volte, e nonostante fosse chiaro, lampante, cristallino che il brasiliano si fosse tuffato come la coppia Dallapé-Cagnotto alle Olimpiadi di Rio 2016, ha convalidato la decisione del giudice di gara. 

Nel Clasico di ieri tale comportamento si è ripetuto. E’ ben noto che il Var può intervenire sia sulle azioni che possono assegnare un calcio di rigore, sia su quelle che possono comminare il cartellino rosso. Ebbene, nella gara di ieri sera al Bernabeu, quando Sergio Ramos ha colpito violentemente con una gomitata al volto Leo Messi, intervento passibile della sanzione del rosso diretto, l’arbitro ha fatto proseguire l’azione e il Var, che avrebbe dovuto fare il check dell’accaduto (Messi è anche rimasto a lungo a terra), non è intervenuto a visionare i fatti. Stessa cosa è accaduta quando, sempre nel secondo tempo, Vidal è stato atterrato davanti a Courtois da altra gomitata di Ramos tra petto, gola e volto del cileno prima che il giocatore potesse intervenire su un assist in area e spedire il pallone in fondo al sacco. Il fallo, l’aggressione sarebbe meglio dire, è stata vista da tutti. Anche qui: cartellino rosso per Ramos più calcio di rigore. L’arbitro, come nel film di John Huston Fuga per la vittoria, non ha fatto una piega e ha fatto proseguire. Il Var, che in questa situazione sarebbe dovuto intervenire per due dei quattro casi per cui la Var è competente, non ha avocato a sé le funzioni di giudice controllore e revisionatore, contravvenendo alla stessa normativa, e se ne è lavato le mani. 

    In conclusione, stiamo parlando di due pesi e due misure nell’applicazione del Var. Quando lo sviluppo dell’azione può essere favorevole al Real Madrid il Var interviene per sanzionare l’irregolarità. Quando le conseguenze del controllo tecnologico posso sfavorire i blancos, ecco che, puntualmente, il Var esce di scena, spegne tutto, e aspetta che arrivi Godot per intervenire. In questo modo il real Madrid viene favorito ancora di più rispetto a prima dell’introduzione del mezzo tecnologico nel calcio spagnolo.