Editoriale – El FC Barcelona ha vinto la Liga Sr. Rajoy!

Nelle giornate tra ieri e oggi, attraverso il suo account twitter, Mariano Rajoy si è complimentato con Carolina Marin (https://twitter.com/marianorajoy/status/990558483211866112), Feliciano Lopez più Marc Lopez Tarres (https://twitter.com/marianorajoy/status/990599208184025088) e Rafa Nadal ( https://twitter.com/marianorajoy/status/990621964149690368) per le loro imprese sportive. Tutto bene fin qui. Un capo di stato che coccola i suoi cittadini. Peccato però che si sia dimenticato del tutto del FC Barcelona per avere conquistato la Liga nella nottata di ieri.

Chiaramente l’imperdonabile disattenzione è dovuta all’eccessivo carico di lavoro che ha un capo di stato, talmente oberato di lavoro da non avere il tempo di accendere la radio, la tv o sfogliare un quotidiano spagnolo o estero. Talmente oberato di lavoro da non avere nemmeno il tempo di ascoltare di sfuggita commenti comuni che non siano di alta politica internazionale. E’ strano, tuttavia, che, tra un impegno e l’altro di alta politica internazionale, tra un 155 e l’altro, il Senor Rajoy abbia avuto contezza delle imprese degli altri sportivi spagnoli. E’ chiaro come il sole che il premier spagnolo non abbia volutamente evitato di congratularsi con la squadra di Barcelona, perché la qual cosa sarebbe non solamente offensiva, meschina e veramente di bassa lega, ma persino razzista. E non soltanto sarebbe offensiva e razzista verso una intera popolazione spagnola, ma sarebbe contraddittoria rispetto alla sua politica interna. Contraddittoria a tal punto da far pensare che forse la nazione è governata dai gemelli Rajoy. Come nel film Totò e Cleopatra, quando Marco Antonio era impersonato da due gemelli che si comportavano in modi completamente divergenti. Il film era spassoso; la realtà non lo sarebbe per niente.

Perché altrimenti, dopo aver fatto manganellare, picchiare, coartare i cittadini di Barcelona per impedire loro di esprimere democraticamente il loro voto sull’indipendenza della Catalunya, incarcerato i politici indipendentisti; dopo avere sciolto di imperio le istituzioni democraticamente elette come un Filippo V di Borbone qualsiasi, istituendo con il 155 un regime palesemente antidemocratico; dopo aver fatto usare la forza per costringere i cittadini della Catalunya a restare spagnoli a tutti i costi, fino a rincorrerli per mezza Europa, il fatto che lui stesso giudichi Barcelona territorio non spagnolo, e il FC Barcelona una squadra straniera (tanto da non meritare i suoi applausi) sarebbe di una gravità politico-istituzionale colossale e un autogoal politico madornale che metterebbe in evidenza un manifesto politico confuso e privo di ogni senso logico. Salvo non pensare che il Senor Rajoy veda la Catalunya e Barcelona come una colonia da cui prendere senza mai dare.  

Caro Sr. Rajoy, un po’ di coerenza su! Non faccia il bambino che sceglie: questo sì e questo no dallo stesso oggetto. Se vuole la moglie ubriaca e semi-incosciente per divertirsi la notte, non pretenda anche di avere la botte piena. Il mio professore di Procedura Penale amava ripetere agli esami: “Delle due l’una”, quando ad una domanda corrispondevano due soluzioni opposte e antitetiche e l’esaminato, dopo avere dato la risposta sbagliata, si correggeva e dava quella giusta. Come dire… “Troppo facile così caro lei”.

Con lo stesso tono, adesso, io le dico: Caro Senor Rajoy, delle due l’una”. Non si può ordinare caviale e poi rimandarlo indietro perché il piatto è pieno di pallini neri. Se le stanno tanto a cuore la Catalunya e Barcelona sotto la bandiera spagnola per tutto ciò che esse danno alla Spagna, sia almeno un pochino Signore, non pretendo molto, e faccia i complimenti al FC Barcelona per avere dominato il campionato del suo Paese, dominato il tanto amato Real Madrid, l’Atletico e tutte le altre squadre spagnole di cui è tanto orgoglioso. Faccia finta di essere un capo di stato illuminato e si comporti una volta tanto da gentlemen riconoscendo i meriti della squadra blaugrana.

Attendiamo le sue congratulazioni quindi, i suoi complimenti per il FC Barcelona al più presto possibile, certi di essere noi in errore ad aver frainteso il suo geniale comportamento anticonformista.        

 

 

FC Barcelona – Doblete historico nell’anno dell’Indipendencia

Ottavo doblete della storia del Barça. Venticinquesima Liga, settima negli ultimi dieci anni. 42 partite consecutive senza sconfitta. A quattro gare dal record assoluto della storia della Liga moderna: vincere il campionato senza sconfitte. Messi pichici del torneo con 33 reti, nove in più di Cristiano Ronaldo. Un dominio assoluto del Barça in Spagna, che ormai parla ampiamente catalano, non più castellano. Questo doblete, l’ottavo come si diceva, è storico pensando a quanti pochi ne abbia conseguito il grande rivale, il Real Madrid. Appena quattro, l’ultimo dei quali a fine anni 80. Una eternità fa. 

Questa notte al Riazor de A Coruna, davanti ad un rivale che nella stessa partita è retrocesso in Segunda, il Barça ha completato un’opera colossale iniziata il 20 agosto 2017 con il 2-0 casalingo al Betis. Oggi il Barça ha battuto 4-2 il Deportivo al Riazor e si è innalzato per l’ennesima volta sul trono dei più forti. Meglio, sul trono dei più forti tra i più forti. Perché mai nessuno prima d’ora nella storia della Liga aveva mai conseguito i record che il Barça di Valverde ha conseguito in questa stagione. Le 42 gara senza sconfitte tra la stagione scorsa e quella in corso, e giungere alla 35a giornata da imbattuto. Mancano ancora quattro partite per chiudere senza sconfitte questo campionato, e siamo certi che la squadra farà di tutto per riuscire dove mai nessuno è riuscito nella Liga moderna.

Tutto questo è stato realizzato non in un anno particolare, ma nella stagione in cui la Catalunya si è dichiarata indipendente dopo un referendum popolare che ha portato alle urne tutta la Catalunya libera e democratica che ha voluto dire, con un , che i popoli sono liberi e sovrani e si ergono al di sopra delle violenze, dei manganelli, delle aggressioni di Stato. Con l’accoppiata Liga e Copa da parte dei blaugrana e con il referendum prima e l’indipendenza poi, la società Catalana, la Catalunya, ha voluto mostrare al governo centrale, a Rajoy, che come ai tempi di Franco, la Catalunya, Barcelona e il FC Barcelona non sono in vendita, non sono disposti a compromessi, non sono disposti a chinare il capo e ad arrendersi a chiunque impedisca loro l’esercizio dell’inalienabile diritto ad essere cittadini ed esseri umani liberi. Il Barça oggi ha vinto anche contro l’articolo 155 e contro i soprusi.

Oggi il mondo, la Spagna, la Catalunya, Barcelona, sono un po’ più giusti, democratici e umani anche grazie a questa grande, meravigliosa squadra e ai valori di cui è portatrice. Visca el Barça. Visca Catalunya.  

FC Barcelona – A por la 25a Liga y el 8° Doblete!

Questa notte alle 20:45 il Barça scenderà in campo al Riazor di A Coruna contro il Deportivo per la conquista della 25a Liga della sua historia, la 7a negli ultimi 10 anni. Un dominio della Liga spagnola assoluto, tirannico. Domani, insieme alla conquista del titolo nazionale, la squadra di Valverde conquisterà anche il doblete, l’ennesimo della storia di questo club. Questo sarà l’ottavo che il club blaugrana conquisterà in tutta la sua storia. 

Il primo fu conseguito en la temporada 1951-52. In realtà quello fu un triplete, il primo vero triplete della storia blaugrana giacché si conquistò Liga, Copa e Copa Latina, l’antesignana della Coppa dei Campioni/Champions League. Il secondo giunse l’anno successivo, stagione 1952-53; Il terzo nella stagione 1958-59. Per il quarto doblete si dovette attendere parecchi anni. Arrivò infatti negli ’90, nel 1997-98 con Van Gaal in panchina. Il quinto giunse nella stagione 2008-09. Il sesto è quello del triplete 2014-15 con la MSN. Nella stagione 2015-16 è arrivato il settimo doblete, anche questo consecutivo come i primi due. Oggi, infine, sarà il giorno dell’ottavo doblete della storia del Barça e sarà targato temporada 2017-18.

Per poter festeggiare questa notte al Riazor sarà necessario prendere almeno un punto contro il Depor di Seedorf che, come contraltare, in caso di mancata vittoria saluterà mestamente la Liga per scendere in Segunda Division. La situazione della squadra di casa è disperata. Virtualmente retrocessa, a meno 12 dal Levante, che venerdì ha vinto 2-1 contro il Sevilla di un Montella fresco di esonero, il Depor dovrebbe vincere tutte le rimanenti gare con uno scarto nel punteggio scandaloso per poter rimediare il meno 17 di differenza reti che lo vede sfavorito nei confronti della squadra granota di Valencia. Se non retrocedesse oggi contro il Barça, cosa già di per sé improbabile, il Depor rischierebbe di farlo in casa del Celta, gli odiati cugini che farebbero carte false per condannare la squadra di A Coruna. A quel punto, meglio anticipare il nefasto verdetto di una settimana e abbandonare la massima serie in casa davanti ai campioni della Liga.

Ad inizio gara il Deportivo renderà omaggio alla vittoria in Copa del Rey dei catalani mettendo in scena il pasillo de honor che saluterà i blaugrana campeònes di Copa. Per questo evento Valverde ha portato con sé tutta la rosa al fine di rendere partecipi del doppio trionfo tutti coloro che hanno fatto parte di questo progetto vincente. Conquistare un doblete non è cosa da tutti i giorni, né tanto meno facile da conseguire. Tanto per far rientrare questo risultato nella giusta dimensione basta ricordare che il Real Madrid non consegue un doblete dagli anni ottanta.

Per questa partita Valverde metterà in scena l’once de gala. Ter Stegen in porta; Sergi Erre, Piqué, Umtiti, Jordi in difesa; Coutinho, Rakitic, Busquets, Iniesta a centrocampo; Messi e Suarez in attacco. 

Questa sarà, inoltre, la prima partita di Iniesta dopo il suo addio ai colori blaugrana. Sarà un’occasione in più per stare vicino a questa squadra e a questo straordinario giocatore e seguire da vicino le sue ultime partite con la maglia della sua vita prima che lasci il Barça da giocatore e capitano. In attesa di riabbracciarlo da dirigente dopo che avrà appeso le scarpette al chiodo.           

Editoriale – Le lacrime di coccodrillo di France Football

L’editoriale di France Football dal titolo Perdòn Andrés a proposito del fatto che il mitico centrocampista del Barça non abbia mai vinto il Pallone d’Oro, massimo trofeo mondiale a livello individuale, fa ironicamente sorridere e infastidisce non poco. Perché chiedere scusa dico io? Lo si premi con il Pallone d’Oro invece. Le scuse non servono a nessuno. Le scuse, anzi, sanno anche un po’ di presa in giro. E decisamente questa cosa è ancora più fastidiosa del fatto che Don Andrés non si sia mai visto riconoscere il premio più ambito da qualsiasi calciatore del pianeta. Questo cospargersi il capo di cenere senza aver mai assegnato il premio al miglior centrocampista di tutti i tempi (sfido chi osi dire il contrario), fa pensare a quel rapinatore che nel sottrarti il portafoglio ti dice con un sorriso beffardo da faccia da schiaffi: “Mi dispiace amico”.

Se una persona crede di agire nel giusto non deve mai chiedere scusa. Il fatto che F.F. si comporti in questa maniera fa sorgere ben più di un sospetto su criteri e metodologia di assegnazione del premio. Si premiano sempre i migliori? Non credo proprio. Si premiano i più sponsorizzati, per usare un termine edulcorato da tanti altri significati ben più negativi. Cristiano Ronaldo che vince il Pallone d’Oro l’anno del triplete del Bayern, il 2013, grida ancora vendetta. Ribery in una recente intervista ha dichiarato senza tanti mezzi termini che “Il Pallone d’Oro 2013 assegnato a Ronaldo fu un furto”. Perché fu attribuito al portoghese se il criterio è sempre stato quello dei titoli vinti? Così almeno hanno sempre detto per giustificare le ultime vittorie di CR7 a fronte di stagioni non eccezionali, come per esempio l’ultimo Ballon d’Or vinto. Per aver segnato nelle qualificazioni mondiali 2014 una tripletta alla Svezia? E’ bastato questo a fronte della vittoria di Bundesliga, Coppa di Germania e Champions conquistati da Ribery?

Ora France Football chiede scusa a Iniesta per non averlo mai insignito del Pallone d’Oro. Ma la cosa più scandalosa è stata non vederlo nemmeno nei 30 della lista finale. Appena qualche mese fa Iniesta non meritava nemmeno di stare tra i migliori trenta calciatori del mondo, e ora se ne escono con le scuse? Beh, signori, francamente qui c’è qualcosa che non va!

Da signore qual’è, il ragazzo di Fuentalbilla nella conferenza stampa di addio al Barça, ha risposto ad una domanda sull’argomento dicendo che per lui la mancata conquista del Pallone d’Oro non è una spina che lo ferisce. “Ciò che conta è l’affetto della gente, dei compagni, delle persone a me più vicine e i rapporti che costruisci con le persone”. Chapeau Capità!

L’affaire Iniesta ricorda vagamente ciò che accadde tra l’Academy e Paul Newman quando a fronte di grandiose prestazioni, quali quella del film Il Verdetto, La gatta sul tetto che scotta, Nick mano fredda, Il sipario strappato, l’attore non andò mai oltre la nomination (per Il sipario strappato non ottenne nemmeno la candidatura). Snobbato per anni, alla fine, attanagliati dal rimorso, Paul Newman ottenne la sua statuetta forse per il suo film più brutto: Il colore dei soldi. Un riconoscimento, quello, che non deve essere mai piaciuto all’attore perché assegnato più alla carriera (e per rimediare a tanti errori precedenti) che per vere motivazioni artistiche. Ma in ogni caso, anche se in ritardo e per il film sbagliato, l’Academy ha in qualche modo rimediato. Sopratutto hanno evitato di cadere nel cattivo gusto e di irridere l’attore con la frase che F.F. ha invece usato per Andrés Iniesta. “Mr. Newman, ci dispiace per non averle mai assegnato l’Oscar. Ma in effetti, non ce ne frega un accidenti di niente”. Perché, inutile girarci attorno, il loro significato è questo. France Football è contrito, rammaricato, imbarazzato, soverchiato dal rimorso? Faccia mea culpa e gli assegni il Pallone d’Oro 2018. Altrimenti avrebbe fatto meglio a tacere.  

 

 

  

L’addio emotivo di Iniesta al Barça

La sala stampa era gremita. Si respirava un’aria greve, ricca di tensione. Era commozione quella che attanagliava tutti i presenti. A guardare i visi delle persone che affollavano la sala si sarebbe detto che quella era una riunione che avrebbe celebrato un evento triste. La press conference hall presentava un uditorio eccezionale. Solitamente sono presenti solo i giornalisti, i cameramen in fondo alla sala con le apparecchiature innalzate sui loro treppiedi e un nugolo di fotografi posti ai lati, in piedi, pronti ad immortalare visi, espressioni, momenti particolari. Oggi, oltre a tutto questo, c’erano anche i giocatori del Barça a rompere il normale scenario delle conferenze stampa. Solitamente i calciatori stanno dall’altra parte della sala, dietro il grande tavolo che fa bella mostra di sé alla Ciutat Esportiva. E comunque non tutti assieme. Oggi, invece, tutta la squadra era presente. E tutti nel lato sbagliato. Con il pensiero siamo subito corsi ad un’altra conferenza stampa, del tutto simile a questa. Allora si stava salutando Pep Guardiola che aveva preannunciato il suo addio al club e aveva riunito tutta la famiglia blaugrana per comunicare la notizia a tutti, stampa e squadra. Anche allora gli stessi musi lunghi, gli occhi lucidi, le labbra serrate in una smorfia di rammarico e commozione allo stesso tempo. 

Oggi l’atmosfera era del tutto uguale a quella. Alcuni dei giocatori erano diversi rispetto a quelli di allora, ma il clima era il medesimo: commozione, commiato, commemorazione di un momento che è, che è stato, e che nel giro di un mese circa non sarà più. Se allora si stava salutando Guardiola, ora il protagonista della scena è un altro grande: Andrés Iniesta.

A egregie cose il forte animo accendono l’urne dé forti scriveva Foscolo a proposito delle personalità di spicco sepolte a Santa Croce che fungono da traino per le giovani generazioni. Qui è un vivente, un altro grande, ad accendere l’animo di tutti coloro che affollavano quella sala e che hanno visto giocare, seguendone la carriera, Andrés Iniesta.

Se nella conferenza stampa dell’addio di Guardiola Don Andrés era seduto nella platea insieme agli altri compagni di squadra, questa volta era lui, il numero 8 blaugrana, a star seduto dietro quel lungo tavolo laddove quel giorno sedeva il suo vecchio allenatore e padre putativo di tutta una generazione di campioni. 

Quest’oggi si stava celebrando e salutando lui, Andrés Iniesta. Il manchego ha indetto la conferenza stampa per salutare e dare l’addio al suo Barça, il club che lo accolto bambino, appena dodicenne, lo ha coccolato, protetto, fatto crescere e diventare campione, e ora lo lascia andare via uomo, quasi 34 enne, maturo e osannato campione. Ora non è più lo stesso timido ragazzino che, arrivato in auto da Fuentalbilla insieme ai genitori, aveva sofferto e pianto la prima notte a La Masia. Ora in quella sala gremita, insieme a tutti gli altri, c’erano anche i suoi genitori che lo guardavano orgogliosi con occhi colmi di gioia misto a pianto. 22 anni dopo, 16 stagioni dopo, 31 trofei dopo quel primo viaggio in auto con destinazione Barcelona, La Masia.

Iniesta ha esordito con un “Buenas tardes a todos” La voce rotta dall’emozione che rendeva difficile anche solo pronunciare quelle quattro parole iniziali. Don Andrés si è dovuto fermare quasi subito. Troppo forte la voglia di piangere che gli bloccavano le parole giù in fondo alla gola. Le parole che sono uscite dalla sua bocca in quegli istanti iniziali sono state inframezzate da pause, sguardi verso il soffitto, e lacrime che solcavano il suo viso. Intorno a lui silenzio; pesante, sospeso. “Questa conferenza stampa è per rendere pubblica la decisione che questa temporada è l’ultima” Ancora lacrime, ancora quell’espressione triste e imbarazzata al contempo. “Questa è l’ultima temporada qui. Una decisione molto valutata e pensata a livello personale e familiare”.

Superato il primo momento, il più difficile di tutta la rueda de prensa, il resto è scivolato con meno intoppi emotivi. Il centrocampista ha parlato dei suoi inizi da bambino, dei suoi sogni – “tutti avverati” – e del momento giusto di lasciare “sentendomi utile, titolare, con la possibilità di vincere titoli e con le sensazioni positive che ho avuto quest’anno”. Non si è nascosto dietro un dito a proposito delle difficoltà della scelta presa “E’ un giorno molto difficile per me perché ho trascorso tutta la mia vita qui, e dire addio a casa mia e alla mia vita è molto complicato”

Ha parlato delle speranze “de un nino il cui unico obiettivo era trionfare in questo club. Sono riuscito a realizzarlo. Ho dato il meglio di me a livello calcistico e umano” e qui entriamo all’interno delle ragioni che sono alla base della sua scelta. “Sono onesto, ho 34 anni e da qui in avanti tutto diventerebbe più difficile e duro e non mi sentirei bene sapendo di non poter dare tutto me stesso al club come sto facendo adesso”.

In questa conferenza stampa Andrés ha messo a nudo il suo essere, il suo “Io”, la sua personalità e umanità. “Desidero essere ricordato come un grande calciatore e una grande persona. Alla fine il calcio passa e ciò che rimane è la persona e i rapporti che hai avuto con la gente e i compagni giorno dopo giorno”.

Ha poi parlato della traiettoria sportiva della squadra e del club “che continuerà vincendo e trionfando perché in squadra restano grandi giocatori”; di Messi “un privilegio e un onore condividere la squadra con lui”.

Ha avuto parole anche per l’editoriale di France Football e per il suo Perdòn Andrés con il quale la celebre rivista che assegna il Pallone d’Oro gli ha chiesto scusa per non averlo mai premiato con il riconoscimento calcistico più importante a livello individuale. Con la signorilità che lo ha sempre contraddistinto in tutti questi anni, dentro e fiori dal terreno di gioco e che chiunque ha avuto la fortuna di conoscerlo può testimoniare, Andrés ha dichiarato che non è una spina che lo ferisce il non averlo mai vinto. “Essere lì, il giorno, con Leo e Xavi, è stato qualcosa di magico e la mia idea del calcio e la mia felicità non mutano se ho un Pallone d’Oro o no. Il mio orgoglio è avere l’affetto e il rispetto di tutti, compagni e persone a me più vicine. Premi così fanno piacere a tutti, ma non fanno comunque cambiare la mia opinione (di me e della mia carriera).

Circa il finale di stagione Iniesta ha dichiarato di voler chiudere la sua storia con il Barça nel migliore dei modi giocando al massimo fino alla fine e dando il meglio di se stesso. “Poi ci sarà il mondiale”. “Successivamente deciderò dove andare anche se sarà lontano dall’Europa dato che non andrei mai laddove potrei incontrare il Barça”.

“Un dia volveré” ha detto. Un giorno tornerò. Hasta pronto Capità. Adeu!       

Editoriale – Asì Asì Asì gana el Madrid… e altre storie

Agatha Christie aveva scritto Tre topolini ciechi e altre storie nel 1950, una raccolta di nove racconti dall’indubbio successo. Noi adesso, in maniera del tutto immodesta, mutuiamo quel titolo per parlare, non di storie gialli e di assassinii… ma quasi. Asì, Asì, Asì gana el Madrid e altre storie è il titolo del nostro racconto.

Anche nella nostra storia, in effetti, c’è una azione criminosa e, sebbene non possa essere chiamato Omi-cidio, possiamo però parlare di assassinio. Omi-cidio no, visto che qui non si tratta di un essere umano ad essere ucciso, ma Assassinio sì, visto che il reato è stato commesso ai danni dello sport inteso come bramosia di vincere a tutti i costi, a spregio di tutte le regole cavalleresche che gli uomini si sono dati nel momento di creare le competizioni sportive. Anche se si dovesse barare, usare due pesi e due misure, usare una corsia privilegiata, illegale, rispetto a tutti gli altri. Non è come quando sei in coda all’imbarco e qualcuno ti passa a fianco e sale a bordo prima di te. In quel caso quel qualcuno ha rispettato le regole, ha pagato di più, attraverso una priority o un biglietto in business, e ha il pieno diritto di farlo. Nel nostro caso, invece, non parliamo di qualcuno che ha il diritto di passare davanti e sopra qualcun’altro, no, anche se si arroga quel diritto con tanto di sfacciata arroganza

Vincere come fine ultimo a discapito di tutto e di tutti. E festeggiare come se si fosse vinto in maniera pulita. E’ questa la nuova frontiera dello sport? Se sì, signori, io non voglio farne parte. Non ci tengo a far parte di un mondo tanto falso e ipocrita. Un mondo dove tutti, media in primis, si scandalizza per cinque minuti e dopo altri cinque già si inginocchia e si genuflette a chi ha vinto in questo modo. No. Io non ci sto! Per dirla con le parole usate da Scalfaro quel 3 novembre 1993.

Ieri il Real Madrid ha vinto contro il Bayern Monaco non solo grazie alle due reti contro una che hanno segnato i suoi giocatori, no, ma anche grazie agli ennesimi aiuti arbitrali di cui ha graziosamente goduto anche in questa partita la formazione di Z.Z. Ieri è sembrato di assistere ad uno scontro tra un Signore feudale (il Madrid) e il suo vassallo (il Bayern). Una partita nella quale è stato più che chiaro chi comanda in Europa, e non mi riferisco al terreno di gioco. Tutt’altro. I blancos ieri sono stati favoriti in maniera addirittura rivoltante. Quella partita avrebbero potuta anche non giocarla, facendosi assegnare direttamente il pass per la finale e, a questo punto, anche la terza Champions consecutiva. Tre rigori a favore dei bavaresi non assegnati, di cui due indiscutibili come la teoria eliocentrica, una mancata espulsione (di Ronaldo) per doppio cartellino giallo, e una distribuzione delle ammonizioni tutte orientate a pregiudicare una delle due squadre a favore dell’altra, sono elementi chiari di quello che è l’orientamento a Nyon. Creare una corsia preferenziale senza intoppi a favore dei blancos che porti ad accompagnare la squadra di Florentino Perez alla conquista della Champions League. Per troppi anni il conjunto blanco ha dovuto attendere. Ora basta. Costi quel che costi. 

Non di solo Bayern – Madrid si parla, no. Ma anche delle precedenti gare. Ecco qui le altre storie del titolo. Come quella, altrettanto clamorosa, della partita della Juventus al Bernabeu. In quella circostanza fu assegnato alla squadra di Z.Z. un rigore inesistente che permise ai blancos di eliminare i bianconeri ed evitare i supplementari che li avrebbero visti nettamente sfavoriti. Nella partita di ieri il Bayern ha reclamato almeno due rigori molto più chiari ed evidenti di quello assegnato contro gli juventini, rigori che tutte le televisioni del globo hanno visto tranne che l’arbitro e i suoi assistenti. E meno male che Marca, dopo il Robo del siglo, come titolò a tutta pagina el diario Sport, sollevò il timore che quello scandalo mediatico potesse danneggiare il Real Madrid nella partita contro il Bayern. Non solo non è stato danneggiato, ma è stato scandalosamente favorito una volta ancora.

Non solo rigori. Nella partita dell’Allianz Arena Ronaldo, autore di un piscinazo nel primo tempo che sarebbe dovuto essere sanzionato con un cartellino giallo, è stato autore di un fallo di mano con conseguente tiro in porta, con goal, dopo il fischio arbitrale. A termine di regolamento anche quell’azione sarebbe dovuta essere punita con il cartellino giallo e, conseguentemente, con l’espulsione del portoghese. Il Madrid avrebbe dovuto giocare il restante rateo di gara in inferiorità numerica. Ma è chiaro. Il regolamento non si applica mai contro il Real Madrid; sempre a favore.

Lo scorso anno, sempre contro il Bayern Monaco, il Real Madrid fu nuovamente favorito da più di una decisione arbitrale iniqua e sbagliata che eliminò i tedeschi e accompagnò con tanto di trombe e fanfara i madridisti in semifinale. A cominciare dalla mancata espulsione di Casemiro per una doppia ammonizione che sarebbe costato il rosso al brasiliano per il fallo che causò il rigore a favore dei bavaresi, per proseguire con l’espulsione di Vidal, entrato in maniera limpida sulla palla su Asensio e che Kassai, il fischietto della gara, sanzionò con il doppio giallo per il giocatore cileno. And the bottom of line il Madrid, che avrebbe dovuto giocare in 10 uomini contro 11, finì per giocare in 11 contro 10. L’opposto della realtà. Ma non è tutto. Il signor Kassai convalidò la rete di Ronaldo del 2-2 ai supplementari nonostante un evidente fuorigioco di quasi un metro.

Non basta? vogliamo richiamare alla memoria ancora… altre storie? Come la partita del 2013 tra Manchester United e Real Madrid del 4 marzo, con l’espulsione ingiusta di Nani al 56′ sul vantaggio dei Red Devils che, ridotti in inferiorità numerica, subiscono la rimonta dei blancos. Anche qui, partita e passaggio del turno ribaltati.

Queste sono solo alcune gare in cui clamorosi errori arbitrali hanno permesso al Real Madrid di passare dei turni di Champions che altrimenti non avrebbero passato, o il cui passaggio sarebbe stato dannatamente complicato. Al di là di questi errori clamorosi, vi è una costante in ogni gara. Quella di indirizzare le sfide con una gestione dei cartellini e delle punizioni che incidono profondamente nello svolgimento delle stesse.

Inoltre il minimo comun denominatore di tutte queste partite è che le sviste arbitrali giungono sempre nel momento del bisogno, quando cioè i blancos sono sotto nel risultato e in grande difficoltà. Nella partita di ieri contro il Bayern i bavaresi vincevano per 1-0 in occasione del primo rigore non concesso. L’eventuale 2-0 avrebbe segnato la qualificazione. Il secondo penalty avrebbe invece riequilibrato la sfida nel punteggio contro un Madrid in 10 uomini per la sacrosanta espulsione di Ronaldo. Contro la Juventus il rigore concesso al Real Madrid era giunto a pochi secondi dai supplementari con il Madrid in grossa difficoltà fisica. L’extra time avrebbe certamente favorito la squadra italiana che avrebbe avuto due cambi freschi da mettere in campo contro un avversario stanco e alle corde. Nella partita contro lo Utd del 2013, anche lì gli errori giunsero come la manna dal cielo nel momento in cui la squadra allora allenata da Mourinho perdeva per 1-0 (1-1 era stato il risultato al Bernabeu) e i Red Devils erano in pieno controllo del match e, conseguentemente, della qualificazione. Ma anche lì, nel momento di massima difficoltà dei blancos, giunse Maga Magò e risolse tutti i loro problemi mediante una ingiusta espulsione che diede il via alla riscossa. 

Non siamo più negli anni ’50, dove il Madrid di un Di Stefano sottratto con losche macchinazioni politiche al FC Barcelona, vinse 5 Coppe dei Campioni consecutive con, dicono tutte le cronache moderne, enormi favori arbitrali. Nonostante siano trascorsi 60 anni e passa tutto sembra dire che il sistema è rimasto inalterato. Non solo, mentre all’epoca gli aiuti passavano maggiormente sotto silenzio stante l’assenza delle telecamere, oggi si prosegue sulla stessa via buttando in faccia al mondo, senza alcuna vergogna, questo scandalo. E se tutto questo accade puntualmente in faccia al mondo, ci si deve chiedere perché nessuno protesti, sollevi obiezioni, sospetti, o altro. In una società in cui si mette sotto inchiesta tutto e il contrario di tutto, nel mondo del calcio nonostante i soprusi si riproducano con maggior velocità e virulenza della peste del Manzoni, tutto tace. Dopo gli scandali che hanno decapitato la Fifa e la Uefa sembra che nulla sia cambiato. Come diceva quella battuta del Gattopardo? Ah sì: “Se vogliamo che tutto rimanga com’è bisogna che tutto cambi”. Eh già! Meditate gente. Meditate!      

Garcia Pimienta è il nuovo entrenador del Barça B

Dopo l’esonero di Gerard Lopez avvenuto in mattinata, la Junta Directiva ha affidato il filial alle cure di Garcia Pimienta come nuovo allenatore. Il nuovo tecnico ha firmato un contratto valido per il resto della stagione con opzione per i prossimi due anni. L’opzione sarà o meno esercitata a seconda dei risultati raggiunti dal nuovo tecnico. La sua permanenza sulla panchina del B è legata alla salvezza della squadra in Segunda. Attualmente la formazione B del FC Barcelona si trova al terzultimo posto della graduatoria ed è fortemente a rischio retrocessione in Segunda B. Lopez ha pagato con la panchina gli ultimi rovesci nella Liga 123 che hanno portato il filial sul bordo del baratro.

Francesc Xavier Garcia Pimienta ha allenato fino a ieri la squadra del Juvenil A con la quale ha appena conquistato la Youth League, la Champions League giovanile per formazioni Under 19. Pimienta ha già condotto il primo allenamento nel pomeriggio di oggi. Successivamente si è presentato in sala stampa per rispondere alle domande dei media sulla sua nuova avventura all’interno del club blaugrana. Accompagnato da Amor e Bakero, Pimienta si è espresso positivamente sulle chance di salvezza della sua squadra, anche se non ha sottovalutato la delicatezza della situazione. “Dobbiamo cambiare dinamica e far passare la pressione che attanaglia la squadra”. Riguardo alla sua situazione all’interno del club ha detto che “Ho sempre saputo che un giorno o l’altro avrei allenato il Barça B. Per me è una grande sfida. La mia intenzione” ha proseguito “è quella di continuare a preparare i giocatori per il salto in prima squadra”.     

Garcia Pimienta, sebbene poco conosciuto al grande pubblico, è una figura molto importante, e di spicco, all’interno delle giovanili del club. A partire dal fatto di essere l’allenatore della cantera con la più lunga militanza come blaugrana. Dal 2001 Garcia ha lavorato in molteplici settori della Masia. Dal Cadete A al Barça B, passando ultimamente per il Juvenil A con il quale ha vinto la Youth League, Pimienta ha plasmato tutta una generazione di campioni. Tra le sue cure sono passati giocatori quali Messi, Piqué, Xavi, Iniesta, Cesc, fino a Sandro, Samper, Munir, Thiago Alcantara, Sergi Roberto e Alena. Un uomo simbolo della cantera barcelonista dunque, e un uomo che con il suo stile di gioco (insegnato in ogni categoria nella quale ha lavorato) ha creato lo stile Barça poi portato al massimo livello di risultati e popolarità da Guardiola.

Garcia Pimienta, 44 anni, ex calciatore, fa parte della famiglia del FC Barcelona da 25 anni. Entrato nel Barça nel 1996 all’età di 12 anni, ha fatto tutta la trafila delle giovanili fino a diventare elemento stabile del Barça B nel 1994-95. Ha anche debuttato in prima squadra nel 1995-96, con Rexach in panchina, in Deportivo-Barça del 26 maggio 1996, ultima giornata di campionato, in cui giocò 68 minuti. Ha lasciato il FC Barcelona nel 1999-00, per poi tornarci da allenatore in seconda del Cadete A nella stagione 2001-02. Da allora fino ad oggi è stato il plasmatore di generazioni di campioni. 

El Barça gana la segona Youth Champions League

Secondo trionfo del Barça Juvenil nella Youth Champions League. Questo pomeriggio la squadra allenata da Garcia Pimienta ha battuto con il risultato di 3-0 i pari categoria del Chelsea con un recital blaugrana che non ha lasciato scampo alla squadra inglese. Il risultato e la Coppa non sono mai stati in discussione per la supremazia del conjunto blaubrana su quello blues se non nella parte finale della gara quando il Barça conduceva già per 2-0.

Le reti sono state realizzate da Alejandro Marqués, doppietta, e Abel Ruiz. Con questo trofeo il FC Barcelona doppia il primo conquistato nel 2014 dalla squadra allenata da Jordi Vinyals. Una squadra, quella proclamatasi oggi Campione d’Europa, che ha giocato sempre palla a terra nel più puro Stile Barça.

Con questo trionfo Made in Masia, aumentano i rimpianti per non far esordire i campioni della cantera in prima squadra. Come già segnalato nell’editoriale No Cantera, No Party, qui disponibile per la lettura ( https://passiobarca.wordpress.com/2018/04/18/editoriale-fc-barcelona-no-cantera-no-party/), avere un tale patrimonio a disposizione e non inserirlo per gradi in prima squadra, ma anzi, permettere che si disperda in giro per l’Europa per la fuga dei canterani che non si sentono tenuti nella giusta considerazione e di conseguenza abbandonati, è un delitto incommensurabile. Tanto più se poi, a suon di milioni, si vanno ad acquistare calciatori che non hanno nulla in più dei nostri cresciuti in casa a pane e juego de toque.      

Da un Sant Jordi all’altro, la storia di due Clasicos racchiusi tra due feste degli innamorati di Barcelona

Il giorno di Sant Jordi dello scorso anno l’FC Barcelona conquistava il Clasico al Bernabeu sul finale di gara con il punteggio di 2-3 grazie al mitico e ormai immortale goal di Messi che festeggiò sotto la grada del Bernabeu mostrando la maglietta numero 10 ad pubblico blanco tramortito, incantato, attonito per tanta fulminea meraviglia. Quell’azione, l’ultima della partita, vedeva il Barça eguagliare il Madrid nel punteggio. Il tabellone luminoso di Chamartin segnava il risultato di 2-2. Al Madrid poteva anche andare bene quello score perché avrebbe mantenuto il vantaggio in classifica sui rivali catalani. Il conjunto blaugrana, invece, avrebbe dovuto vincere a tutti i costi la sfida per riaprire la Liga.

La partita era ormai agli sgoccioli, una manciata di secondi separavano le due squadre dal triplice fischio di chiusura. Ronaldo, mai domo e insoddisfatto della prospettiva di non battere Messi, suo rivale di sempre, acerrimo nemico (da parte sua), oltre che sottomesso a un naturale complesso di inferiorità nei confronti dell’argentino, incitava i compagni a pressare i blaugrana nel momento in cui il Barça doveva battere una rimessa con le mani in zona difensiva.

“Tutti avanti”, erano le parole che Ronaldo, accompagnate da ampi gesti delle braccia, riversava ai compagni. Il portoghese non era sazio del punto, voleva strafare come suo solito, e spingeva i suoi al pressing finale alla ricerca della vittoria. Quello fu il momento topico della gara che cambiò non solo la storia della sfida ma anche della Liga. Il Momento X per citare Agatha Christie.

Dalla rimessa laterale quella partita cambiò. Sergi Roberto, ricevuta palla nella sua aria di rigore, impazzì e partì lancia in resta, palla al piede, incurante dei blancos che gli si facevano davanti e tentavano in tutti i modi di fargli fallo per buttarlo a terra e interrompere così la sua azione pazza, sconsiderata e folle allo stesso tempo di farsi  giustizia da solo, percorrendo a perdifiato quasi tutto il campo con la palla incollata al piede. Come baciato in fronte dal Dio del Calcio, come un moderno Achille, invincibile, bello, biondo, sfrontato e marzialmente arrogante, el de Reus superò di slancio uno, due, tre uomini con la camiseta blanca neanche fosse stato uno sciatore tra le porte di uno slalom speciale.

E’ così che partì quel contropiede che resterà per sempre nella storia dei Clasicos. Un contropiede fulminante. Ora erano addirittura quattro blaugrana contro uno nella metà campo del Real Madrid. Le maglie Nike azulgrana che si disponevano a ventaglio per occupare quanto più terreno di gioco possibile, quelle Adidas bianche che cercavano affannosamente di rincorrere, incapaci di realizzare come si erano messi in quella dannata situazione. Sergi R. lasciò la palla a André Gomes, che stoppò con naturalezza e senza attendere altro tempo, come se recitasse un copione già mandato a memoria, la cedette a Jordi che nel frattempo lo aveva seguito con la sua solita, unica camminata un po’ rigida alla manico di scopa, alla Michael Johnson per intenderci. Passandogli agli spalle, il numero 18 si sovrappose, raggiunse il fondo e puntò il lato corto dell’area di rigore di sinistra. Come nella performance di un copione scritto e riscritto, come se sapesse esattamente cosa fare, l’esterno sfornò uno degli assist che lo hanno reso ormai famoso: rasoterra, all’indietro verso il limite dell’area. Così fece anche la notte (la partita si giocò in notturna).

Dal nulla, come se si fosse materializzato in quello stesso istante, apparve lui, Leo Messi, il 10 argentino. In una favola di Anderssen sarebbe stato rappresentato bello e sfrontato, capelli lunghi al vento, a dorso nudo, in sella ad un fiero destriero bianco, armato di spada e scudo pronto a battagliare e trafiggere il malefico drago che teneva in ostaggio la bella principessa (era il Dia de Sant Jordi d’altronde). Cavallo o no, Messi apparve come dal nulla mentre sopraggiungeva da dietro, di corsa, chiamando a gran voce l’assist a Jordi. Giunse al limite dell’area proprio nello stesso istante in cui anche la palla giunse sui suoi piedi. Fu un attimo, un flash da vivere e rivivere al rallentatore, con solo il rumore dei passi sull’erba e i battiti a mille del cuore del Diez.

Con un calcio di prima, di sinistro, Messi fece esplodere un tiro a giro carico di effetto che si piantò in fondo al sacco della rete difesa da Keylor Navas. Il portiere si lanciò disperatamente verso quel pallone. Nei primi due metri la palla parve uscire fuori dallo specchio della porta, ma nella parte centrale e finale della sua traiettoria, come un missile teleguidato, curvò verso il centro e puntò deciso l’obiettivo prescelto dal campione di Rosario: la porta del Real Madrid. Il volo del portiere costaricense, in maglia verde quella notte, nulla poté contro quel tiro che lo superò sfiorando il palo e gonfiando la rete alle sue spalle. La palla passò accanto alla sua mano protesa con un sibilo. Un sibilo beffardo capace di far ammutolire gli ottantamila presenti nel tempio delle merengues.  Leo a quel punto, dopo una gara nella quale era stato insultato dalle tribune, maltrattato e picchiato in campo, con il labbro ferito che ancora mostrava i segni del sangue per i colpi ricevuti, fece un gesto che entrerà nella storia degli incontri tra le due squadre. Si sfilò la maglia e corse sotto la curva del Bernabeu per mostrare loro la samarreta con il numero 10. Come se con quel gesto muto avesse voluto dire: “Mi avete picchiato, ferito, fatto sanguinare. Mi avete insultato per tutta la partita, ma io sono ancora qui e vi ho castigato. Ancora una volta. Questo è il mio stendardo, la mia bandiera, la maglia con il mio numero, il 10. Tenetelo a mente e non dimenticatelo mai”.

Messi nelle vesti di Sant Jordi che uccise il drago per liberare la sua amata principessa. Come dice la leggenda, la tradizione, la festa degli innamorati di Barcelona, una festa cool, colta, intellettuale che prevede che i ragazzi regalino una rosa alla rispettiva pareja, e le ragazze un libro al loro amato.

Ad un anno di distanza, un altro 23 aprile, un altro Sant Jordi, il Barça è instradato verso la sua venticinquesima Liga della sua storia. La settima negli ultimi dieci anni. Un dominio assoluto in patria sempre più mal visto e digerito nella capitale di Spagna. Un Dia de Sant Jordi dopo, la squadra blaugrana è dunque ad un punto da un nuovo trionfo.

Il punto della matematica potrebbe arrivare già domenica alle ore 20:45 in trasferta a A Coruna nello stadio Riazor del Deportivo. Una squadra con un piede (più la punta dell’altro) già in Segunda e che potrebbe iniziare la partita contro il Barça praticamente spacciato. Ad oggi, con il Levante che deve giocare stanotte, il Depor si trova staccato di 6 punti. Una vittoria dei valencianisti a Bilbao (cosa non facile da dirsi, e più che altro da farsi), porterebbe il distacco a 9 punti. Nella prossima giornata, inoltre, il Levante scenderà in campo prima della squadra galiziana allenata da Seedorf e, in caso di vittoria, potrebbe andare addirittura a un + 12 assolutamente inattaccabile da parte del Deportivo.

Tutto fa pensare, dunque, che il Barça sarà matematicamente campione già domenica prossima e, guarda caso, la settimana successiva, domenica 6 maggio, è in programma il Clasico da disputarsi al Camp Nou. Le merengues affronteranno il Barça fresco Campion. Pasillo o non pasillo, saranno loro gli invitati alla festa blaugrana nella celebrazione della vittoria della Liga. E questo basterà. I madridisti, c’è da scommetterci, in quel giorno vorranno trovarsi in tutt’altro posto, anche nell’isola più remota e sperduta della Terra, fuorché al Camp Nou a partecipare, loro malgrado, alla festa organizzata in onore dei più acerrimi nemici; la festa per celebrare e onorare el triunfo blaugrana. Un po’ come quando il compagno di classe che odi di più ti invita alla sua festa di compleanno. Non per il piacere di riceverti, no, ma per mostrarti quanto è ricco, amato e osannato. E tu sei lì, che non puoi non andare, ma che vorresti tanto essere altrove.
Un sottile piacere che il fato ha riservato a questi due club ad inizio stagione stilando il calendario con l’idea di mettersi comodo comodo a gustarsi machiavellicamente la scena. Sul divano, con tanto di patatine, pop-corn e Coca Cola.

FC Barcelona. La Copa – Recital total del Barça

 Il Barça demolisce con cinque reti il Sevilla nella Finale di Copa del Rey disputatasi al Wanda Metropolitano e conquista la trentesima Copa della storia blaugrana. Con questa esibizione il Barça risponde all’eliminazione dalla Champions con un maestoso recital portato in scena da una squadra imparabile e incontrollabile che ha annichilito il Sevilla con la forza distruttiva di un uragano. Il risultato finale, un 5-0 che non ammette repliche, è stato il frutto di una prestazione corale e individuale memorabile, che va ben al di là di quanto non dica il punteggio, di per sé importante. Con questa vittoria il Barça conquista la sua quarta Copa del Rey consecutiva, pareggiando in questo modo il record dell’Athletic Bilbao degli anni ’30.

 La squadra è scesa in campo ferita, arrabbiata, indemoniata per l’eliminazione dalla Champions e ha giocato un calcio perfetto. Oggi i blaugrana sono stati la quintessenza del calcio. Calcio totale, corale, veloce, con un movimento continuo come il pendolo di Focault sia dei giocatori con che di quelli senza palla. La partita è stata un campionario di tocchi di prima e aggressività che sin dalle prime battute ha fatto girare la testa al Sevilla. La squadra di Montella si è trovata davanti un avversario che gli si è avventato contro dal primo minuto e lo ha aggredito, strappandogli le vesti, come una belva ferita e affamata davanti ad una preda indifesa.

Oggi nessun giocatore in maglia blaugrana può essere valutato con un voto al di sotto del 10 in pagella. In una scala di valori in cui zero è la negazione assoluta e 10 la perfezione celestiale, la partita di questa notte ha dimostrato che la perfezione nel calcio esiste. Non ci sembra di essere blasfemi nell’affermare che il Dio del Calcio, oggi, ha indossato la maglia blaugrana. I ragazzi di Valverde sembravano undici leggeri e atletici leopardi che giocavano con scarpette di cristallo realizzate dalla fata di Biancaneve. Sembravano undici Mercurio dai piedi alati che schizzavano come saette su e giù per il manto erboso, inventando e disegnando calcio come un grande Maestro impressionista. 

Se tutti i blaugrana sono stati da 10, uno su tutti merita una menzione speciale. No, non è Messi, seppure sia stato sublime come nelle sue migliori serate di grazia. Stiamo parlando di Andrés Iniesta. Don Andrés, alla sua ultima Finale di Copa, ha recitato la parte del protagonista in uno stadio che, gremito in ogni ordine di posti e diviso in due metà perfette tra sevillani e culès, gli ha riservato una standing ovation da brividi al momento della sua sostituzione avvenuta all’87’. Valverde gli ha voluto concedere una passerella trionfale e tutti, blaugrana e sevillani, sono saltati in piedi a tributare con un lungo, intenso, caloroso applauso quello che è, e sarà sempre, il miglior centrocampista della storia del calcio. Non c’era la Marcia Trionfale dell’Aida ad accompagnare l’uscita dal campo del capitano, ma l’applauso di un intero stadio fremente di trepidazione e completamente rapito, vinto e conquistato da un ragazzo di 34 anni con il numero otto sulle spalle. In quegli istanti si sono vissute scene di una intensità emozionale fortissime. Le telecamere hanno colto il momento in cui un tifoso del Sevilla incitava con ampi gesti delle braccia altri componenti della curva andalusa ad alzarsi in piedi per omaggiare Don Andrés. Dall’uscita dal campo di un Iniesta chiaramente scosso da un forte turbamento emotivo, e in preda ad un pianto che poi è proseguito in panchina, e fino al triplice fischio finale di Gil Manzano, lo stadio non si è fermato un solo attimo dal cantare, omaggiare, inneggiare al centrocampista de Fuentalbilla, coreando il nome di Andres Iniesta come colonna sonora degli ultimi minuti di una gara che, anche per questo, sarà indimenticabile e entrerà di diritto tra le partite storiche del FC Barcelona.

Le reti della partita sono state spettacolari quanto la gara stessa. A partire dal goal dell’uno a zero nato da un passaggio in profondità di Cillessen che ha di fatto recapitato con precisione millimetrica la palla nei piedi di Coutinho oltre la metà campo avversaria. Il brasiliano si è involato come elettricità pura verso l’area di rigore e ha servito un assist al bacio con lo scavetto a Suarez che, sebbene in posizione leggermente avanzata rispetto al pallone, è riuscito comunque a girarlo in rete. Il chrono segnava il 14′. Al 31′ è giunta la rete di Messi al termine di una azione tambureggiante portata avanti con un ritmo indiavolato, come quello esercitato dalle pale e dal rotore di un elicottero in volo. Jordi per Iniesta, di esterno per il numero 18 a chiudere un triangolo da favola, tacco all’indietro di Alba per l’accorrente Messi che, di prima, ha scaraventato in porta un pallone che ha terminato la sua corsa tra il capo del portiere e la traversa. Una meraviglia. La terza rete non è stata meno spettacolare. Tutto è nato da una palla recuperata nella metà campo blaugrana e da una verticalizzazione immediata per Messi che, di prima, ha fatto proseguire Suarez incuneatosi tra due avversari. Nell’uno contro uno l’uruguayo non ha avuto difficoltà a realizzare la rete del tre a zero. Eravamo al 40′ e la Finale era già sentenziata.

Nella ripresa, attesa come la Buona Novella, è giunta anche la rete di Iniesta che ha giustamente completato una gara e una carriera da leggenda in Copa del Rey con una rete altrettanto memorabile. Il manchego, ricevuta palla in profondità in area di rigore da Messi, è scattato verso la porta; con una finta ha evaso l’uscita bassa del portiere, ha fatto scorrere la palla oltre la figura di Soria per poi trovare un angolo impossibile e depositare in rete il pallone del quattro a zero. Da applausi. Il tempo segnava appena il 52′. C’era ancora molto da giocare e il Sevilla ha temuto veramente la derrota historica. Il Barça, infatti, non pareva proprio dell’idea di mollare la presa. La formazione andalusa era tramortita, come un pugile mezzo suonato che ha presso troppi cazzotti in una serata andata storta sin dal primo “boxe” urlato da un arbitro con il fiato pesante che puzzava di scotch di infima qualità. Il Barça, invece, saltellava e si muoveva qua e là per il ring come un fanciullo a cui è stato appena regalato il giocattolo della vita. E, come Mike Tyson contro Micheal Spinks, quando spazzò via l’avversario in appena 91 secondi, il Barça ha ripreso a martellare furente, regalando calcio memorabile a tutti gli amanti del football. Al 69′ è giunta così la meritata manita, la quinta rete del Barça in versione Unstoppable (pellicola non memorabile del 2010 con Denzel Washington). La rete, su rigore, porta la firma di Coutinho. A questo punto è doveroso citare un fatto curioso. Il brasiliano ha dovuto segnare due volte la quinta rete affinché Gil Manzano assegnasse il goal al Barça. Il numero 14 blaugrana, infatti, aveva realizzato su azione la quinta rete già qualche istante prima che l’arbitro la annullasse per assegnare il calcio di rigore (per fallo di mano di Mercado) che lo stesso Coutinho trasformerà di lì a poco con un destro a spiazzare il portiere avversario.

Con questa partita la squadra di Valverde si è riappacificata con un ambiente ancora scosso, arrabbiato e scioccato per l’incredibile e umiliante eliminazione ad opera della Roma. Il primo titolo è stato conquistato. Il secondo, la Liga, potrebbe arrivare già nella prossima sfida contro il Deportivo.