Da un Sant Jordi all’altro, la storia di due Clasicos racchiusi tra due feste degli innamorati di Barcelona

Il giorno di Sant Jordi dello scorso anno l’FC Barcelona conquistava il Clasico al Bernabeu sul finale di gara con il punteggio di 2-3 grazie al mitico e ormai immortale goal di Messi che festeggiò sotto la grada del Bernabeu mostrando la maglietta numero 10 ad pubblico blanco tramortito, incantato, attonito per tanta fulminea meraviglia. Quell’azione, l’ultima della partita, vedeva il Barça eguagliare il Madrid nel punteggio. Il tabellone luminoso di Chamartin segnava il risultato di 2-2. Al Madrid poteva anche andare bene quello score perché avrebbe mantenuto il vantaggio in classifica sui rivali catalani. Il conjunto blaugrana, invece, avrebbe dovuto vincere a tutti i costi la sfida per riaprire la Liga.

La partita era ormai agli sgoccioli, una manciata di secondi separavano le due squadre dal triplice fischio di chiusura. Ronaldo, mai domo e insoddisfatto della prospettiva di non battere Messi, suo rivale di sempre, acerrimo nemico (da parte sua), oltre che sottomesso a un naturale complesso di inferiorità nei confronti dell’argentino, incitava i compagni a pressare i blaugrana nel momento in cui il Barça doveva battere una rimessa con le mani in zona difensiva.

“Tutti avanti”, erano le parole che Ronaldo, accompagnate da ampi gesti delle braccia, riversava ai compagni. Il portoghese non era sazio del punto, voleva strafare come suo solito, e spingeva i suoi al pressing finale alla ricerca della vittoria. Quello fu il momento topico della gara che cambiò non solo la storia della sfida ma anche della Liga. Il Momento X per citare Agatha Christie.

Dalla rimessa laterale quella partita cambiò. Sergi Roberto, ricevuta palla nella sua aria di rigore, impazzì e partì lancia in resta, palla al piede, incurante dei blancos che gli si facevano davanti e tentavano in tutti i modi di fargli fallo per buttarlo a terra e interrompere così la sua azione pazza, sconsiderata e folle allo stesso tempo di farsi  giustizia da solo, percorrendo a perdifiato quasi tutto il campo con la palla incollata al piede. Come baciato in fronte dal Dio del Calcio, come un moderno Achille, invincibile, bello, biondo, sfrontato e marzialmente arrogante, el de Reus superò di slancio uno, due, tre uomini con la camiseta blanca neanche fosse stato uno sciatore tra le porte di uno slalom speciale.

E’ così che partì quel contropiede che resterà per sempre nella storia dei Clasicos. Un contropiede fulminante. Ora erano addirittura quattro blaugrana contro uno nella metà campo del Real Madrid. Le maglie Nike azulgrana che si disponevano a ventaglio per occupare quanto più terreno di gioco possibile, quelle Adidas bianche che cercavano affannosamente di rincorrere, incapaci di realizzare come si erano messi in quella dannata situazione. Sergi R. lasciò la palla a André Gomes, che stoppò con naturalezza e senza attendere altro tempo, come se recitasse un copione già mandato a memoria, la cedette a Jordi che nel frattempo lo aveva seguito con la sua solita, unica camminata un po’ rigida alla manico di scopa, alla Michael Johnson per intenderci. Passandogli agli spalle, il numero 18 si sovrappose, raggiunse il fondo e puntò il lato corto dell’area di rigore di sinistra. Come nella performance di un copione scritto e riscritto, come se sapesse esattamente cosa fare, l’esterno sfornò uno degli assist che lo hanno reso ormai famoso: rasoterra, all’indietro verso il limite dell’area. Così fece anche la notte (la partita si giocò in notturna).

Dal nulla, come se si fosse materializzato in quello stesso istante, apparve lui, Leo Messi, il 10 argentino. In una favola di Anderssen sarebbe stato rappresentato bello e sfrontato, capelli lunghi al vento, a dorso nudo, in sella ad un fiero destriero bianco, armato di spada e scudo pronto a battagliare e trafiggere il malefico drago che teneva in ostaggio la bella principessa (era il Dia de Sant Jordi d’altronde). Cavallo o no, Messi apparve come dal nulla mentre sopraggiungeva da dietro, di corsa, chiamando a gran voce l’assist a Jordi. Giunse al limite dell’area proprio nello stesso istante in cui anche la palla giunse sui suoi piedi. Fu un attimo, un flash da vivere e rivivere al rallentatore, con solo il rumore dei passi sull’erba e i battiti a mille del cuore del Diez.

Con un calcio di prima, di sinistro, Messi fece esplodere un tiro a giro carico di effetto che si piantò in fondo al sacco della rete difesa da Keylor Navas. Il portiere si lanciò disperatamente verso quel pallone. Nei primi due metri la palla parve uscire fuori dallo specchio della porta, ma nella parte centrale e finale della sua traiettoria, come un missile teleguidato, curvò verso il centro e puntò deciso l’obiettivo prescelto dal campione di Rosario: la porta del Real Madrid. Il volo del portiere costaricense, in maglia verde quella notte, nulla poté contro quel tiro che lo superò sfiorando il palo e gonfiando la rete alle sue spalle. La palla passò accanto alla sua mano protesa con un sibilo. Un sibilo beffardo capace di far ammutolire gli ottantamila presenti nel tempio delle merengues.  Leo a quel punto, dopo una gara nella quale era stato insultato dalle tribune, maltrattato e picchiato in campo, con il labbro ferito che ancora mostrava i segni del sangue per i colpi ricevuti, fece un gesto che entrerà nella storia degli incontri tra le due squadre. Si sfilò la maglia e corse sotto la curva del Bernabeu per mostrare loro la samarreta con il numero 10. Come se con quel gesto muto avesse voluto dire: “Mi avete picchiato, ferito, fatto sanguinare. Mi avete insultato per tutta la partita, ma io sono ancora qui e vi ho castigato. Ancora una volta. Questo è il mio stendardo, la mia bandiera, la maglia con il mio numero, il 10. Tenetelo a mente e non dimenticatelo mai”.

Messi nelle vesti di Sant Jordi che uccise il drago per liberare la sua amata principessa. Come dice la leggenda, la tradizione, la festa degli innamorati di Barcelona, una festa cool, colta, intellettuale che prevede che i ragazzi regalino una rosa alla rispettiva pareja, e le ragazze un libro al loro amato.

Ad un anno di distanza, un altro 23 aprile, un altro Sant Jordi, il Barça è instradato verso la sua venticinquesima Liga della sua storia. La settima negli ultimi dieci anni. Un dominio assoluto in patria sempre più mal visto e digerito nella capitale di Spagna. Un Dia de Sant Jordi dopo, la squadra blaugrana è dunque ad un punto da un nuovo trionfo.

Il punto della matematica potrebbe arrivare già domenica alle ore 20:45 in trasferta a A Coruna nello stadio Riazor del Deportivo. Una squadra con un piede (più la punta dell’altro) già in Segunda e che potrebbe iniziare la partita contro il Barça praticamente spacciato. Ad oggi, con il Levante che deve giocare stanotte, il Depor si trova staccato di 6 punti. Una vittoria dei valencianisti a Bilbao (cosa non facile da dirsi, e più che altro da farsi), porterebbe il distacco a 9 punti. Nella prossima giornata, inoltre, il Levante scenderà in campo prima della squadra galiziana allenata da Seedorf e, in caso di vittoria, potrebbe andare addirittura a un + 12 assolutamente inattaccabile da parte del Deportivo.

Tutto fa pensare, dunque, che il Barça sarà matematicamente campione già domenica prossima e, guarda caso, la settimana successiva, domenica 6 maggio, è in programma il Clasico da disputarsi al Camp Nou. Le merengues affronteranno il Barça fresco Campion. Pasillo o non pasillo, saranno loro gli invitati alla festa blaugrana nella celebrazione della vittoria della Liga. E questo basterà. I madridisti, c’è da scommetterci, in quel giorno vorranno trovarsi in tutt’altro posto, anche nell’isola più remota e sperduta della Terra, fuorché al Camp Nou a partecipare, loro malgrado, alla festa organizzata in onore dei più acerrimi nemici; la festa per celebrare e onorare el triunfo blaugrana. Un po’ come quando il compagno di classe che odi di più ti invita alla sua festa di compleanno. Non per il piacere di riceverti, no, ma per mostrarti quanto è ricco, amato e osannato. E tu sei lì, che non puoi non andare, ma che vorresti tanto essere altrove.
Un sottile piacere che il fato ha riservato a questi due club ad inizio stagione stilando il calendario con l’idea di mettersi comodo comodo a gustarsi machiavellicamente la scena. Sul divano, con tanto di patatine, pop-corn e Coca Cola.

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