4-0 AL BETIS NELL’ULTIMA PARTITA DI JOAQUIN E NELLA PRIMA DI YAMAL

Giuseppe Ortu Serra

4-0, +11 ristabilito sul Madrid, pioggia a dogs and cats, bel gioco, giusto compromiso in campo, l’ultima partita di Joaquin e la prima di Lemine Yamal. Questo il telegramma di una bella gara che ha restituito il sorriso e buone sensazioni al Barcelona. Partita di addii, celebrazioni e di benvenuti. Tutto questo in appena 90′ di gioco.

Il Barça ha passeggiato sul Betis di Pellegrini, rimasto in 10 al 33′ per doppio giallo di Luis Felipe, e in 9 al 81′ per l’infortunio di Joaquin, in una partita che ha visto una squadra blaugrana totalmente diversa rispetto a quella semi invisibile di Vallecas. La squadra aveva giocato quella gara scarica e rilassata per la sconfitta del Madrid (parole del tecnico blaugrana); Xavi si era infuriato e la critica era stata – giustamente – spietata. Contro il Betis, in calo nelle ultime giornate e scavalcato nell’ultimo turno dal Villareal al 5° posto in classifica e perciò portatore di pericoli per una formazione, quella azulgrana, anch’essa in fase calante nelle ultime 5 partite, il Barça ha giocato seriamente non prendendo sottogamba l’appuntamento. Il Madrid aveva vinto contro l’Almería nel pomeriggio e aveva ridotto a 8 punti le distanze. Non era possibile rilassarsi, dunque. E così è stato. La formazione di Xavi, che ha recuperato nell’undici iniziale Christensen, dando continuità a De Jong e Pedri, ormai pienamente ristabiliti, non ha fallito l’appuntamento e non ha dato scampo alla formazione verdeblanca. Nel Betis due ex blaugrana nei laterali: Montoya a destra e Miranda a sinistra.

Il Barcelona è passato subito, con la prima rete di Christensen in Liga. Al 14′ il danese ha deviato di testa in rete un passaggio dalla destra di Raphinha, al suo 6° assist della stagione. Al 33′ il Betis è rimasto in 10 uomini per l’espulsione di Edgar Gonzalez per doppio giallo. Il numero 3 di Pellegrini aveva a sua volta sostituito l’infortunato Luiz Felipe.

Il Betis non ha avuto scampo. Due minuti dopo è giunto il raddoppio blaugrana. È stato Lewa a finalizzare in rete un bell’assist di Koundé dalla destra. Per il polacco è il 19° goal in campionato, rete che gli ha permesso di eguagliare il registro massimo di Villa come attaccante esordiente in maglia azulgrana. Davanti a lui solo Eto’o. Al 39′ è arrivata la terza rete, la 5ª personale di Raphinha. Il brasiliano, ricevuto da Busi un pallone in profondità a scavalcare la linea difensiva andalusa, si è inserito in area, ha superato con un tocco il portiere, aggirandolo, e ha incrociato di prima nella porta sguarnita.

La ripresa è stata un monologo blaugrana. La squadra ha giocato sul velluto, ma sempre senza mai mollare la presa sull’avversario. Sotto il diluvio la formazione di Xavi ha deliziato gli 88.530 spettatori, o quelli che erano rimasti stante la quantità d’acqua piovuta sul Camp Nou. Al 58′ Xavi ha disposto un cambio di modulo, passando dal falso extremo ai due extremos puri, con l’ingresso sul terreno di gioco di Ansu al posto di De Jong. Gavi è retrocesso a centrocampo e attacco con Raphinha, Lewa e Ansu.

All’82’ è giunta la quarta marcatura della serata, con Rodriguez che, anticipando Lewandowski sulla linea di porta, gli ha tolto la chance di segnare una doppietta e di portarsi a quota 20 nella classifica del pichichi.

Nel diluvio di Barcelona lo stadio si è lanciato in diverse celebrazioni. Al 10 minuto, come è ormai costume, la folla ha coreado il nome “Messi – Messi”; al 64′ l’ingresso in campo di Joaquin del Betis, alla sua ultima stagione prima del ritiro e alla sua ultima partita al Camp Nou, poi ritiratosi al 81′ per un infortunio al ginocchio che ha costretto i suoi a giocare in 9 il resto della gara; al 71′ è stato il turno di Dembélé a prendersi la scena, riapparso in campo dopo tre mesi circa dopo l’ultima gara (contro il Girona a gennaio); all’83’ il cambio Yamal – Gavi. Fuori un 18enne, dentro un 15enne. Solo al Camp Nou. Solo al Barça. Lemine Yamal, extremo di grande talento e futuro, una delle perle più luminose della Masia, si è piazzato sulla fascia sinistra, facendo accentrare Ansu. Nel giro di pochi minuti ha sfiorato una volta la rete, costringendo Rui Silva a un grande intervento d’istinto e ha servito due palloni spettacolari. Il primo a Dembélé, che ha poi mancato il tocco per Lewa – solo davanti al portiere, e il secondo allo stesso Lewandowski. Il ragazzo ha classe, qualità e stoffa da predestinato, la stoffa più pregiata destinata alle creazioni sartoriali di haute couture più preziose.

Con questa vittoria il Barça si è ripreso la scena, ha riportato a +11 il divario con il Madrid, ha ritrovato vecchie e buone sensazioni, e ha fatto pace con il proprio allenatore e i suoi tifosi.

VINICIUS, YABUSELE, VALVERDE, LLULL, ROCKY MARCIANO, TYSON e gli altri

Giuseppe Ortu Serra

Il Real Madrid. Polisportiva incentrata sul calcio e pallacanestro, o piuttosto palestra di pugilato? Siamo a Madrid, in Avenida de Concha Espina 1, o a Catskill, Atene, NY, alla Cus D’Amato’s Gym, famosissima palestra di boxe dove Cus D’Amato ha allenato Mike Tyson, o a Midtown (54th Street & 8th Ave), alla Stillman’s Gym, dove Charley Goldman allenò Rocky Marciano? La domanda viene spontanea visto il comportamento da pugili indisciplinati e rissosi dei giocatori di calcio e pallacanestro del Real Madrid. Un tempo senorio d’Espana (così dicono loro), adesso teppaglia da bar malfamato. Sembra questo il cambio di scenario della formazione blanca.

Vinicius contro il Girona a provocare pubblico e giocatori gironí; ad insultare, aggredire gli avversari a gioco fermo. Lo stesso numero 20 madridista contro Frenkie de Jong nel Clásico di ritorno al Camp Nou, quando infuriato per l’andamento della gara e frustrato per non essere in grado di portare via la palla al giocatore blaugrana secondo le regole del calcio, lo spinge, gli mette il braccio intorno alla gola, stringe con il gomito su di essa e lo scaraventa a terra, per poi lamentarsi con l’arbitro per aver sanzionato il suo intervento da teppista di strada.

Valverde contro Baena del Villareal. Sembrerebbe la pubblicità di un incontro di boxe, ma è in realtà qualcosa di molto triste e vergognoso, un’aggressione clandestina in piena regola, con tanto di pugno al volto di Baena da parte del giocatore del Madrid nel dopo gara di Madrid – Villareal. Il fatto è ancora più grave perché avvenuto nei parcheggi del Bernabeu mentre Baena era tranquillo per i fatti suoi, intento a parlare al telefono. La vittima dell’aggressione ha già, ovviamente, presentato una querela alla Procura della Repubblica spagnola. Il giocatore del Madrid, in attesa della decisione del Comité de Competición, continua imperterrito a calpestare e infangare i terreni di gioco degli stadi nazionali e internazionali con la sua presenza, e con il supporto e pieno sostegno (questo lo scandalo e la vergogna maggiore) da parte del Real Madrid.

Llull e Yabusele contro Panter e Exum nella gara di Eurolega contro il Partizan di ieri. Altre aggressioni, altri colpi a tradimento, altri “pugni sporchi”. I due giocatori del Real Madrid hanno aggredito i rispettivi avversari sul parquet del Wizink, il palazzetto del basket del Madrid. Llull con un fallaccio che nulla ha a che fare con lo sport o la pallacanestro, ma con una condotta da bullo di strada che si fa forte dei compagnacci che stanno a guardare per dare manforte morale, ha innescato la reazione del giocatore del Partizan che gli è andato contro a muso duro tanta è stata la scorrettezza dell’avversario. Non contento, il bullo di strada gli ha rifilato una spallata in mezzo al petto. Da lì la buriana che ne è scaturita. Capannello in mezzo al campo fino all’entrata in scena dell’altro protagonista dell’indegna gazzarra madridista. Yabusele che parte come un razzo e punta Exum, ex blaugrana e, in quanto tale, nemico giurato da abbattere a prescindere. Come Tyson contro Johnson ad Atlantic City nel 1985. No peggio. Tyson ha giocato secondo le regole della sua arte, Yabusele no. Lui fa (o almeno dovrebbe fare) il giocatore di pallacanestro. Di Tyson c’era solo la corsa verso l’avversario, la rabbia cieca, la forza, l’aggressività e l’azione. Nient’altro. Il pugno di Big Mike era puro e pulito, la condotta di Yabusele sporca come il fango in cui lui stesso è caduto. Il giocatore del Madrid ha preso per il collo Exum, lo ha colpito e lo ha buttato al tappeto con una violenza inaudita, degna di uno scaricatore di porto di Marsiglia dopo una buona bevuta in uno dei baracci della zona portuale della città francese. Il giocatore del Partizan è rimasto a terra, intontito e disorientato. Gara sospesa a 1′ e 40” dalla fine.

Tutti aspettavamo il giudice sportivo. Aveva una grande occasione, quella di fare pulizia di questa gente che non merita giocare uno sport nobile come la pallacanestro, che non merita nemmeno il privilegio di fare sport di professione, ma solo di spaccare pietre con una mazza in qualche remota miniera di qualche anfratto del globo. 5 giornate per Yabusele per ciò che ha fatto sono un insulto per ogni sportivo che lavora duramente dalla tenera età per arrivare ai massimi livelli o per, al contrario, per trovarsi nel mezzo della sua gioventù con un pugno di mosche in mano perché non abbastanza forte da sfondare. Il giudice sportivo si è comportato come chi ha paura di essere troppo severo con il potente di turno e si limita a dire: “Così non si fa, biricchino; non sta bene. E non dimenticarti di portare i miei omaggi a tuo padre”. E Llull? È rimasto impunito. Per lui nemmeno una sgridatina. Con questa ridicola sentenza il giudice ha su di sé la responsabilità del ritorno a Belgrado, dove i madridisti, ahiloro, dovranno giocare gara 3 e gara 4 in un palazzetto che è già caldo di suo, ma che con questo precedente e questo buffetto del giudice sportivo sarà veramente come fare una camminata immersi nell’inferno di Dante Alighieri, tra fiamme avviluppanti e sibilanti bolidi ardenti. A Belgrado prenderanno questa decisione come una presa in giro, c’è da scommetterci. Conoscendo il posto, chissà che non siano i locali a volersi sostituire al giudice sportivo e a regolare i conti alla maniera serba.

Il Real Madrid. È facile essere “signori” quando si vince. Non ci vuole molto, anche un orco di Mordor ci riesce. La vittoria non è sinonimo di trionfo, di Vittoria (con la V maiuscola), di successo. Spesso dietro ogni vincente di successo si nasconde un perdente nell’animo e nella vita vera, un vile, un fasullo, come tutti i bulli di questo mondo che si gonfiano delle loro azioni nei confronti di chi non è in grado di difendersi. Vittoria, successo… solo solo parole prive di significato, di contenuto. Non vuol dire essere dei gentlemen e dei vincenti solo perché si vince. La vittoria è solo un risultato, un numero. La signorilità si misura invece in ben altro. Nelle sconfitte per esempio e così l’onore e la sportività. Perdere con signorilità e classe fa di un uomo un vero signore. Il Real Madrid ha dimostrato in questa stagione, con tutti questi casi da cani arrabbiati (con mille scuse a tutti i cani arrabbiati del mondo) di essere un club fasullo di fasulli; un club di perdenti, di losers; un club di bulletti di periferia, tristi e incolti sfigati senza cultura che quando non vincono usano le mani (unico argomento in loro possesso) per sottomettere tutti alla loro rabbia troglodita.

COME IL BARÇA DI KOEMAN

Giuseppe Ortu Serra

La partita di ieri contro il Rayo ha messo in evidenza il Barça più brutto dell’anno. Una squadra senza idee, senza gioco, senza attributi. Troppo brutta per essere vera. Ma non è che la conseguenza di una parabola discendente che la formazione di Xavi ha intrapreso, in Spagna, a partire dalla brutta sconfitta contro il Madrid in semifinale di Copa del Rey. In Europa, invece, è qualcosa di atavico. Un declivio inesorabile, ma progressivo che ha portato allo spettacolo indecente offerto ieri a Vallecas. E badate bene, non è un goal a fare la differenza nel nostro giudizio. Sarebbe stata la medesima cosa se alla fine fosse arrivata la rete del pari. Lo avevamo scritto, d’altronde, anche per la sfida contro l’Atletico, dove il risultato era, insieme alla solidità difensiva, l’unica nota lieta dell’incontro. In Europa il declino è ormai certificato e bollinato da un susseguirsi di stagioni grigie, tutte uguali, che portano sempre ad un unico evento: l’eliminazione. Una squadra che scende in campo attanagliata dalla paura, salvo prendere in considerazione che questa squadra è così, anche dal punto di vista tecnico-tattico: una formazione debole, senza carattere, che gioca un calcio scolastico e che in campo ha una presenza impalpabile. L’Eintracht, il Manchester United, l’Inter. Tutte corazzate? Possibile? E basta con gli alibi da perdenti: il Var che non funziona, lo stadio tinto di bianco, il rigore non fischiato al 94′ contro l’Inter (e fino al 94′?), le assenze al ritorno contro i nerazzurri e contro lo Utd (ma all’andata c’erano tutti), il rigore a Monaco. E le stagioni precedenti? Benfica… lo ricordiamo, sì?

Ieri questa squadra sembrava il Barça di Koeman. Sconclusionato, senza idee, né anima. A Vallecas e contro il Madrid in Copa, come in Europa, si è visto il clone della stessa squadra perdente. Occupa il campo con sufficienza finché gli avversari non segnano. Poi è finita.

Xavi è furioso. E meno male. Ma è lui l’allenatore e deve porre rimedio a questa situazione. “Non abbiamo giocato come si sarebbe richiesto qui per vincere”. Ha detto nel dopo gara. “Manca ancora molto, non abbiamo ancora fatto niente, la Liga non è ancora vinta e non è ancora finita. Questo è il problema”. E ancora: “È un peccato perché potevano salire a +14 ed era un’ottima opportunità. La sensazione è di profonda tristezza”. Tutte considerazioni corrette a cui deve porre rimedio al più presto e concetti da noi espressi già da settimane.

Male in ogni reparto, sono stati sopratutto il laterale destro e il centrocampo ad essere al di sotto di tutti gli altri. Koundé ha commesso errori marchiani di concetto. Nella prima rete è chiaramente uscito nella foto scattata da Álvaro García. Invece che tenere la posizione ha stretto al centro, lasciando tutto il tempo all’avversario di controllare, prendere la mira e fucilare Ter Stegen. Il francese è un centrale, non un laterale. Urge l’inserimento in estate di uno specialista del ruolo. Dal primo Alves il Barça non ha più avuto un laterale forte, e da allora non ha più vinto. Il centrocampo, nel ruolo di pivote, è stato un costante buco nello schieramento blaugrana. La rete del raddoppio è nata proprio lì. De Jong, in ogni caso troppo solo e senza appoggio da parte dei compagni (dov’erano?) ha perso un rimpallo, ma dietro di lui si sono aperte le acque del Mar Rosso. Nessuno a presidiare la zona centrale difensiva. Inconcepibile. Eric non può giocare lì, perlomeno se vuoi anche solo pensare di poter giocarti una carta per vincere qualcosa. Busi quando gioca offre una presenza importante in quella posizione, anche se, con l’andare avanti della gara, il giocatore va in difficoltà con il dinamismo degli avversari. Contro l’Atletico una sua palla persa al limite dell’area è costata quasi una rete di Griezmann. Ed eravamo solo ad inizio del match. Per non parlare poi dell’attacco. E di Lewandowski.

I problemi sono tanti, di giocatori forse non all’altezza (ma non certo per non battere il Rayo Vallecano), ma sopratutto di attitudine e atteggiamento in campo. Non è un discorso di nomi. Ricordiamoci che in semifinale di Champions contro il City il Madrid, lo scorso anno, ha avuto in campo, ad un certo punto, Ceballos e Asensio. Avete presente, sì? Ecco che è un discorso di come ti poni caratterialmente e individualmente nei confronti di un evento. Se vuoi suonare o essere suonato. Il Barça manca sotto questo punto di vista, quello caratteriale. E forse anche il gioco non aiuta a tenere tutti sulla corda e a renderli altrettanto protagonisti. Basta vedere la parabola di Lewandowski, sempre più un enigma, e mille anni luce lontano dal bomber che incantava in Europa. Sempre solo colpa degli altri?

INVITO A CENA CON DELITTO. SCONFITTA A VALLECAS PER UN BARÇA SULLE GAMBE

Giuseppe Ortu Serra

Dopo i pareggi contro Getafe e Girona in cui il Barça ha mostrato enormi problemi di gioco e mentalità, la squadra di Xavi perde a Vallecas. Iraola ha invitato Xavi ad una cena in cui la pietanza a sorpresa era il Barça allo spiedo, assassinato a sangue freddo e poi mangiato sul campo. “Elementare Watson”, avrebbe detto Holmes. La debacle era nell’aria, bastava semplicemente avere il naso esperto. C’erano tutti gli elementi per immaginarlo. Bastava ripercorrere le ultime prestazioni della squadra, scossa da un calando progressivo

Un 2-1 finale che fa molto male per il modo in cui è maturata la sconfitta. Mai in partita e sempre a rincorrere gli avversari, con il pubblico locale a toreare le giocate dei propri beniamini. In classifica non cambia nulla grazie alla caduta del Madrid a Montilivi. Ma è chiaro che questa squadra sta arrivando in porto solo per la deriva marina e non per altro. La formazione blaugrana sembra un natante che ha perso le vele e il motore di emergenza, che avanza stancamente e lentamente spinta solo dalla corrente e dal moto ondoso creato dallo stesso scafo.

Già il primo tempo aveva mostrato una squadra fiacca, scesa in campo molle come nelle ultime giornate e come nel primo tempo contro i colchoneros. Dalla semifinale di Copa del Rey in avanti, con poche eccezioni, abbiamo visto un Barcelona inconsistente, impalpabile, la versione spagnola dell’Arsenal di Arteta. Come oggi, una squadra che gioca per inerzia, che appare fusa come cioccolato steso sopra una torta. La squadra non punge e non crea, e contro il Rayo, dietro, è stata fragile come un grissino. Le scarse chance che i blaugrana hanno avuto nei primi 45 minuti sono nate da occasionali e estemporanee giocate, non certo frutto di un nesso di causalità con un gioco preciso e codificato.

Il Rayo ha colpito sin dalle prime battute di gara. Al 18′ è passato in vantaggio dopo alcune occasioni che avevano fatto capire che i padroni di casa avevano l’intenzione di non starsene a guardare. La rete rayista è nata da un errore difensivo di Koundé che aveva spinto troppo verso il centro la sua posizione, lasciando totalmente sguarnito il lateral dove si è infilato Alvaro García. Controllo e tiro in diagonale in assoluta libertà che ha infilato Ter Stegen. Il portiere tedesco, che ha incassato così la 10ª rete del campionato, si era dovuto disimpegnare anche in precedenza per evitare che il Rayo passasse già al 16′. Errore di Pedri nel disimpegno e palla regalata all’avversario che si è involato verso la porta azulgrana. Il tiro rasoterra di Camello è stato ben respinto dal portiere tedesco che si è disteso sulla sua sinistra per evitare la capitolazione.

Il Barça si è visto poco davanti. Reazione più di pancia che di testa, ma confusa e scombinata. Unico pericolo creato alla difesa di Vallecas è stata la rete annullata al 41′ a Lewandowski per un millimetrico fuorigioco dello stesso giocatore polacco. Decisamente poco per una squadra che avrebbe dovuto approfittare della sconfitta del Madrid a Girona per chiudere definitivamente la Liga.

Il secondo tempo è stato un autentico disastro. I locali sono partiti forte sin dalla prima azione, gli azulgrana si sono definitivamente seduti. Al 52′ era già 2-0. Altro errore del Barça, con De Jong che ha perso un rimpallo a centrocampo e Fran García si è trovato il nulla assoluto a contrastarlo. Difesa blaugrana totalmente aperta. Il numero 3 del Rayo ha potuto puntare l’area incontrastato, entrare nei 16 metri e battere con un diagonale l’estremo difensore del Barcelona. Xavi, con indosso una maschera funeraria micenea, ha provato a mescolare le carte in campo provvedendo a delle sostituzioni, ma la pietanza era ormai bruciata. Centrocampo rivoluzionato con Kessie, Eric da pivote e Pablo Torre. Davanti Ansu (Chi l’ha visto?) per Ferran e sul laterale sinistro Jordi (per Alonso), con Balde che ha traslocato sull’altra fascia. Il risultato è stato sconfortante. La prima reazione è stata al 60′ con Gavi quando era ancora in campo. Il Rayo ha invece continuato a gestire la palla e a fare correre a vuoto una squadra sulle gambe e svuotata di energie fisiche e mentali, evidentemente giunta a fine stagione senza benzina o con la solita paura di diventare grande.

All’82’ è entrato in scena Lewandowski che ha colpito al volo con violenza un pallone vagante in area di rigore del Rayo frutto di un rimpallo tra Kessie e un difensore locale. Il polacco ha trasformato quel pallone nella rete della speranza, rivelatasi assolutamente vana.

Il triplice fischio finale ha sentenziato una sconfitta giusta e meritata da parte di una squadra che dal ritorno in Copa del Rey ha perso due volte, pareggiato altrettante e vinto solo una gara, contro l’Atletico, peraltro rischiando enormemente in un primo tempo abulico e in una ripresa senza saggezza tattica. Xavi e la directiva devono analizzare a fondo una situazione in cui questa squadra sembra l’ombra di se stessa. Sopratutto sono da valutare le cause che hanno portato il Barça a sfaldarsi come terra infiltrata dall’acqua negli ultimi kilometri del campionato.

PREGI E DIFETTI DEL BARÇA CONTRO L’ATLETICO

Giuseppe Ortu Serra

Ieri si sono visti due volti distinti del Barça. Luci ed ombre, nuvole e raggi di sole. Abbiamo visto cose da cui ripartire ed altre da abbandonare senza indugi. Iniziamo dalle asperità per poi andare a chiudere in bellezza con gli aspetti positivi di una partita che può essere fondamentale per la vittoria finale della Liga.

L’impatto con la partita è stato sbagliato. Non è piaciuto l’ingresso in campo della squadra. Non è una novità questa, una macchia che Xavi, è evidente, non riesce ancora a cancellare. L’atteggiamento svagato dei primi minuti è preoccupante. Pronti via, Busi perde palla per un modo di giocare molle e poco determinato al limite dell’area e Griezmann colpisce la traversa. Erano passati appena 45”. Fosse entrato quel pallone la partita si sarebbe trasformato in un Everest da scalare. Il Barcelona avrebbe dovuto attaccare un avversario che a quel punto si sarebbe trovato nel suo elemento preferito: difendere ad oltranza e partire in contropiede.

Problema di mentalità e di personalità. Il Barça ha buttato via tutto il primo tempo. Forse portandosi dietro lo shock per il pericolo corso in quella circostanza, fatto sta che la manovra della squadra è stata lenta, prevedibile, scolastica. Non solo, sono fioccati gli errori nella gestione della palla e le imprecisioni. Di fatto, fino alla rete giunta sul finire del primo tempo, il Barça non aveva tirato una sola volta in porta. Ma forse il discorso è un altro. Come già scritto e detto varie volte nel recente passato, a questa squadra manca la mentalità vincente. Al momento è un embrione di squadra, un bozzolo, che deve ancora tramutarsi in farfalla. Come la zucca di Cenerentola che non è ancora diventata carrozza reale. E quando i punti contano di più, o la gara diventa da dentro o fuori, si sente il peso della responsabilità, le gambe diventano pesanti e con esse il pallone, la mente si annebbia. Come quel tennista che non riesce a sfruttare il match-ball della gara più importante. È capitato questa stagione con l’Inter prima e con lo United poi, successivamente eliminato dal Sevilla, che in campionato lotta per non retrocedere, ma che in Europa League (o per dirla con Rakitic, la Sevilla League) gioca come nel salotto di casa sua. Nella scorsa stagione era accaduto contro l’Eintracht. Quando si gioca senza il cuscino psicologico della possibilità di recuperare un eventuale errore, il Barça si blocca. Quando la posta in palio diventa tosta il Barcelona non sta al passo e lascia il tavolo da gioco. E qualsiasi avversario diventa insormontabile, salvo poi scoprire che così non è. Per curare questa insicurezza insita nell’animo della squadra è necessario iniziare a vincere. È questo che manca al Barça. Così come le vittorie allenano a vincere, le sconfitte agiscono all’opposto nell’inconscio di una squadra. È un procedimento psicologico. Alla prima difficoltà la psiche cerca in se stessa un rimedio alla nuova situazione, e se trova solo ricordi e esperienze negativi, è a quelli che si appellerà. La cura è dunque iniziare a vincere, non una volta, ma con continuità, proprio per forgiare quella base inconscia a cui attingere nei momenti difficili. In questo modo i giovani inizieranno a costruirsi un background vincente a cui attingere per reagire a una complicazione, i meno giovani potranno contrastare le precedenti esperienze traumatiche che hanno costruito il loro passato esperenziale.

Gli errori sotto porta. Altro punctum dolens sono le occasioni sprecate dalla squadra nella ripresa. La partita sarebbe potuta finire con 5 reti per la formazione blaugrana, ma tutte le occasioni sono state buttate al vento in malo modo. In una partita a eliminazione diretta questo significa quasi certamente uscire dalla manifestazione.

La condizione di Lewandowski. Dopo il mondiale il giocatore polacco sta diventando un problema. Non solo non segna più, ma le sue prestazioni stanno scadendo in maniera evidente. Lento, perfino impacciato con il pallone tra i piedi, sembra aver perduto quel killer instinct che ne avevano fatto il bomber più forte in Europa. Contro il Girona aveva avuto la chance di calciare in diagonale appena entrato in area. In altri tempi lo avrebbe fatto trovando il tiro e la rete. In quella circostanza ha tenuto la palla tra i piedi, ha perso un tempo di gioco, lo spazio per il tiro e l’occasione si è persa. Ieri, poi, il colmo. La giocata in contropiede nel secondo tempo non ha senso. Né per un professionista, né per una persona che gioca a tempo perso per divertirsi. Non è solo una clamorosa topica da 2 in pagella dal punto di vista tecnico, ma è proprio un errore di concetto. L’egoismo ottuso della ricerca della gloria personale a discapito del bene della squadra e del risultato sportivo. Ha anche sbagliato diversi stop, dribbling e tiri al volo, compreso un colpo di tacco sotto porta che ha finito per spazzare il pallone dall’area colchonera. Insomma, è crisi profonda.

E ora analizziamo le note liete. A partire dalla reazione comportamentale della squadra nel secondo tempo. Primo tempo molle, impaurito, quasi svogliato; ripresa allegra, brillante, sostenuta, vivace. Atteggiamento in campo totalmente diverso. La squadra ha messo nella seconda metà di gara quella audacia e quella vigoria che erano mancate nella prima parte.

La difesa. È il punto forte di questa formazione. 23 gare senza subire reti in Liga, 9 goal subiti. Ter Stegen ha eguagliato il record di imbattibilità di Bravo della stagione del triplete che il cileno aveva conseguito alla fine della stagione. Al portiere tedesco mancano, invece, ancora 8 partite per aumentare i suoi numeri e attaccare altri record al momento imbattuti.

Il recupero di alcuni degli infortunati. Altra nota lieta della partita contro l’Atletico è il ritorno in campo di De Jong (che mancava dalla sfida liguera contro il Madrid al Camp Nou) e Pedri (infortunatosi nell’andata contro il Man United). Per i due giocatori, che hanno disputato rispettivamente 77 e 30 minuti, una prima occasione per riprendere confidenza con il terreno di gioco e i ritmi partita. L’olandese, alla fine della gara, ha dichiarato di sentirsi distrutto per il fatto di aver giocato dopo pochi allenamenti sulle gambe. Dembélé sarà il prossimo a rientrare. Forse contro il Betis, in casa, alla 32ª.

Il risultato. Senz’ombra di dubbio l’uno a zero e i più 11 sul secondo posto sono la notizia migliore della serata. Dopo due pareggi consecutivi e quattro punti regalati al Madrid, questi tre conseguiti in una delle gare più difficili, con l’avversario che puntava ad attaccare la seconda piazza della classifica, sono una boccata d’ossigeno di cui il Barça aveva decisamente bisogno.

NEL GIORNO DI SANT JORDI IL BARÇA UCCIDE IL DRAGO E SALVA…LALIGA

Giuseppe Ortu Serra

Nel giorno di Sant Jordi Ferran indossa la fulgida armatura, uccide il drago cattivo rappresentato dal Madrid, anche se sotto le spoglie mentitrici dell’Atletico, e salva la Principessa – il Barça – da un destino cattivo e crudele che la voleva prigioniera per sempre nella torre più alta del castello. Nel giorno della festa degli innamorati più romantica al mondo, dove le ragazze regalano un libro ai loro amati, e i ragazzi una rosa alle rispettive fidanzate, nella giornata dedicata all’amore più colta e letteraria che esista sul pianeta, il Barça si appropria de LaLiga con una partita mozzafiato. Ferran, con un fendente di spada, ha trafitto Oblak allo scadere del primo tempo e ha regalato un sogno ai suoi tifosi trepidanti gioia e emozioni sugli spalti gremitissimi di un Camp Nou in festa. Una festa per tutta Barcelona. Le bancarelle dei libri e dei fiori sparse per mezza città; la finale del Godó con Alcaraz che solleva il trofeo; la finale del Charlie Xiol di polo alla mattina; e, quasi, la finale della Liga. La partita di cartello proprio nel giorno di Sant Jordi, come un’altra famosa partita in questo giorno meraviglioso, un Clásico vinto con un Messi protagonista, quello stesso Messi che oggi era in città con tutta la sua famiglia e il cui nome è stato coreato al 10° minuto da tutto lo stadio all’unisono. Come dire… “Lo senti tutto il nostro amore campione? Ti aspettiamo a braccia aperte”. A Parigi lo fischiano alla lettura delle formazioni. Al Barcelona lo acclamano anche da giocatore di un’altra squadra. Questo è il Barcelona, questa è Barcelona.

Il Barça è passato al primo tiro in porta, giunto al 44′. Fino ad allora aveva sofferto la maggiore praticità e freschezza dell’Atletico. Ma tanta paura nel primo tempo, sopratutto in avvio di gara. Dopo nemmeno 45′ il Barcelona ha rischiato di andare sotto. Busi perde palla al limite dell’area e Griezmann ne approfitta per cercare il goal dell’ex. Per sorte del Barça il pallone calciato dal colchonero colpisce la traversa e piomba nelle braccia di Ter Stegen dopo aver scavalcato il portiere azulgrana. Primo minuto e grande pericolo scampato.

Se il buongiorno si vede dal mattino… Il Barcelona ha iniziato a giocare con quel grande spavento che si è portato dietro per tutto il primo tempo. L’azione è risultata impaurita, spezzettata, frammezzata da errori forzati e gratuiti anche nei passaggi. Il gioco è stato lento, scontato con imprecisioni sconcertanti nei lanci e negli appoggi, tutte cose già viste nelle ultime tre partite (una sconfitta e due pareggi). L’Atletico si è messo dietro ad aspettare e bloccare sul nascere i tentativi blaugrana. Se dietro non ha sofferto, davanti ha attentato alla porta di Ter Stegen ancora con Griezmann al 34′, quando dopo un pasticcio difensivo con il pallone dei los de Xavi, l’ex dai capelli fucsia ha calciato dall’area piccola, chiamando il portiere blaugrana ad un grande intervento basso.

Il Barcelona in avanti è stato inesistente. Un tentativo di Lewa rimpallato in area, un tiro da terra di De Jong da dentro l’area finito alto, un cross sbagliato di Ferran per Raphinha che attendeva il pallone solo davanti a Oblak in attesa di un pallone che non sarebbe mai giunto. Alla fine, quando ormai nessuno se lo aspettava, il Barça ha trovato la spada di Sant Jordi nella borsa di Mary Poppins. Azione sviluppatasi sulla destra, palla in profondità per Raphinha, entrato in area dal lato corto di destra, virata come un bravo play sa fare sul parquet e servizio orizzontale per l’accorrente Ferran. Alla sinistra si è sovrapposto Lewandowski, ma il valenciano ha sollevato lo sguardo, messo nel mirino la porta e spinto il suo fendente nell’angolo basso della porta difesa da Oblak. 1 a 0, con il Camp Nou che ha lanciato un sospiro di sollievo mascherato da urlo liberatorio.

La ripresa si è aperta con un Barcelona totalmente differente rispetto a quello che aveva terminato la prima parte di gara appena un quarto d’ora prima. Squadra decisa, combattiva, determinata. Tutto quanto non si era visto nella prima parte del match si è notato subito all’occhio esperto. È bastato appena un minuto della seconda fase per capire che il vento era cambiato. La bonaccia aveva lasciato il posto ad un forte e sostenuto vento di maestrale. Talvolta rafficato, sopratutto in corrispondenza con le sfuriate della formazione oggi in maglia amarilla con la Senyera sul petto e l’Escudo al centro come nelle camisetas dei primi anni 2000.

La seconda parte di gara è stata spettacolare, ricca di cambi di fronte continui e tiri da entrambi i fronti. Le due formazioni hanno definitivamente abbandonato ogni tipo di prudenza, sposando un football decisamente offensivo e tendente a ottenere il massimo risultato. In gioco, d’altronde, c’era la vittoria del campionato da parte azulgrana e l’assalto al secondo posto detenuto dal Madrid da parte colchonera. Ecco, dunque, una serie continua di capovolgimenti di fronte che hanno caratterizzato questa seconda fase del match. Il Barça è stato il gran mattatore della fase offensiva con occasioni per Lewa (2), Ferran, Raphinha, Gavi, Raphinha e Lewandowski. L’Atletico ha risposto sopratutto con Carrasco, due volte pericoloso, De Paul, Griezmann e Morata. L’ultima occasione di Lewandowski, che è poi di fatto anche l’ultima dei suoi, è clamorosa, ma talmente clamorosa che è difficile vederla anche nei campetti amatoriali del sabato pomeriggio. E se dovesse accadere diventerebbe certamente la barzelletta e la presa in giro di una vita. Ebbene, è capitato al numero 9 del Barça, non ad un oscuro impiegato panciuto che cerca di dare quattro calci ad un pallone per svagarsi da una settimana carica di scartoffie. Correva il minuto 75′ e da un servizio dei suoi di Ter Stegen la palla finisce direttamente sui piedi del polacco, appostato al limite del centrocampo ed in posizione regolare. L’Atletico era sconsideratamente e completamente sbilanciato in avanti. Il numero 9 del Barça aveva così davanti a sé tutta la metà campo avversaria libera. Solo il portiere Oblak era rimasto a presidiare la porta, laggiù in fondo, un puntino nell’immenso terreno di gioco del Camp Nou. Tutti gli altri rojiblancos erano incredibilmente nella metà campo del Barça. Il sogno di ogni attaccante. Scappare in uno contro uno e segnare la rete della sicurezza nella partita più importante della stagione. Raphinha, che aveva capito lo sviluppo dell’azione, stava seguendo il compagno alla sua destra per fornire a Lewa una opzione in più all’ora di attaccare il portiere. Oblak, disperato, attaccato da ben due avversari, esce alla disperata sulla trequarti per cercare di fare muro contro il polacco. Con Raphinha libero a destra, basterebbe un passaggio per metterlo nella condizione di avere addirittura la porta vuota, senza portiere. Ovviamente Lewandowski avrà appoggiato a Raphinha direte voi, come ogni essere vivente (anche non umano) ha pensato in quell’istante. Tutti a dire: “Passa! Passa!” “Ecco, adesso gliela dà”. E quello che fa? Cerca di tirare in porta da 40 metri, forse più, e di superare l’uscita del portiere invece che appoggiare al compagno che sarebbe entrato in porta con la palla al piede. Risultato? Palla fuori! E partita ancora in bilico sull’uno a zero! Clamoroso, inconcepibile! L’impiegato panciuto di cui prima, se avesse fatto la medesima cosa al sabato pomeriggio, non sarebbe stato più chiamato dagli amici per le successive partitelle, oltre ad essere l’oggetto delle frecciate della compagnia amicale. Il numero 9 del Barça, il celebrato campione, il cannoniere, il killer, il The Best, il miglior bomber europeo per due anni consecutivi, il Pallone d’Oro mancato, non sappiamo a quale sorte sarà sottoposto dal vestiario e da Xavi, a quale supplizio medievale stile Marcellus Wallace con Zed nella famosa scena di Pulp Fiction, sarà soggetto nello spogliatoio del Barça nel dopo gara. L’unica cosa che sappiamo è che è andata bene perché alla fine si è vinto. Ma cosa sarebbe accaduto se l’Atleti avesse pareggiato nelle concitate azioni del finale di gara? In questo Barça bisogna rivedere tante cose, compreso il ruolo di celebrati campioni che, da dopo il mondiale in avanti, sono stati sostituiti da panciuti impiegati che scendono in campo senza preparazione mentale e la dovuta intelligenza calcistica.

Il Barça torna ad avere un vantaggio rassicurante nei confronti del Madrid, un + 11 che dopo uno scontro di questo tipo è oro colato. Ma mai tirare i remi in barca, mai presentarsi in campo con la mentalità dei primi 45 minuti, mai commettere gli errori che sotto porta ha commesso il Barça nella ripresa. Al di là dell’errore dilettantesco del polacco, ad un certo punto è sembrato che i blaugrana stessero giocando a chi sbagliava di più. Non solo Lewy, che ad un cerco punto ha cercato di intervenire di tacco colpendo talmente male da fare il difensore aggiunto dell’Atletico, ma anche Gavi, Ferran e Raphinha, come quando su preciso cross di Lewandowski (evviva!) il brasiliano è arrivato talmente male sulla palla da colpirla con il ginocchio e farla finire tra le mani di un Oblak che attendeva solo di recuperare la sfera dal fondo della porta. Non è ammissibile sbagliare così tanto e con errori di tale portata. Non se si vuole vincere qualcosa di importante che non sia un torneo lungo basato sulla regolarità. Nella costruzione della squadra questa estate bisognerà pensare seriamente a questo fatto. Resta il meraviglioso dato dell’ennesima partita senza aver incassato un goal. 30 partite e 23 cleen sheet. 9 reti subite delle quali due autoreti e due calci di rigore. Se a questa squadra dai una mentalità vincente negli scontri ad eliminazione diretta, dei giocatori che vedono la porta e uno che li mette davanti al portiere… beh, ci si potrà divertire seriamente.

L’ANTIPATICO: L’ODORE DELLA VERGOGNA DEL REAL MADRID

Giuseppe Ortu Serra

Era molto tempo che non scrivevo uno dei miei “L’Antipatico”. Ma il momento era ormai maturo vista la gravità dell’azione del Madrid, con quel video antistorico, falso e immorale che sporca e offende la memoria di tanti, troppi innocenti trucidati da Francisco Franco. Per questo era necessario ricorrere al “Fratello grande”, quello “che ti dice come stanno le cose“. Con quel video il Madrid ha fatto l’unica cosa che non si deve mai fare: tirare fuori gli scheletri dall’armadio e riaprire vecchie ferite, mai totalmente sopite, ma almeno sotterrate per il comune buon vivere.

Lawrence, o sarebbe meglio dire “Orens” come veniva chiamato dagli arabi, a colloquio con il consulente politico Dryden, disse: “L’onore ha un senso persino fra i ladri, ma non ne ha nessuno nella politica“. Oggi, alla luce del video pubblicato dal Real Madrid, marchiato a fuoco con i caratteri della vergogna, se fosse ancora vivo direbbe: “L’onore ha un senso persino fra i ladri, ma non ne ha nessuno nel Real Madrid“.

Quel video, di cui la Generalitat ne ha chiesto l’immediata rimozione tacciandolo di “Inaccettabile e indecente; falso e manipolatore“, ha messo in luce la vera anima del Club di Florentino Perez, del Club che fu il fiore all’occhiello di Francisco Franco, uno dei dittatori più abietti e sanguinari degli anni ’30. Un criminale con indosso una divisa militare e sotto la Camiseta Blanca del Real Madrid. Un binomio, quello della dittatura e il Real Madrid, di Francisco Franco e il Real Madrid, e prima di lui di Primo de Riveira e il Real Madrid, che è durato 70 anni e ha portato a vittorie estorte da minacce extra campo di cui ogni essere umano dovrebbe vergognarsi. Come la Vergüenza de Chamartín, il punto più basso dei rapporti tra il Real Madrid e il FC Barcelona, quell’11-1 per i blancos coartato dalle armi in pugno mostrate dagli uomini di Francisco Franco ai giocatori del Barça prima di entrare in campo per rovesciare il 3-0 che i blaugrana conquistarono lealmente e sportivamente all’andata in Catalunya. Come quelle prime 5 Coppe dei Campioni su cui gli storici sportivi nutrono forti, concreti e seri dubbi circa le modalità con le quali furono conquistate. Si parla di errori a favore del Madrid tanto scandalosi da far accapponare la pelle. Ma è chiaro, difficile dire di no ad un dittatore sanguinario, un criminale, un assassino che è anche il primo tifoso del Real Madrid.

Oggi il Real Madrid cerca di disconoscere quel legame sporco, sucio, imbarazzante, vergognoso e per farlo dice che è stato il Barcelona la squadra del regime. Questo è sintomatico del peso della colpa. Se devi dire una bugia dilla grossa, si dice. Beh, signori, questa è la più grande mai udita. Questa le batte tutte! “Il Barcelona la squadra del regime franchista, my ass!” avrebbe detto una delle detenute nel braccio della morte del film Chicago. Il Barcelona che è stato violentato, stuprato dalla politica del regime franquista. Che ha visto il suo nome cambiato di imperio da Football Club Barcelona a Club de Football Barcelona; che ha visto il suo scudo devastato da una operazione di lifting politico espanolista per eliderne le matrici catalane. Quel Club i cui presidenti venivano nominati non più democraticamente dai soci all’interno del club, ma su nomina del partito franchista direttamente da Madrid per franquizzare, madridizzare un club profondamente catalano, anti franquista, libertario, aperto al mondo e agli aneliti democratici; quegli stessi presidenti che a dispetto della loro nomina finivano inevitabilmente per innamorarsi di quella terra, di quel club e sposare in qualche modo la causa catalana. Quello stesso club il cui presidente, Josep Sunyol i Garriga, cadde in una imboscata tesa dai franchisti e fu fucilato nel 1936, all’inizio della Guerra Civile, nella Sierra de Guadarrama, a Guadalajara, sulla strada per Madrid, per il solo fatto di essere del Barça e di non volersi piegare al dittatore e a Madrid. Di cosa stiamo parlando? Donnie Brasco avrebbe detto: “Che te lo dico a fare?!” Stiamo parlando di quel Barcelona il cui suo giocatore simbolo negli anni ’70, al suo arrivo in terra catalana, a precisa domanda sul perché non avesse scelto il Real Madrid disse: “Non giocherei mai per un club che ha come primo tifoso un dittatore”, non del Reial Madrid.

La madre degli imbecilli è sempre in cinta dice un proverbio popolare che non mi piace perché volgare, ma che qui cito perché rende a meraviglia il concetto. Ed è poi vero che quando hai a che fare con le persone luride e lorde non puoi fare a meno di sporcarti le mani anche per il solo fatto di toccarle, di averci a che fare, di averle davanti. Il Real Madrid, Florentino Perez, Casillas, Marcelo, Arbeloa e il portiere del Madrid femminile Misa, che hanno condiviso con tanto di corazón blanco il video, fanno parte di quella nidiata di imbecilli la cui madre è sempre incinta.

Quando si è colpevoli di un certo misfatto, anche solo morale o etico, si fa di tutto per prenderne le distanze. La mente umana tenta di negare a se stesso anche solo l’esistenza del fatto e dell’accaduto fino a rimuoverne totalmente l’evento dalla memoria. Clinicamente si cura con la psicoanalisi. In questo caso è sufficiente un bel libro di storia per ricordare a chi di dovere cosa e chi. Il Real Madrid ha tentato di usare lo stesso sistema: negare a se stesso di avere fatto un patto con il diavolo per una vita di vittorie e privilegi; negare a se stesso di avere giaciuto con il mostro, di averci fatto sesso e avere dato alla luce mostri di altri mostri. Ci ha provato fino al punto di riversare la propria colpa sulla vittima del suo stesso sudicio e immondo concupiscente giacere con il mostro dall’anima nera e grondante sangue: fino al punto di riversare la sua colpa sul FC Barcelona.

La scelta di quel colore, il bianco, usato per le maglie, sembra proprio una excusatio non petita. Un infantile e rivelatore, a contrario, della sua anima nera. Ieri come oggi, con questo osceno video, con questo maldestro tentativo di rovesciare la realtà e di sfuggire a colpe ataviche, non sarà un colore a mondare, pulire, purificare chi ha l’anima più nera dell’oscurità profonda che regna negli inferi.

Sembra che Madrid e il Real Madrid non riescano a fare a meno di ricadere sempre negli stessi errori: fare la guerra a Barcelona, alla Catalunya. Non riescono a vivere in pace e in tranquillità con il pacifico vicino. Se in riva al mare hanno qualcosa di bello e di prezioso, quel qualcosa lo vogliono loro, lo vogliono prendere e possedere per bearsene e, soprattutto, per toglierlo agli altri. Come per la Formula 1. Barcelona e la Catalunya hanno il Gran Premio di automobilismo? Non sia mai che non lo abbia la gelosa e trucida Madrid. La Strega Cattiva deve fare di tutto per portarlo via a Cenerentola che non deve andare al ballo del Principe. E così Madrid strapperà il Gran Premio del Mondiale di Formula 1 a Barcelona. Oggi questa storia che il FC Barcelona era la squadra del regime di Francisco Franco e non il Real Madrid e quell’immondo video che trasuda odore di vergogna.

PREOCCUPAZIONE PER UN BARÇA CHE NON SA PIù VINCERE, SEGNARE E GIOCARE

Giuseppe Ortu Serra

Secondo pareggio consecutivo per zero a zero e terza partita di seguito senza reti, contando anche lo 0-4 contro il Madrid, per un Barça irriconoscibile. Il Barcelona è in chiaro ed evidente affanno. I punti nei confronti dei blancos si sono ridotti a 11, sempre una enormità, ma attenzione perché questa stanchezza mentale e fisica del Barcelona, e la sua involuzione nel gioco, inizia seriamente a preoccupare.

La gara è finita con un Raphinha infuriato per l’ennesima sostituzione patita. Cambio molto probabilmente figlio di quel contropiede che sul finire della gara ha rischiato di far lasciare il campo al Barça con una sconfitta. Al suo posto è entrato Pablo Torre per dare maggiore consistenza al reparto centrale. In precedenza, al 67′, Xavi aveva fatto uscire Kessie e Jordi per dare maggiore peso all’attacco con gli ingressi di Ansu (ancora una volta bocciato) e Ferran, piazzatosi sulla linea del centrocampo. Dopo lo spavento dell’86’ il tecnico blaugrana è tornato velocemente sui suoi passi, rivedendo lo schema tattico, facendo salire Ferran e ricostituendo la linea mediana con Busi, Gavi e Torre.

Contro il Getafe, al Coliseum, il Barça ha mostrato per la terza volta consecutiva segni di stanchezza e cedimento. Un brutto primo tempo concluso con uno scontato e scialbo zero a zero. Tutta la gara dei blaugrana si è trascinata stancamente fino al triplice fischio finale. Una partita fatta di un palleggio scolastico, stentato e lento, addirittura approssimativo per ampie frazioni di gara, condito da errori di misura nei lanci in profondità e nei cambi di campo. La partita è stata equilibrata, fin troppo pensando alla differenza di classifica tra le due formazioni. Problema, peraltro, già visto contro il Girona.

La formazione di Xavi si è resa pericolosa in una sola doppia circostanza durante il primo tempo. Correva il 24° minuto e un lancio di Ter Stegen, sul quale Lewandowski non è intervenuto facendosi scavalcare dal rimbalzo, ha messo in moto Raphinha che si è involato solo in area di rigore azulón. Il tiro ha centrato il palo interno, e sulla ribattuta è intervenuto Balde che ha calciato (male) verso il secondo palo colpendolo nuovamente. Grande, clamorosa occasione, ma anche praticamente l’unica di tutti i primi 45 minuti. Solo al 45′ il portiere Soria è dovuto intervenire a bloccare in volo un colpo di testa di Lewy. Poco, decisamente troppo poco. Sopratutto se si pensa che l’unico tentativo di conclusione da fuori area è giunta dai piedi di Araujo al 46′.

Il Getafe di Quique Sanchez Flores, vecchia conoscenza dell’Espanyol, si è piazzato con un 5-2-3 che non ha concesso spazi agli avversari. Organizzato dietro e a centrocampo, il Getafe ha tentato anche qualche sortita offensiva senza creare grattacapi alla porta difesa da Ter Stegen. Da sottolineare l’infortunio muscolare occorso a Sergi Roberto, che al 17′ ha costretto Xavi ad intervenire mandando in campo Eric, schierato da laterale destro nel ruolo del numero 20 infortunato.

La ripresa ha visto il lento scorrere del tempo con in campo due squadre che sembravano accontentarsi del pareggio. Il Barcelona non dava l’idea di una formazione che lottava con i denti per riconquistare il titolo che manca a Barcelona dal 2019; il Getafe giocava per restare attaccato al risultato di zero a zero e provare a vedere cosa poteva accadere in avanti. In tutti i secondi 45 minuti le due formazioni hanno prodotto una occasione a testa. I blaugrana sono andati vicino alla rete con Raphinha con un bel destro a giro deviato con difficoltà in calcio d’angolo da Soria al 74′. Ma è stato il Getafe ad aver avuto la palla del match, e della vittoria, all’86° minuto. Contropiede lanciato dalla destra del fronte d’attacco degli azulónes che ha presentato al tiro Borja Mayoral dopo un mezzo intervento in area di Araujo, che ha intercettato un cross rasoterra, ma ha poi lasciato la palla lì, nella disponibilità del numero 19 del Getafe. Per fortuna degli azulgrana il diagonale a botta sicura ha fatto la barba al palo per poi perdersi sul fondo, permettendo a Xavi & Co di tenere lo striminzito pareggio a reti bianche. Magra consolazione.

Alla fine del campionato mancano 9 giornate e partite importanti restano ancora da giocare contro squadre forti, o piccole impegnate nella lotta per non retrocedere. Già dalla prossima giornata, quando si incrocerà l’Atletico Madrid, per non parlare poi del Betis, dell’Espanyol, della Real, del Valladolid. Tutte squadre capaci di fare lo sgambetto a questo Barça che appare sulle ginocchia, senza idee in campo e con poca combattività.

UN BARÇA DELUDENTE REGALA DUE PUNTI AL MADRID E NON CHIUDE LALIGA

Giuseppe Ortu Serra

Solo un pareggio, un deludente pareggio a reti bianche della formazione blaugrana nella partita che avrebbe dovuto chiudere definitivamente La Liga. Dopo la sconfitta in casa del Real Madrid contro il Villarreal, che ha di fatto spianato la strada della vittoria in campionato al Barça, contro il Girona ci si aspettava una squadra famelica che avrebbe dovuto aggredire avversario e pallone per chiudere definitivamente i conti con il campionato e con il rivale diretto. Invece ciò che è sceso in campo al Camp Nou è stato un Barça grigio, lento, compassato, quasi svogliato. La squadra di Xavi è parsa una formazione che non si giocava niente contro il Girona, non il vero match ball della stagione interna.

La squadra ha messo in campo la prestazione che non ti aspetti. Attacco inesistente. Raphinha, molta gazzosa e poco costrutto, sopratutto poche giocate lucide e intelligenti; Lewandowski, un fantasma di un maniero scozzese che cammina trascinandosi una pesante catena con palla di ferro annessa che ne limita i movimenti. Poco coinvolto, il polacco si è mostrato molto impreciso nelle sue poche giocate che lo hanno visto protagonista; Ansu… era in campo il numero 10? A centrocampo poco movimento. Il più elettrico, come sempre, Gavi. Sergi Roberto è stato una pena; Busi, ordine e disciplina, ma nessuna invenzione e sopratutto un passo cadenzato da moviola. Balde, nel laterale sinistro, ha cercato la profondità, il fondo, e ha messo diversi palloni in area, ma non sempre sono stati precisi i suoi palloni. La difesa del Girona ha svolto il suo compito senza grossi patemi, giganteggiando sul dormitorio dell’attacco blaugrana. Araujo è stato certamente il più pericoloso nei primi 45 minuti, con un tocco sotto porta che è stato respinto dal portiere Gazzaniga un centimetro prima che il pallone oltrepassasse totalmente la linea di porta. Proteste dei giocatori in campo che reclamavano la rete, ma la goal-line technology, che per la verità è sembrata non funzionare posto che è entrato in azione il Var, ha detto picche. Se in campo si è dormito, altrettanto si è fatto sugli spalti. Splendida l’immagine di un piccolo rannicchiato nel seggiolino accanto alla madre che ronfava della grossa.

Con il risultato di zero a zero le squadre hanno fatto rientro in campo per la disputa del secondo tempo. Subito una sostituzione: Kessie per Sergi Roberto. Non che sia cambiato nulla per la verità. Se fosse possibile, anzi, i blaugrana hanno affrontato la seconda parte ancora più addormentati della prima metà di gara. Inaccettabile! Subito una occasione clamorosa per il Girona, con Castellanos lanciato solo davanti a Ter Stegen per un buco clamoroso della difesa centrale. Per fortuna del Barça il numero 9 del Girona ha deciso che il regalo fosse troppo generoso per essere accettato, sprecando così incredibilmente a lato. Frattanto il tempo correva e il Barcelona restava su un deludente pareggio che non chiudeva LaLiga. La Formazione di Xavi continuava nel lento giro palla che portava, ogni tanto, a qualche tiro fuori dai pali. Nulla di più. Evidentemente lo stesso allenatore non è stato in grado di preparare mentalmente e tatticamente una partita di tale importanza e di caricare una squadra che non dovrebbe avere bisogno di essere spronata per giocare una partita di tale valore. I cambi operati dal tecnico azulgrana (Ferran per Ansu e Jordi per Raphinha) hanno leggermente migliorato la situazione, ma non in tale maniera da pervenire ad una vittoria che tutti si attendevano. Jordi, da extremo sinistro, con spostamento di Ferran, entrato minuti prima per il solito, spento Ansu, a destra, ha dato maggiore verve all’attacco barcelonista. Tuttavia le due occasioni più ghiotte della gara sono arrivate addirittura durante il recupero. Al 94′ con Gavi, che di testa ha impegnato Gazzaniga in una deviazione sopra la traversa; al 95′ con un colpo di tacco di Lewandowski a spiazzare il portiere deviato da un piede galeotto di un difensore del Girona. Il Barça del secondo tempo, e di fatto di tutta la gara, è stato tutto qui, in queste due mega occasioni giunte a tempo praticamente scaduto. Poco, troppo poco per una squadra che oggi ha mostrato, nel momento in cui avrebbe dovuto quagliare, tirare le somme, e mettere il suo sigillo al campionato, di avere ancora una mentalità da piccola squadra che si tramuta, in Europa, in prestazioni timorose, delusioni e sconfitte. Questa è una squadra che non riesce a dare il colpo di grazia. Ciò può essere sufficiente per vincere in un torneo lungo, con scontri che ammettono una possibilità di recupero, ma nelle gare da dentro o fuori, questa è una squadra che si squaglia e che se la fa addosso. Motivi? Sostanzialmente inesperienza, mentalità da perdente e paura di vincere. E anche Xavi mostra tutti i suoi limiti sotto questo punto di vista. Questa paura di vincere, contro il Girona si è tradotto in tutto il peggio di un gioco lento, inutile, inefficace. Nello scontro contro il Girona il Barça ha lasciato lo stadio con due punti persi, regalati ad un Madrid che già attendeva con la testa infilata nella ghigliottina. A questo punto si poteva essere a più 15. Si va invece a più 13. Non ne facciamo un discorso di numeri. 13 vanno bene quanto 15. Il discorso è un altro. Ciò che preoccupa non è questo campionato, ci mancherebbe altro, quanto piuttosto la prossima stagione. Questa squadra deve cambiare totalmente maniera di pensare, e di conseguenza di giocare, perché andando avanti di questo passo anche il Barça di Xavi è destinato a continuare a fallire in Europa, nelle partite da dentro o fuori e in quelle in cui si alza l’asticella dell’importanza, della tensione e dell’ansia, come i suoi predecessori delle ultime stagioni. Il Real Madrid vince in Europa più per la grande capacità mentale che per la tecnica. É una squadra forte mentalmente che aggredisce e abbatte gli avversari sul piano mentale, che riesce a superare momenti difficili e a prevalere sugli opponenti anche nelle avversità. Al Barcelona manca questo killer instinct, questa superiorità caratteriale, questa forza mentale che fa di una buona squadra una formazione vincente. A partire dal suo allenatore.

È IL MADRID A VOLAre in finale. BARÇA BATTUTO IN CASA

Giuseppe Ortu Serra

Sarà il Madrid a giocare contro l’Osasuna. Il Barça si ferma al limitare della finale a causa di un secondo tempo in cui è stato messo KO da un Madrid cannibale che ha sfruttato ogni minima occasione per segnare e sentenziare l’eliminatoria. Uno 0-4 doloroso per come si è sviluppata la partita e per le tante recriminazioni contro le quali ha dovuto lottare il Barça nel corso di un primo tempo in cui si è assistito ad un arbitraggio stile Verguenza de Chamartin. Un tempo a testa e partita ai blancos. Questo il riassunto stringato della partita. Ma non è corretto limitarsi a questa lettura spicciola della gara.

I primi 45 minuti hanno visto in campo una sola squadra, quella blaugrana, che ha messo sul prato verde tutto quanto aveva: aggressività, velocità, gioco e… Football (con la F maiuscola). Il Madrid ha ballato, è scivolato, si è piegato, è stato costretto all’angolo, contro le corde, da una gragnola di colpi dei blaugrana che, tuttavia, non lo hanno messo al tappeto. E questo è il peccato che i ragazzi di Xavi hanno commesso. I blancos hanno avuto la sorte di restare in qualche modo in piedi aiutati da Martinez Munuera e dal Var che, al momento opportuno, quando stavano andando al tappeto nei primissimi minuti di gara per un fallo di mano tanto clamoroso da far apparire l’Empire State Building un palazzotto di tre piani, lo ha preso per la collottola e lo ha rimesso in posizione verticale, salvandoli dal fischiare un calcio di rigore a favore del Barcelona tanto clamoroso quanto evidente. In un Paese normale, in una competizione normale non fuorviata da favori occulti (quelli sì che sarebbero da indagare, non normali e naïf schede di profiling sul comportamento degli arbitri di turno), sarebbe stato penalty a favore del Barça e con tutta probabilità uno a zero dopo appena tre minuti di gioco. Il che avrebbe significato eliminatoria indirizzata. Così non è stato. I poteri occulti, la “mano nera”, chiamatela come volete, non lo hanno permesso, agendo come le tre proverbiali scimmiette che non vedono, non sentono e non parlano. Salvato il Madrid dalla prospettiva di trovarsi sotto nel punteggio già prima di iniziare a giocare, il Barça ha continuato a macinare gioco e a creare occasioni su occasioni: ma vuoi Courtois, vuoi un pizzico di imprecisione sotto porta, vuoi una difesa del Madrid che ha deviato ogni tentativo blaugrana con ogni parte del corpo possibile, non si è giunti al più che meritato goal del vantaggio. E proprio quando sembrava fatta, tiro di Lewy al 45′ dal centro dell’area in girata, respinta dell’arquero del Madrid e nuovo intervento sospetto sulle gambe del polacco di due giocatori del Madrid mentre Robert si accingeva a ribattere facilmente in rete da due passi, sul capovolgimento di fronte, e sul contropiede susseguente, il Madrid è passato. È stato Vinicius a piazzare di piatto sul primo palo una conclusione che Koundé non è riuscito a deviarla totalmente fuori dallo specchio della porta. 0-1 nel momento in cui la partita era vestita totalmente di blaugrana.

La rete del Real Madrid è stata come un uppercut che ha, di fatto, fatto uscire la formazione di Xavi dalla partita e dalla Copa del Rey. Infatti alla ripresa del gioco, nella ripresa, il Barça è caduto ancora. I blaugrana sono rientrati in campo ancora frastornati dalla botta subita; il Madrid, invece, carico a palla. E così, dopo pochi minuti dall’inizio del secondo tempo, al 49′, Benzema ha raddoppiato per i suoi e ha, di fatto, chiuso la sfida. Altra botta, ancora più terrificante di quella precedente.

Il Barcelona ha provato a reagire, ma si vedeva che non era più quello del primo tempo. Era finita la magia, la grinta, la compattezza, quella cieca convinzione di essere superiori all’avversario ed essere ad un passo dall’azzannarlo per la quarta volta in cinque sfide. I blaugrana sono stati encomiabili, ma si percepiva che mancava qualcosa, che la fiamma del fuoco olimpico si era spenta. Il gioco non era più convinto, i recuperi non erano più “cattivi”, e così i meccanismi. La squadra iniziava ad allungarsi. Il Barça avrebbe dovuto fare passare la buriana restando attaccato al risultato di 0-2 e alla partita. Ma è arrivato il rigore su Vinicius di Kessie (questo sì visto senza indugi dal solerte arbitro della gara), a mandare in frantumi il pregiato cristallo già incrinato dall’uno-due di Vinicius e Benzema. Il terzo goal, quello su rigore, ancora di Benzema, ha fatto partire i titoli di coda alla gara. Il resto rimane per la cronaca. Cambio Kessié – Ansu e Ferran – Raphinha al 65′, con Gavi retrocesso a centrocampo e attacco a tre con Ferran, Lewa e Ansu, ma è stato ancora il Madrid a passare. Ancora in contropiede e ancora una volta con il numero 9 barbuto che ha chiuso l’ennesimo contropiede.

Il Madrid vola in finale, chiude la serie dei Clásicos con una vittoria al Camp Nou e capitalizza al massimo ogni occasione da rete avuta. Il Barça si lecca le ferite, forte però del +12 in classifica sull’avversario in Liga, della vittoria contro il Madrid nella Supercopa di Spagna e delle vittorie contro i blancos al Bernabeu nell’andata di semifinale di Copa e nel ritorno di campionato al Camp Nou, e pronto a ripartire in campionato per chiudere il prima possibile LaLiga e sentenziare il secondo titolo della stagione in faccia al Real Madrid.