Giuseppe Ortu Serra
Nel giorno di Sant Jordi Ferran indossa la fulgida armatura, uccide il drago cattivo rappresentato dal Madrid, anche se sotto le spoglie mentitrici dell’Atletico, e salva la Principessa – il Barça – da un destino cattivo e crudele che la voleva prigioniera per sempre nella torre più alta del castello. Nel giorno della festa degli innamorati più romantica al mondo, dove le ragazze regalano un libro ai loro amati, e i ragazzi una rosa alle rispettive fidanzate, nella giornata dedicata all’amore più colta e letteraria che esista sul pianeta, il Barça si appropria de LaLiga con una partita mozzafiato. Ferran, con un fendente di spada, ha trafitto Oblak allo scadere del primo tempo e ha regalato un sogno ai suoi tifosi trepidanti gioia e emozioni sugli spalti gremitissimi di un Camp Nou in festa. Una festa per tutta Barcelona. Le bancarelle dei libri e dei fiori sparse per mezza città; la finale del Godó con Alcaraz che solleva il trofeo; la finale del Charlie Xiol di polo alla mattina; e, quasi, la finale della Liga. La partita di cartello proprio nel giorno di Sant Jordi, come un’altra famosa partita in questo giorno meraviglioso, un Clásico vinto con un Messi protagonista, quello stesso Messi che oggi era in città con tutta la sua famiglia e il cui nome è stato coreato al 10° minuto da tutto lo stadio all’unisono. Come dire… “Lo senti tutto il nostro amore campione? Ti aspettiamo a braccia aperte”. A Parigi lo fischiano alla lettura delle formazioni. Al Barcelona lo acclamano anche da giocatore di un’altra squadra. Questo è il Barcelona, questa è Barcelona.
Il Barça è passato al primo tiro in porta, giunto al 44′. Fino ad allora aveva sofferto la maggiore praticità e freschezza dell’Atletico. Ma tanta paura nel primo tempo, sopratutto in avvio di gara. Dopo nemmeno 45′ il Barcelona ha rischiato di andare sotto. Busi perde palla al limite dell’area e Griezmann ne approfitta per cercare il goal dell’ex. Per sorte del Barça il pallone calciato dal colchonero colpisce la traversa e piomba nelle braccia di Ter Stegen dopo aver scavalcato il portiere azulgrana. Primo minuto e grande pericolo scampato.
Se il buongiorno si vede dal mattino… Il Barcelona ha iniziato a giocare con quel grande spavento che si è portato dietro per tutto il primo tempo. L’azione è risultata impaurita, spezzettata, frammezzata da errori forzati e gratuiti anche nei passaggi. Il gioco è stato lento, scontato con imprecisioni sconcertanti nei lanci e negli appoggi, tutte cose già viste nelle ultime tre partite (una sconfitta e due pareggi). L’Atletico si è messo dietro ad aspettare e bloccare sul nascere i tentativi blaugrana. Se dietro non ha sofferto, davanti ha attentato alla porta di Ter Stegen ancora con Griezmann al 34′, quando dopo un pasticcio difensivo con il pallone dei los de Xavi, l’ex dai capelli fucsia ha calciato dall’area piccola, chiamando il portiere blaugrana ad un grande intervento basso.
Il Barcelona in avanti è stato inesistente. Un tentativo di Lewa rimpallato in area, un tiro da terra di De Jong da dentro l’area finito alto, un cross sbagliato di Ferran per Raphinha che attendeva il pallone solo davanti a Oblak in attesa di un pallone che non sarebbe mai giunto. Alla fine, quando ormai nessuno se lo aspettava, il Barça ha trovato la spada di Sant Jordi nella borsa di Mary Poppins. Azione sviluppatasi sulla destra, palla in profondità per Raphinha, entrato in area dal lato corto di destra, virata come un bravo play sa fare sul parquet e servizio orizzontale per l’accorrente Ferran. Alla sinistra si è sovrapposto Lewandowski, ma il valenciano ha sollevato lo sguardo, messo nel mirino la porta e spinto il suo fendente nell’angolo basso della porta difesa da Oblak. 1 a 0, con il Camp Nou che ha lanciato un sospiro di sollievo mascherato da urlo liberatorio.
La ripresa si è aperta con un Barcelona totalmente differente rispetto a quello che aveva terminato la prima parte di gara appena un quarto d’ora prima. Squadra decisa, combattiva, determinata. Tutto quanto non si era visto nella prima parte del match si è notato subito all’occhio esperto. È bastato appena un minuto della seconda fase per capire che il vento era cambiato. La bonaccia aveva lasciato il posto ad un forte e sostenuto vento di maestrale. Talvolta rafficato, sopratutto in corrispondenza con le sfuriate della formazione oggi in maglia amarilla con la Senyera sul petto e l’Escudo al centro come nelle camisetas dei primi anni 2000.
La seconda parte di gara è stata spettacolare, ricca di cambi di fronte continui e tiri da entrambi i fronti. Le due formazioni hanno definitivamente abbandonato ogni tipo di prudenza, sposando un football decisamente offensivo e tendente a ottenere il massimo risultato. In gioco, d’altronde, c’era la vittoria del campionato da parte azulgrana e l’assalto al secondo posto detenuto dal Madrid da parte colchonera. Ecco, dunque, una serie continua di capovolgimenti di fronte che hanno caratterizzato questa seconda fase del match. Il Barça è stato il gran mattatore della fase offensiva con occasioni per Lewa (2), Ferran, Raphinha, Gavi, Raphinha e Lewandowski. L’Atletico ha risposto sopratutto con Carrasco, due volte pericoloso, De Paul, Griezmann e Morata. L’ultima occasione di Lewandowski, che è poi di fatto anche l’ultima dei suoi, è clamorosa, ma talmente clamorosa che è difficile vederla anche nei campetti amatoriali del sabato pomeriggio. E se dovesse accadere diventerebbe certamente la barzelletta e la presa in giro di una vita. Ebbene, è capitato al numero 9 del Barça, non ad un oscuro impiegato panciuto che cerca di dare quattro calci ad un pallone per svagarsi da una settimana carica di scartoffie. Correva il minuto 75′ e da un servizio dei suoi di Ter Stegen la palla finisce direttamente sui piedi del polacco, appostato al limite del centrocampo ed in posizione regolare. L’Atletico era sconsideratamente e completamente sbilanciato in avanti. Il numero 9 del Barça aveva così davanti a sé tutta la metà campo avversaria libera. Solo il portiere Oblak era rimasto a presidiare la porta, laggiù in fondo, un puntino nell’immenso terreno di gioco del Camp Nou. Tutti gli altri rojiblancos erano incredibilmente nella metà campo del Barça. Il sogno di ogni attaccante. Scappare in uno contro uno e segnare la rete della sicurezza nella partita più importante della stagione. Raphinha, che aveva capito lo sviluppo dell’azione, stava seguendo il compagno alla sua destra per fornire a Lewa una opzione in più all’ora di attaccare il portiere. Oblak, disperato, attaccato da ben due avversari, esce alla disperata sulla trequarti per cercare di fare muro contro il polacco. Con Raphinha libero a destra, basterebbe un passaggio per metterlo nella condizione di avere addirittura la porta vuota, senza portiere. Ovviamente Lewandowski avrà appoggiato a Raphinha direte voi, come ogni essere vivente (anche non umano) ha pensato in quell’istante. Tutti a dire: “Passa! Passa!” “Ecco, adesso gliela dà”. E quello che fa? Cerca di tirare in porta da 40 metri, forse più, e di superare l’uscita del portiere invece che appoggiare al compagno che sarebbe entrato in porta con la palla al piede. Risultato? Palla fuori! E partita ancora in bilico sull’uno a zero! Clamoroso, inconcepibile! L’impiegato panciuto di cui prima, se avesse fatto la medesima cosa al sabato pomeriggio, non sarebbe stato più chiamato dagli amici per le successive partitelle, oltre ad essere l’oggetto delle frecciate della compagnia amicale. Il numero 9 del Barça, il celebrato campione, il cannoniere, il killer, il The Best, il miglior bomber europeo per due anni consecutivi, il Pallone d’Oro mancato, non sappiamo a quale sorte sarà sottoposto dal vestiario e da Xavi, a quale supplizio medievale stile Marcellus Wallace con Zed nella famosa scena di Pulp Fiction, sarà soggetto nello spogliatoio del Barça nel dopo gara. L’unica cosa che sappiamo è che è andata bene perché alla fine si è vinto. Ma cosa sarebbe accaduto se l’Atleti avesse pareggiato nelle concitate azioni del finale di gara? In questo Barça bisogna rivedere tante cose, compreso il ruolo di celebrati campioni che, da dopo il mondiale in avanti, sono stati sostituiti da panciuti impiegati che scendono in campo senza preparazione mentale e la dovuta intelligenza calcistica.
Il Barça torna ad avere un vantaggio rassicurante nei confronti del Madrid, un + 11 che dopo uno scontro di questo tipo è oro colato. Ma mai tirare i remi in barca, mai presentarsi in campo con la mentalità dei primi 45 minuti, mai commettere gli errori che sotto porta ha commesso il Barça nella ripresa. Al di là dell’errore dilettantesco del polacco, ad un certo punto è sembrato che i blaugrana stessero giocando a chi sbagliava di più. Non solo Lewy, che ad un cerco punto ha cercato di intervenire di tacco colpendo talmente male da fare il difensore aggiunto dell’Atletico, ma anche Gavi, Ferran e Raphinha, come quando su preciso cross di Lewandowski (evviva!) il brasiliano è arrivato talmente male sulla palla da colpirla con il ginocchio e farla finire tra le mani di un Oblak che attendeva solo di recuperare la sfera dal fondo della porta. Non è ammissibile sbagliare così tanto e con errori di tale portata. Non se si vuole vincere qualcosa di importante che non sia un torneo lungo basato sulla regolarità. Nella costruzione della squadra questa estate bisognerà pensare seriamente a questo fatto. Resta il meraviglioso dato dell’ennesima partita senza aver incassato un goal. 30 partite e 23 cleen sheet. 9 reti subite delle quali due autoreti e due calci di rigore. Se a questa squadra dai una mentalità vincente negli scontri ad eliminazione diretta, dei giocatori che vedono la porta e uno che li mette davanti al portiere… beh, ci si potrà divertire seriamente.