Perché i media italiani tirano la volata al Gruppo Suning?

di Giuseppe Ortu

 

File:Suning Holdings Group.png - Wikipedia

 

Nel mondo dell’informazione una notizia inesatta o inesistente è un evento gravissimo. Distorce la realtà, la forza a conclusioni opposte al vero, crea movimenti o pressioni popolari. Con una sola notizia si può screditare la reputazione di una persona, far cadere un governo, far crollare le azioni in borsa di una società.
Una società finanziaria che gode di ottima salute può essere dinamitata da una notizia lanciata ad arte su un sospetto di insolvenza. Le azioni possono crollare da un momento all’altro e con esse anche la vita di milioni di persone. Ovviamente può avvenire anche il contrario. Attraverso informazione non vera o gonfiata ad arte, si possono aprire nuovi mercati, concludere contratti commerciali altrimenti non raggiungibili. Allo stesso tempo si può eccitare gli animi di milioni di risparmiatori al fine di una crescita fittizia del valore delle azioni. Azioni che salgono solo per merito di una notizia senza sostrato alcuno. La classica bolla speculativa. Crescita esponenziale e apparentemente inarrestabile di titoli che si reggono sul nulla, sull’effetto di quei primi aumenti che portano a loro volta ad altri aumenti. Una folle corsa verso l’alto basata su una notizia a volte falsa, altre volte machiavellicamente inesatta o esagerata. In questi casi la bolla si gonfia a dismisura fino alla sua naturale conclusione. Lo scoppio della bolla speculativa che lascia quasi tutti a terra con il cerino in mano. A quanti casi simili abbiamo assistito? In letteratura finanziaria hanno scritto tomi su tomi su questo. Dai tulipani alle penny stock, passando per le dotcom.

E il calcio? Il calcio non scherza. Non è avulso da tutto questo. Non siamo più negli anni delle passioni quasi dilettantesche, senza colossi industriali quotati in borsa alle spalle che possano essere influenzati dal mondo del calcio. Il mondo del pallone non deve essere visto solo dal punto di vista sportivo. I giocatori che scendono in campo, il pubblico che affolla le tribune e esulta per una rete sono solo la punta dell’iceberg. Dietro l’odore dell’erba ci sono multinazionali che investono sul calcio, aziende quotate in borsa con bilanci da medio-grandi stati centroafricani, impiegati sparsi in tutto il mondo. Il calcio smuove tanti soldi dietro le quinte. Per questo motivo non si può scherzare parlando di calcio se si è professionisti del settore. La stampa sportiva deve essere consapevole che nel calcio di oggi una notizia esagerata può creare enormi danni finanziari ai mercati e a milioni di investitori. Gli interessi economici che smuovono il football dovrebbero imporre ad ognuno di noi la cautela che si presta quando si acquista un prodotto finanziario. Perché oggi il calcio è questo. Un elaborato prodotto finanziario con indosso una maglia e un paio di scarpette. Ogni volta che la stampa scrive non di fatti, ma di fantasie, dovrebbe pensare a quali possono essere le conseguenze di quell’agire. E sopratutto chi sta favorendo. Conseguenze che possono essere sfruttate scientemente da qualcuno a detrimento di altri. Non c’è più spazio per i dilettanti nel calcio. La stampa sia professionista come lo sono i club.

Suning, il gruppo proprietario dell’Inter, è una società per azioni cinese che opera nel settore del commercio al dettaglio di prodotti elettronici. E’ quotato presso la borsa di Shenzhen dal 2004. La società ha sempre avuto una quotazione molto bassa, non raggiungendo mai nemmeno i 20 renminbi. La quotazione storica in up l’ha registrata a 18,53 nel 2015. Poi una inesorabile, malinconica discesa fino agli 8,83 di fine giugno. A quel punto sono giunte dal nulla le notizie su Messiall’Inter lanciate da qualcuno, a cui si sono accodati come bravi frati trappisti in processione tutti i media. Dal primo luglio il titolo è entrato in rally, arrivando fino alla quotazione di 12,55 il 14 luglio. Un po’ di calma nelle notizie e nuova flessione del titolo, sceso a 10,04. Ma ecco che le nuove notizie degli ultimi giorni che legavano il trasferimento della sede degli affari del padre di Messi per evidenti motivi fiscali al passaggio del tutto fantasioso e senza alcun nesso di causalità del figlio all’Inter, hanno prodotto un nuovo rimbalzo dell’azione fino ai 10,25 di oggi, con il titolo in positive territory a +1,59, ancora in buy per gli analisti. L’uso dell’immagine di Messi proiettata sul Duomo dalla Tv cinese di Suning hanno fatto ulteriormente parlare e sviluppare tesi e contro tesi.

Non è la prima volta che la fantasia di Messi all’Inter consente al gruppo Suning di capitalizzare in borsa. Già il 6 aprile, in pieno confinamento, la famosa intervista di Moratti a Radio Anch’io di Radio Rai aveva creato una ripresa del titolo, passato in soli tre giorni, dal 6 al 9 aprile, da 8,88 a 9,12. Ogni qualvolta il nome dell’argentino blaugrana viene accostato ai nerazzurri,  con fantasiose ricostruzioni giornalistiche di fantamercato, il titolo Suning ha un nuovo scossone in rialzo.
Ci si domanda la ragione di queste notizie ricorrenti e cicliche a distanza di brevi periodi le une dalle altre, visto che a più riprese i protagonisti della vicenda hanno tolto qualsiasi paternità di verità alla notizia. Lo staff di Messi e il Barça hanno escluso qualsiasi possibilità che l’argentino possa sbarcare in Italia se non da avversario e con indosso la camiseta blaugrana. Ma anche da casa Inter sono arrivate le chiare smentite sia di Conte: “E’ più facile spostare il duomo che portare Messi all’Inter”, che di Marotta: “Parliamo di fantacalcio”. Nonostante ciò i media italiani continuano in questo testardo, ottuso tormentone. Qui prodest?

Il gioco che i media hanno deciso di giocare con queste notizie, oltreché discutibile dal punto di vista dell’etica sportiva, posto che vanno ad incidere negativamente sulla tranquillità e concentrazione di una squadra che, guarda caso, deve giocare contro una formazione italiana fra appena otto giorni, è anche estremamente pericoloso dal punto di vista della regolarità dei mercati finanziari. In questo modo i media non si rendono conto di tirare la volata a un gruppo quotato in borsa che grazie a quelle notizie sta aumentando fittiziamente il valore del proprio titolo azionario. Quando si ha a che fare con i mercati, che amano la tranquillità dei fatti e odiano le supposizioni gonfiate come una bolla piena di aria fritta, bisogna stare molto attenti perché i precari equilibri che governano i mercati possono crollare all’improvviso proprio a causa di comportamenti irresponsabili come questi. Se coloro che diffondono certe notizie non si rendono conto che c’è in gioco la stabilità e la regolarità dei mercati finanziari e credono invece di creare solo colore locale, rivalità di campanile, aumentare la vendita di qualche copia, o aggiungere un like al proprio profilo, per gli organismi di controllo delle borse ciò può giungere a configurare il reato di Manipolazione di Mercato di cui all’art 185 del TUF (Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione Finanziaria) che recita al primo comma: “Chiunque diffonde notizie false o pone in essere operazioni simulate o altri artifizi concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari, è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro ventimila a cinque milioni”.
A questo punto, se in presenza di continue smentite da parte dei soggetti interessati le notizie continuano pressantemente a circolare tra i media, la domanda continua ad essere una sola: qui prodest?

FC Barcelona – Le conseguenze della mancata promozione in Segunda A

di Giuseppe Ortu

 

File:La Masia - Centre de Formació Oriol Tort 01.jpg - Wikimedia Commons

Il mancato approdo del Barça B in Segunda A dopo la sconfitta nella finale di ascenso con il Sabadell, non ha esclusivamente un sapore amaro dal punto di vista dell’orgoglio del filial. Esso ha delle importanti e dolorose conseguenze per tutto il club, sia dal punto di vista sportivo che economico. Una delusione che ha delle ripercussioni dirette anche sulla prima squadra. Come e perché è presto detto.

La conquista di una categoria superiore, la Segunda A, avrebbe permesso di aumentare enormemente il fattore competitività del campionato per la formazione B e di conseguenza, anche di allestire un filial molto più forte di quello che inevitabilmente sarà anche il prossimo anno nella tercera división. Tutti i più forti ragazzi del B sarebbero certamente rimasti salendo di categoria e affrontando un campionato decisamente più probante di quello giocato nelle ultime stagioni. Formazioni come il Girona, Las Palmas, Malaga, Rayo, oltre alle retrocesse Espanyol, Leganés e Mallorca sono di buon livello e presentano standard di difficoltà che avrebbero permesso la crescita e la progressione delle giovani leve blaugrana. Giocatori come Monchu, Ilaix Moriba, Collado, Akieme ed altri sarebbero stati interessati ad affrontare la categoria. Certamente non si può dire lo stesso per la Segunda B. Campionato di livello eccessivamente basso tecnicamente e pericolosamente acceso, se non guerresco, dal punto di vista dell’aggressività per far giocare elementi di livello decisamente superiore.

Un altro anno nell’inferno della tercera división costringerà il club a rivedere la politica sulla cantera. Molti di loro, non trovando spazio in prima squadra, ma non potendo neanche giocare in S.B, dovranno essere ceduti in prestito o venduti anche se con il derecho de recompra. Così sarà per Monchu per esempio, centrocampista di buona prospettiva sul quale sono già piombate diverse formazioni spagnole di Liga (Valencia, Betis e Real Sociedad), oltre a club esteri. Ma le offerte non mancano anche per altri elementi del filial, come Collado. Il fatto di non vedere progresar i gioellini della casa da vicino e con il metodo Barça è certamente una falla nel percorso formativo dei ragazzi. Come il fatto che, non avendoli a disposizione, non si può fare affidamento su di loro per situazioni eccezionali e estemporanee per la prima squadra. Per quanto riguarda Monchu (ma così sarà anche per altri suoi compagni di squadra) il club blaugrana sceglierà l’opzione della vendita a titolo definitivo con diritto di riacquisto a due anni. Probabilmente verrà inserita una clausola, come accaduto altre volte in contesti simili, attraverso la quale si potrà esercitare il riacquisto del giocatore dopo una sola stagione. In questo caso il corrispettivo da pagare sarà maggiore di quello pattuito per la recompra biennale.

I problemi non sono finiti qui. Un Barça B in Segunda B complica anche il discorso dei nuovi acquisti di giovane età. Elementi come Trincao e Pedri, sopratutto se avranno ficha da B, pur se aggregati alla prima squadra, con un Barça B in Segunda A avrebbero potuto essere ospitati nel filial di quando in quando. Ma certo che questo non potrà accadere con una seconda squadra relegata in un campionato pericoloso (per l’incolumità personale) e di basso livello come l’attuale categoria. Anche per loro, dunque, non ci saranno alternative. O faranno parte della plantilla del Barça in tutto e per tutto, con la necessità di dar loro minuti importanti o, in caso contrario, dovranno essere parcheggiati altrove. In ogni caso un bel, brutto grattacapo per la dirigenza e per il prossimo tecnico blaugrana.

Sentenza City – Il Bahrein entra nel Paris FC

di Giuseppe Ortu

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Nell’immagine una scena di una partita casalinga del Paris FC. Pochi sparuti spettatori per una gara di Ligue 2. Fra poco sarà solo un ricordo con l’ingresso nel club dello Stato del Bahrein.

 

Si è appena chiusa la eco della sentenza nei confronti del Manchester City, per alcuni scandalosa, e subito si iniziano a vedere gli effetti della pronuncia. Una decisione che può dinamitare le fondamenta del calcio internazionale come già a suo tempo lo fece la famosa Sentenza Bosman. La Sentenza Manchester City può essere altrettanto deflagrante nel calcio europeo. Posto che il Vecchio Continente è il vero, unico centro pulsante del calcio mondiale, si può dire che gli effetti della pronuncia del TAS coinvolgeranno il calcio mondiale, stravolgendolo per come lo conosciamo oggi. 

Ad ogni azione corrisponde una reazione. Pochi giorni dopo la pronuncia del Tribunale Arbitrale dello Sport di Losanna, è giunta la notizia che lo Stato del Bahrein ha acquisito il 20% delle azioni del Paris FC, piccola e oscura squadra di calcio che milita nella Ligue 2 francese. Un club che ha sfiorato la retrocessione in terza serie, ma che da adesso, si prepara per una scalata che si preannuncia irresistibile ai vertici del calcio, prima francese, poi… si vedrà. 

Il perfect timing dell’acquisizione da parte dello Stato della penisola arabica non è casuale. Il TAS, con la condanna del City ad una sanzione pecuniaria di appena 10 milioni di euro, ha di fatto svuotato di pratico significato l’istituto del Fair Play Finanziario. Con il provvedimento giurisdizionale che costituirà un precedente pesante come un macigno su ogni futura eventuale controversia in tema finanziario, il Bahrein ha fiutato l’affare ed è entrato, per il momento con una piccola quota, ma presto con una scalata definitiva alla proprietà del piccolo, semi sconosciuto club parigino, nel mondo del calcio. Pubblicità, visibilità internazionale mascherata da successi sportivi, possibilità importanti di entrare nel mercato europeo con una miriade di società petrolifere, finanziarie e di servizi nel mercato europeo e, di conseguenza, globale. Senza il FPF a mettere la museruola a investimenti senza limiti nel calcio, lo Stato con capitale Manama può rafforzare la sua nuova creatura a piacimento, portarla in una stagione in Ligue 1 e da lì il salto in campo internazionale. E questo sarà solo il primo passo. Perché molti altri stati dell’area del Golfo, dall’Oman al Kuwait, passando per gli EAU, sono già lì alla finestra, interessati osservatori di questo nuovo tentativo di assalto alla diligenza calcistica europea.

Dal punto di vista sportivo questo fatto costituirà un danno enorme per la competitività sportiva nel Vecchio Continente. In un baleno cambieranno i rapporti di forza nello scacchiere calcistico. Se un tempo la partita tra Stati (City e PSG) e proprietà fisiche proprietari di club era mantenuta su un piano di lealtà competitiva attraverso lo strumento del Fair Play Finanziario, ultimo baluardo che ha impedito a citizens e qatarioti di rastrellare sul mercato tutti i migliori giocatori grazie a possibilità economiche infinite, adesso, svuotato lo stesso istituto giuridico di pratico significato dalla sentenza del TAS, non esisterà più partita tra i grandi club normali e quelli di proprietà di Stati che galleggiano nell’oro nero. Con l’entrata in campo del Bahrein il principio cavalleresco e sportivo di attribuire qualche chance di vittoria al rivale corre un pericolo concreto e attuale di estinzione. Siamo di fronte ad un momento cruciale e topico del nostro calcio. Se gli organismi sovranazionali del calcio non interverranno immediatamente per porre un freno a questa deriva incontrollabile di Stati proprietari, direttamente o indirettamente di club di calcio, causata dalla falla apertasi con l’ambigua condanna-assoluzione del Manchester City, saremo presto chiamati a celebrare il funerale del nostro amato calcio.       

La risposta del Madrid al Messi d’Oro

di Giuseppe Ortu

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La mancata assegnazione del Pallone d’Oro 2020 e l’automatica e contemporanea prorogatio della validità del titolo per Leo Messi e Megan Rapinoe anche per l’anno 2020, ha suscitato la curiosità di quale sarebbe stata la reazione da quel di Madrid. Avere un Messi sul trono del mondo per due stagioni consecutive (di cui una per giunta in omaggio) non deve essere cosa facile all’ombra del Bernabeu. Quello assegnato la stagione scorsa si è rivelato un Pallone d’Oro con validità doppia. Come se il Leo blaugrana sia stato insignito del settimo massimo trofeo personale a livello mondiale, e la brava e impegnata politicamente Rapinoe, lo spauracchio di capelli rugginosi Trump, del suo secondo. La notizia ha destato clamore al momento del lancio, ma poi ha perso rapidamente di mordente. In ogni caso le cose stanno a questo modo, che piaccia o meno in certi ambienti politico-futbolistici.

La curiosità era come avrebbe reagito il Madrid a questa nefasta notizia. La reazione non si è fatta a attendere. E’ stata forte e chiara, come un colpo sferrato su un tavolino a tre gambe nel corso di una seduta spiritica. Non è giunta, però, direttamente da Madrid. Sarebbe stato troppo ovvio e avrebbe avuto lo sgradevole odore dell’invidia. É transitata dunque da Parigi. Il quotidiano L’Equipe in edicola oggi ha aperto con una prima pagina curiosa, se non addirittura strana. Una prima pagina tutta dedicata al madridista Benzema immortalato in campo con la casacca blanca. Uno si sarebbe atteso di vederlo con la maglietta dei blues (se esistono ancora delle sue foto in giro con quella maglietta indosso). Se non altro perché il giornale è francese. Invece no. Il giocatore indossa in tutto il suo luminoso biancore (e candore) la maglia del Real Madrid. Il titolo a tutta pagina che campeggia sopra la foto del madridista dice: “Viva Benzema!” con punteggiatura alla spagnola incorniciato dai colori della bandiera iberica. In piccolo si legge “France Football non consegnerà il Pallone d’Oro quest’anno. Un trofeo al quale Karim Benzema avrebbe potuto aspirare tanto è stato determinante con il Real Madrid”. Non così tanto determinante se i suoi 7 goals sono stati quasi pareggiati da un difensore come Sergio Ramos, autore di 6 reti. Nel confronto è certamente più determinante il difensore dell’attaccante, tenuto conto della maggiore complessità per un centrale difensivo marcare una rete. 

Chiarito questo punto cardine che vaporizzacome un profumo di scadente qualità l’uso dell’aggettivo determinante riguardo a Benzema, suona curiosa e sospetta la prima pagina de L’Equipe in una giornata come quella odierna, vale a dire il giorno dopo la prorogatio dei poteri di Re Messi come Pallone d’Oro anche per la prossima stagione. Benzema in patria non è certo amato. Tutt’altro. Gli scandali giudiziari che lo hanno visto protagonista, da quelli in concorso nel reato di estorsione ai danni dell’ex compagno di nazionale Valbuena, a quello che lo aveva visto coinvolto in un caso di stupro, notizia immediatamente insabbiata dalla Macchina della Propaganda del Madrid, a numerosi casi in cui il francese è stato coinvolto in gravi infrazioni alla conduzione dell’auto, da guida in stato di alterazione psicofisica a guida senza patente, gli hanno alienato le simpatie del pubblico, dell’allenatore della nazionale e dei compagni di selezione. Per l’accusa di estorsione ai danni di Valbuena, Karim ha perso definitivamente la nazionale. Per questi motivi il giocatore del Real Madrid non è mai stato amato in Patria. Ma ecco che, Improvvisamente l’estate scorsa avrebbe detto Tennessee Williams, L’Equipe si ricorda del suo illustre connazionale e lo tira fuori dal baule dei giocattoli vecchi di quando si era bambini, quello che in ogni casa si conserva in soffitta, e dopo una buona scrollata per toglierli di dosso strati di polvere di anni, lo iconizza a francese modello e lo sbatte in prima pagina sostenendo che avrebbe meritato il Pallone d’Oro. Tempistica assai curiosa si potrebbe dire. Uno dei cittadini più odiati di Francia diventa all’improvviso uno dei più amati il giorno dopo la notizia dell’annullamento della consegna del Pallone d’Oro e che Messi sarà ancora detentore del trofeo un anno in più. Viene da chiedersi con un legittimo sospetto, e verrebbe da domandarlo a L’Equipe, se la prima pagina dell’edizione in edicola oggi è stata pensata e fatta a Parigi o a Madrid.  

Il Pallone d’Oro 2020 non sarà assegnato. Messi ancora detentore per il 2020

di Giuseppe Ortu

Lionel Messi, sacré en 2019, sera tenant du titre du Ballon d'Or France Football une année de plus. (B.Papon/L'Equipe)
Lionel Messi, premiato nel 2019, sarà detentore del titolo di Calciatore d’Oro un anno di più Credits: B.Papon/L’Equipe

La notizia ha del clamoroso. France Football ha ufficializzato che in questa stagione il Pallone d’Oro non verrà assegnato. Leo Messi e Megan Rapinoe non avranno successori nella prossima stagione. Una situazione eccezionale più unica che rara. Per la prima volta dal lontano 1956, anno in cui la prestigiosa rivista francese aveva creato e lanciato nel mondo del football mondiale il trofeo, il Pallone d’Oro non sarà assegnato. Troppe le difficoltà che hanno portato a questa decisione sofferta. “A circostanze straordinarie, disposizioni straordinarie” ha dichiarato il board della rivista francese.

Il Pallone d’Oro in carica regnerà dunque sul calcio mondiale per due anni consecutivi. Messi sarà dunque il detentore del trofeo anche per la stagione 2020″, come sottolinea una nota della casa francese. Una situazione straordinaria che renderà gli ultimi riconoscimenti assegnati al campione argentino e alla calciatrice americana ancora più importanti, memorabili e storici. La notizia è stata data ufficialmente dalla stessa rivista che dal 1956 assegna l’importante riconoscimento sportivo individuale.

La ragione che ha portato a questa non assegnazione per l’anno 2020 è dovuta principalmente al fatto che “un anno così singolare non può essere trattato come un anno normale”, recita il comunicato ufficiale. “L’equità e la parità di condizioni che sta alla base di questo titolo onorifico non possono essere garantite e preservate sia a livello statistico che di preparazione in quanto tutti gli aspiranti al riconoscimento non potevano godere delle medesime condizioni in quanto le rispettive competizioni sono state drasticamente amputate”.
Questo fatto ha creato una certa disparità tra competizioni che hanno ripreso l’attività e altre che sono state definitivamente interrotte, come la Ligue 1. In ogni caso la ripresa dopo un così lungo stop ha certamente alterato il normale svolgimento della stagione, incidendo anche sulle prestazioni dei singoli calciatori.

La stagione inoltre, prosegue il comunicato, è stata troppo scossa dalla pandemia, con le competizioni prima sospese per mesi e poi riprese in maniera accelerata senza rispettare le normali pause tra le gare. Anche la Champions League nella sua nuova formulazione con Finale a Otto in campo neutro e partita secca, altera quello che è il normale clima competitivo tra le squadre.

Un’altra delle ragione che hanno portato a questa decisione è il non gradimento da parte di France Football di mettere un asterisco accanto all’assegnazione 2020 con la dicitura “Trofeo vinto in circostanze eccezionali a causa della crisi sanitaria del Covid-19”.

Il Settimo Sigillo di Leo Messi, Re di goal e assist

di Giuseppe Ortu

File:Lionel Messi vs Valladolid.jpg - Wikimedia Commons

La conclusione della Liga 2019-20 ha portato in dote a Leo Messi nuovi fiammanti record da esibire orgogliosamente nel suo palmares d’oro. Questa stagione non è giunta la terza Liga consecutiva per il FC Barcelona, ma nonostante le mille polemiche che hanno sconquassato il vestuario e il club blaugrana, Leo Messi è riuscito comunque a mettere in bacheca altri trofei personali. Tra questi il titolo di pichichi per la stagione 19-20. Il titolo di capocannoniere di Spagna è stato raggiunto con 25 reti in campionato, quattro più del suo rivale madridista Benzema. Si tratta della settima volta che il sei volte pallone d’oro è asceso al trono dei bomber di Spagna, battendo e superando ogni record precedentemente fissato. Il Settimo Sigillo di Leo Messi resterà nella storia del calcio come il film di Bergman ha segnato la cinematografia mondiale con la scena culto del cavaliere che gioca a scacchi con la morte.

Con questo titolo Messi si converte nel calciatore con più pichichi conquistati nella storia della Liga spagnola, superando Telmo Zarra, rimasto a quota sei. L’ex giocatore dell’Athletic Bilbao aveva ottenuto il suo storico risultato a cavallo degli anni 40 e 50. Per la precisione nelle stagioni 1944-45, 1945-46, 1946-47, 1949-50, 1950-51, 1952-53. Con questo nuovo conseguimento, Messi è l’unico, il solo, unico cannoniere di tutti i tempi del calcio spagnolo, conquistando, per l’ennesima volta, un’altra fetta di immortalità sportiva.

Se in Spagna nessuno come lui, l’argentino si è issato sul tetto anche dei cannonieri europei di tutti i tempi, raggiungendo lassù in cima, in vetta, il tedesco Gerd Müller, anche lui con sette titoli di capocannoniere della Bundesliga vinti nel corso della sua carriera. Il centravanti tedesco ha vinto la classifica dei cannonieri negli anni 1966-67 (28 gol), 1968-69 (30 gol), 1969-70 (38 gol), 1971-72 (40 gol), 1972-73 (36 gol), 1973-74 (30 gol), 1977-78 (24 gol).
Il settimo sigillo di Leo non è l’unico record conquistato. Come si sa i trofei non giungono mai soli. L’argentino è salito sul trono dei bomber per la quarta stagione consecutiva. Quattro anni di fila come l’ex madridista Hugo Sánchez, che tra il 1984-85 e il 1987-88 aveva ottenuto l’ambito riconoscimento.

Goals ma anche assist. In questa stagione non fortunata per il suo club, Messi ha battuto un altro primato. Si tratta del maggiore numero di assist nel corso di una stagione. Il record apparteneva al suo ex compagno di squadra Xavi che lo deteneva con 20 assistenze da rete. Con il passaggio per il goal di Ansu Fati contro l’Alavés, Leo, che aveva già raggiunto l’ex compagno nelle partite precedenti, lo ha ora superato, raggiungendo la ragguardevole cifra di 21 assist.

Il registro dei numeri di Leo Messi è in continuo e costante aggiornamento e ascesa. Numeri impressionanti che dimostrano quanto sia completo il rosarino. Cifre che continuano a stupire nonostante la classe inarrivabile del 10 blaugrana non dovrebbe più stupire nessuno. Eppure, nonostante ciò, continua a sorprendere. Un giocatore che nel corso della stessa stagione ottiene sia il record di realizzazioni che di assist dimostra quanto completo sia il suo bagaglio calcistico e quanto sia onnipresente sul campo di calcio. Bomber e rifinitore allo stesso tempo. Attaccante e centrocampista. Senza contare che, per via dell’infortunio ad inizio stagione, la Pulce ha perso le prime sei partite dell’anno. E c’è ancora chi si ostina a pensare che non sia il migliore calciatore della storia del calcio.  

Sistema Madrid. L’eccezione che conferma la regola

di Giuseppe Ortu

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L’eccezione conferma la regola, dice un vecchio proverbio. Esso significa che una regola generale è confermata in presenza di un caso che non rientra in essa, ma che la contraddice. Praticamente come se un comportamento opposto alla regola generale confermasse l’esistenza della stessa. Diciamo che, se l’eccezione è sostenuta da un filo logico e da riscontri oggettivi possiamo, a contrario, sostenerne il principio.

Il Sistema Madrid ha sostenuto la squadra di Florentino dalla ripresa della stagione fino alla penultima gara di campionato, la vittoria contro il Villareal che ha garantito l’assegnazione della Liga. In ogni gara ci sono stati favori enormi a favore dei blancos. Reti apparentemente regolari annullate agli avversari quando si provavano a passare in vantaggio (Valencia), reti irregolari convalidate al Madrid, rigori fantascientifici assegnati alle merengues, rigori identici (Athletic), o anche più evidenti a favore dei competitors clamorosamente ignorati. Al Real Madrid, in questo campionato, praticamente non è stato permesso di non vincere. Questi ragazzacci scapestrati, umiliati per troppi anni da un Barcelona che li ha estromessi dalla competizione di casa per tanti, troppi anni, dovevano essere presi per i capelli e riportati a galla ogni volta che la loro pochezza tecnico-tattica li portava a fondo. Perché alla fine quella competizione la dovevano vincere loro, in un modo o nell’altro, anche a costo di far perdere la faccia alla Liga e a tutto il movimento calcistico professionista iberico.

Alla fine il Sistema Madrid, quello per intenderci a cui ha fatto riferimento Tebas parlando della famosa “chiamata di Florentino a Rubiales”, è riuscito nell’impresa: far vincere tutte le gare a una formazione piena di limiti, lacune, falle. La riprova dell’esistenza di questo Sistema che doveva garantire a tutti costi le vittorie in serie della formazione nobile della capitale se voleva colmare il gap che aveva in partenza con il Barça, lasciato con le sue pecche a cavarsela da solo, si è avuta all’ultima giornata di campionato. A Liga già raggiunta, quando non era più necessario che il Madrid vincesse, in occasione dell’ultima partita di campionato contro il Leganés i blancos non sono riusciti a vincere, rischiando anzi di perdere. La sfida contro la povera, derelitta formazione pepinera, terzultima in classifica, è terminata 2-2, diventando la classica riprova del Teorema Madrid.

I blancos per la prima volta sono stati lasciati liberi di sbagliare. E guarda caso, per la prima volta la formazione di Zidane, l’imbattibile squadra che aveva vinto 10 partite consecutive, non è riuscita a conquistare il bottino pieno. Che disdetta! Se non vi era più la necessità di sospingerli alla vittoria, arrivare a lasciarli perdere era una cosa non consentita dal Sistema. Ecco dunque che, sul limitare della gara, un chiaro, evidente, lampante e macroscopico fallo di mano di Jovic in area del Madrid non è stato ravvisato come tale, né dalla terna arbitrale, né tantomeno dal Var. Con quel rigore il Leganés avrebbe vinto e si sarebbe salvato, ma ciò avrebbe significato la sconfitta per gli uomini di Don Florentino. Partita libera è un conto, ma non fino a questo punto. Senza esagerare. Giammai consentire che lo squadrone allenato da Zidane, fresco campione di Liga, perdesse gara e faccia contro la terzultima del campionato. Sarebbe stato troppo sporco e evidente, e avrebbe fatto aprire gli occhi anche a coloro che continuano a volerli tenere chiusi. Il principio “facciamoli camminare con le proprie gambe” trova sempre un limite. Mai la sconfitta. Ogni eccezione ha la sua regola.      

El jugador con más músculo: Riqui Puig e la sua promozione da parte del vestuario

di Giuseppe Ortu

File:Riqui Puig.jpg - Wikimedia Commons

Il Barça oggi ha cambiato pelle. Dopo la sfuriata di Messi, Capitano Coraggioso, molte cose sono state riviste. Una squadra con carattere, orgoglio, passione. La squadra blaugrana oggi ha ballato il tango con l’Alavés.

Tra le metamorfosi che abbiamo registrato, la più evidente è il nuovo Riqui Puig. Il giocatore con maggior múscolo della gara. Il ragazzo di Matadepera ha stato il vero cuore della squadra. Grande partita del numero 28 che ha messo in campo non solo tutta la sua solita classe, ma molto, molto di più. Iniziativa offensiva, grinta, garra nei contrasti, velocità di esecuzione e incisività nel recupero palla. Oggi Riqui ha fatto il vero step verso la conquista del suo Barcelona. Se solitamente ricamava in velocità, spesso però cucendo orizzontalmente e all’indietro, oggi abbiamo visto un upgrade delle sue capacità futbolistiche. Ha preso il coraggio a quattro mani e si è assunto molte responsabilità nel tiro da lontano, colpendo la traversa, nel passaggio in profondità, doppio assist sulle reti di Messi e Semedo. Non solo, ha esercitato una grande pressione sugli avversari correndo a perdifiato e ha recuperato una enormità di palloni a centrocampo anche con entrate cattive e dure sul pallone. 

Questa metamorfosi per un ragazzo che fino ad ora si era quasi limitato al compitino non è casuale. Giunge immediatamente dopo il Discorso di Messi e suona come una investitura da parte del Capitá e del vestuario. E’ evidente che il ragazzo abbia ottenuto una promozione all’interno dello spogliatoio che gli ha cucito i gradi sulla maglia. La sua tranquillità nel giocare la palla, nel fare alcune scelte di responsabilità e di essere il fulcro del centrocampo non sono il frutto del caso. Nella rete di Semedo il ragazzo ha servito il portoghese sulla destra invece di Messi davanti a lui. Anche questa sicurezza nel preferire il numero 2 ci dice una cosa. Riqui ha avuto l’ok da parte dei pesos pesados del vestuario per giocare a questa maniera. Benvenuto in prima squadra Riqui. 

FC Barcelona – Manita per la Vitoria! Il cigno blaugrana è tornato

di Giuseppe Ortu

File:Leo Messi 2016.PNG - Wikimedia Commons

Finalmente il Barça. Il Barça è tornato. I titoli che questa partita ci ha offerto sono tanti e intercambili, ma sempre attuali. Una buona, convincente, rotonda salutare vittoria, a Vitoria, contro l’Alavés. 5-0 per scacciare paure, fantasmi e polemiche. Le parole forti da Capitano Coraggioso di Kipling di Leo Messi hanno dato la scossa sperata e trasformato il brutto anatroccolo della gara contro la formazione di Pamplona nel rinato cigno blaugrana. Un Barça diverso a livello mentale, fisico, concettuale. La maggiore differenza ammirata oggi sta nel fatto che questa squadra ha ripreso a tirare da fuori area come non accadeva da molti, troppi anni. Il Barça di Guardiola tirava da fuori in moltissime occasioni. Questa abilità si era disciolta con il passare delle stagioni, sempre più concentrate alla ricerca quasi ossessiva, maniacale dell’ultimo passaggio a pochi passi dalla linea di porta. Oggi la formazione blaugrana ha rispolverato quella capacità. Nel primo quarto d’ora ci sono state ben quattro conclusioni da rete. Tre delle quali da fuori. Una cosa che non si vedeva da anni.

Non solo tiri da lontano, ma anche effettività, cattiveria nel cercare la porta avversaria. Delle quattro conclusioni prese a esempio, tre sono terminate contro i legni della porta di Roberto. Riqui Puig (traversa), Vidal (traversa), Messi (palo). Tra queste conclusioni si aggiunge la stoccata di Ansu Fati sul secondo palo terminata a pochi centimetri di distanza dal bersaglio grosso. Il Barcelona ha letteralmente aggredito con cattiveria, e voglia di far male, l’avversario. Come se tutte le polemiche, interne ed esterne, i favori al Madrid, le frustrazioni per una stagione in Liga da vorrei ma non posso, come aveva detto lo spesso Messi dopo l’Osasuna, fossero tutte state somatizzate e incanalate in furia vincente. Alla fine dei primi 45′ sono state ben 11 le conclusioni da rete della formazione oggi con la camiseta amarilla. Una messe da raccolto di primavera che ha sinceramente stupito per tanta produzione.

Non solo occasioni da goal. Le 11 opportunità hanno fruttato tre reti nella prima frazione, tutte di pregevolissima fattura. Ansu Fati, settimo centro per lui, sul 21° assist di Messi, record assoluto (anche se non assegnatoli da Marca); Messidopo una doppia finta ai danni del portiere avversario; Suarez di testa dopo una azione tutta di prima iniziata da Leo con un servizio per Jordi e assist di prima per il Pistolero. Nella ripresa sono giunte altre due marcature per il 5-0 finale. Prima Semedo su assist di Riqui per il poker blaugrana. Infine ancora Messi per la manita finale. Assist di Jordi. Con questa doppietta il Genio argentino raggiunge quota 25 reti nella classifica del Pichici andando a ipotecare, in attesa della gara di Benzema questa sera contro il Leganés, la settima conquista del titolo di capocannoniere del campionato spagnolo, la quarta consecutiva. Numeri da brivido che dimostrano la grandezza di un vero campione, il più forte di tutta la storia di questo meraviglioso sport.

Oltre alle reti c’è stato molto altro in questa gara. Si è visto un altro Barça sopratutto nell’intensità, nella velocità e nella cattiveria sportiva messa in ogni a azione e contrasto. Una garra quasi mai vista in questa stagione. Certamente non dalla ripresa del campionato. Le entrate mettendo la gamba è stato il punto più sorprendente e piacevole di questa partita. Tanto più dopo la catastrofe del Camp Nou di qualche giorno prima. Quello sprofondo toccato contro l’Osasuna, la reazione rabbiosa del capitá con le cose dette fuori dai denti e senza più mezze parole o attenzioni per questo o quel personaggio del club sono apparentemente servite per resettare tutto il lavoro fatto e riprendere da capo con nuovo spirito e mentalità. Il patto del Camp Nou tra i giocatori nel dopo gara e nelle ore successive è servito per rinsaldare gli animi e unire le forze in vista del tentativo di assaltare l’unico trofeo rimasto in gioco; il più ambito, la Champions. Unità di intenti è quanto è stato mostrato questo pomeriggio a Vitoria.

Nella ripresa la formazione blaugrana ha abbassato i ritmi e l’intensità, ma sempre senza mai abbassare la guardia, come era invece accaduto contro il Valladolid per esempio. La squadra non si è ritirata nella falsa confort zone come l’avevamo definita in quella sfida, lasciando l’iniziativa all’avversario e retrocedendo nella propria trequarti. In questo caso il Barçaha continuato a gestire partita, pallone e avversario. Ed è così che sono giunti, appunto, il quarto e il quinto goal della manita finale. A rovinare parzialmente le sensazioni estremamente positive che si sono respirate in campo è arrivato l’infortunio di Lenglet, uscito per un fastidio nella zona degli adduttori. Al suo posto è entrato Semedo. La posizione di difensore centrale, invece, è stata eccezionalmente occupata da Vidal che si è ben disimpegnato nel quasi inedito ruolo (il centrocampista cileno aveva in passato ricoperto questa posizione nella Juventus). Tra le note più liete e degne di avere una menzione speciale certamente la performance di Riqui Puig, sempre più all’interno di questa squadra e del progetto blaugrana. Si è assunto responsabilità, ha calciato, da fornito assist, ha corso, pressato, recuperato palloni, picchiato, preso botte. Gli è mancata solo la rete per fare il Grand Chelem della Formula 1 (pole, vittoria, giro veloce) del calcio.

Nel finale di gara ha fatto il suo ritorno in campo Frenkie De Jong al posto di Busquets, per tutto il primo tempo preoccupato più di stazionare tra i centrali (a volte anche da ultimo uomo) che di occupare posizioni di centrocampo. L’olandese ha avuto dunque la possibilità di formare la dupla, da noi tanto invocata nel recente passato, con Riqui Puig. Il numero 21, alla ripresa dopo l’infortunio al soleo che gli aveva fatto saltare più di metà della ripresa del campionato, ha giocato più che altro per riprendere confidenza con il clima della gara e con le sensazioni che solo l’erba del prato di una partita vera ti possono dare. Tutti esperimenti che possono tornare utili in Champions League se la formazione blaugrana dovesse superare lo scontro contro il Napoli del Camp Nou. La nota curiosa con cui ci piace chiudere il racconto della partita nel caldo pomeriggio basco è stato vedere Eder – l’Uomo che parlava troppoSarabia dialogare maggiormente con i giocatori dell’Alavés nel sottopassaggio prima dell’inizio della partita che con i blaugrana nel corso della gara.  

Messi contundente – Así no ganamos ni al Napoles

di Giuseppe Ortu

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Chi ha sempre sostenuto che Messi non è un leader, un trascinatore, un comandante, in campo e fuori, ha sempre capito poco di calcio e ancora meno conosce il personaggio Messi. Prima sempre misurato nelle parole, da timido ragazzo qual è, ma con una chiara e univoca leadership in campo, da tempo il Genio di Rosario ha tirato fuori anche quella voce robusta, rotonda, che alcuni gli avevano sempre negato. Per le sue parole sincere e scomode, il 10 è stato squalificato per mesi dalle gare della albiceleste. Però per alcuni non è un leader. Non che ci si debba necessariamente fare di coca per esserlo. Un capo, un trascinatore, è una persona che non si nasconde dietro qualcun altro, è colui che non manda altri in avanscoperta al suo posto, che non si accovaccia vigliaccamente dietro una albero per evitare una pallottola, ma esce allo scoperto incurante del pericolo come un vero cavaliere e gentleman deve fare secondo l’Ideale Cavalleresco. Leo Messi lo ha fatto anche ieri, nel momento più difficile, scomodo e complicato della stagione del suo club.

Nel dopo gara della sfida contro l’Osasuna, nonostante la sconfitta o meglio, proprio in virtù di essa, Leo è uscito allo scoperto e ha messo la faccia su una delle prestazioni più brutte del Barça degli ultimi tempi. Lo ha fatto per spiegare, per mandare un messaggio forte, duro, brutale come lo è sempre la verità; che non è mai dolce, delicata, ma sempre aspra, tagliente. La verità fa male. Questo Leo lo sa. E non ha problemi a dichiararlo in faccia al mondo. E se questo potrà non piacere ad alcuni, pazienza; lui va dritto per la sua strada. Perché le persone come Leo Messi sono fatte così. Dinnanzi ad un bivio Leo sa sempre qual’è la strada da percorrere. E non è mai quella più comoda, no; ma sempre quella più impervia, difficile, pericolosa; quella costellata da nemici e tranelli. Nonostante ciò, la sua onestà intellettuale, la sua rettitudine, il suo carattere da leader, da condottiero, gli impone di percorrerla.

In questo solco del suo essere, del suo carattere, ieri Messi ha parlato immediatamente dopo la partita persa dal suo Barça rilasciando forti dichiarazioni da vero leader. Nella flash interview rilasciata a Movistar Tv, il capitano blugrana ha mostrato tutta la sua insoddisfazione per il risultato e il campionato della sua squadra in questa stagione, lanciando uno sguardo inquietante e preoccupato alla prossima sfida di Champions contro il Napoli. Nelle sue dichiarazioni Leo assume i gradi di capitano anche fuori dal terreno di gioco, mettendosi alla testa dei suoi uomini e indicando alla squadra, al club e a tutto il barcelonismo la strada da seguire per invertire la rotta e trionfare in Champions. Dichiarazioni esplosive quelle del Diez, che partendo dalla partita persa contro l’Osasuna ripercorre tutta la stagione e getta una sguardo sul futuro dettando le linee guida della rinascita e la ricetta per ritrovare un Barça vincente.

Sulla gara di ieri notte Leo ha ammesso di avere visto “una squadra molto fragile e incostante, battuta dal punto di vista della volontà e dell’intensità. Come è accaduto in tutta la stagione”.
La partita è stata sostanzialmente lo specchio di tutta la stagione. E’ stata esemplare da questo punto di vista, giacché è stato un concentrato di tutti i difetti mostrati dalla squadra durante tutto l’anno. “Una stagione molto irregolare nella quale abbiamo perso molti punti”. Messi ha anche puntato la lente d’ingrandimento sulle “difficoltà della squadra a creare occasioni da rete e a segnare”. “Nella prima parte ci siamo fatti superare dal rivale. Nella ripresa abbiamo reagito, però”e qui arriva la prima botta “se giochiamo così sarà molto difficile che possiamo vincere la Champions”. Una frase detta dallo stesso argentino tempo addietro, allarme che non era stato tenuto in debito conto, e anzi, passato quasi inosservato. Adesso, forse, il suo grido di dolore sarà recepito per come avrebbe dovuto esserlo anche in passato. Quali dunque le idee, la cura, la terapia del capitano per il suo Barça? La ricetta del capitá per la manifestazione continentale è quella di “cambiare moltissimo rispetto a come stiamo facendo altrimenti non batteremo neanche il Napoli”. Una stoccata forte per essere sentita bene da tutti. In vista della Champions “la squadra ha bisogno di respirare e di liberare la testa da questi pensieri (negativi n.d.r.) e poi pensare alla Champions, una competizione che inizia da zero. Sono quattro partite che ti possono dare un titolo che tutti desideriamo. Io per primo. Però per fare questo dobbiamo fare molta autocritica, cambiare moltissimo e non pensare che l’avversario vince perché è migliore”.

Sul duello a distanza con il Madrid, Leo è stato molto diplomatico, e politically correct sorvolando sulle polemiche arbitrali di questo fine campionato e soffermandosi sulle mancanze della sua squadra. “Il Madrid ha fatto il suo non perdendo nessuna partita. Noi abbiamo lasciato per strada troppi punti e gli abbiamo aiutati, e molto, nel vincere questa Liga. Per questo dobbiamo fare molta autocritica. Iniziando da noi giocatori per poi estenderla globalmente”. Questo è un passaggio chiave dell’intervista di Leo. L’autocritica globale è un chiaro riferimento a tutto il club, con riferimento specifico alla panchina e alla sfera dirigenziale. In merito all’allenatore la chiamata in causa di Setién risulta chiaro quando ha dichiarato che “Abbiamo fatto molto male da gennaio ad oggi”.

Il capitá ha poi definito qual’è la filosofia blaugrana. “Il Madrid ha vinto tutti i suoi incontri, ma noi siamo il Barcelona e siamo obbligati a vincere tutte le partite, quali esse siano. Dobbiamo sempre guardare a noi stessi, senza mai pensare al rivale”. Il Barça, alla ripresa del campionato, godeva infatti di due punti di vantaggio sui blancos. Se i blaugrana avessero fatto il loro, sostiene l’argentino, le vittorie del Madrid sarebbero state meramente illusorie. Messi non ammette che il Barça possa sbagliare partita. Ma è nelle cose. E’ in re ipsa. Va detto però, e questo non è nelle cose, ed è doveroso evidenziare, che tutti possono sbagliare qualche partita. Il Barcelona prima dell’Osasuna, gara ormai quasi ininfluente, aveva pareggiato tre incontri. Sbagliare può capitare. La regolarità del campionato, tuttavia, significa parità di opzioni per tutti. Ci si attende, in altre parole, che anche quando la controparte sbaglia le partite, non ci siano interventi esterni che sistemino i risultati. E questo, invece, è quanto è accaduto quest’anno in Liga. Essere obbligato a vincere sempre perché sai che l’avversario, in un modo o nell’altro, non perderà mai punti. Per meriti propri o perché qualcuno non lo permetterà.

Da Capitano coraggioso, come fosse uno dei Capitani di Kipling, il pensiero di Leo corre subito alla sua afición per la quale ha parole di comprensione e di stima, comprendendo bene che in questi momenti “è molto calda, molto nervosa con tutto ciò che è accaduto in questa stagione ed è normale, è logico che sia così perché veniamo dalla sconfitta di Roma, di Liverpool. La gente non ha più pazienza ed è normale perché noi non le diamo niente”.

Nel corso dell’intervista Messi ha anche fatto riferimento alla sua esultanza stizzita dopo la rete su punizione del momentaneo 1-1, spiegandola con il fatto che aveva provato diverse volte in partita su calcio piazzato e che, una volta la traversa, in altre la poca precisione, non era riuscito a segnare.