IL BARÇA BATTE IN RIMONTA SIA L’OSASUNA CHE IL MADRID DI GIL MANZANO

Giuseppe Ortu Serra

Vittoria sofferta e importantissima in un campo complicato come El Sadar da parte del Barcelona. In 10 uomini per più di un tempo e sotto di una rete, il Barça è stato capace di rimontare e vincere con il risultato di 1-2. Di Garcìa al 5′, Pedri al 47′ e Raphinha all’84’, le reti dell’incontro.

Una partita assurda con un arbitraggio che dire scandaloso è dire poco. Nei primi 45′ minuti, l’ineffabile Gil Manzano, noto per andare via dallo stadio Bernabeu, dopo aver arbitrato il Madrid, con buste colme di omaggi del Real Madrid, ha indirizzato la gara sin dai primi minuti. Il vantaggio dell’Osasuna è eminentemente irregolare. Rete da annullare per un fallo in area di rigore ai danni di Marcos Alonso, travolto come da un tir in piena corsa da un avversario durante la battuta di un calcio d’angolo. Sulla battuta dalla bandierina il fallo sul 17 blaugrana ha permesso a Garcìa di trovare l’impatto con il pallone in maniera indisturbata e di infilare, di testa, l’angolino della porta difesa da Ter Stegen. Al 5° minuto di gioco partita già indirizzata a El Sadar. La meraviglia è stata che il Var, dopo aver rivisto l’azione, ha confermato la rete senza notare l’investimento fuori dalle strisce pedonali del centrale blaugrana.

Ma il vero capolavoro di Gil Manzano è giunto al 30′, quando ha ammonito per la seconda volta Lewandowski, espellendolo, per una normale spallata ai danni di un avversario durante un contrasto per la conquista di un pallone aereo conteso. Tra lo stupore generale e le proteste dei giocatori blaugrana fattisi a capannello intorno al fischietto canarino, Manzano ha estratto il cartellino giallo. Giallo più giallo uguale rosso. Per Gil metà dell’opera era stata portata a casa. L’avversario (dei blancos, non dell’Osasuna, beneficiario indiretto e inconsapevole) era praticamente sistemato, e la coscienza, di conseguenza, tranquilla. L’uno-due dell’arbitro ai danni del Barcelona è stato come quando, nel film il Gladiatore, Commodo scende nei sotterranei e accoltella Massimo prima della scena madre del film, lo scontro a due (o quasi) tra il prode, l’eroe Massimo Decio Meridio, “comandante delle legioni del nord”, altrimenti detto Ispanico, e l’imperatore codardo. Un uno contro uno con l’avversario ferito, sanguinante, quasi morente. Ebbene, la partita di stasera ci ha caldamente riportato alla mente quella scena. Accoltellare ad un fianco una squadra prima di un confronto sul campo, non è soltanto disonesto, è, sopratutto, meramente vile e codardo. Se l’idea era questa, Gil Manzano ha fatto un capolavoro.

Ma, come si sa, non sempre le ciambelle escono con il buco, e non sempre tutto va a finire come Nella mente dell’assassino, per citare un altro film. Questa volta il fato, rappresentato dalle fattezze di Pedri, e sopratutto, di Raphinha, ci ha messo del suo. La nemesi è scesa in campo nella ripresa con la forma del 4-4-1 approntato da Xavi. Nessun cambio dopo l’espulsione, nessuno nemmeno ad inizio del secondo tempo. Solo due linee da quattro schiacciate per non lasciare spazi nel mezzo e il solo Ferran davanti. Dembélé, invece, è retrocesso a destra sulla linea dei centrocampisti.

Il Barça, così, è riuscito a blindarsi dietro, aspettando il momento di colpire alla prima occasione. La chance è arrivata quasi subito, con una azione sviluppatasi sulla sinistra, una palla buttata nel mezzo a servire Ferran ma intercettata dalla difesa. Sulla seconda palla si è fiondato Pedri che, avendo seguito l’azione in area di rigore, ha colpito sul palo vicino trafiggendo così due difensori e il portiere avversario nel tentativo di intercettare la conclusione.

L’1 a 1 rimetteva la squadra blaugrana in linea di galleggiamento, ma sempre alla portata del Madrid in caso di sua vittoria domani. L’Osasuna, sentendosi forte anche in quanto spalleggiato dall’arbitro, che ha evitato di espellere Torro per doppia ammonizione chiudendo gli occhi su un evidente fallo da dietro, antisportivo, su De Jong, ha pressato con forza, cercando di schiacciare i blaugrana nella propria tre quarti difensiva. Il Barça ha tenuto botta, cercando di ripartire quando poteva.

Al 73′ Xavi ha sostituito Christensen con Gavi per dare maggiore man forte alla fase di attacco e ripartenza, oltre che per dare forze fresche e pressione al centrocampo. De Jong è retrocesso a fare il centrale. Questo sarà molto importante nell’occasione della rete blaugrana. Al 77′ la mossa vincente. Entra Raphinha al posto di Dembélé (con lui anche Ansu per Ferran), che poco prima si era fatto tutto il campo palla al piede, superando uno dopo l’altro gli avversari, per poi arrivare a concludere largo una volta in area di rigore, sfiancato dalla fatica. All’84’ De Jong, dal cerchio di centrocampo nella sua posizione di centrale difensivo, ha scodellato una meravigliosa parabola per l’inserimento di Raphinha. Movimento a mezzaluna lungo la linea difensiva dell’Osasuna per evitare il fuorigioco, come un surfista che percorre il tunnel dell’onda, e colpo di testa a scavalcare l’uscita tardiva del portiere avversario. Pallonetto e goal. Rimonta completata in inferiorità numerica contro 12 uomini. Spettacolo. De Jong è poi ritornato nella sua posizione a centrocampo all’88’, quando Xavi ha dato ingresso a Chadi Riad in difesa. Il triplice fischio finale ha fatto saltare tutto il Barça in campo per festeggiare una vittoria importantissima.

Tre punti basilari per chiudere in testa alla classifica il torneo de clausura prima della pausa per il mondiale ormai alle porte. Un successo, questo, che oltre al primo posto conferisce una enorme iniezione di adrenalina e fiducia nelle vene del Barcelona. Battere in un solo colpo due avversari e mezzo, l’Osasuna padrone di casa, e il madridista Gil Manzano, che ha arbitrato come da giusta procura del Real Madrid, non è cosa da poco.

PIQUÉ SALUTA LA SUA GENTE TRA LE LACRIME: “QUI SONO NATO E QUI MORIRÓ”. BARÇA 2 ALMERIA 0

Giuseppe Ortu Serra

È il minuto 84 preciso (84:00) quando Gerard Piqué, Geri, mette i piedi fuori dalla linea laterale ed entra Christensen. Con quel gesto finisce la storia calcistica di Piqué calciatore del Barça. Non sappiamo se giocherà la gara di Pamplona di martedì, ma è certo che non giocherà mai più al Camp Nou. Piqué lascia il campo tra le lacrime sul 2-0 della sua squadra e saluta, prima di lasciare il posto a Christensen, uno per uno compagni e arbitro. Il Camp Nou, frattanto, è in piedi in un frastuono colossale di applausi e canti a squarciagola. Tutti urlano il suo nome, il nome del capitano che dà l’addio al Barça, al calcio giocato. E’ un momento da galina de piel come avrebbe detto Johan Cruyff.

La partita contro l’Almeria è stata sopratutto questo, l’omaggio a Gerard Piqué che lascia il Barça, il club di una vita. Il saluto al capitano, al numero 3, è stato il sale dell’incontro, l’anima della partita, della festa blaugrana per uno dei suoi figli, dei suoi campioni che al Barça hanno vinto tutto. Uno degli ultimi del Grande Barça. La gara è finita come era iniziata, con l’amore che i 92.605 culers presenti allo stadio gli hanno trasmesso. Un inizio più formale e distaccato, di prammatica. Un finale da brividi, con lacrime, abbracci, discorsi toccanti e un giro del campo con il quale il capitano ha fatto il pieno di amore. In un attimo tutto è dimenticato, anche quei maledetti fischi che erano seguiti alla gara interna contro l’Inter. Ora è tutto alle spalle.

Alla sua ultima gara casalinga, Xavi lo ha voluto omaggiare facendolo partire da titolare. All’ingresso in campo delle due squadre i blaugrana si sono presentati con indosso la maglia numero 3 di Piqué. Uno splendido saluto di despedida dei suoi compagni. Il petto delle maglie celebrative, creata per l’occasione, riportava il lemma SEMPR3. Ma è stato il finale a rivelarsi degno di essere vissuto e partecipato. Al triplice fischio finale di una gara che ha visto la vittoria del Barça, Piqué ha salutato e abbracciato uno per uno tutti i suoi compagni in campo. Con alcuni, come Ter Stegen, il primo ad abbracciarlo, c’è stata più empatia, più quimica per aver condiviso per anni lo spogliatoio. Con altri, sopratutto con i nuovi, i ragazzi, c’è stato meno trasporto, meno emozione, come è normale che sia. La squadra poi si è riunita a centrocampo e lo ha sollevato, portandolo in trionfo e lanciandolo per aria una, due, tre volte. È stato quindi il momento del giro del campo, con i 92.000 del Camp Nou, rimasti incollati ai rispettivi posti, ad intonare e coreare il nome di Piqué. Saluti, mani alla bocca per mandare invisibili baci al pubblico e al cuore, a l’escudo, per manifestare tutto il suo amore per un club che, come lui stesso ha dichiarato una volta presa la parola al microfono “mi ha visto nascere. Qui sono nato e qui morirò”. Piqué non riesce a trattenere nuovamente le lacrime. È un pianto a dirotto adesso. Deve interrompere il discorso più volte, il fiato è corto, le parole rotte dalle lacrime, dai singhiozzi strozzati in gola. È stato un privilegio vederti giocare per tutti questi anni Geri.

Nel mezzo di tutta questa emotività, di tutta questa elettricità statica che ha incendiato il cielo sopra il Camp Nou, facendo scoppiare mille scintille che illuminavano le tribune dello stadio, c’è stata la partita, passata decisamente in secondo piano emotivo. Una bella gara, giocata bene dalla squadra che non ha voluto rovinare la festa al suo capitano con una prestazione non all’altezza dell’importanza dell’evento. E così il gioco, veloce, bello, piacevole da vedere. Molto buona anche la pressione alta della squadra al fine del recupero immediato della palla. Tutto è stato organizzato alla perfezione per rendere la serata perfetta. Gioco, occasioni e divertimento, in campo e sugli spalti gremiti. Il Barça ha avuto una infinità di chance per segnare, ma ha avuto il torto di sfruttarne una minima percentuale.

Nei primi 45′ si è visto di tutto, da un calcio di rigore calciato sul palo da Lewandowski nell’eccessivo tentativo di angolare al massimo il tiro, ad un salvataggio sulla linea su conclusione a colpo sicuro di Ferran, a un colpo di testa di Dembélé, praticamente a porta vuota, con il francese capace di colpire la palla talmente male da consegnarla in braccio al portiere, a quel punto completamente spiazzato dal bell’assist di Ferran. Il numero 11, invece di calciare in porta a tu per tu con l’estremo difensore dell’Almeria, ha preferito la strada della sicurezza, servendo il compagno che si trovava con lo specchio di porta totalmente aperto. Un festival delle occasioni sprecate, dunque. Sopratutto il calcio di rigore. Il primo assegnato al Barça in questa stagione in tutte le competizioni. Un record negativo buttato alle ortiche dal Lewandowski che non ti aspetti dagli undici metri. L’Almeria, pur schiacciato in area da un bel Barça, condotto magistralmente a centrocampo da De Jong e Pedri in forma smagliante, ha rischiato di fare male ai blaugrana in tre circostanze nei primi 45 minuti. Al 23′ su buco difensivo sulla destra della difesa blaugrana e imbucata in area, con Ter Stegen che ha chiuso in uscita; pochi minuti dopo, al 27′, ancora Ter Stegen sugli scudi con una parata in uno contro uno con Ramazzani, lanciato nella metà campo blaugrana sguarnita da un errato passaggio centrale di De Jong a cavallo della linea di centrocampo intercettato dallo stesso giocatore dell’Almeria; e al 46′ con Melero, sul cui tiro si è opposto Jordi con il corpo.

La ripresa è stata bagnata dalle reti della vittoria del Barça. Ad aprire le danze è stato Dembélé al 47′ con una azione personale sulla destra, ingresso in area dal lato corto di destra, due avversari saltati e tiro chirurgico sul palo opposto. Da applausi. Il raddoppio è giunto al 61′ ad opera di De Jong che ha ribattuto in rete una previa conclusione di Ansu, entrato in campo un minuto prima al posto di un rabbuiato e scuro in volto Ferran (ottima la sua partita. Chissà che la doppietta nella partita contro il Viktoria Plsen non lo abbiano sbloccato). Da annotare la prima partita senza reti di Lewandowski dopo molto tempo in campionato, una seconda occasione colossale mangiatasi da Dembélé e l’undicesimo clean sheet di Ter Stegen in questa stagione strepitosa di Liga a livello di tenuta difensiva.

La partita è stata la ciliegina sulla torta per i festeggiamenti a Gerard Piqué, che ha ricevuto un regalo fatto di amore e affetto conditi da tre punti e dal primo posto in solitario in classifica. Almeno fino a lunedì, quando il Madrid scenderà in campo nel derby contro il Rayo.

MOLTES GRACIES GERI

Giuseppe Ortu Serra

Gerard Piqué ha deciso, all’improvviso, di dare l’addio al calcio. Non a fine stagione, come solitamente accade in tutti gli sport, ma con effetto immediato, saltando, de plano, ciò che rimane della stagione. Una decisione che ha suscitato stupore, sconcerto, inquietudine nel mondo del calcio mondiale. Molteplici sono state le dichiarazioni di sorpresa e di appoggio incondizionato ricevute da sportivi in giro per il pianeta, compagni, ex compagni ed avversari: Arteta, Guardiola, Puyol, Müller, Ronaldinho, Sergio Ramos e mille ancora. Tutti loro hanno riconosciuto il suo stile, la sua personalità, la sua leadership, il suo carisma.

La decisione di lasciare è stata comunicata dallo stesso giocatore attraverso un emotivo video, girato a Barcelona, in cui, dall’alto, domina la città e, con essa, i ricordi di un passato calcistico e di vita che paiono esser volati in un attimo. Tic, tac; tic, tac. Un montaggio di immagini da bambino con la Camiseta del Barça indossata come una seconda pelle, di sogni che andavano crescendo man mano che si realizzavano. Piqué bimbo sul prato di casa, festeggiando un compleanno, sull’erba del Camp Nou prima di una gara insieme a tanti bambini sognanti in occasione dell’inno del Barça; giocatore in erba che iniziava a viaggiare sulla strada dei trionfi; campione maturo e vincitore di ogni trofeo che valesse la pena di essere conquistato. La sua decisione, come detto, ha effetto immediato. Come da lui stesso comunicato nel video d’addio al calcio giocato, la partita di oggi contro l’Almeria sarà la sua ultima al Camp Nou. Un’occasione di più per rendere omaggio ad un campione che, volente o nolente, è stato simbolo vincente dei trionfi del Grande Barça.

Piqué è una personalità forte, destacada. Un ragazzo, un uomo, un calciatore che non ha mai avuto peli sulla lingua in merito alle sue convinzioni e idee personali. Ha sempre fatto la vita che aveva voluto fare, e l’ha sempre vissuta senza formalismi, in maniera anticonconformista. Dall’uso della bicicletta per andare allo stadio, al corteggiamento di Shakira via fax dal Sudafrica, dalla decisione di vivere una vida nocturna poco confacente ad un professionista del suo calibro (nelle ultime stagioni), alla decisione (folle) di preferire altre donne alla sua Shakira. Odiato, combattuto sia in casa che fuori, sia nel mondo Barça che in giro per la Spagna. A Barcelona, e nel Barcelona, da una fazione ideologicamente distorta che ne rimprovera le origini, lo stile, l’eleganza, lo status sociale. Odio di classe che ha portato a contestarlo anche sul campo, definendolo nel corso degli anni “scarso, inutile, dannoso, incapace” anche quando vinceva titoli in giro per il mondo, mondiali e europei con la Spagna. Ma si sa come è fatta quella parte di mondo. Inutile anche solo provare a parlarci e capire delle ragioni che non esistono se non nel loro rabbioso, bilioso, vendicativo, invidioso livore personale. In giro per la Spagna, invece, per le sue posizioni chiaramente indipendentiste e decisamente anti. Anti Real Madrid, anti sistema, basato sul potere dei blancos che tutto permea e tutto controlla, in patria e in Europa. Famose le dichiarazioni contro il Madrid e Florentino sul “palco del Bernabeu dove si tendono, si muovono i fili del Paese e se ne prendono le decisioni” rese al termine di una famosa (per quelle dichiarazioni) Spagna – Francia. Quel palco, una sorta di sede staccata del Consiglio dei Ministri spagnolo. Palco notoriamente frequentato da ministri, sottosegretari, procuratori generali mentre stavano indagando e imbastendo procedimenti giudiziari su giocatori di spicco del Barcelona. Dichiarazioni, quelle, che gli costarono i fischi ad ogni tocco di palla, con le partite della Roja, in giro per la Spagna. Perché si sa come sono da quelle parti: tutti antimadridisti finche non si tocca il Madrid. Ci si accorgeva se la Roja giocava in casa o fuori anche solo dai fischi contro Piqué. Senza fischi: fuori casa; con i fischi: in Spagna. Ma Piqué, fedele a se stesso, al suo carattere, al suo modo di fare e d’essere, è sempre andato avanti, fregandosene bellamente dei fischi ipocriti di quella parte di penisola iberica e dei giudizi tranchant degli antiquati esponenti di una retorica vecchia come i dinosauri e morta e sepolta, grazie a Dio, da cinquant’anni.

Circa le ragioni del suo gesto c’è ampio mistero. Solo speculazioni, idee, linee di pensiero o chiavi di lettura. Una mancanza di protagonismo all’interno della squadra (che peraltro conosceva benissimo dall’inizio della stagione), diverbi con Xavi (smentiti categoricamente dallo stesso tecnico), i fischi del Camp Nou alla gara successiva il pareggio interno del Barça contro l’Inter a causa dei suoi fondamentali errori (tesi priva di speso specifico), i suoi interessi imprenditoriali che contrasterebbero con la nuova Ley del Deporte che impedirebbe (art. 47, c.d. clausola anti Piqué) ad un calciatore professionista di intraprendere rapporti commerciali e imprenditoriali con la patronal nella quale lo stesso è incardinato (la RFEF, Federazione calcistica spagnola). Stiamo parlando dell’organizzazione della nuova Supercopa d’Espana in Arabia Saudita, nata da un accordo di 6 anni tra la Federazione e la Kosmos, società fondata e presieduta da Piqué, ammiraglia del patrimonio imprenditoriale di Geri. Anche questa chiave di lettura risulta comunque debole. La legge non è ancora stata approvata in via definitiva. È passata solo al Congresso dei Deputati (166 sì, 157 no, 18 astenuti). Da qui dovrà poi passare attraverso l’esame e la votazione al Senato. E anche qualora passasse, venisse approvata, fosse bollinata (usando la terminologia giuridica italiana) e entrasse in vigore, andrebbe sempre ed in ogni caso rispettato il principio dell’irretroattività delle norme giuridiche. Principio cardine di ogni sistema giuridico civile.

Da qui che non si conosce il vero motivo dell’addio repentino di Gerard Piqué. Può essere questo o quello, un po’ di tutto o di niente. Al momento non lo sappiamo, e dubitiamo che potremo mai saperlo. Ciò che è certo è che un campione del calibro di Gerard Piqué, che è stato la storia del FC Barcelona e che con esso ha scritto pagine di nettare della storia sportiva blaugrana, ha lasciato il club e il calcio giocato.

È doverosa la specifica del “calcio giocato”, perché il capitano, verso la fine del suo video, dice: “vado via ma tornerò”. Ed è anche chiaro in quale modo il Nostro potrà farlo. In veste di presidente come candidato alle elezioni alla presidenza del Barcelona. Quando non si sa. Se alle prossime, scadenza mandato Laporta 2024, o più in là nel tempo. Ciò che è certo è che Gerard si presenterà prima o poi come candidato presidente e, con le sue capacità, siamo certi che lo vedremo in un periodo non troppo lontano a presiedere la junta direttiva e il club di una vita. Fino ad allora il numero 3 sarà un’assenza che si farà sentire. Moltes gracies Geri.

UN BARÇA INCEROTTATO VINCE PIDIENDO LA HORA CONTRO IL VIKTORIA PLSEN

Giuseppe Ortu Serra

Il Barça vince in Repubblica Ceca 4-2 in una gara disputata con molte novità nell’undici titolare. Le reti sono arrivate da Marcos Alonso per aprire la partita, da una doppietta di Ferran e dalla prima rete in blaugrana di Pablo Torre. Doppietta di Chory per il Viktoria Plsen. Quella della Doosan Arena è stata una partita con molte reti e altrettante disattenzioni, da una parte e dall’altra. Più normale per i cechi, meno per il Barça. La formazione di Xavi ha infatti ballato più del pensabile contro una formazione che in 6 partite di Champions ha segnato appena 5 reti (di cui due contro i blaugrana) e subendone la bellezza di 24. La difesa del Barcelona ha commesso una infinità di errori, permettendo ai padroni di casa di rendersi pericolosi in una infinità di casi. 22 contro 11 i tiri in porta, 8 contro 7 nello specchio per il Viktoria. A cui vanno aggiunti 7 corners contro uno solo battuto dal Barça. Numeri impietosi che dimostrano lo stato di salute nella fase difensiva di una formazione giustamente eliminata dalla Champions. La difesa, con Bellerin, Piqué, Marcos Alonso e Jordi, ha ballato il cha cha cha nel corso di tutta la gara. L’ex Arsenal continua a mostrare enormi limiti di affidabilità. Marcos Alonso non è un centrale. Con la pattuglia dei centrali disponibili solo per l’infermeria, questa formazione non è in grado di vincere facilmente nemmeno contro la formazione ceca. Tutt’altro, i blaugrana hanno chiuso la partita pidiendo la hora, messi in area da un Viktoria Plsen naïf ma arrembante contro Xavi & Co, che arrivava da tutte le parti e tirava da ogni dove.

Il Barça è passato subito con Marcos Alonso, anche se il Viktoria ha risposto con pericolosità in un paio di circostanze, colpendo anche la traversa al 20′ con Chory, che da solo ha fatto ammattire la difesa blaugrana. Il raddoppio azulgrana è giunto da parte di un Ferran che, nonostante la doppietta messa a referto in questa partita, ha mostrato i soliti limiti, tecnici e di scelte concettuali, e che, per ciò solo, va messo in testa alla lista dei partenti in estate.

La ripresa è iniziata con la rete del Viktoria che ha accorciato le distanze su un calcio di rigore nato dall’ennesimo svarione difensivo. Di Chory la trasformazione. Il Barça ha nuovamente staccato l’avversario sul punteggio con la rete dell’uno a tre. Una splendida rete di Ferran che ha concluso una bella azione personale su passaggio di Raphinha. Il doppio vantaggio non ha dato alla squadra quella solidità che ci si sarebbe attesi. La partita è proseguita sui binari dell’equilibrio con un batti e ribatti continuo e dei capovolgimenti di fronte che ne hanno, sì, esaltato l’aspetto spettacolare, ma ne hanno anche accentuando le mancanze difensive delle due compagini. La seconda rete dei locali è la perfetta esemplificazione di questo concetto. Chory, ancora lui, non Haaland, è saltato in area indisturbato e ha fulminato il povero Inaki Pena.

Nel festival degli errori di reparto ed individuali che è stata questa gara, Pablo Torre, alla prima da titolare, ha firmato la sua prima rete in blaugrana. Il numero 32 ha sfruttato un bel lancio di Raphinha per entrare in area e calciare forte sotto la traversa. Nella circostanza, correva il minuto 74, l’ex Racing si è infortunato agli ischiotibiales. Infortunio che si è aggiunto a quello di Kessié di 10 minuti prima. Ennesima doppia lesione durante una singola gara. Al loro posto due canterani del Barça Athletic: Sanz e Casadó. Sopratutto quest’ultimo ha mostrato le sue qualità in mezzo al campo nel ruolo di pivote.

Da quel momento il Viktoria ha decisamente preso il sopravvento, costringendo il Barça a difendersi con sempre maggior affanno e sfiorando la rete in almeno quattro circostanze, tra cui un palo pieno alla sinistra di Pena.

La partita non aveva alcun valore di classifica, se non per il bonus vittoria della Uefa. Ma l’immagine che il Barcelona ha trasmesso è stata preoccupante e deprimente. Una formazione che finisce la partita in balia del Viktoria Plsen e che ha mostrato nel corso di tutta la gara una difesa da spavento nel più puro stile Halloween, aggiunge ulteriori punti interrogativi ai dubbi mostrati dalla squadra in questa parte di stagione. La pausa per il mondiale non arriverà mai troppo in fretta. In questo momento bisogna fare quadrato e cercare di limitare al massimo i danni. Trattenere il fiato e sperare che l’infermeria si svuoti quanto prima per puntare alla ripresa della stagione post mondiale con minore emergenza. Altrimenti saranno guai seri.