PRIMA TRASFERTA. PRIMA VITTORIA. SOFFERTA MA CON TRE PUNTI

Giuseppe Ortu Serra

La prima trasferta di Xavi viene mandata agli archivi con una vittoria del nuovo corso del Barça. Partita difficile, abbastanza brutta, a tratti confusionaria, ma con la conquista di tre punti fondamentali. Per la sfida al Villareal, la prima trasferta di Xavi sulla panchina del Barça, il tecnico ha scelto di riproporre la difesa a tre (già schierata contro il Benfica), con centrocampo a quattro e attacco a tre. Il primo tempo è stato piuttosto equilibrato con dominio alternato delle due squadre che hanno cercato di superarsi a vicenda. Il Barça ha iniziato meglio, con buona pressione sull’avversario e buon recupero della palla. Molte occasioni con poco costrutto e troppe occasioni sprecate. Abde di testa con grande parata di Rulli; Gavi palo colpito da posizione defilata sulla sinistra. Memphis, dal canto suo, ha dimostrato di non attraversare un buon momento psicofisico sprecando clamorosamente davanti alla porta su lancio millimetrico di De Jong. Il numero 9 è arrivato sulla palla di corsa, ha aperto il piatto del piede destro, ma ha clamorosamente mandato la palla lontano dal palo della porta difesa da Rulli. Dopo l’iniziale pressione dei catalani, i padroni di casa hanno preso possesso del campo e del gioco. Il submarino amarillo ha creato pericoli sfondando sopratutto sulla destra dello schieramento blaugrana (la sinistra rispetto al fronte d’attacco del Villareal). Il gioco di Xavi prevedeva che l’extremo a destra dovesse fare tutta la fascia giocando da laterale e da attaccante (Abde nel primo tempo, Dembélé nella ripresa). Quando il Villareal ha avuto l’inerzia della gara a suo favore, Abde è andato costantemente in difficoltà, sempre superato dal lancio alle sue spalle. È da quella parte che la squadra di Emery ha creato tutti i pericoli nel primo tempo.

Con il risultato di 0-0, e senza cambi nell’intervallo, si è aperta la ripresa. Dopo pochi minuti il Barça ha sbloccato il risultato. Azione a destra di Abde, cross dalla parte opposta, dove Jordi ha scagliato in area un tiro-cross sul quale si è avventato con tempismo Depay. Il tocco leggero è stato deviato dal portiere Rulli, che nulla ha potuto sulla successiva definizione di De Jong che ha ribadito in rete. Dopo qualche momento di suspence per il controllo del Var, Soto Grado ha convalidato la rete del vantaggio. Anche la ripresa, dopo il migliore inizio del Barça, ha visto il Villareal riprendersi. Il submarino amarillo ha reagito bene allo svantaggio. Il Barça si è ritirato molto nella sua metà campo e ha iniziato a subire l’avversario. Il Villareal ha iniziato a creare pericoli, mentre il Barcelona ha iniziato a disunirsi nelle retrovie, commettendo una serie di errori individuali di posizionamento e nell’anticipo che hanno concesso una serie di chance da rete ai padroni di casa. Da una di queste è giunta la rete del pari. Errore in chiusura di Piqué che dà il via libera all’inserimento e al tiro di Chukwueze. Ter Stegen battuto e tutto da rifare. Il Villareal, caricato dal ritrovato pareggio, ha continuato a pressare, a creare pericoli e a far sbandare la difesa del Barça. La squadra di Xavi è andata più volte vicino alla capitolazione, ma con un colpo di reni, rappresentato da un lancio millimetrico di Ter Stegen per Depay all’88’ e da una bella rete dello stesso numero 9, il Barça è riuscito a capovolgere la situazione che stava vedendolo vicino a crollare. Memphis, nella circostanza, è stato caparbio, calmo e bravo a gestire la situazione. Palla al piede è entrato in area, ha superato il portiere con un dribbling a uscire, e nei pressi della linea di fondo è riuscito a eludere il tentativo di intervento della difesa avversaria facendo passare la palla tra le gambe di un difensore appostato sulla linea di porta. Bel goal, determinante per le sorti della gara. Il tocco di testa della difesa dei padroni di casa sul lancio di Ter Stegen, toglie al portiere la soddisfazione di mettere a segno il suo primo assist della stagione.

La rete del vantaggio ha cambiato il finale di gara, sentenziata definitivamente al 94′ da un calcio di rigore assegnato per fallo su Coutinho, dallo stesso numero 14 trasformato per il 1-3 finale.

Tre punti conquistati in una brutta partita, sofferta e con una manciata di fortuna. Si può dire che proprio per il modo in cui è giunta la vittoria, in una serata difficile, nella quale hai pure giocato male, questi tre punti sono fondamentali. Se vinci questo genere di gare, quando le cose si stabilizzeranno, non si potrà che migliorare.

XAVI: “SERVE AUDACIA PER VINCERE. SIAMO ALL’INIZIO DI UN PROGETTO”

Giuseppe Ortu Serra

Dopo le prime due gare dell’era Xavi, una vittoria e un pareggio, entrambe disputate in casa contro Espanyol e Benfica, adesso è giunto il momento di affrontare la prima trasferta. E non una come un’altra. Il Villareal, avversario che incrocerà le lame con il Barça sabato alle ore 21:00, è un avversario tosto.

Xavi ne ha parlato in conferenza stampa, monopolizzata più da argomenti extra gara che dal prossimo appuntamento contro il submarino amarillo. Xavi ha messo in evidenza gli spigoli appuntiti del prossimo avversario, in grado di creare più di un grattacapo alla formazione blaugrana. La disamina è puntuale e soddisfacente: “È un avversario diverso dai due precedenti affrontati. Mentre Espanyol e Benfica difendevano bassi, il Villareal tende a pressare alto e tenere la palla. È una squadra di Champions con uno dei migliori allenatori del calcio spagnolo: Unai Emery. Sarà una partita in un campo di dimensioni ridotte. Sarà difficilissimo”.

Xavi è appena arrivato. Pretendere tutto e subito non è corretto, né giusto nei suoi confronti. Pronti via e in Champions ha avuto una partita da dentro o fuori. È arrivato, gli hanno consegnato un’arma con il solo colpo in canna e gli hanno detto: “Metti il proiettile nel centro”. Un po’ complicato, non trovate? Non è un one shot man. Xavi è un uomo di calcio e sa bene cosa fare, dove lavorare e come farlo. Lo ha spiegato anche in diversi momenti della conferenza stampa. “Non è una situazione facile. Non abbiamo un cuscinetto di punti da gestire. Al contrario, siamo lontani e dobbiamo vincere”. E qui arriva la parte più importante. “Siamo all’inizio di un progetto; siamo sulla giusta strada. Sono ottimista. Credo che nelle prime due partite abbiamo giocato bene in linea generale. Dobbiamo migliorare in altri aspetti. Dobbiamo mantenere ciò che abbiamo conseguito, e migliorare ciò che abbiamo sbagliato”.

Ma dove ha sbagliato il Barça secondo Xavi? Quali sono le pecche che più di altre ha notato? Il tecnico è stato chiaro sul punto. L’aspetto caratteriale, mentale. “Ci manca audacia in attacco, non goal. Lo vedo in allenamento; le reti arriveranno”. Per Xavi è un discorso di mentalità, di coraggio, di sfrontatezza in campo nelle partite ufficiali. “Ci sono momenti in cui abbiamo occasioni e cerchiamo l’extremo invece che affrontare i centrali. Questo ci capita perché all’interno del campo abbiamo giocatori molto giovani. È normale che ciò avvenga. Capitava anche a me quando avevo 18 anni. È più questo che non il fatto che non abbiamo goal”.

E poi, la frase che potrebbe essere incorniciata come il Manifesto del barcelonismo. “Al Barça non è sufficiente la perfezione, serve l’eccellenza”. Una frase, questa, che ci ha ricordato un’altra affermazione, questa volta di Cruyff, che aveva detto “Al Barça fare le cose bene non è sufficiente. Devi farle in maniera perfetta”. La simbiosi Xavi-Johan, sinonimo di calcio, di eccellenza, di Dna Barça.

Audacia, coraggio, faccia tosta. Tutti sinonimi per manifestare la carenza, oggi, di questo Barça. Peccati di gioventù, diremo. Xavi è ritornato più volte su questo concetto nel corso della conferenza stampa. Segno che per lui è un punto su cui battere. Una resistenza da far cedere. Bene in difesa e a centrocampo. “Ci manca l’ultimo terzo: avere più coraggio, capire il due contro uno, arrivare in area”. Xavi si mostra sereno, per nulla preoccupato. “Ci stiamo allenando e migliorando, a livello collettivo e individuale”. Anche la disposizione degli aggettivi all’interno della frase non sono casuali. Prima sempre la squadra; solo dopo il singolo. Pensare da squadra per essere una squadra. Solo così si costruisce un team vincente, un equipo ganadór.

Gli aspetti positivi sono la difesa e il recupero della palla (“stiamo lavorando molto bene difensivamente con una buona pressione dopo la perdita del pallone”), la strategia, dove “abbiamo lavorato bene” e i valori. “Sono abbastanza soddisfatto; si sta vedendo una buona squadra. La sola cosa che ci manca è essere più audaci” continua Xavi “Il Barça deve essere protagonista con il pallone e lo abbiamo realizzato. Adesso dobbiamo farlo per 90 minuti; e vincere”.

Non si è parlato solo della partita di domani (poco) e delle condizioni di salute del Barça (molto). Xavi ha anche risposto ad alcune domande in merito a certi suoi giocatori. È il caso di Dembélé. Xavi è incantato del francese. Del suo gioco e della sua actitud, del compromiso con la squadra (“L’altro giorno non era al 100% e ha mostrato una dedizione tremenda”). È tuttavia un giocatore che deve crescere molto e migliorare in molti suoi aspetti. Sostanzialmente deve imparare a giocare a calcio nel Barça e Xavi è proprio qui per questo. L’obiettivo è “insegnargli a prendere decisioni e capire il nostro gioco”. Il corso immersivo di Fútbol made in Barça non è tuttavia destinato a lui solo. Al ciclo di lezioni saranno iscritti tutti gli uomini della rosa “specialmente los extremos”. È curioso, piuttosto strano per meglio dire, che giocatori al Barça da parecchi anni debbano apprendere, oggi, come giocare nel Barça. Questo dimostra quanto si sia sbagliato in passato con la scelta degli allenatori. Un errore che ha fatto perdere anni ai giocatori stessi e alla squadra. Sbagliare la scelta del tecnico è come finire con un insegnante sbagliato: rischi di buttare via il tuo talento, la tua intelligenza e la tua vita. La chiosa di Xavi è emblematica: “La cosa importante è che i giocatori migliorino individualmente e collettivamente. Se ci riusciremo, alla fine della stagione saremo prossimi a conquistare titoli“.

Non solo Dembélé però. Xavi ha parlato anche di altri suoi giocatori, come Busquets (“giocatore nel quale mi rivedo in campo. Un giocatore che capisce tutto. Quello che cercavo di fare io. Un leader assoluto. L’alma mater della rosa. Anche la Roja gioca in maniera totalmente differente senza di lui. Un giocatore fondamentale”), Umtiti e Lenglet: (“Loro due si stanno allenando bene e sono un esempio. Tutti meritano di giocare. Devo essere ingiusto con qualcuno. Ma tutti avranno modo di giocare durante la stagione. L’altro giorno ha giocato Lenglet perché il suo profilo era perfetto per affrontare il Benfica”). Xavi ha avuto parole anche per Riqui (“contiamo su di lui. È un giocatore dal talento innato e deve essere importante come Gavi, Nico e De Jong”). In merito al futuro di questi ultimi, più Pedri, Xavi è stato chiaro sul fatto che non si muoverà nessuno di loro da Barcelona. “non è nostra intenzione vendere a nessuno di loro. Tutto il contrario”.

S’ha ACABAT! LO SPETTRO EUROPA LEAGUE DÀ IL BENVENUTO AL BARÇA

Giuseppe Ortu Serra

È finita. Il Barça getta l’anima oltre l’ostacolo, ma non basta. Pareggia zero a zero al Camp Nou contro il Benfica e saluta virtualmente la Champions League. Il prossimo suo destino sarà la Europa League al termine di uno spareggio con una delle seconde di quella competizione. Un addio che solo temporalmente viene fatto coincidere con questa gara. In realtà questo fallimento arriva da lontano e porta i nomi di Josep María Bartomeu e Ronald Koeman. Gli uomini dello sfascio. I due che hanno portato il Barcelona a salutare la Champions League e a giocare nella Serie B d’Europa. Solo un miracolo potrebbe impedire questo scenario, ad oggi attuale e concreto come l’arrivo del Giorno del Ringraziamento. Solo a parlarne suona impossibile. Il Barça, che mantiene due punti di vantaggio sul Benfica, dovrebbe vincere in Baviera contro il Bayern. Solo a dirlo sembra ridicolo.

Xavi ha stupito tutti alla lettura della formazione. Difesa a tre per affrontare il Benfica. Ricordi nefasti immediatamente spazzati via non appena la palla ha iniziato a rotolare sull’erba. I numeri, i moduli, sono solo concetti nebulosi che fanno la gioia solo dei contabili o dei giornalisti ottusi. Il calcio è altra cosa. Il football non è fatto di numeri, moduli, ma da idee e dai giocatori che interpretano i concetti portati dal proprio allenatore. E così, la disastrosa difesa a tre di Koeman si è convertita in una difesa solidissima con Xavi che ha mostrato un calcio brillante e propositivo, veloce e piacevole.

La linea difensiva è stata composta da Araujo, Piqué e Lenglet. Quattro a centrocampo con Nico, Busi, De Jong e Jordi; Demir, Depay e Gavi davanti. La partita è stata impostata per avere molta velocità e palla sempre in movimento, possibilmente tra i piedi dei blaugrana. Il primo tempo è stato così. Un buon Barça, preciso nei passaggi, corto nella struttura organizzativa, veloce negli scambi. Tutti i giocatori si sono mossi continuamente, cambiando anche le posizioni in campo, con interscambi, creare problemi alla squadra avversaria.

Il Benfica, da parte sua, è stato pensato per essere maggiormente attendista rispetto alla partita del Da Luz dell’andata. Jorge Jesús ha lasciato in panchina l’attaccante allora più pericoloso, lanciando una unica punta, Yarenchuk, con una difesa a tre, centrocampo a 4 e due mezze punte.

Il Barça ha creato molto, ma concretizzato poco, dimostrando una evidente carenza di un uomo-goal. Depay ha partecipato poco alla manovra, e in area di rigore è stato estremamente sterile. Le occasioni migliori sono giunte da Gavi (tiro alto nell’area piccola), Jordi (tiro respinto dal portiere dopo una ripartenza a seguito di un bel break a centrocampo) e Demir, che ha colpito una traversa dopo un grande tiro a giro.

Nella ripresa il Barça ha cercato di fare di tutto per superare l’ostacolo, vincere la gara e conquistare la qualificazione. L’anima, per usare le parole di Xavi, è stata lasciata in campo. Fino alla fine la squadra ci ha provato, meritando una vittoria che non è arrivata. Memphis ha avuto l’occasione, la palla della vittoria, della qualificazione, ma l’ha sprecata non arrivando nemmeno al tiro. Lanciato in profondità, il numero 9, invece che tirare in porta, ha cercato un dribbling per avere una migliore posizione di sparo, ma ha sbagliato il dribbling, allungandosi la palla e permettendo il recupero disperato di un secondo difensore. Quella è stata la migliore occasione della gara, la più semplice da realizzare. Ci hanno provato tutti, ma con scarsa fortuna. De Jong ha provato a realizzare di testa, quasi a botta sicura, ma un grande intervento di Vlachodimos ha negato la gioia della rete al numero 21. L’ingresso in campo di Dembélé ha certamente vivacizzato i blaugrana. Sempre pericoloso, larghissimo, è stato cercato molto dai compagni. I suoi cross hanno portato il panico nell’area lusitana, anche se non sono serviti per giungere alla rete. Il francese non ha mai tirato in porta. Questa l’unica pecca della sua gara. Qualche tiro dei suoi avrebbe forse potuto essere risolutivo in una situazione in cui mancava un giocatore da goal.

La rete di Araujo nei minuti finali ha fatto esplodere il Camp Nou e alleggerire gli animi, ma si è trattato solo di un infido e insidioso fuoco fatuo. La posizione del difensore, lesto a lanciarsi in spaccata su un pallone in area che proveniva da un cross dal lato opposto, era leggermente avanzata rispetto all’ultimo difensore. Il VAR ha spezzato ogni gioia e speranza dei blaugrana e dei loro tifosi.

La buona volontà, l’animosità e la voglia di non mollare mai e di non darsi per vinti si sono scontrati con la mancanza di un uomo-gol. Colui che avrebbe dovuto esserlo, Memphis Depay, ha steccato totalmente la gara. È stato l’unico bocciato tra coloro che sono scesi in campo con la maglia blaugrana. Quasi sempre fuori dalle dinamiche della squadra, ha sbagliato movimenti non intendendosi con i compagni (lui andava a destra mentre la palla era destinata destra, e viceversa. Scattava, mentre doveva accorciare). Ironia della sorte, a parte la traversa dei primi mi 45 minuti di Demir, l’occasione della gara è finita proprio tra i suoi piedi, ma è stata sprecata nella maniera prima descritta.

Questa squadra paga gli infortuni e la sfortuna, l’assenza di Agüero per i suoi problemi cardiaci e una nefasta prima parte di stagione con un allenatore incapace. Prepariamoci ad un futuro inatteso ad inizio stagione e aggrappiamoci alle uniche certezze di questa squadra: Xavi e una rosa di ragazzi straordinari, pieni di cuore, anima, intensità e amore per questa maglia.

LA MANO DI XAVI E L’EREDITÀ DI KOEMAN

Giuseppe Ortu Serra

Sono bastati pochi allenamenti a Xavi per iniziare a mettere le cose apposto. Ha trovato una squadra mal allenata, mal preparata, in confusione tattica e in depressione morale ed emotiva profonda. L’arrivo di Xavi è stato una manna dal cielo per cercare di porre rimedio alla catastrofe assoluta del periodo di Koeman. L’impreparazione, il doppiogiochismo di Mister Lamento, maggiormente impegnato a tirare la volata al vecchio establishment, a fare politica contro e a salvare se stesso dalle proprie manchevolezze denigrando la rosa a disposizione, piuttosto che allenare la squadra e preparare le partite, ruolo per il quale era pagato, stava portando il Barça in un angusto e umido vicolo cieco dal quale difficilmente si sarebbe ripreso in questa stagione. La chiamata, tardiva beninteso – e di questo se ne fa una colpa a Laporta – di Xavi, è stata la sola cosa intelligente, sensata e oculata da fare. Liberatisi di quel pesante bagaglio, adesso Xavi comanda. In tutti i sensi. Pochi giorni a disposizione e il clima è totalmente cambiato. El de Terrassa ha aperto le finestre dello spogliatoio per far cambiare l’aria tossica che aleggiava e si respirava, e che tutto ammorbava.

Regole, ordine, lavoro, metodo e recupero dell’identità. Questi i capisaldi del Xavi pensiero. La prima partita, contro l’Espanyol, è stata illuminante da questo punto di vista. La squadra è totalmente cambiata rispetto a sole poche settimane fa. I giocatori sembrano ringiovaniti di 20 anni. I volti sono distesi, sorridenti; Lo spirito è combattivo. Tutti, in campo, si aiutano vicendevolmente. Uno per tutti e tutti per uno avrebbe scritto Dumas. Nel derby, il Barça ha giocato da squadra, come un blocco unico. Xavi lo aveva chiesto; i giocatori hanno risposto presente.

Il primo tempo è stato esemplare ed esemplificativo da questo punto di vista. Il Barça ha giocato come poche volte gli avevamo visto fare nelle ultime stagioni. Pressing altissimo per recuperare la palla, anticipi dei difensori in ogni zona del campo, extremos larghi, larghissimi fino a pestare la linea degli out, tiri da fuori area, altissima velocità di esecuzione e inserimenti dalle retrovie. Il caso di De Jong è stato illuminante da questo punto di vista. Xavi aveva detto nella conferenza stampa della vigilia, che De Jong, con lui, avrebbe dovuto essere molto più partecipativo. Inserimenti in area di rigore e tiri in porta aveva chiesto. Esattamente ciò che il numero 21 ha fatto. Corse a perdifiato e inserimenti nell’area avversaria alla ricerca del tiro o dell’assist. Frenkie ha messo in campo una prestazione perfetta, su misura a quanto il suo allenatore gli aveva chiesto.

Il secondo tempo, invece, ha visto il Barça svuotarsi di energie fisiche. Dal 60′ circa, dunque 15 minuti dall’inizio della ripresa, la squadra ha iniziato a sedersi, a faticare. Si è notato subito la pesantezza delle gambe dei giocatori nei movimenti, non più fluidi, ma macchinosi. Gli anticipi non sono più riusciti perché sono mancati i tempi nell’uscita, la gestione della palla è passata all’Espanyol, con maggior fiato e energie. Il Barça si è dovuto, suo malgrado, limitarsi a tappare i buchi che si aprivano nel campo e nelle posizioni.

La fortuna ha assistito Xavi in questo suo esordio. Senza i pali di De Tomás e gli errori sottoporta dello stesso giocatore e di Dimata, adesso staremo parlando di un altro risultato. Ma, punteggio a parte, rimane la prestazione del primo tempo e la voglia di combattere della ripresa, anche in mezzo alle difficoltà derivanti dalla stanchezza. Un blocco unico e unito, sia nei momenti piacevoli, che in quelli di crisi. Lo spirito è questo.

La mano di Xavi è evidente sia negli allenamenti (adesso si corre e si fatica), che in gara. Il primo tempo è tutto suo. La ripresa, invece, è figlia di Koeman, del suo disastroso modus operandi, della sua logica contorta, del suo dolce far niente durante gli allenamenti. Un allenatore che non allena la squadra è utile quanto un marinaio senza barca, un militare senza una guerra, un killer non vedente. La squadra dura appena un’ora. Con certi avversari, anche grazie a un po’ di buona sorte può bastare, ma con i più forti, i top 5 della Liga, o in Europa, il compito sarà molto più complicato.

Xavi ha riportato speranza e entusiasmo. Ha riportato l’etica del lavoro e del calcio, quello vero, quello che piace a Barcelona e agli amanti del football, quello che non specula sul risultato o sul gioco, che non si nasconde, che non spara la palla in tribuna o si limita al lancio lungo in avanti. Il dado è tratto. Speriamo solo che non sia troppo tardi e che i danni di Ronald Koeman siano in qualche modo rimediabili.

XAVI TRASFORMA IL GIOCO DEL BARÇA E CONQUISTA LA PRIMA, SOFFERTA, VITTORIA

Giuseppe Ortu Serra

Xavi arriva e fa il pieno. Vittoria, tre punti e stadio pieno. 74.418 spettatori non si erano mai visti in questa stagione. Merito di un uomo, di un nome, di un allenatore. Vittoria importantissima e fondamentale come dirà anche Xavi nel post partita. Importante per la classifica, per il morale, per ciò che la squadra ha mostrato di saper fare e saper dare. La squadra è poi calata enormemente nel secondo tempo per i soliti problemi di mancata preparazione fisica impostata da quel disastro di allenatore che risponde al nome di Ronald Koeman. E solito nugolo di infortunati. Anche contro l’Espanyol sono stati due giocatori a cadere sotto la scure delle lesioni: Busi, infortunio al solo, e Nico, uscito con problemi alle gambe. Se per soli crampi o per qualcosa di diverso lo scopriremo nelle prossime ore.

Un ottimo primo tempo per un Barça la cui cura Xavi si vede sin dalle prime battute. Il nuovo allenatore del Barça si è presentato alla sua prima partita partita sulla panchina del Barcelona con un undici nel quale ha fatto esordire Ilias, giocatore del Barça B di appena 17 anni. Insieme a Gavi, altro 17enne, i blaugrana sono scesi Ion campo con una formazione zeppa di ragazzi terribili. Il talento in cattedra. Oltre ai due diciassettenni, Xavi ha messo in campo Nico e Eric. Molti giovani per un tecnico che ama rischiare e puntare a vincere con spirito combattivo e valentía.

La squadra è stata dominante per tutto il primo tempo. Buona la velocità della palla. Squadra aggressiva, con una forte pressione alta tendente a recuperare immediatamente il possesso di palla. Il Barça ha giocato con gli estremi (Ilias a destra e Gavi a sinistra) molto larghi, quasi sulla linea degli out. Frequenti cambi di campo e inserimenti continui di Frenkie de Jong, così come aveva anticipato Xavi in conferenza stampa. Tutta un’altra storia rispetto a prima. Altra novità è stata il fatto che i blaugrana hanno finalmente tirato in porta ogni volta che ne hanno avuto l’opportunità.

Nei secondi quarantacinque minuti Xavi ha subito cambiato un uomo. Abde per Ilias. Se il giocatore che aveva giocato la prima non aveva dispiaciuto, Abde ha riempito gli occhi per la sua qualità. il 19enne marocchino ha mostrato ciò di cui è capace: forza fisica, velocità, tecnica, personalità. Si è preso la scena con sfacciata arroganza. Nella ripresa, frazione in cui il Barça è calato enormemente dal punto di vista fisico (ahi Koeman!), il ragazzo è stato uno dei più pericolosi della squadra.

La seconda parte di gara si è aperta con il vantaggio blaugrana. Fallo in scivolata di Depay dopo uno scambio con Gavi e rigore assegnato dall’arbitro Del Cerro Grande. Dal dischetto Memphis non ha ripetuto l’errore compiuto contro il Rayo e ha spiazzato l’ex Madrid (finiscono tutti all’Espanyol) Diego Lopez.

Dopo il vantaggio il Barça è riuscito a dare continuità al suo gioco e alle occasioni create fino al 60°. In questo frangente Busi da fuori, e ancora Abde, con una splendida cavalcata lungo l’out di destra concluso con un tiro-cross che ha costretto la difesa espanolista a rifugiarsi in angolo a portiere battuto, hanno sfiorato il raddoppio. Ma da quel momento in poi la gara è cambiata, prendendo una piega inaspettata, ma che ha ricordato tremendamente la fine della sfida del Balaidos contro il Celta.

I blaugrana hanno sentito il peso della fatica causata dal nulla assoluto che Mister Lamento Koeman ha fatto nei suoi 17 mesi a Barcelona. È stato ingaggiato per allenare la squadra, ma l’ha solamente sfibrata, spompata e ridotta ai minimi termini dal punto di vista fisico. Come Attila che laddove passava non faceva più crescere l’erba, Koeman ha distrutto fisicamente la sua squadra. Il Barça gli dovrebbe chiedere i danni per tanta incapacità manifesta.

Dal 60°, mentre al Barcelona non riusciva più nulla di ciò che aveva fatto nel primo tempo (anticipi, recupero della palla, dominio del gioco e della sfera), l’Espanyol ha iniziato a prendere il possesso della partita e a creare pericoli. I pericos hanno iniziato a mettere sotto pressione la difesa dei locali, mettendo a referto alcune clamorose occasioni che non se sono trasformate in rete solo per il caso (palo di De Tomas a colpo sicuro) o per l’imprecisione degli espanolisti (Dimata solo davanti a Ter Stegen che incorna incredibilmente fuori).

Il Barça ha vinto la prima partita della sua avventura blaugrana. Una vittoria importante, ricca di spirito combattivo anche nei momenti di difficoltà. Si è vinto anche con una certa fortuna. Anche quella è importante. Per una volta la Dea Bendata ha dato una mano al Barça. Anche questo è un cambiamento.

DANI ALVES: OPERAZIONE RICOSTRUZIONE

Giuseppe Ortu Serra

Dopo Xavi, adesso Dani Alves. L’Operazione Ricostruzione prende forma. Dopo il tecnico di Terrassa, adesso il laterale brasiliano. L’Operazione messa in campo da Xavi e Laporta punta a creare una squadra vincente con le persone giuste ai posti giusti. Un allenatore di grande talento e futuro, un laterale sperimentato dalla grande carica vincente. Xavi e Alves parlano la stessa lingua. E il tecnico ha bisogno di uno dei suoi discepoli per predicare e estendere il verbo tra i suoi adepti.

Il Barça, demoralizzato e distrutto nel morale, nell’animo e nell’amor proprio, totalmente sfiduciato da una Junta di malfattori e da una banda di tecnici dalle capacità tattico-caratteriali limitate (ed è un complimento), adesso viene ricostruito mattone per mattone. In campo e fuori. Sull’erba del terreno di gioco e nello spogliatoio. È sotto questa egida che si spiegano le due incorporazioni realizzate da un Laporta che sta tornando ad essere quel presidente che abbiamo atteso mesi senza che si palesasse.

Dani Alves ha chiarito e mostrato in conferenza stampa, e prima sul terreno di gioco, il motivo per il quale è stato richiamato. Riportare l’entusismo perduto nel barcelonismo. 10.374 persone che hanno affollato la tribuna del Camp Nou per acclamare il loro beniamino come se il Barça avesse appena alzato al cielo un trofeo, una coppa. Un entusiasmo di questo genere si era visto solo per la presentazione di Xavi. Dani Alves sarà importante nello spogliatoio prima che sul terreno di gioco. Il neo numero 8, “ho preso questa maglia in onore di Hristo e Iniesta”, è un leader; non solo, è un vincente. E ben sappiamo quanto il Barça necessiti di una figura di questo genere, che prenda in mano le redini animiche dello spogliatoio e lo scuota nel morale, cancellando le tossine delle sconfitte e riportando il sereno, meglio, l’ottimismo, nel barometro umorale della squadra. Dani Alves è un trascinatore, un capo banda, un giocatore che non ha vissuto sulla sua pelle il turbinio di sconfitte che hanno fatto precipitare la squadra in un vortice di depressione e insicurezza. Dani ha ripreso laddove aveva lasciato, con lo spirito vincente di chi non si spaventa davanti a nulla e nessuno perché cosciente della propria forza morale e caratteriale. Un trascinatore che sa ancora giocare al calcio. E anche bene, a vedere il suo percorso con l’Olimpica del Brasile appena pochi mesi fa.

Il suo inserimento non può che far bene ai suoi compagni di squadra, sopratutto ai più giovani. E di questi il brasiliano ha già parlato, spendendo parole per Dest: “un gran giocatore. Con lui stiamo parlando. Sto cercando di aiutarlo. Bisogna proteggere questi giocatori”. Con Dani Alves al fianco, l’americano non può che crescere esponenzialmente in quanto, ora, avrà un modello top class con cui specchiarsi. Il massimo per migliorarsi e crescere. Ma il brasiliano ha anche già parlato con Dembélé. Il francese è, forse più di tutti gli altri, un giocatore da prendere da parte per fargli un corso immersivo di autostima e autoconsapevolezza. “È un giocatore eccezionale que deve capire che è molto bravo e che gioca nel Barça. È un gran calciatore e deve crederci. Ci incaricheremo di ricordarglielo giorno dopo giorno. Può fare molte grandi cose in questo club”. Questa è la mentalità vincente di un trascinatore. E Alves lo è senza dubbio. Un giocatore che per capacità caratteriali e competenze calcistiche può essere determinante nella crescita della squadra, e nella creazione di quel “blocco unico” che Xavi aveva declinato in occasione della sua conferenza stampa di presentazione. In pratica, di una squadra.

Xavi, per mettere in pratica le sue idee, ha necessità di giocatori che conoscano lo spartito a memoria e sappiano interpretarlo senza fraintendimenti. Dani Alves, in campo, sarà la voce, gli occhi, la mente di Xavi. E il neo numero 8, parlando in conferenza stampa, lo ha indirettamente dichiarato quando ha parlato della squadra, del gioco. “Abbiamo la necessità di ritornare ad avere la sensazione che il pallone è nostro. Non voglio parlare di individualità in un gioco collettivo”. Sembrava di sentire le parole di Xavi. Dani Alves e Xavi. Il binomio perfetto per rianimare e resuscitare un Barcelona che fino a poche settimane fa era steso su di un lettino con l’encefalogramma pressoché piatto. Dani Alves-Xavi, l’uno l’emanazione dell’altro; il duo dell’Operazione Ricostruzione.

DANI ALVES É TORNATO: MI SENTO UN SUPEREROE CON LA CAMISETA DEL BARÇA

Giuseppe Ortu Serra

Dani Alves è tornato e ha iniziato il suo show. Allegria contagiosa allo stato puro. E carica vitale per tutto il gruppo, oltreché per l’ambiente. L’istrionico laterale brasiliano ha superato le visite mediche questa mattina e nel pomeriggio ha svolto la prima sessione di allenamento con la sua nuova-vecchia squadra. Agli ordini di Xavi, ex compagno ed ora allenatore, ha ripreso a correre sul campo di gioco per mettersi alla pari con il resto del gruppo. Cosa potrà dare sul terreno di gioco è presto per dirlo. Ciò di cui siamo certi è il suo valore fuori dal campo, dentro lo spogliatoio.

Un turbine di adrenalina, di gioia allo stato puro per essere rientrato a casa. “Mi sento come un supereroe quando indosso la maglietta del Barça e del Brasile. Spero di contagiare i miei compagni con tutto ciò”. Proprio questo atteggiamento, questo spirito, mancava al Barça, intristito da troppi anni di insuccessi e dolorosi rovesci, oltreché da malinconici allenatori che tutto hanno fatto fuorché cercare di rimettere la barca sulla giusta rotta. Dani Alves può essere fondamentale, basilare, per ricostruire il carattere, lo spirito allegro e vincente dello spogliatoio e per riportarlo a quello che era prima della sua partenza. Il laterale brasiliano è stato l’ultimo vero laterale vincente del Barça. Fintanto che c’era lui, la squadra ha vinto. Sarà solo un caso che con la sua uscita di scena la squadra ha smesso di vincere e ha collezionato solo amare figure? Un ruolo mai veramente sostituito, nel campo e fuori.

La sua figura carismatica di leader dello spogliatoio, di trascinatore, di vincente, non intaccata dai rovesci degli ultimi anni che gli altri pesos pesados hanno dovuto patire, può essere importantissima per riportare la squadra sulla strada della vittoria. Si vince non solo con le gambe e la tecnica, ma anche con lo spirito. E quando entri in sul prato verde dubbioso e carico di insicurezze e paure, hai già fatto un passo verso la sconfitta. Dani Alves, con il suo spirito battagliero e indomito da ufficiale comandante, potrà aiutare Xavi a trasformare quella pattuglia segnata dalle scudisciate inflitte dagli avversari nelle ultime stagioni, nuovamente in una squadra vincente. Il suo discorso è chiaro: “Il Barça siamo tutti, giocatori e tifosi. Non si può smettere di appoggiare la squadra. Adesso è il momento di unire le forze, appoggiare e dimostrare al barcelonismo ciò che abbiamo dentro”. E ancora: “Mi trovo davanti a un compito incredibile, di quelli che mi affascinano maggiormente. Ricostruire, lottare, sudare… difendere la Camiseta”. Di tutto questo ha bisogno la squadra.

Dani Alves potrà aiutare il Barça non solo da fuori, ma anche in campo. La sua esperienza, fondamentale sopratutto per i tanti giovani dal grande talento che il Barça ha in rosa, giovani da istruire, consigliare, fare crescere, sarà certamente utile anche sul campo. “Io voglio continuare a vincere” prosegue il brasiliano. “Dobbiamo pensare, e credere, che siamo nel Barça, il miglior club al mondo. Come il Barça non c’è niente. (Non lo dico) perché sono qui. Quelli che sono andati via da qui lo hanno detto”.

IL DECALOGO DI MISTER XAVI

Giuseppe Ortu Serra

Xavi è stato chiaro sin dal primo momento. Senza norme, ordine e disciplina non si va da nessuna parte. Sopratutto non si vince. E lui è stato chiamato da Laporta proprio per far questo. Senza se e senza ma. O quanto meno, per tentare di vincere. Appena arrivato, ecco che il nuovo tecnico ha subito stilato il suo decalogo comportamentale. Dieci semplici norme; niente di complicato o astruso. Eccole qui di seguito indicate:

1) I giocatori devono arrivare all’allenamento un’ora e mezza prima dell’orario fissato. Dopo l’allenamento fisico ci saranno sedute di approfondimento tattico

2) Lo staff tecnico deve presentarsi due ore prima dell’allenamento.

3) I giocatori faranno colazione e pranzeranno tutti insieme alla Ciutat Esportiva.

4) Sono istituite delle multe per coloro che non si atterranno al regolamento interno.

5) Le multe sono da intendersi progressive ed esponenziali in caso di recidiva.

6) E’ vietato rincasare oltre un certo orario notturno stabilito nelle 48 ore precedenti una partita e assentarsi da Barcelona.

7) All’interno dello spogliatoio vigerà il principio meritocratico.

8) Le attività extra-sportive di tutti saranno controllate al fine di evitare distrazioni e cali di concentrazione.

9) Saranno vietate le attività rischiose.

10) Tutti i componenti della rosa dovranno dare di sé una buona immagine generale.

Queste sono state le regole che aveva impiantato Guardiola al Barça e anche per mezzo di esse la squadra ha iniziato la sua epoca d’oro. L’obiettivo di Xavi è iniziare a ripercorrere quel cammino.

IL MANIFESTO DI XAVI: TRABAJO, NORMAS, ORDEN, ESTILO

Giuseppe Ortu Serra

Inizia la Era Xavi con un sapore del tutto diverso da quella dei suoi predecessori, sopratutto da quella del suo più immediato predecessore, Ronald Koeman. Con Xavi si è passati dal denigratorio “Es lo que hay” di Mister Lamento, al “Tenemos una gran plantilla llena de talento y una generación de jovenes espectacular”. Un cambio di rotta e di visione radicali. Xavi è stato chiaro fin dal primo momento. Le cose dovranno cambiare nel Barça. Non ci sarà più spazio per cali di tensione in campo, sia in allenamento che in gara. Lo ha detto in conferenza stampa e lo ha ripetuto nel suo primo giorno di allenamento davanti alla squadra riunita. “Non potrà più ripetersi ciò che è accaduto a Vigo. Vincendo 0-3, mai puoi lasciarti raggiungere sul pareggio. No può capitare”. Per evitare ciò, il tecnico ha esplicato il suo Manifesto. Il Xavi pensiero prevede alcuni punti semplici e tassativi: Trabajo, Normas, Orden, Estilo. Lavoro, Norme, Ordine, Stile di gioco.

Trabajo. Xavi vuole recuperare l’intensità di gioco perduta. Dalle sue prime parole ha reso chiaro il concetto: il Barça dovrà tornare a competere in campo con le armi dell’aggressività e dell’intensità. La squadra dovrà recuperare la palla nella metà campo avversaria. Sopratutto, dovrà giocare da squadra e comportarsi come tale. Xavi vuole un gruppo solido, un blocco per usare le sue parole. Un blocco in attacco e in difesa. Come trasformare una pattuglia stanca, debole fisicamente, che procede a fari spenti e ognuno per conto proprio in una squadra unita? Con il lavoro in allenamento. Allenarsi per riuscire a competere in campo contro chiunque, per tornare a vincere partite e trofei ed evitare la piaga degli infortuni che sta falcidiando la formazione blaugrana. 11 infortunati contemporaneamente, 9 dei quali per problemi muscolari, è inconcepibile. Solo l’allenamento può riuscire a prevenire questo.

Normas e Orden. I due capisaldi procedono di pari passo. Xavi è stato chiaro. “Io ho vinto solo quando nello spogliatoio ci sono state norme e ordine. Quando sono mancate non si è vinto”. Disciplina, dunque, come antidoto all’anarchia che conduce al sicuro fallimento sportivo. Ecco, perciò, che il neo allenatore ha subito redatto un decalogo di norme e regole che tutti, all’interno dello spogliatoio, dovranno rispettare: corpo tecnico e giocatori.

Estilo. L’ultimo dei capisaldi di Xavi è il recupero dell’identità blaugrana. Il DNA del Barça, fatto di gioco di possesso e posizione, pressione alta, uso assiduo delle fasce e del recupero immediato della sfera una volta perso il suo possesso. “Al Barça non si può pareggiare o perdere. Si deve sempre vincere. E non per 1-0. Ma vincere giocando bene. Questa è la maggiore difficoltà del miglior club del mondo”. Le parole dell’ex numero 6 sono chiare e verranno scolpite a lettere di fuoco sulle pareti dello spogliatoio. Negli ultimi anni la squadra è andata sempre più diluendo il suo gioco identitario che lo ha reso unico e riconoscibile ovunque. Adesso è giunto il momento di ritornare all’antico. Quando si perde la strada, la via, si smarrisce l’identità. E per ritornare ad essere se stessi, bisogna tornare alle origini.

IL RITORNO DEL DIVO XAVI, IMPERATORE DI BARCELONA

Giuseppe Ortu Serra

Xavi è arrivato, accolto come una star da un Camp Nou colmo di gente. La grada della tribuna coperta offriva una immagine piena, festante, colma di entusiasmo. Tutti i posti disponibili per la presentazione ufficiale del nuevo entrenador del Barça sono andati a ruba. Il sold out era prevedibile; e così è stato. La folla urlante, osannante, che coreava il nome di Xavi, con quel Xavi, Xavi, Xavi che fino alla stagione scorsa era dedicato al Divo Messi, è stato da brividi. Una folla in delirio che riversa nel suo ex capitano tutte le speranze di un popolo traumatizzato, soverchiato, deluso, scoraggiato e impaurito da stagioni di attese mal riposte. Per questa gente sfiduciata, Xavi rappresenta quasi l’ultima carta, l’ultima chance di ritornare a fiorire come una volta. Non troppo tempo fa dal punto di vista dello scorrere del tempo; una eternità per l’animo umiliato dell’aficionado culé.

Xavi è stato accolto come un Imperatore Romano dalla sua gente, dal suo popolo. Gli mancava il laureo sulla chioma, la veste drappeggiata color bianco-porpora che gli ricadeva sul braccio sinistro, e sarebbe stato perfetto. Ma non era necessario. Per la sua gente lui era così. E’ stato sufficiente mostrare il suo volto fiero ed emozionato per catapultare il mondo blaugrana in una realtà parallela dove il tempo non esiste e i cui cunicoli possono essere percorsi tanto velocemente da ridurre ogni distanza fino ad un battito di ciglia. Xavi ha fatto il suo ingresso trionfale sul prato dell’Arena del Camp Nou per essere celebrato, innalzato, eletto, nominato per acclamazione popolare, come allora capitava con gli Imperatori eletti direttamente dalle proprie legioni sul campo di battaglia, quale Imperator, Pontifex Maximus del football, Divo di Barcelona.

Insieme a Laporta, da Xavi definito “il miglior presidente della storia del Barça”, ha percorso il breve tratto di prato che lo ha portato dall’uscita del tunnel degli spogliatoi al centro del campo dove era pronta una coreografia atta a celebrare il suo ritorno e la sua nomina. La firma del contratto davanti al suo popolo che ne cantava il nome fianco a fianco con il suo presidente e le prime parole da nuovo allenatore del Barça, hanno incantato, acceso animi che parevano ormai spenti sotto il peso della cenere accumulata in anni di sconfitte, delusioni e sporchi giochi di potere da parte di una dirigenza che ha tradito non solo la storia di un club, ma le generazioni e l’animo dei calciatori del passato, ormai defunti, il cui spirito non è mai morto ed sempre lì, attento, presente, pronto a spingere per ciò che per loro è stata più di una squadra di calcio; uno spirito intento ad indicare la via per riprendere gli antichi sentieri di gloria. E’ sufficiente restare in silenzio, chiudere gli occhi e concentrarsi per essere in grado di udire le loro tenui e soffocate parole come un bisbiglio: Carpe Diem Xavi.