MERCOLEDÌ IL VIA ALLA FASE 1 NELLA VENDITA DEGLI ASSET DEL CLUB

Giuseppe Ortu Serra

Adesso ci siamo veramente. Il conto alla rovescia per la vendita delle così dette Palancas è arrivato e sta per raggiungere il suo zero. Mercoledì è la data prefissata per la vendita del primo 10% dei diritti tv. Acquirente è Sixth Street, società di investimento globale con oltre 60 milioni di dollari di asset in gestione. Alla Sixth Street fanno business in tutto il mondo, avendo tra i loro obiettivi quello dello sviluppo e della crescita degli asset che gestiscono. La società ha sede a San Francisco, con uffici in Usa, Europa, Asia, Australia.

Questa è la Fase Uno del risanamento sportivo-finanziario del FC Barcelona. In questa fase tutto il ricavato sarà destinato al risanamento del bilancio. Le successive fasi, vendita di BLM, Barça Studios, e del restante 15% dei diritti tv, avranno lo scopo di affrontare con musculo financiero la ricostruzione sportiva del Barça.

Come avevamo già spiegato allorquando ci eravamo occupati della vendita degli asset, il Barça, che ha in cantiere la vendita del 25% dei diritti tv, cederà gli stessi in pacchetti pari al 10% ciascuno per un importo di circa 200 milioni per volta. In questa occasione il FC Barcelona venderà dunque a Sixth Street il primo 10% dei diritti tv. L’importo che si dovrebbe capitalizzare in questa circostanza sarà di poco superiore ai 200 milioni di euro (205 milioni secondo alcune fonti). La vendita dovrebbe concretarsi mercoledì. Non ci sarà conferenza stampa dopo la stipula del contratto di vendita, a differenza di quanto in un primo momento si era detto.

La prima delle benefiche ricadute che questa operazione finanziaria avrà per i colori blaugrana sarà il salvataggio del bilancio per la stagione 2021-22. Grazie ad esso non chiuderà in rosso nonostante il passivo iniziale, il mancato raggiungimento degli obiettivi sportivi inseriti in bilancio (Quarti di Champions non bilanciati nemmeno parzialmente dall’Europa League).

Come detto in apertura di articolo, il ricavato di questa prima vendita sarà destinato alla risistemazione dei conti. Una volta portato in attivo il conto economico della stagione 2021-2022, le prossime vendite, in programma per il mese di luglio, avranno l’obiettivo di abbattere il fair play finanziario della Liga, risistemare la masa salarial ed avere i capitali necessari per affrontare tutte le operazioni di mercato per assicurare a Xavi quella squadra in grado di competir por todo.

MONTJUIC, LA NUOVA CASA BLAUGRANA DAL 23-24

Giuseppe Ortu Serra

Le opere di costruzione dell’Espai Barça costringeranno la formazione blaugrana a traslocare nella stagione 2023-24. Sarà un cammino in salita in senso letterale, posto che da Las Cortes si salirà a Montjuic. I lavori inizieranno nella prossima stagione sportiva, ma non impediranno alla squadra di giocare regolarmente al Camp Nou. Da quella ancora dopo, invece, vale a dire dalla 23-24, le opere saranno incompatibili con lo svolgimento della stagione calcistica. Da qui la drastica misura che implica un trasferimento totale della squadra.

Tra le diverse soluzioni che il club aveva soppesato c’era stata anche quella di trasferirsi al Johan Cruyff di Sant Joan Despí. Ma erano troppe le difficoltà (parcheggi, capienza, viabilità) perché la scelta ricadesse su quel gioiellino, sebbene l’impianto sarebbe stato a norma anche dal punto di vista delle licenze Uefa. Riproporre il piano del Madrid con Valdebebas non scaldava i cuori della junta directiva. Ecco dunque prendere corpo l’ipotesi Montjuic. Nella giornata di ieri, poi, è giunta l’ufficialità.

Barça e Ayuntamiento de Barcelona hanno fissato tutti i punti e i parametri e conchiuso l’accordo che farà dell’Olimpico di Barcelona la nuova casa di Xavi Potter e Compagnia per tutta la temporada 23-24. Il club blaugrana dovrà farsi carico di rimodernare alcune strutture, come gli spogliatoi, la zona della tribuna stampa e altri locali all’interno dell’impianto, non più idoneo per il 2023.

La capienza ridotta rispetto al Camp Nou, 55.000 spettatori, comporterà indubbiamente qualche disagio e sacrificio per gli aficionados e il club, che dovranno in qualche modo sopravvivere per una stagione. Certo che l’impatto scenico di quello stadio, che ospitò i Giochi Olimpici di Barcelona 92 e che fu la casa dell’Espanyol prima di costruirsi lo stadio di proprietà e decidere di lasciare Barcelona per Cornellá, è notevole.

Un impianto meraviglioso risalente al 1927 e costruito per la candidatura della città ad ospitare la IX Olimpiade, poi assegnata ad Amsterdam. La struttura venne poi ampliata nel 1989 per un’altra candidatura olimpica, questa volta vinta, vale a dire quella dei Giochi del 1992 che diede vita, non solo allo stadio, ma anche alla città che oggi conosciamo. Fu aggiunto un secondo anello di spalti che fu realizzato sotto all’originale, così da toccare il meno possibile del disegno originario. Andare allo stadio per godersi le partite del Barça e ammirare quella struttura, quegli archi, quei torrioni, i cavalli rampanti, quella facciata che richiama un’altro mitico impianto, l’Empire Wembley Stadium, varrà veramente il prezzo del biglietto. L’atmosfera degli anni ’20 riecheggia ovunque in quello stadio, anche e sopratutto per il grande orologio analogico che sormonta una delle curve. Sarà come andare allo stadio tornando indietro nel tempo, tuffandosi nella soffusa atmosfera “rivoluzionaria”, per moda, look, emancipazione femminile, senso di libertà da precetti e prescrizioni, di una delle più belle, raffinate, eleganti, chic epoche di tutti i tempi. L’eleganza semplice e preziosa degli abiti femminili, i cappellini intonati, il taglio corto alla maschietta. Le lunghe collane di perle o granate che solcano quasi tutta la lunghezza dell’abito, Coco Chanel. Sarà come fare una fotografia del passato… nel futuro. Sarà anche l’occasione, infine, di ammantare di blaugrana e barcelonismo un impianto altrimenti legato al suo lato meno nobile del calcio made in Barcelona.

PRIME MISURE DEL CLUB PER EVITARE “L’EFFETTO EINTRACHT”

Giuseppe Ortu Serra

Sono passati ormai mesi, ma il ricordo della “marea bianca” dei tifosi dell’Eintracht al Camp Nou è ancora viva negli occhi di tutti. Per evitare un altro Effetto Eintracht, il club ha preso oggi le prime misure contro gli abbonati mercanti. “Mai più un altro caso Eintracht”, giurano dalle parti di Arístides Maillol.

La ricetta è semplice. Fare in modo che gli abbonati accedano al Camp Nou per seguire la squadra e vedere le partite. Mai più, dunque, abbonamenti in affitto perpetuo con lucrose plusvalenze. Posto che, da uno studio del Barcelona, appena 10.000 abbonati accedono allo stadio per vedere dall’85% in su delle partite, dato peraltro bassissimo, che fa dubitare seriamente della passione blaugrana dei residenti nella Ciudad Condal, bisogna dare una svolta a 180° e incrementare enormemente questo dato. A questi numeri bisogna poi sommare quello che vede una quota tra i 2.500 e i 3.000 abbonati (dati pre-pandemia) che non vanno allo stadio, o liberano il posto per altri tifosi attraverso il sistema del seient lliure.

La soluzione è dunque applicare il Seient Lliure Inverso. A tutti quegli abbonati che non accederanno al Camp Nou per almeno 10 partite a stagione, verrà rivenduto in automatico in loro posto (per ogni singola partita). A partire dall’undicesima gara, dunque, qualora il socio intenda recarsi allo stadio, dovrà comunicare al club la sua decisione entro 72 ore dall’inizio del match.

Nell’ipotesi ulteriore, invece, che il socio abbonato non vada mai allo stadio nel corso di una stagione, o che non ceda o non liberi il suo posto, il socio non riotterrà l’abbonamento nella stagione successiva.

Misure drastiche ma necessarie per porre fine al Mercato del Tempio in vigore, ormai, da tanti, troppi anni. Tali misure sarebbero dovute arrivare già stagioni addietro per svegliare una comunità, quella blaugrana, che, spesso come i suoi giocatori, si adagia sul fatto che… tanto nessuno fa nulla, tanto tutto è permesso e il cane dorme. Beh, il cane pare essersi destato e sembra avere intenzione di iniziare a mordere.

EDITORIALE – 16 GIUGNO: PUNTO DI NON RITORNO

Giuseppe Ortu Serra

Ci siamo. Il Barça è giunto all’Ora X. Al punto così detto morto o di non ritorno. Si verifica quando, in aereo, si arriva ad un punto in cui tornare indietro non è più garanzia di salvezza in quanto il carburante rimasto non è più sufficiente per percorrere, a ritroso, il percorso fin lì effettuato. Dunque l’unica soluzione è andare avanti. Il Barça si trova, adesso, più o meno nella medesima situazione, quella in cui è certamente preferibile andare avanti che provare a ripiegare sulle posizioni iniziali, dalle quali sorgerebbero esiti certamente disastrosi.

Se nella Assemblea dei compromissari di domani, 16 Giugno, il voto dovesse essere contrario alla vendita di BLM si aprirebbe il baratro sotto i piedi del club blaugrana, con conseguenze catastrofiche che è anche solo difficile immaginare. Il Barcelona è davanti ad un bivio dunque: vendere gli asset, salvare il club e andare avanti a costruire un futuro di successi sportivi come ha fatto fino ad oggi, oppure opporsi e aprire la strada ad un futuro dalle conseguenze totalmente sconosciute. Significherebbe imboccare una strettoia dalla quale non si potrà più tornare indietro e dal cammino ignoto e disastroso. Sarebbe, con tutta probabilità, la fine del FC Barcelona come lo conosciamo e come lo abbiamo sempre conosciuto. Vorrebbe significare aprire una porta verso un club di proprietà di un singola persona, fisica o giuridica. La fine, sostanzialmente, del club dei soci, di tutti i soci. Del club più democratico del mondo, dove uno vale uno, che sia il primo o l’ultimo dei soci. Sarebbe una pietra tombale sulla possibilità di sentirti parte della vita, della evoluzione, delle sorti del tuo club, nel quale puoi incidere eleggendo il tuo presidente o scegliendo di mandarlo via come è avvenuto con la moció de censura nei confronti di Bartomeu. Il Barça è Mès que un Club anche e proprio per questo. Tifare, sostenere, parteggiare per una squadra di un altro, proprietà di Mister X, di Pippo o Pluto, non ti dà le enormi soddisfazioni di esultare per le sorti di una squadra che senti prepotentemente tua, che è anche una tua proprietà.

Nel primo caso tifi la squadra di un altro; con il Barça tifi la tua squadra. È bene che questo lo tengano bene a mente i compromisarios che domani si riuniranno per dare l’avvallo, il visto buono, l’ok, il sì, il via libera alla vendita di BLM. Vendere oggi un asset che non scende in campo e di nuova creazione (esiste dal 2018) per evitare di dover vendere, domani, tutti i giocatori (che scendono eccome sul terreno di gioco), oltre all’intero club al primo magnate che incrocia sul mar di Barcelona non è una questione di difficile comprensione e risoluzione. La strada c’è; è lì, segnata, tracciata, davanti agli occhi di tutti. Basta solo fare il primo passo e percorrerla.

L’Antipatico – QUARTI DI CATALANITÀ E STUPIDITÀ

Giuseppe Ortu Serra

Leo Messi è mancato enormemente al calcio made in Barcelona in questi lunghi e freddi mesi di anonimato. È mancato anche a se stesso oltre che al Barça, che nel frattempo è scivolato in un limbo di tristezza e di grigiore di una stagione senza titoli, senza acuti; una temporada di noia in campo e sugli spalti, in classifica e nei referti delle gare. Mai più una magia sul césped, mai più quelle serpentine, quei tocchi di genio che facevano scattare immediati e improvvisi gli Ohhh del pubblico. Ora tutto è piatto, tutto è grigio come un triste, inutile, stanco edificio sovietico. Noia in campo e noia sugli spalti. No Messi, no party. Anche i turisti disertano le tribune del Camp Nou. Laddove prima si vedevano visi festanti, multicolori e multirazziali, nel più puro spirito libertario barcelonista, attratti dalle magie di una squadra capitanata da un genio, adesso si vedono seggiolini vuoti, o peggio, le maglie bianche degli avversari che giungono a frotte in uno stadio divenuto terra di conquista anche grazie al sangue mercantilista e levantino di molti soci che preferiscono girare con le tasche piene di denaro contante piuttosto che sostenere i propri colori, o di coloro che per sostenere le proprie piccole ragioni particolari fanno ugualmente mancare il calore alla squadra nel momento decisivo di una stagione. Gente poco abituata a guardare lontano, che pensa al proprio meschino tornaconto personale piuttosto che al bene della squadra di cui si affermano tifosi. Per poi riempirsi la bocca di argomenti che non arrivano nemmeno a comprendere. La gente vede l’albero, non la foresta. I turisti portavano soldi, tanti soldi. Incassi ai botteghini, vendita di magliette, stadio pieno. Un colpo d’occhio monumentale. Tutto un indotto che adesso viene a mancare in un momento in cui il club necessita entrate come il pane. Eppure, c’è chi ancora disprezza la presenza dei turisti allo stadio, che discredita tutto un movimento definendolo, con dispregio, il Football Club Messi. I duri e puri. Che già dal nome ti fanno capire che lo sono principalmente di testa. Suona onomatopeico, non trovate? Quelli che vorrebbero riempire le tribune del Camp Nou forse con i solo eletti che abitano a Las Cortes. Quelli che erano contrari alla presenza di Pau Gasol nelle fila del Barça Baloncesto perché non sufficientemente catalano. O non abbastanza catalano. Perché alcuni misurano la catalanità come facevano i nazisti con gli ebrei. 4/4 è il non plus ultra, fa niente se poi vende l’entrada al tifoso tedesco. L’importante che abbia tutti i quarti giusti. Tutta questa gente dimostra di essere più ignorante di quanto appaia o voglia apparire e di non conoscere nemmeno la storia del club al quale, dice, di appartenere. Un club fondato da uno svizzero insieme ad un compatriota, tre inglesi, un tedesco e sei catalani, in cui il primo presidente fu un inglese. Un club piuttosto internazionale, non trovate?, per mettersi a sindacare quanto una persona sia più catalana di un’altra o quanto sia più meritevole di un’altra per farne parte. Gamper, è il caso di ricordarlo ai signori duri e puri, che fanno del catalanismo un circolo chiuso tanto da non ammettere nessuno al loro interno, fondò il FC Barcelona proprio perché all’epoca incontrò degli altri duri e puri, i giocatori del Catalá, che non gli permisero di giocare in quella squadra perché non spagnolo. Gamper era per l’apertura, non la chiusura. Gamper era per l’inclusività, non per l’esclusività. Includere, non escludere; questo è il Barça, la patria delle libertà (al plurale). Chi è fuori dal coro dentro il FC Barcelona sono proprio i duri e puri, che sono contro i turisti, contro Pau Gasol, contro chi è meno catalano di loro e non il contrario. Come è possibile fare una classifica di chi è più tifoso di un altro, di chi è più duro e puro di un altro? Sono questi che dovrebbero stare fuori dal Barcelona, non i turisti, che portano soldi, riempiono lo stadio, portano altri turisti in una concatenazione di eventi a ciclo continuo che si autoalimenta; non i vari Pau Gasol. Il Barça è un club internazionale, nato internazionale, che vive e si nutre di internazionalità. Chi lo vorrebbe cosa propria, esclusiva, per pochi eletti (tipico della piccola mentalità ristretta, paesana e provinciale di certa gente) – fra un po’ dovremo fare le analisi del sangue per essere ammessi come soci – sogna un club stile anni 50-60, piccolo e provinciale, la cui massima aspirazione è ganar un partido al Madrid.

LA RINASCITA DI LEO MESSI

Giuseppe Ortu Serra

Argentina-Italia, la Finalissima 2022, ovvero la Supercopa Mundial, o la Copa Intercontinental por Selecciones, ci ha mostrato un Messi di livello mondiale. Ha cantato, danzato, scritto e disegnato calcio, quello con la C maiuscola, sul prato verde di Wembley che nel 2011 lo aveva visto trionfare con la maglia del Barça. Ha trionfato ancora una volta; alla sua maniera, scrivendo poesia e abbattendo il muro del tempo che, da quando ha lasciato Barcelona, aveva proposto una immagine sbiadita e sgualcita del miglior giocatore del mondo. Ieri Leo si è ripreso i titoli dei media, il palcoscenico, i trofei e l’attenzione del mondo. Con negli occhi ancora le sue giocate a riempire l’anima di ogni tifoso e appassionato di calcio, Leo ha fatto pace con chi lo ha a cuore, nonostante tutto e tutti, e avrà certamente colpito come una stilettata al fianco tutti i pseudo tifosi del Psg, squadra povera di storia, di capacità manageriale e priva di qualsiasi barlume di cultura sportiva.

Uomo della discordia. È questo il suo destino. Quando incantava al Camp Nou era in rotta con gli argentini perché accusato di riposarsi con la albiceleste e di dare tutto per la sua Barcelona e il suo Barça; adesso, dopo la prestazione di ieri, che fa a cazzotti con il Leo spento, svogliato, triste, che in campo passeggia con la maglietta dei parigini, quasi mobizzato dalla sua stessa squadra a cui non fa calciare nemmeno i calci di rigore, umiliato a fare il coccodrillo come l’ultimo dei ragazzini entrato in campo per grazia ricevuta e il cui nome raramente si sente pronunciare dai telecronisti, i tifosi del Paris diranno che con loro il numero 30 si riposa per diventare nuovamente il 10 sette volte pallone d’oro che ha marcato l’epoca del calcio e ne ha scritto la storia. Leo è il calcio e in quanto tale deve sentirsi apprezzato, coccolato, giustamente posto su di un piedistallo. A Parigi non c’è mai stata sintonia o quimica. Tra Leo, anima latina, e Parigi, ambiente freddo quanto il suo clima, non è mai scoppiato l’amore. E non poteva essere diversamente. I parigini sono sempre stati abituati a fare a meno del calcio, una cosa aliena impiantata senza successo nel 1970, e che solo i soldi, la testardaggine e le mire espansionistiche del Qatar, alla ricerca di sbocchi nel mercato francese ed europeo, hanno ostinatamente cercato di radicare in un tessuto sociale e ambientale distante e disinteressato. Parigi non ha mai avuto, o cercato, il calcio; e così sempre sarà. Il Psg di Al Khelaifi è come una cattedrale costruita nel deserto, una forzatura utile quanto una fontana di Versailles tra le alte dune di sabbia del Qatar. Leo a Parigi si riposa in vista del mondiale del prossimo inverno. Quello sarà il suo ultimo appuntamento con il destino: la Coppa del Mondo di Calcio. Il tempo ticchetta inesorabilmente. Tic Tac… Tic Tac… L’età avanza, l’orologio biologico di Messi, pure. A novembre-dicembre sarà il più classico: ora o mai più. E il Diez non vuole fallire. Perché sfiancarsi in un posto che lo ignora, per una squadra che lo margina e non lo coinvolge nel suo gioco, che brilla per individualismo ed egoismo dei suoi primi attori, i quali si taglierebbero una mano pur di far brillare un compagno di squadra? Stancarsi o rischiare di infortunarsi, e così fallire il suo appuntamento con il destino fissato da quando si trasferì bambino a Barcelona, per battere il Clermont o il Marsiglia, in quello che, là, dicono essere lo scontro clou del campionato. Un nonsense, una follia, una barzelletta da raccontare ad una cena goliardica con i vecchi colleghi di università durante una reunion.