Giuseppe Ortu Serra
Quando Ronald Koeman lasciò l’incarico di allenatore del Barcelona e fu sostituito da Xavi Hernandez sembrava che si fosse chiusa una fase storica caratterizzata da oscurità e incapacità per aprirne una nuova, costituita da un nuovo rinascimento, una età dell’oro che avrebbe riportato la squadra e il club agli antichi fasti e alla posizione di prestigio che merita. A distanza di un anno e mezzo, più scampoli, sorgono dei dubbi circa l’esattezza delle previsioni. E sorge un dubbio, un terribile dubbio. Xavi è allenatore da Barça? Ha il livello, il profilo, il carattere, la personalità, le conoscenze, la forza mentale per essere colui deputato a riportare la squadra dove merita, oppure è un altro allenatore nel solco dei vari Valverde, Setién, Koeman? Per noi Xavi Hernandez non ha la tempra, il carattere, il carisma, la personalità, la preparazione, né tantomeno l’esperienza per essere l’allenatore del FC Barcelona. E non si può contare su di lui per aprire un nuovo ciclo di fasti e trionfi.
Xavi ormai dirige il Barcelona da una stagione e mezzo. Una Liga e una Supercopa conquistate, ma anche tante delusioni in Europa. Quest’anno, il suo secondo dall’inizio sulla panchina blaugrana, sarebbe dovuto essere quello del definitivo lancio nel pantheon dei più grandi della storia del club. Le prospettive c’erano tutte. Un campionato, quello scorso, chiuso con la vittoria della Liga e della Supercopa spagnola a cui dare semplice continuità nel marco già tracciato. Seconda stagione alla guida della squadra, concetti tattici ormai consolidati, una squadra nettamente migliorata con gli arrivi eccellenti di Gündogan, Cancelo e Joao Félix, puntellati da altri elementi quali Inigo Martinez e Romeu. Tutto ciò per puntare a fare un lungo cammino in Champions, lavare l’immagine del club dopo le ultime disastrose campagne europee e riabilitarne il nome davanti ai grandi palcoscenici mondiali. Ovviamente ripartendo dal titolo di Liga da difendere e, possibilmente, riconquistare. Nulla di tutto ciò. La squadra, invece che partire da quei punti fermi e guardare avanti, ha fatto dei preoccupanti passi indietro, o comunque, non ne ha fatto in avanti.
La difesa, da roccia inscalfibile, appena 9 reti subite in tutto il campionato, è diventata un colabrodo. 12 reti in 11 partite di Liga, con la medesima difesa della passata stagione, sono numeri allarmanti. Il gioco, nonostante l’arrivo di giocatori importanti, continua a latitare e con esso le idee e le soluzioni alternative ad un lento e stanco cliché ormai datato che non sorprende più nessun avversario, tantomeno a ritmi così cadenzati. L’attacco non funziona. È sempre dannatamente complicato e difficoltoso segnare. La squadra accompagna poco la fase offensiva, lasciando spesso e volentieri Lewandowski e gli altri compagni di reparto al loro destino. Il polacco già ebbe occasione di lamentarsi di questa situazione, ma nulla è stato fatto per porvi rimedio. La preparazione fisica estiva è stata totalmente sbagliata. I troppi infortuni, con quasi metà squadra fuori già nel mese di ottobre, sono la prova lampante di questo assunto. Il crollo fisico della squadra nei secondi tempi è la sua controprova. Sono ormai troppe le partite che vedono il Barça annaspare nella ripresa a prescindere della forza dell’avversario. Granada, Shaktar, Madrid… e si potrebbe continuare. Le gambe dei giocatori non girano e sembrano imballate come se fossimo ancora ai primi di agosto, con il fondo svolto a gravare sulle gambe. Gli errori del tecnico si accumulano, sia tattici che nei cambi, ma mai una volta lo abbiamo sentito assumersi la responsabilità di una mancata vittoria o una prestazione scadente. Le giustificazioni sono sempre le solite: “ci è mancata effettività, la squadra ha subito la fatica del precedente incontro, non siamo stati calmi e pazienti“. Parole vuote e inconsistenti, come i suoi alibi senza senso. Come un disco rotto; una lagna mortale. Puoi ascoltare una conferenza stampa e usarla per commentare tutte le gare. Immutabile nel tempo. Si diceva lo stesso di Koeman. Ricordate?
Degli errori commessi contro il Madrid abbiamo parlato a lungo: dal tenere in vita il Madrid nel primo tempo accontentandosi di gestire il minimo vantaggio invece che affondare il colpo e andare all’intervallo con la partita quasi sentenziata, all’affidare il pallino del gioco nel secondo tempo ai blancos, permettendogli di giocare, recuperare sensazioni positive e riorganizzarsi tatticamente; dal non aver capito che Lewandowski non andava fatto entrare nella ripresa con la squadra arroccata dietro e 60 metri di campo davanti al polacco da coprire (o entra ad inizio gara o, con la situazione tattica del secondo tempo, non sarebbe più dovuto entrare), al solito crollo fisico della squadra.
Xavi non ha il carattere, né la personalità del leader. Non può guidare la ricostruzione e il rilancio della squadra perché non ne ha le capacità. Dopo la sconfitta nel Clásico si è definito “contento per quanto fatto, per il gioco; contento di avere fatto più del Madrid e di meritare la vittoria“. Parole, queste, che sarebbero state bene in bocca al tecnico del Granada, del Cadice o del Mallorca, felici di aver fatto la voce grossa per un tempo, anche se poi incapaci di chiudere la gara nel loro momento favorevole e di perdere infine la sfida, contro una grande squadra. Il Barça è una grande squadra, non può essere umiliata a quel modo da quelle dichiarazioni. Tantomeno se hai perso la partita giocando una ripresa nella quale ha subito l’avversario in lungo e in largo.
Le dichiarazioni di Gündogan, infine, sono la certificazione dell’inadeguatezza di Xavi Hernandez come tecnico del Barcelona. Un giocatore non può mai essere più arrabbiato del proprio tecnico per una sconfitta tanto dolorosa, una sconfitta che ha fatto scivolare la squadra dal primo posto all’intervallo, al quarto alla fine della giornata. L’ex City ha detto di non essere “venuto qui per perdere questo tipo di partite“. Il turco è un vincente, ha sollevato la Champions nell’ultima stagione da capitano. È abituato a frequentare uno spogliatoio di vincenti, che si infuriano se non vincono. Per primo l’allenatore, Pep Guardiola. Possiamo immaginarci il suo sconcerto di trovarsi in un gruppo che si mostra contento di aver giocato bene un tempo di una partita persa, e con un allenatore che si dichiara soddisfatto del gioco messo in campo, nonostante la sconfitta nella gara più importante della stagione. Xavi con questo atteggiamento conservatore della sua posizione, non solo non sembra nato nel Barça, ma dà l’impressione di essere stato catapultato direttamente da Marte.