Memphis fa respirare il Barça. 2-1 al Getafe e a Koeman

Giuseppe Ortu Serra

Il Barça vince contro il Getafe (2-1) e contro il proprio allenatore, reo di aver fatto di tutto per complicare il cammino della sua squadra nella sfida contro i madrileni di Michel. Il Getafe non è più la squadra di Bordalás degli scorsi anni, tutta difesa e sporadici contropiede. Gli azulónes giocano a calcio e cercano di mettere in difficoltà l’avversario attraverso il gioco e il palleggio. Il Barça ha risposto con un undici nel quale per la terza volta rimane fuori Riqui (nemmeno un minuto per lui in tre incontri). La qualità in campo dovrebbe essere il motto del club. Almeno era così una volta. Con l’arrivo di Mister lamento Koeman, invece, la qualità si siede in panchina e i gregari sono premiati con una maglia. L’opposto della logica.

La gara è stata noiosa per larghi tratti della sfida. Gioco e intensità scadente e difesa insicura. Sopratutto nella ripresa il reparto arretrato blaugrana ha ballato come una barchetta in un mare agitato da schizzi, sbuffi e onde alte e lunghe. Il Barcelona si è portato subito in vantaggio con la rete messa a segno da Roberto su assist di Jordi, sul cui pallone in area, rasoterra, Braithwaite ha fatto un geniale velo che ha liberato il ragazzo di Reus al tiro. L’uno a zero ha indirizzato la partita solo nelle prospettive. Nella pratica, infatti, il Barça non è stato in grado di gestire e/o capitalizzare il vantaggio. Al 19‘ è giunto così il pareggio di Sandro dopo una combinazione al limite dell’area con l’altro ex blaugrana Alena. Dai e vai che ha preso in mezzo Lenglet a fare da uccello preso al laccio, e rete del pareggio del Getafe.

La rete del vantaggio del Barça è giunta alla mezzora. Bella azione sulla sinistra di Memphis su assist del connazionale De Jong. Il numero nove è entrato in area dal lato corto di sinistra, e dopo aver fintato il tiro, ha colpito sul palo del portiere. Rete di ottima fattura e seconda rete in tre partite. Certamente un prezioso rinforzo per questa tribolante stagione.

Nonostante si sia chiuso il tempo in vantaggio, nella ripresa i blaugrana hanno mostrato una insicurezza e una fragilità difensiva allarmante. Passaggi sbagliati, imprecisioni, mancate o ritardate chiusure. Il Getafe ha cercato di offendere e far male al Barça, incapace, invece, di replicare alle incursioni dei bianchi di Michel. Il Getafe ha così sommato alcune occasioni da goal nate da errori difensivi della formazione di Koeman. Errori inspiegabili tenendo conto che, davanti, il Barça aveva il Getafe, giocava in casa e si trovava in vantaggio per due reti a uno. Mister lamento a fine gara dirà che i suoi erano “preoccupati e nervosi e per questo motivo hanno sbagliato diversi palloni nelle retrovie”. Questo stato d’animo è il risultato dei danni che Koeman sta facendo a questa squadra da un anno a questa parte, trasmettendo ai suoi giocatori paura, insicurezza, sfiducia nei propri mezzi e nelle loro potenzialità. Come può essere preoccupata e nervosa una formazione che sta vincendo sul proprio campo contro un avversario meno forte e quotato? La preoccupazione e l’insicurezza dovrebbe essere nell’altra metà campo, in quella Blanca del Getafe, non nelle menti dei giocatori blaugrana. Questi dovrebbero giocare sul velluto, come il gatto con il topo, con una calma olimpica, per poi andare a segno ancora, ancora, e ancora.

Le paure e le insicurezze di Koeman si sono manifestate in pieno nei suoi cambi. Con il Barça che si disuniva, il mister è passato dal 4-3-3 al 4-4-2, mettendo in campo Gavi al posto di Roberto e, udite udite, Nico in luogo di Braithwaite. Un pivote per un numero nove. Come dire all’avversario: ho paura di voi, veniteci a prendere. Non contento del risultato raggiunto, dieci minuti dopo il capace Koeman ha raddoppiato. Dentro Mingueza e fuori Griezmann. Un difensore centrale per un attaccante. Ora la tattica del cervellotico Mister lamento è chiara. Tutti indietro e mani giunte al cielo. Per la serie: che Dio ce la mandi buona, ovverosia la tattica preferita dall’allenatore giunto dai Paesi Bassi in Catalunya per insegnare tattica ai maestri blaugrana.

Un allenatore che occupa la panchina del FC Barcelona, che affronta il Getafe, al Camp Nou, alla terza di Liga, che inizia con tre attaccanti in squadra (Griezmann, Braithwaite e Memphis) e che finisce con 5 difensori, 4 centrocampisti e 1 attaccante (Memphis), è da bocciare, fulminare, cacciare al volo. Un tecnico che meriterebbe, forse, di allenare in Segunda, o meglio ancora una squadra di dopolavoristi non eccessivamente pretenziosi circa i risultati da raggiungere. Certamente non una squadra di professionisti e men che meno il Barcelona, perché i danni che quest’uomo produce sono inenarrabili.

A proposito di danni. Come detto, anche oggi Riqui non ha giocato nemmeno un minuto. Tre partite di Liga e zero minuti giocati. Uno scandalo. Il ragazzo, una delle perle della cantera, ha giocato tutta la pretemporada, ha mostrato cose egregie dimostrando di meritare una maglia da titolare, ma al momento delle partite che contano il ragazzo non scende in campo nemmeno per un minuto. Se è così scadente da non meritare nemmeno un minuto di gioco in tre partite, allora Koeman ha sbagliato a schierarlo sempre titolare nelle partite di preparazione e a togliere il posto a chi lo meritava. Se il giocatore vale a tal punto da utilizzarlo sempre nelle gare che servono per provare la squadra che affronterà tutta la stagione e, di colpo sparisce dalle scene, ha sbagliato a non fare giocare un calciatore importante. Delle due l’una, Ronald – Mister lamento – Koeman ha sbagliato. O a farlo giocare prima, o a non farlo giocare dopo. In ogni caso è un incapace. E in quanto tale non merita di sedere sulla panchina del Barcelona un minuto in più.

L’allenatore è il primo a dover credere nei giocatori a sua disposizione. Li deve allenare fisicamente, tatticamente e mentalmente. Li deve caricare, deve farli sentire i migliori al mondo; imbattibili. Mister lamento invece, oltre a piangere e lamentarsi in conferenza stampa per non avere più Messi, è il primo a non credere nei suoi giocatori e nel loro valore. E a deprezzarli, a demoralizzarli, a farli diventare dei perdenti come è lui; delle nullità. Koeman è il primo a inculcare sfiducia sulle rispettive capacità e qualità. Ronald Koeman è un allenatore scadente, un perdente, triste e sfiduciato che ha paura persino della sua ombra. Figuriamoci degli avversari. Se ha paura del Getafe, tanto da concludere la gara con cinque difensori, cosa accadrà il 12 settembre quando andrà al Sanchez Pizjuan a giocare contro il Sevilla, o peggio, il 14 quando affronterà il Bayern al Camp Nou per l’esordio in Champions? Prepariamo i fazzoletti sin da ora perché non ci sarà da divertirsi in questa stagione.

Inutile Koeman a San Mames: 1-1 per miracolo di Memphis

Giuseppe Ortu Serra

Manca ancora molto a Natale, ma Santa Claus è già passato per il Barça. E’ giunto con la sua slitta a San Mamés e ha portato un punto in dono. Nonostante Koeman. Un punto per il Barça, solo carbone per l’inutile Ronald Koeman. No, nessun eccesso di critica, nessuna vis polemica gratuita. Dire che Koeman è inutile è fargli un grande complimento. Perché, a dirla tutta, l’allenatore dei Paesi Bassi dovrebbe proprio cambiare mestiere. Nessuno è obbligato a fare l’allenatore se non si è capaci. A Ronald non gli è stato ordinato dal medico, nossignore! Potrebbe provare a vestire i panni di qualsiasi altra professione, o forse mestiere, non sta a noi dire a cosa dovrebbe dedicarsi, se alla pittura o alla pesca, ma certamente non deve fare l’allenatore. Perché come diceva un vecchio professore di Diritto Penale a qualche studente bocciato all’esame: “E’ meglio che non faccia l’avvocato se non vuole rovinare i clienti”. Koeman non ha le capacità, l’intelligenza, l’abilità, l’astuzia per fare lo stratega da panchina. Quella del parco, forse; quella di un campo di calcio certamente no. “Pala e piccone” era la battuta di un film italiano degli anni 60, I Soliti Ignoti.

Marcelino, allenatore smaliziato, ha fatto un solo boccone del grassotello e rubicondo Orange. Lo ha visto e ha riso tra sé e sé. “È arrivato il pollo da spennare”, manco fosse stato al tavolo da poker. E un po’ il prato verde di San Mamés è parso il panno verde del tavolo da gioco. Dall’inizio alla fine, Marcelino ha messo all’angolo l’ingenuo, candido, sprovveduto, incapace avversario a cui ha fatto danzare la rumba a suo piacimento. Koeman ha ballato a comando come se il tecnico dell’Athletic avesse un revolver e stesse sparando tra i piedi del mite e sempliciotto collega. Se il Barça ieri non ha perso non è certo per merito delle strategie della panchina blaugrana. Strategia, termine astruso alle latitudini in cui opera il Buon Ronald.

Marcelino ha fatto la partita, ha impostato la sua gara e ha battuto sotto ogni aspetto il suo contender. Il piano di Marcelino era giusto e ha funzionato a meraviglia. E Koeman? Come ha risposto all’avversario? Il mister blaugrana non ha cambiato una virgola della sua “tattica” iniziale. E’ rimasto impassibile, immobile come una statua di sale, a vedere i suoi annaspare e affogare sotto le sferzate dei morosi dei giocatori avversari. Non ha fatto una piega, non un cambiamento, non un cambio di piano. Quello doveva essere e quello è stato; fino alla fine. Una tristezza incommensurabile vedere una squadra soffrire le pene dell’inferno, e il proprio allenatore non fare nulla per cercare di rovesciare la situazione disastrosa che si era creata; situazione che diveniva sempre più drammatica con l’andare del tempo. Ad onor del vero, qualche modifica Koeman l’ha fatta nel corso della gara. E’ partito con Memphis al centro e Braithwaite a sinistra. A metà del primo tempo ha invertito le posizioni dei due giocatori. Memphis è passato a giocare a sinistra, mentre Braithwaite è andato al centro dell’area. Il povero Koeman deve aver dato fondo a tutte le sue celluline grigie per giungere a questa grande pensata. Che faticaccia per il rubizzo allenatore. Adesso gli ci vorranno almeno due giorni per recuperare totalmente le capacità mentali così frustrate.

L’Athletic ha forzato la gara dal primo minuto, facendo sospirare e tremare il Barça ad ogni pallone giocato. Che i rojiblancos sarebbero partiti forte lo si sapeva; che avrebbero pressato alto dai primi minuti pure, ma la formazione blaugrana è rimasta in balia dell’avversario per tutta la partita. Solo negli ultimi 15′ di gara, con l’avanzare della stanchezza tra le fila di casa, il Barça ha trovato spazi in avanti e in contropiede. Fino ad allora è stato un monologo shakespeariano dei ragazzi di Marcelino. Tre angoli nei primi due minuti per i padroni di casa è già un dato indicativo di come è iniziata la gara. Ma dopo il Barça avrà riequilibrato le sorti dell’incontro, direte voi. Alla fine del primo tempo i calci d’angolo erano 7 a 2. Alla fine dell’incontro il loro numero è stato di 13 a 2. Già, nel secondo tempo il Barça non ha battuto uno straccio di un calcio d’angolo! Non uno! E i tiri in porta? 16 per l’Athletic, 9 per il Barça. Quelli finiti nello specchio 7 a 3. Una débâcle, una umiliazione totale. Il Barça ha giocato la gara schiacciato come fosse l’ultima delle matricole, la verginella invitata al ballo dei lupi. Una magra figura da formazione che lotta per non retrocedere e deve conquistare il misero punticino sparando il pallone in tribuna per arrivare a quota 40 e festeggiare la permanenza. Ieri notte il Barça si è ridotto a questo. E i sorrisi alla fine della partita sui volti dei blaugrana sono stati ancora più tristi della gara che hanno giocato e portato a termine. Essere contenti di un punto conquistato in questo modo è lo specchio della fine che ha fatto il FC Barcelona. Orfano di Messi, di un gioco, di identità, di dignità e, sopratutto, di un allenatore di calcio.

Nonostante tutto questo disastro, il Barça ha avuto, nei primi 45′ la prima occasione (Braithwaite che a porta sguarnita, all’altezza del dischetto, calcia in tribuna) e l’ultima (goal annullato a Araujo su rovesciata per fallo di Braithwaite su un avversario). In mezzo, però, solo Athletic con una traversa a Neto battuto. Il portiere del Barça non ha giocato certamente la sua migliore gara. Nel primo tempo è stato molto indeciso nelle giocate e nelle sue interpretazioni. Più di una volta non si è capito con Eric, e questi fraintendimenti per poco non sono costati delle reti per l’avversario. Capitolo Griezmann. Che dire di un giocatore che non si noterebbe nemmeno se si dipingesse la faccia di rosso? Un fantasma nei primi 45′. Viene il sospetto che il Barça stesse giocando con un uomo in meno per quanto il francese è stato visto con il pallone tra i piedi. Nell’ultima parte della gara, quando le due squadre si sono allungate, mister 34 milioni lordi è apparso in scena. Lo si è visto giocare la palla a centrocampo e far ripartire qualche contropiede dei suoi. In area di rigore? Un tiro verso la porta dopo una traversa di De Jong terminato desolatamente a lato.

Nella ripresa l’Athtletic è ripartito a spron battuto. Salvataggio di Araujo (subentrato al 30′ a Piqué infortunato per una botta ricevuta al fianco destro) sulla linea dopo l’ennesima incomprensione tra Eric e Neto. Un nuovo errore di Eric quattro minuti dopo è costata la rete del vantaggio (meritatissima) per i baschi. Inigo Martinez, sugli sviluppi dell’ennesimo angolo, ha lasciato sul posto l’ex City ed è andato a concludere di testa in rete. 1-0 e niente da fare. A quel punto della partita il conto dei tiri in porta era di 6 a 1 per i rojiblancos.

I primi cambi di Koeman sono arrivati 12 minuti dopo. Sergi Roberto (quarto capitano che non si è ancora abbassato la ficha, nonostante il suo club abbia un passivo di esercizio di 481 milioni, un passivo patrimoniale di 451 milioni e una esposizione bancaria di 1350 milioni) al posto di Pedri; Demir per Braithwaite. Il numero 20, che per quanto guadagna dovrebbe giocare e far ruotare i piatti sulla punta del naso contemporaneamente, ha perso palla al limite dell’area al primo tocco del pallone causando un tiro dal limite dell’Athletic che è stato deviato con difficoltà da Neto. Mentre Roberto cercava di evitare di commettere altri danni, Riqui languiva in panchina (seconda partita consecutiva del numero 6 senza vedere campo).

Negli ultimi 15 minuti i padroni di casa hanno iniziato a subire il peso della fatica di una gara giocata a mille e corsa a duemila. Le squadre si sono allungate e il Barça è riuscito a giocare e a rendersi perfino pericoloso presso la porta avversaria. Con Demir in campo, che ha occupato la posizione di destra in attacco, Griezmann si è portato al centro e Depay a sinistra. Questa nuova situazione ha coinciso con il miglior momento del pagatissimo numero 7. In ogni caso, sempre troppo poco per giustificare quell’esborso finanziario.

Dopo la traversa colpita da De Jong e il tiro sbilenco dell’alsaziano, è giunta la rete di Memphis. Contropiede blaugrana nato da un recupero palla di Busi in mezzo al campo che ha spezzato in due lo schieramento avversario, Roberto che apre per Depay, che entra in area e dalla sinistra fa partire un tiro teso sopra la testa del portiere. Una gran rete di uno dei pochi grandi giocatori di questa squadra. L’uno a uno ha fatto addirittura accarezzare il sogno proibito del Barça di vincere la partita e conquistare l’intera posta in palio. Sugli scudi ancora una volta il nederlandese Memphis, che su passaggio del connazionale De Jong, ha calciato in diagonale quasi a colpo sicuro mancando, stavolta, il bersaglio grosso. Sarebbe stato francamente troppo.

Il triplice fischio di Martinez Munuera ha portato in Catalunya un punto del tutto insperato per larghi tratti della partita. Un punticino che è come una goccia nel deserto per la squadra e come una scudisciata sul sedere per il suo inqualificabile allenatore.

Il Barça visto ieri a San Mamés è una squadra in stato comatoso che si regge solo sulle capacità realizzative di Memphis e su poco altro. Senza Messi e senza allenatore questa squadra faticherà non poco per portarsi nei primi 4 posti della classifica. Ci aspettano tempi lunghi e bui a Barcelona. Sono finiti i tempi nei quali una volta… ma ora non più. I lupi sono tutti là fuori, pronti, affamati, desiderosi di assaltare, azzannare, sbranare quella squadra che un tempo metteva tutti in fila, incantava e impauriva come l’esercito Romano nei confronti dei barbari incolti e incivili.

I conti di Laporta: conferenza stampa e risposta a Bartomeu

Giuseppe Ortu Serra

Laporta è comparso in conferenza stampa nella giornata di oggi per fare il quadro economico-finanziario della situazione e rispondere alle dichiarazioni di Bartomeu che aveva cercato di difendersi nelle ore precedenti con una carta nella quale analizzava la sua verità in dieci punti. Laporta ha dunque riunito la stampa e ha parlato davanti ai microfoni per chiarire qual’è la realtà dei fatti e dimostrare, conti alla mano, che la verità di Bartomeu non è altro che pura e mera mistificazione. Travisamento dei fatti diremo noi. “Menzogne” per il presidente blaugrana “per cercare una via d’uscita attraverso le bugie da una situazione di gravissima irresponsabilità che ha portato il club a una condizione economica drammatica”. Punto, game, set e incontro per Laporta nella sfida a distanza con Bartomeu.

Bartomeu ha cercato, per dirla con Laporta, di salvare il salvabile cercando di manipolare la verità, costruendone un’altra che potesse evitare delle accuse di cui potrebbe rispondere in tribunale. Laporta è stato vago circa le conseguenze a cui andrà incontro Bartomeu. “Non so se sarà una azione di responsabilità o una querela per condotta fraudolenta, o se troveremo un’altra soluzione”. Ma è chiaro che ci saranno delle conseguenze per un “Bartomeu in preda al panico che ha cercato di uscirne fuori attraverso una dichiarazione senza un briciolo di verità e fondamento”. Un cumulo di bugie, sostanzialmente, per cercare di pararsi le spalle e costruirsi una falsa verità per ingarbugliare e inquinare le acque.

“La situazione è seria, drammatica”, la definisce il mandatario blaugrana, che ha deciso di riunire la stampa anche per evitare che “a forza di ripetere menzogne su menzogne, le stesse potessero iniziare a diventare verità”. Era dunque il momento per dire basta e puntualizzare le cose.

Ed adesso la parola ai conti. Dire che sono in rosso è un eufemismo. “Il Barça ha un patrimonio netto negativo di 451 milioni di euro, con una perdita netta di esercizio di 481 milioni. Essa nasce da 1.136 milioni di spese e da 631 milioni di incassi che porta, appunto, a quei 481 con il segno negativo davanti. La differenza tra dare e avere del club è di 553 milioni, con un debito bancario che è schizzato a 1350 milioni”.

La passata Junta ha, tra l’altro, operato anche attraverso “un anticipo del 50% sugli incassi dei diritti tv e con il 50% anche su anticipi sugli incassi della vendita di giocatori”. Operando, dunque, con soldi che materialmente ancora non esistevano. In questa situazione assurda, al limite del fallimentare, Laporta non ha mancato di mettere in evidenza altre spese folli, come gli 8 milioni dati a un personaggio non meglio noto (tutti gli indizi portano a Cury) a libro paga per quella cifra al fine di monitorare il mercato in Sudamerica. Sembrano delle storie raccontate da qualcuno che riporta le altrettante spese folli dello Shah di Persia, quando sembra si facesse portare il pranzo ordinato da Maxim’s in aereo da Parigi. A proposito di spese pazze, già detto anche in precedenti articoli della masa salarial monstre, pari a 110% degli incassi, il monte ingaggi del Barça supera di un buon 25, 30% quello dei principali competitor europei. E per chi cerca di sostenere che tutta la situazione debitoria è imputabile a forza maggiore, vale a dire alla pandemia, Laporta è stato diretto anche su questo aspetto, mettendo in evidenza come l’influenza del Coronavirus sull’esposizione debitoria del club incide solo per 91 milioni (217 milioni per mancati incassi meno 126 milioni sostenuti per spese). Anche questa voce, dunque, non servirà per salvare la gestione economica della giunta Bartomeu.

Il primo atto che ha fatto la Junta Laporta, dopo il suo insediamento, è stato “chiedere un prestito ponte di 80 milioni di euro per pagare le spese correnti (gli stipendi agli impiegati del club)”. Non solo, “abbiamo dovuto investire la somma di 1,8 milioni per poter eseguire opere urgenti di manutenzione del Camp Nou (che la precedente Junta aveva quasi lasciato in stato di abbandono) per poter ottenere l’agibilità dell’impianto e permettere il ritorno del pubblico sugli spalti”.

Questa la situazione economica del club. In queste condizioni Laporta ha dato valore, e ringraziato pubblicamente, Piqué (definito “straordinario”) per il suo gesto di ridursi ulteriormente, unico tra i capitani, l’ingaggio. Grazie a esso il Barça ha potuto iscrivere i nuovi acquisti. Senza il gesto di buona volontà del difensore, i vari Memphis, Eric non avrebbero nemmeno potuto scendere in campo ieri. E gli altri giocatori? “Con gli altri si sta parlando. Si studia un differimento del salario o una soppressione dei premi per i titoli eventualmente conseguiti”.

Nonostante l’enorme fardello economico che pesa sulla sua gestione (“si pensava fosse meno grave di quella che abbiamo trovato”), il Laporta pensiero è sempre positivo. “Adesso (complice anche la dolorosa rinvia a Leo) nasce una nuova era. Saremo in grado di rovesciare la situazione negativa. In due anni credo che la situazione sarà risanata”. E cosa ancora più importante, “Il club sarà di proprietà dei soci”.

Vittoria alla prima dopo Messi

Giuseppe Ortu Serra

La prima d.M., dopo Messi, è andata in archivio con una vittoria incoraggiante. 4-2 contro la Real Sociedad, con Piqué, doppietta di Braithwaite, Sergi Roberto. Da parte della formazione donostiarra hanno segnato Lobete per il momentaneo 3-1 e Oyarzabal (3-2).

La gara ha visto un nuovo Barça. Senza Messi non è la stessa squadra. Gioca bene, è veloce, gioca di prima, ma basilarmente tocca meno la palla. Il pallone va immediatamente in verticale. Il Barça è una buona squadra normale. Non ci sono più le magie, le illuminazioni improvvise, le accelerazioni e le giocate individuali di Leo. A questa squadra, con l’uscita di scena del rosarino, manca poesia, le giocate che strappavano gli “Oh” del pubblico. Questa è una formazione che può anche divertire, ma a cui mancherà l’anima che la ha contraddistinta dal 2004 ad oggi, le opere d’arte del calcio che da sole valevano il prezzo del biglietto. Quelle le serberemo per sempre nei nostri cuori, nelle nostre menti, nel nostro io interiore. Il pubblico, al 10° minuto di entrambi i tempi, contro la Real Sociedad ha coreato il nome dell’argentino come faceva in occasione delle sue giocate più spettacolari o delle sue reti. Peccato che parte dei presenti, sopratutto nel secondo tempo (ma anche se con sonorità minori anche nel primo), abbia contrastato questa ovazione-saluto al 10 con degli sgradevoli fischi che mettono in evidenza la pochezza interiore di parte del pubblico blaugrana. Ciò dimostra che parte degli aficionados non ha ancora capito una cosa: Leo è solo una vittima in tutto questo dramma sociale e personale. Ma quando indossi i paraocchi come i modesti ronzini da tiro non ti puoi aspettare prestazioni da purosangue.

Il Barça è sceso in campo con Neto in porta, Dest, Eric, Piqué, Jordi; De Jong, Busquets, Pedri; Griezmann, Braithwaite, Memphis. Il primo tempo ha messo in evidenza un grande acquisto, un grande giocatore, Memphis Depay. Il migliore acquisto del lotto. Il numero 9 ha giocato da centravanti e da rifinitore. Sulla fascia sinistra, al centro, a destra, il nederlandese ha giocato oltre le migliori attese. Ha dato dei palloni che sarebbero potuti scaturire dal 10 blaugrana. Sempre presente in avanti, ha tirato, ha lottato, ha subito molti falli. Una spina nel fianco per gli avversari che non sapevano mai come e in quale zona del campo prenderlo. Altro punto esclamativo è riservato a Braithwaite. Il danese, vituperato attaccante dello scorso anno, ha esordito con una doppietta fondamentale per le sorti della partita. Il ragazzo si sta giocando un posto in squadra e sta mettendo in campo tutto quello che ha. In una formazione priva del suo genio della lampada, anche la sua caparbietà può essere molto utile.

Il Barça è passato con Piqué su assist di Memphis. Il raddoppio è giunto dalla testa del danese che con un cabezazo ha sfondato la porta avversaria. Anche la terza rete, in apertura di ripresa, è giunta da Braithwaite con un destro fortissimo da centro area dopo una squisita azione sviluppatasi sulla sinistra grazie a Memphis e Jordi Alba. Con il risultato ancorato sul tre a zero, la ripresa è iniziata con una Real maggiormente volitiva che ha pressato più alto il Barça.

I cambi di Koeman, a partire dal 70′, hanno destabilizzato e dinamitato l’equilibrio della squadra. Due difensori su 4, con Emerson al posto di Dest (negativo l’ingresso in campo dell’ex Betis), e due centrocampisti su tre hanno reso il Barça meno sicuro e rafforzato il progetto tattico della Real. I blaugrana hanno perso il possesso del pallone e gli avversari ne hanno approfittato. Il 3-1 di Lobete è giunto su una chiusura errata di Emerson. La Real Sociedad ha insistito e al 85‘, a seguito di una punizione inesistente fischiata a Nico, è passata per la seconda volta. A 5′ dalla fine il Barça ha rivisto i fantasmi del passato, le partite dominate per gran parte di gara e buttate nei minuti conclusivi. Al 90’ Koeman ha attentato alla sicurezza del risultato mandando in campo Lenglet, di per sé non sinonimo di saldezza difensiva, al posto di Memphis. Il Barça si è messo a 5 dietro per gli ultimi 5 minuti del recupero. Il risultato del passivo non è cambiato per sorte dei tifosi blaugrana, anzi, a seguito di un contropiede, è stato il Barcelona a mettere a segno il goal della vittoria grazie a Sergi Roberto. Adesso arriva la trasferta di Bilbao, un altro banco di prova per il nuovo Barça orfano di Leo Messi.

Tutta la verità sul caso Messi

Giuseppe Ortu Serra

“Fiumi di parole” recita il titolo di una canzone italiana; parole a volte gratuite o dette a sproposito. Sul Caso Messi se ne sono dette fin troppe. Tutti hanno potuto parlare e scrivere, lanciandosi in voli pindarici, ricostruzioni cervellotiche e di fantasia, mostrandosi ferrati nella materia come un muratore può esserlo di chimica farmaceutica. E così sulle televisioni e sulla carta stampata, come su quella digitale, abbiamo registrato, purtroppo per la professione, le banalità, le inesattezze, le bugie, le gratuite bacchettate ironiche di pseudo moralisti che sembrano far parte de “La carovana dell’Alleluja” (film in cui la carovana trasportava in realtà whisky e champagne) e che, mentre catechizzano con la mano destra, con la sinistra giurano, spergiurano e tradiscono a più non posso. Lady Violet, Contessa Madre di Grantham, personaggio iconico della pluripremiata serie Downton Abbey, avrebbe detto in questa circostanza: “Il danno della libertà e della democrazia è che tutti si sentono in diritto di parlare su ogni argomento, anche su ciò che ignorano”. Perle di saggezza sempre più ignorate da pseudo tuttologi o esperti che affollano pseudo salotti della tv e tribune popolari sportive che vanno avanti a forza di ipocrisie, disinformazione, menzogne e banalità.

Una lunga premessa per dire una volta per tutte la verità sul Caso Messi. Poteva il Diez argentino restare al Barça in questa stagione? No. Poteva giocare con una ficha al ribasso per venire incontro alle necessità economico-finanziarie precarie del Club di Carrer Arístides Mallot? No. Poteva giocare gratis o con un ingaggio simbolico, come tanti Solone e tromboni hanno detto e scritto, beandosi e facendo bella mostra della loro sensibilità morale e profondità d’animo? No.

Andiamo per gradi. Trattenere Messi al Barcelona in questa stagione era assolutamente impossibile, finanziariamente e giuridicamente. La Junta Laporta ha ereditato da quella Bartomeu un debito lordo vicino al miliardo di euro, e un rapporto ingresos-masa salarial del 110%. Vale a dire che per 100 euro di entrate, Bartomeu e soci hanno speso per ingaggi 110 euro. La eredità Barto-Roselliana è stata catastrofica per le casse e le finanze del club, costringendolo a rinunciare al suo giocatore copertina, al suo Re Mida, alla sua essenza più intima.

Con una situazione del genere, i margini per un rinnovo erano pari a zero. A qualunque cifra? E se, per amore della Camiseta blaugrana, Leo avesse voluto giocare gratis (uno dei capi di imputazione mossi a Leo dai Tromboni di cui sopra per comportamento omissivo)? Zero, nada, niet, no chance! Ciò che sfugge ai più è che esiste una legge dello stato spagnolo in tema di lavoro che vieta che tutti i nuovi contratti dei professionisti possano avere un ingaggio ridotto più del 50% rispetto al precedente. La ratio di questa norma è la necessità di evitare delle frodi finanziarie e fiscali. Oltre a ciò prevede, come bene giuridico tutelato, la salvaguardia dei diritti del lavoratore che non può accettare nuovi contratti che prevedano tagli selvaggi allo stipendio superiori alla metà.

Le due parti avevano raggiunto l’accordo per la riduzione dell’ingaggio alla metà, giusto il minimo indispensabile per non ricadere nelle forche caudine del testo della legge. Ma anche questo non è bastato. Il tetto salariale imposto da La Liga al Barça, in ragione di quel 110% tra incassi e spese, ha reso anche quell’ingaggio troppo elevato per il salary cap e il fair play finanziario spagnolo. Con quella proporzione del 110% di masa salarial, il contratto non sarebbe stato possibile registrarlo anche se il rosarino avesse potuto giocare realmente gratis, esattamente come non possono essere depositati i contratti dei nuovi acquisti, quelli di Agüero, Eric García, Depay.

Strada senza uscita dunque? Un pertugio sul muro, in potenza, c’era pure. Si trattava dell’adesione all’accordo che La Liga ha stipulato con CVC Capital Partners, società finanziaria britannica con sede in Lussemburgo. Nel disegno immaginato da Tebas, la CVC immetterà nel mercato del calcio spagnolo, non solo di Primera División, 2,7 miliardi di euro. La ripartizione di questo capitale avverrà attraverso il criterio della ripartizione dei diritti tv. Al Barça, in soldoni, l’accettazione dell’accordo avrebbe fruttato 250 milioni di euro. Con quei soldi Laporta avrebbe potuto tenere Messi. Ma a quale prezzo? La Liga, di conseguenza tutti i club, cederà ai britannici il 10 per cento dei diritti audiovisuali da qui a 50 anni, praticamente Da qui all’eternità, sfruttando l’assist cinematografico datoci dal film di Fred Zinnemann. 50 anni di diritti, non solo tv, ma di qualsiasi produzione video proveniente dal Barça. Tenendo conto che il club blaugrana è proprietaria della Barça Studios, una società di produzione televisivo-cinematografica capace di produrre notizie, prodotti, servizi e contenuti visivi del Mondo Barça da offrire a tutti i fan della squadra blaugrana in giro per il mondo, stiamo parlando di una cifra enorme. Solo una struttura di questo genere vale miliardi di euro, pensiamo al valore delle singole produzioni sul mercato audiovisivo. L’idea di dover ipotecare per 50 anni una percentuale di questa enorme risorsa economica per una cifra irrisoria di 250 milioni è assolutamente fuori dal mondo e da qualsiasi contesto. Un contratto di chiara matrice usuraia appoggiato, voluto e sponsorizzato da Tebas per suoi tornaconti personali e che giunge proprio in un momento di massima crisi del calcio spagnolo in generale, e del Barcelona in particolare. Un contratto vessatorio di questo genere, a queste cifre ridicole e in un momento storico come questo, è come il contratto che è obbligato a sottoscrivere chi è appeso per una mano al bordo del precipizio mentre il suo aguzzino, in piedi sul bordo del burrone, lo costringe a firmare un accordo profondamente iniquo e vessatorio in cambio di essere aiutato, preso per un braccio, e salvato dalla morte. Madrid e Barça hanno subito manifestato la loro contrarietà a un contratto capestro. I blancos hanno preparato una causa contro La Liga e CVC e il Barça ha rinunciato a Messi pur di non sottostare alle pressioni usuraie dei britannici e di Tebas. Anche la Federazione (RFEF), nella persona di Rubiales, si è opposta con forza all’accordo.

Come ultimo atto della vicenda, questo pomeriggio la riunione straordinaria de La Liga in merito alla decisione sull’accordo, ha visto lo strappo da parte di Real Madrid, FC Barcelona, Athletic Club e Oviedo, club di Segunda. L’accordo tra Liga e CVC sarà operativo per tutte le squadre di Primera e Segunda ad esclusione dei quattro club dissidenti che non spartiranno con CVC neanche un euro dei loro proventi derivanti dalla produzione e vendita dei diritti audiovisuali dei rispettivi club.

In tutto questo rimane solo un dubbio e un punto interrogativo. La questione sopra prospettata, con tutte le limitazioni di cui sopra, si riferisce alla stagione in corso. Aveva Laporta la possibilità di rinnovare Leo prima del 30 giugno senza incorrere nelle insidie e nelle trappole che questa nuova stagione ha frapposto tra il Barcelona e il suo giocatore simbolo? Poteva Jan agire nell’immediatezza della sua elezione e mandare in archivio l’ultimo contratto del 10 in maglia blaugrana? Questo resterà sempre un interrogativo che aleggerà dalle parti di Can Barça.

Questa è la situazione dietro al Caso Messi, la pura verità liberata dai lacci e lacciuoli della fantasia di incompetenti, incapaci e benpensanti male informati. In queste situazioni la sorte di Leo Messi era segnata e inevitabile. Tutto il resto sono solo chiacchiere… e noia.

Il primo Gamper senza Messi va al Barça

Giuseppe Ortu Serra

Il dia 1 después Messi inizia con una vittoria sulla Juventus. 3-0 con reti di Memphis, Braithwaite e Riqui. Una buona partita con un avversario di nome anche se in versione ridotta e ridimensionata. La partita si è disputata al Johan Cruyff davanti a circa tremila spettatori. C’era molta curiosità nel vedere come la squadra avrebbe reagito al colossale fracaso creato dell’abbandono della pulce, sia come il pubblico avrebbe accolto alcuni giocatori, quelli che vengono accusati dai più di aver costretto Messi ad abbandonare per non essersi ridotti la ficha o per aver rifiutato il trasferimento. Coloro che sono finiti maggiormente sotto la lente d’ingrandimento de l’afición erano Griezmann, Umtiti, Coutinho, Jordi Alba, Busquets. L’alsaziano è stato ricevuto sorprendentemente bene; Umtiti, al contrario, è stato sommerso di fischi all’atto della presentazione al pubblico. Coutinho e Jordi Alba hanno ricevuto una accoglienza piuttosto fredda, tra applausi e fischi (pochi). Busi, invece, è passato indenne alla prova pubblico. Per quanto riguarda la prestazione della squadra, l’undici di Koeman, applaudito senza tentennamenti, si è ben comportato.

Il colpo ricevuto dalla perdita del giocatore più forte della storia del calcio è stato di quelli che avrebbero potuto tramortire e buttare giù qualsiasi colosso. Il Barça, invece, sebbene alla prova con una formazione di livello, ha mostrato di essere riuscita a incassare bene il colpo come un pugile esperto. Nonostante diverse assenze, de Jong, Agüero (in tutti i sensi), Pedri, Eric García, Mingueza, il Barça ha ben giocato, mettendo in evidenza delle buone trame di gioco e una buona velocità nella circolazione della palla. Demir, che ha giocato a centrocampo in posizione accentrata, scambiandosi spesso la zona con Griezmann, è stato uno dei migliori nel corso dei primi 45′, mostrando ottime doti sia nelle chiusure, che nell’impostazione. Tra i più deludenti della prima frazione, invece, Griezmann. Il francese, che in assenza di Messi dovrebbe prendere il timone della squadra e cercare di occupare la posizione lasciata vacante dall’argentino (nelle passate stagioni si è sempre lamentato del fatto che giocasse fuori posizione in quanto il suo gioco passava per le vie normalmente occupate dal Diez), non ha brillato, dimostrando ancora una volta quanto inutile e dannosa, dal punto di vista tattico ed economico, sia stata la sua incorporazione. Adesso deve fare un passo determinante in avanti e dimostrare tutto ciò che non ha fatto nelle stagioni addietro se non vuole restare perennemente un fenomeno da Atletico. Altro uomo che si è vestito da Casper in questa sfida è stato Sergi Roberto. Il centrocampista ha dimostrato per l’ennesima volta di non essere né carne, né pesce. Un ibrido che potrà servire solo in caso di emergenza se dovesse mancare qualche arruolabile in mezzo al campo. Anche il numero 20, come Griezmann, avrebbe dato certamente un maggior contributo alla causa se fosse stato ceduto.

Dopo la gara del femenino, stravinta dalle blaugrana con il risultato di 6-0, anche la sfida maschile è iniziata subito molto bene per i padroni di casa. Uno a zero dopo pochi minuti con rete realizzata da Memphis. Ottimo l’assist di Demir che ha sfruttato un buco a centrocampo dei bianconeri, infilandocisi con autorità, e servendo un gran pallone al giocatore dei Paesi Bassi. Strada subito in discesa. La gara del nederlandese è stata ottima. Dribbling, forza fisica, tiro, difesa del pallone, visione di gioco, capacità nel fraseggiare con i compagni. Tutte le qualità che aveva mostrato nelle prime uscite sono state confermate anche ieri sera. Il ragazzo potrà essere veramente utile in questa stagione così martoriata. La formazione di Koeman ha mostrato un buon gioco arioso e veloce, anche se sottoporta non è stata particolarmente pericolosa. Due reti annullate per fuorigioco, sì, una delle quali era invero regolare, ma per il resto non una gran mole di occasioni. I tempi orfani di Messi iniziano a farsi sentire. In difesa, invece, la formazione di casa ha concesso non poche occasioni (Neto alla fine è stato premiato come hombre del partido). Una serie di conclusioni che il portiere ha neutralizzato, ma che costituiscono un campanello d’allarme per la stagione. Se una Juventus così dimessa ha bussato tante volte alla porta blaugrana, ci sarà da sudare parecchio in campionato e in Europa.

Sul fronte juventino da segnalare una squadra tipicamente italiana. Con Allegri il baricentro è stato abbassato di almeno 20 metri. Prima difendere e poi… forse, ripartire. Se l’Italia di Mancini ha fatto vedere un calcio piacevole e moderno, Allegri è tutto l’opposto, e sembra giocare come il nonno di Noè. Cristiano Ronaldo, sostituito dopo i primi 45′, è parso contemporaneo e coetaneo del nonno di Noè di cui prima. Mancava Messi e lui avrebbe dovuto prendersi la scena. Ha appena toccato palla, facendosi notare solo per una gomitata a tradimento, gratuita e violenta, che avrebbe meritato il cartellino rosso. Il tempo passa caro Ronaldo, e i tornei per le vecchie glorie sono sempre aperti per nuovi arrivi.

Ad inizio ripresa è giunto il raddoppio da parte di Braithwaite. Dopo una prima parte di gara fatta di tanta corsa e poco costrutto, nel momento in cui la Juventus stava cercando di impegnare il Barcelona, è arrivato il cabezazo del danese che ha messo al sicuro il risultato. Una gran rete di testa e una ottima scelta di tempo per la sua prima marcatura stagionale. Il secondo tempo ha visto una girandola di cambi tra le due formazioni. Nel Barça hanno fatto il loro ingresso Emerson, Umtiti (Piqué ha dovuto chiedere al pubblico che interrompesse di fischiarlo ad ogni tocco di palla), Nico, Riqui, Balde e Manaj. Sul finale di gara ha fatto il suo ingresso in campo anche Collado.

Il Barça, con in campo tanti giovani di talento e futuro non ha abbassato né ritmo né tantomeno qualità. I nuovi entrati hanno dimostrato di avere le carte in regola per dare sostegno qualitativo ai titolari della formazione. Koeman, quest’anno obbligato a mettere in campo Riqui, si sarà dovuto ricredere dal gioco mostrato dall’ex numero 12, oggi con il 6 sulle spalle, sopratutto, ma non solo, per la gran rete realizzata. Il ragazzo ha mostrato le sue qualità con ottime giocate e con passaggi larghi ad aprire il gioco. Riqui è stato anche protagonista della rete del tre a zero con una splendida conclusione, in girata dal limite dell’area, che è andata a morire sull’angolo alto di destra della porta juventina. Speriamo che persino Koeman abbia visto e capito.

Ultima annotazione per Agüero. L’ex City non era nemmeno presente allo stadio. Ufficialmente infortunato, in realtà il suo contratto non è stato ancora depositato, non si è presentato insieme al resto della squadra per la presentazione al pubblico (erano presenti gli altri infortunati). Il mistero s’infittisce. Non è da escludere che, orfano di Messi, possa chiudere l’avventura con il Barça ancora prima di iniziare e chiedere di essere lasciato libero di andare via. Il Barcelona ha appena perso Leo Messi, il giocatore più forte della storia. Agüero non è nessuno, può anche accomodarsi alla porta. È il momento in cui servono nervi saldi e persone serie che remino tutti dalla stessa parte facendo fronte comune. Non servono presunte prime donne svenevoli o isteriche. Chi vuole rimboccarsi le maniche e dare sostegno e solidarietà è gradito. Per gli altri… la porta è quella!

L’addio di Leo Messi in una conferenza stampa drammatica

Giuseppe Ortu Serra

Un lungo applauso di quasi due minuti, interrotto solo dalla voce dell’ufficio stampa per dare la parola ai giornalisti che affollavano l’Auditori, è stato il saluto carico di amore che i presenti alla conferenza stampa hanno riservato al capitano del Barça. Un minuto e quarantacinque secondi scandito dalle lacrime di un Leo Messi distrutto, affranto, disperato. L’applauso triste, ricco di calore, sentimento e calore da parte dei presenti, famiglia, giocatori, giornalisti, è stato un tentativo, vano, di compensare, ripagare, rincuorare il numero 10. Questo è stato l’ultimo atto di Leo Messi in blaugrana. Non al Camp Nou colmo di gente che coreava, che urlava, che invocava il suo nome, no, ma all’interno della sala stampa dello stadio alla presenza di poche persone, di quelle a lui più vicine. La sala stampa era carica di tensione all’arrivo di Messi; l’emotività si tagliava a fette. Musi lunghi, tristi, occhi gonfi di pianto da parte dei compagni di squadra di Leo che, in piedi di fronte al microfono, solo con il suo dramma, piangeva come un bambino a cui hanno fatto un immane torto per lui inspiegabile.

Leo Messi saluta il Barça, il suo Barça, e se ne va. È stata la peggiore notizia di sempre, quella che nessun culé avrebbe mai voluto sentire. Lascia un vuoto profondo e incolmabile in una squadra terremotata dall’opera distruttiva del peggiore presidente della storia: Josep Maria Bartomeu. È lui il vero, unico colpevole dell’addio di Messi.

Il momento che si è celebrato è stato quello che Messi non avrebbe mai pensato di vivere, se non in uno spazio temporale ben dilatato nel tempo, o che nessun vero tifoso del calcio romantico, a prescindere dai colori per cui tiene, avrebbe voluto assistere. La conferenza stampa più triste della storia del Barça e della vita di Leo.

Esordisce con un “Bon dia” dopo un pianto a dirotto inframezzato da singhiozzi disperati, ma nulla di bello o di buono aveva da comunicare. Messi ha subito sgombrato il campo dagli equivoci: “Io volevo rimanere. Laporta ha fatto tutto il possibile. La volontà comune era questa, ma non è stato possibile”. Troppi i debiti del club per poter stipulare un contratto che potesse permettere a Leo di restare in blaugrana e a La Liga di soddisfare i propri requisiti di tetto salariale. “Abbiamo ereditato” aveva precisato Laporta in occasione della sua conferenza stampa, “una masa salarial del 110% rispetto agli incassi del club”. In queste condizioni, senza vendite di giocatori inutili per il progetto blaugrana, come Coutinho, Umtiti, Griezmann, Pjanic, tutti elementi con una ficha elevatissima, non era possibile inscrivere Leo anche con la riduzione dell’ingaggio concordato con il presidente. Il mancato movimento in uscita è stato fatale per la continuità del 10 blaugrana.

Per Leo è stata una mazzata tremenda, anzi “una secchiata di acqua ghiacciata”. “È un momento che non mi aspettavo che sarebbe arrivato. Ero sicuro che avrei continuato qui. Poi è successo ciò che è accaduto e non è stato possibile andare avanti. Sto lasciando il club della mia vita e tutto cambierà. Ricomincerò da zero, così come per la mia famiglia. Sarà un cambio difficile e bisognerà accettarlo. Non sono pronto per questo. Non è come avevo pensato. Avevo accettato una riduzione del 50% dell’ingaggio, ma non è bastato”.

Un dramma, un terremoto. La catastrofe di un uomo, di una famiglia sradicata all’improvviso e contro la propria volontà dal tessuto sociale nel quale era radicata, dal luogo di una vita in cui aveva messo radici più profonde di una quercia secolare. Ancora più duro da accettare perché totalmente imprevisto e improvviso. Una crudeltà quella che i Messi sono stati costretti a vivere. Quasi una deportazione. “La mia famiglia voleva restare qui, a casa mia. Questo è un posto meraviglioso. Ho trascorso tutta la vita qua. Vado via con tre figli che sono catalano-argentini”.

E qui una parvenza di buona notizia. Una speranza, almeno per la famiglia. “Ho promesso ai miei figli che sarei tornato. È un arrivederci, non un addio”. Non sarà un arrivederci per i tifosi blaugrana che non potranno più vederlo indossare le scarpette, la maglietta blaugrana e difendere sul campo i colori blaugrana come ha sempre fatto in questi 21 anni. Lo sarà per la famiglia. Leo tornerà a Barcelona dopo questi due anni, più uno opzionale, a Parigi, dove avrà la possibilità di continuare a vincere e conquistare quei trofei che non potrà più conquistare con la sua squadra.

Leo è un fiume in piena mentre viene travolto dai ricordi e dalle emozioni. Una tempesta emozionale che si scatena nel suo Io più interiore. “Ringrazio tutti i miei compagni. Il club è stato buono con me: mi ha dato tanto. Sono accadute tanto cose belle in questi anni. Se sono la persona che sono oggi lo devo al club. Nello stesso tempo io ho dato tutto per questa Camiseta”. Ancora ringraziamenti. E rimpianti: “La gente mi ha sempre dato tutto. Non mi sarei aspettato un addio in questo modo. Lo avrei voluto in campo, con lo stadio pieno di gente a creare il mio nome dagli spalti. Ho sempre sentito l’amore dei tifosi. È il momento più difficile della mia carriera”.

Alla fine, ancora parole dolci per il suo club, quello che resterà per sempre suo anche se non ci giocherà mai più. “Il club continuerà ad essere il migliore del mondo. Arriveranno molto altri giocatori, magari non adesso. La rosa è ottima e la gente si abituerà alla mia assenza”. Una cosa molto, molto complicata Caro, amato, unito, incommensurabile, inmessionante Leo.

L’addio di Leo al Barça. Il funerale dello sport e la vittoria del Cartello della Uefa

Giuseppe Ortu Serra

Il fallimento dello sport, la morte del calcio. Il giorno più brutto e triste che ogni appassionato di calcio, e non necessariamente tifoso del Barcelona, si sarebbe mai potuto aspettare. E’ la fine di un sogno romantico chiamato fedeltà a una stessa maglia, la fine di un calcio che a lungo ha cercato di resistere nell’enclave catalana del football super, mega, iper professionistico. Il connubio Barcelona-Messi era destinato a scrivere la più bella, intensa, romantica pagina del calcio. Una fiaba da leggere e raccontare ai bambini alla notte prima di addormentarsi. “C’era una volta un campione di nome Leo Messi che nacque e morì con la stessa maglia addosso”. Un campione, ma che dico campione, il giocatore più forte di tutti i tempi, della storia del calcio, legato a un unico club. Il sogno di ogni bambino, di ogni sportivo vero che si avvicina allo sport e sogna imprese leggendarie inimmaginabili. Il sogno di uno sport puro, pulito, educato, schivo che non si dà in pasto ai social media o non sfila con auto sportive o con orologi tempestati di diamanti; un calcio intriso di sudore e passione che ha sempre cercato di ribellarsi al business pensando prima di tutto ai valori dello sport.

Tutto questo oggi non è più realtà. È crollato sotto la folle corsa al business di un uomo, Josep Maria Bartomeu, che ha cercato, insensatamente, loscamente e delinquenzialmente, di fare concorrenza agli emiri che hanno in mano la Uefa e la gestiscono come fosse un pozzo di petrolio o una controllata del Qatar Authority Investment, pur sapendo che sarebbe stata una corsa al disastro e al suicidio. Oggi anche l’ultimo brandello di un calcio puro e onesto è stato spazzato via da una conferenza stampa piena di lacrime, di lancinanti grida di dolore di un ragazzo che è stato strappato con la forza al suo sogno, vale a dire continuare a giocare nel club della sua vita, vestire fino alla fine, fino alla morte, quella Camiseta che si sente addosso come una seconda pelle. Un ragazzo costretto a lasciare la sua città contro il suo volere, a trasferire la famiglia e una vita di ricordi, emozioni, sentimenti e amori nel giro di una notte. Una conferenza stampa che ha messo con le spalle al muro tutto un sistema fondato sul nulla, sui soldi, sul business, sui debiti. Leo Messi ha dovuto alzare, contro la sua volontà, bandiera bianca davanti a un calcio marcio e corrotto per la responsabilità di un megalomane pallone gonfiato che ha condotto il club di cui era solo custode sull’orlo del baratro.

Quello di oggi è un calcio drogato, dopato e fondato sulla concorrenza sleale. Un calcio posseduto da uno Stato con illimitate capacità economiche e tutelato da una organizzazione, la Uefa, che fa dell’ipocrisia la sua bandiera, della corruzione il suo manifesto, della destabilizzazione il suo scudo. La Uefa che permette all’emiro del Qatar di destabilizzare il calcio europeo (e quindi mondiale) con una immissione illimitata e incontrastata di capitali provenienti da fuori del bilancio della squadra. In periodo di pandemia, dove tutti i club stanno affrontando la più grave crisi mondiale dello sport e del calcio, Ceferin, invece che far rispettare il principio di equità e di pari opportunità tra le squadre per tutelare lo sport, di fronte alla difficoltà dei club impossibilitati a fare mercato per le difficoltà contingenti, permette al Qatar di drogare il sistema e di violare la libera concorrenza permettendo l’immissione nel mercato di capitali illimitati. La Uefa attraverso Ceferin, Al Khelaifi per mano dell’emiro qatariota e il Psg, hanno costituito un Cartello che va contro ogni decenza e dignità sportiva, creando un monopolio dove organizzatore, arbitro e giocatore sono la stessa persona. In queste condizioni solo dei gentiluomini di vecchio stampo potrebbero operare, astenendosi dall’approfittare del loro ruolo di vantaggio. Ma noi sappiamo bene che né Ceferin, né l’emiro del Qatar o Al Khelaifi, sua longa mano nel calcio, sono dei gentiluomini, ma solo dei “personaggi” che approfittano delle difficoltà altrui per rafforzare le proprie posizioni privilegiate e di vantaggio a discapito del resto del mondo.

Per rendere meglio il concetto, sarebbe come se in un processo penale pubblico ministero, giudice e imputato fossero la stessa persona e la parte civile dovesse cercare di far valere le proprie ragioni e chiedere giustizia contro la condotta dell’imputato. Se chi crea le norme, chi le deve fare rispettare, più uno dei giocatori sono la stessa entità, credete che ci possa mai essere equità, giustizia, legalità? Certo che no! Come faccio, io club di calcio, a oppormi a un sistema organizzato, gestito, comprato e posseduto da una unica squadra, il Paris St. Germain? A chi posso rivolgermi per chiedere giustizia se i gendarmi si spartiscono il bottino con i ladri? Ceferin, la Uefa, Al Khelaifi e il Psg, vale a dire il Cartello Qatariota del calcio, sono la fine, la morte del calcio e dello sport. E il suo funerale si è celebrato oggi con l’addio di Leo Messi, prossimo giocatore di un Psg che in questa estate martoriata dalla quarta ondata pandemica, con mezzo mondo calcistico che deve riciclare i giocatori per affrontare la stagione alle porte, ha già tesserato Donnarumma, Sergio Ramos, Achraf, Wjinaldum e si prepara a rinnovare a suon di decine di milioni di euro Mbappé dopo aver rinnovato Neymar appena qualche mese fa.

Questo è un calcio popolato da sciocchi, megalomani e manigoldi da strapazzo da una parte e da freddi, lucidi e cinici lupi che possiedono e gestiscono la Uefa come fosse “cosa nostra” dall’altra. Che, come abbiamo visto, non è Ceferin (appena un portaborse senza peso né valore, un politicante da quattro soldi). Il vero dominus della Uefa galleggia nell’oro nero in Qatar. E da lì comanda e impartisce ordini come fa Sauron, da Mordor, sulla Terra di Mezzo.

S’ha acabat!

Giuseppe Ortu Serra

E’ finita, s’ha acabat! Laporta è comparso in conferenza stampa alle ore 11:00 all’Auditori per spiegare la situazione Messi. Il presidente è stato chiaro, limpido, cristallino. Ha usato parole taglienti come il vetro, che fanno male ad essere ascoltate, ad essere ripetute e ad essere riscritte. Leo Messi, il giocatore con mayor exito della storia del Barça non può giocare più, suo malgrado, nel Barça. Ad impedirlo una situazione economica “disastrosa” ereditata dalla Junta Bartomeu, l’uomo da cui tutto iniziò, e delle regole “inflessibili” della Liga di Javier Tebas, il numero due della lista negra del Barcelonismo, in tema di masa salarial e di fair play financiero.

La situazione ereditata dalla passata giunta è stata definita da Jan Laporta disastrosa ed è la prima delle cause per le quali il Barça ha perso Messi. “Abbiamo ereditato una situazione disastrosa in cui la masa salarial ha raggiunto il 110% delle entrate”. Qualcosa di mostruoso, di inammissibile e gestibile. I danni provocati da Bartomeu e dai suoi accoliti sono detonanti e hanno fatto tremare, detonare, minare e crollare le fondamenta del club. Laporta non ha nominato una volta sola il nome del suo predecessore, riferendosi esclusivamente a “la passata gestione”.

Los culpables numero due sono Tebas e La Liga con le sue “norme inflessibili”. Laporta lo ha detto chiaramente riassumendo la situazione: “Con Leo l’accordo era totale, ma le norme del fair play financiero ce lo hanno reso impossibile. Inizialmente l’accordo era biennale. Posto che la cifra era eccessivamente alta e questo non permetteva di ricadere all’interno dei parametri decisi da La Liga, si è deciso di spalmare il contratto in cinque stagioni. Eravamo convinti, e fiduciosi, che questo avrebbe permesso di entrare all’interno delle maglie regolamentari fissate. Purtroppo la Commissione Economica della Liga, dopo avere esaminato il contratto, ha detto che anche così non era sufficiente per rispettare le norme. Noi abbiamo fatto tutto quello che era in nostro potere per poter registrare l’accordo, anche più di quello che potevamo. Anche Messi, dal momento che ha accettato tutte le nostre richieste, dalla riduzione dell’ingaggio al 50% alla durata del contratto da due a cinque anni. Leo ha accettato tutto, era pronto a firmare, ma non ha potuto farlo perché le norme del fair play financiero ce lo hanno impedito. Speravamo che La Liga fosse più flessibile, ma così non è stato”.

Situazione irreversibile? Laporta non ha chiuso la porta in faccia a nessuno, tantomeno alla speranza, anche se pare veramente una chimera. “Non voglio dare false speranze a nessuno”. Il fatto è che “non dipende più da noi o da Messi. Quello che potevamo lo abbiamo fatto”. Come dire, adesso spetta a La Liga fare un passo verso il Barça se non vuole che il campionato spagnolo perda tutto l’interesse verso gli spettatori del mondo e si ridimensioni enormemente in termini di aspettativa e gradimento fino ad assumere un livello quasi esclusivamente nazionale e provinciale nel panorama europeo delle grandi Leghe. Se prima Premier e Liga erano i campionati modello, a cui tutti guardavano e si aspiravano, adesso La Liga, senza Messi, si vedrà scavalcata da molti altri campionati nazionali e giocherà un mediocre ruolo di rincalzo nella lotta all’accorpamento dei diritti televisivi mondiali. Diverrà un campionato minore difficilmente vendibile all’estero in quanto non appetibile; tanto meno lo sarò oltre oceano e in estremo oriente. Tutti dovranno ridurre il tenore di vita e le aspettative di mantenere fama e incassi, La Liga e Javier Tebas per primo.

Non c’era proprio nulla da fare? Ogni strada è stata percorsa, studiata, esplorata? In realtà una via di fuga Tebas l’ha proposta al Barça. La via che porta all’accordo con CVC Capital Partners a cui abbiamo già accennato in altri articoli. Una strada assolutamente “non percorribile”. Essa prevedeva l’ingresso di capitali esterni per tutto il calcio spagnolo, professionistico e non; 2,7 miliardi di euro da suddividere tra i vari club sulla base della quota di diritti tv ad ogni club spettante. Al Barça sarebbero arrivati 250 milioni sufficienti per garantire l’iscrizione di Messi, ma a cambio dell’ipoteca di una parte dei diritti audiovisuales del Barça per 40 anni. “Il Barça è al di sopra di tutto e tutti, dei giocatori, dell’allenatore dei presidenti. Non posso ipotecare il futuro del club per mezzo secolo per fare un contratto, anche se per il giocatore più importante della storia del club e del calcio. Il club e la sua solidità sta al di sopra di tutti”.

“Abbiamo fatto tutto quello che potevamo fare. Oltre non potevamo andare. Alcune cose non possiamo farle perché non abbiamo margine salariale, altre non vogliamo farle”. Con questa eredità economica, la strada poteva essere quella di alleggerire la masa salarial con vendita di giocatori o la riduzione dei contratti in corso. Ma come ha correttamente spiegato Laporta, queste sono cose difficile e complicate da fare “che richiedono molto tempo per affrontarle” e per venirne a capo. “Siamo in un terreno infido, in un pantano, e ciò richiede del tempo” che il Barça non ha. Le cessioni non si sono concretate in un mercato ancora bloccato dalla situazione emergenziale, la riduzione degli ingaggi è difficoltosa. Parlare con ognuno dei giocatori e prendere delle decisioni così importanti e delicate per ogni singolo calciatore non è una cosa semplice che si può fare in poco tempo. “Non è facile ridurre l’ingaggio di contratti in corso; non possiamo nemmeno rescindere accordi in vigore unilateralmente con alcuni giocatori perché è rischioso e ci potrebbe condurre a davanti ad un tribunale per anni con il rischio di avere delle sentenze contrarie”.

Laporta è chiaramente triste e non lo nasconde. Non lo manda neanche a dire: “Sono triste, ma sono convinto di aver fatto gli interessi del club. Leo ha fatto la storia del club. Spero che possiamo superare il momento. C’è un prima e un dopo dell’era Messi. Lo ringrazieremo in eterno”.

Bartomeu, tutto ritorna sempre lì, a lui, all’orco che con la sua gestione dissennata e oscura ha fagocitato con le sue fauci agghiaccianti il futuro e l’anima del club, costringendolo a rinunciare alla sua stella più luminosa, alla sua icona. L’ex presidente, i suoi Bravi e tutti coloro che in qualche modo, con parole, condotte e omissioni, hanno avvallato l’opera dell’orda barbarica più distruttiva della storia, un Attila in giacca e cravatta, sono ugualmente responsabili di questo crimine, di questo delitto. Bartomeu e la stampa a lui vicina, tutti, nessuno escluso, singoli giornalisti inclusi, sono colpevoli di omicidio e stupro per avere ucciso, assassinato e stuprato il calcio a Barcelona. Sui loro nomi resterà una macchia ad imperitura memoriam che mai potrà diluirsi o sbiadirsi. Una macchia nera che persino i più vili, sanguinari e feroci pirati aborrivano e temevano come la morte.

La Liga e Tebas cacciano Messi da Barcelona e dal Barça

Giuseppe Ortu Serra

Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini. Il detto si riferisce agli scempi dei Barberini a Roma intorno al seicento, quando saccheggiarono il Colosseo per la costruzione della loro dimora, Palazzo Barberini. Non solo, per la costruzione del Baldacchino di San Pietro e per i cannoni di Castel Sant’Angelo, vennero prese e fatte fondere le travi bronzee del Pantheon. Che cosa c’entrano i barbari e i Barberini vi chiederete voi? Domanda più che giustificata e legittima. Si potrebbe dire, altrettanto, che ciò che non hanno fatto i barbari lo ha fatto Tebas.

Peggio delle invasioni barbariche. Il capo de La Liga, in effetti, barbaro lo è, sebbene al suo confronto i suoi predecessori potevano essere definiti gentiluomini da ospitare per un tea a Downton Abbey. Avevano l’alibi di aver vissuto “in altri tempi” come si suol dire adesso e di non avere avuto un grado di civilizzazione e di cultura all’altezza dei tempi moderni. Tebas questi alibi non li possiede, e una giuria di 12 “suoi pari” (poveri loro) lo troverebbero decisamente colpevole.

Il “Signor Tebas” ha impedito che il Barça depositasse il contratto di Leo Messi e, automaticamente, che il club blaugrana e il suo iconico calciatore apponessero le firme sul rinnovo del contratto nel pomeriggio/serata di ieri. Di fatto ha spinto via il numero 10 da Barcelona, dal Barcelona e dalla Spagna.

Perché, vi chiederete voi. Qualche mese addietro La Liga aveva pubblicato i nuovi parametri del fair play finanziario spagnolo, vale a dire la quantità invalicabile di masa salarial che ogni squadra poteva impegnare per pagare i suoi giocatori ed iscriverli al campionato. Ora, a seguito della crisi economica, il Barça ha visto ridotto notevolmente la sua voce di spesa come monte ingaggi, costringendo Laporta ad operare una serie di enormi decurtazioni su tutti i giocatori. Messi e il Barça erano addivenuti ad un accordo per la riduzione del 50% della ficha affinché il giocatore potesse essere iscritto. Questo da solo non era sufficiente. Oltre a Leo sono arrivate le adesioni per la riduzione dell’ingaggio anche da parte di altri pesos pesados della plantilla. Il tocco finale sarebbe dovuto arrivare dal taglio di alcuni ingaggi pesanti come quelli di Umtiti, Coutinho, Griezmann, Dembélé. Per un motivo o per l’altro, come tutti sappiamo, non si è potuto addivenire a questa scrematura.

Il Barça ha provato a convincere Tebas della necessità di rivedere i parametri di masa salarial fissati a suo tempo, ma invano. Il “buon Javier” è stato irremovibile. Così che, alla riunione di ieri pomeriggio tra Laporta e l’entourage di Messi che avrebbe dovuto portare alla firma sul contratto di rinnovo per altri 5 anni del genio di Rosario, il presidente ha dovuto comunicare ai Messi che non si sarebbe potuto conchiudere il contratto perché La Liga non avrebbe permesso il deposito dello stesso. Al punto in cui siamo, La Liga, vale a dire Tebas, non permette al Barça di tenere Leo Messi in blaugrana perché il suo ingaggio, sebbene ridotto della metà come abbiamo accennato in precedenza, sfora quel tetto fissato dal “ragioniere Tebas” e dai suoi contabili, tutti con tanto di mezze maniche sporche di inchiostro.

Messi vuole il Barça, il club blaugrana vuole Messi, il calcio romantico vuole vedere ancora il 10 vestendo la camiseta azulgrana e chiudere al Camp Nou la sua carriera. L’unico che non vuole tutto questo, e sta operando affinché questo matrimonio non s’abbia da fare, è il crudele Re dei Numeri, il ragioniere de La Liga che, calcolatrice alla mano, matita nell’incavo dell’orecchio e visiera di ordinanza, andrebbe nel panico se non gli tornassero le virgole. Così, davanti a tanta maniacale ottusità al limite dell’autismo, Leo Messi deve lasciare suo malgrado la squadra della sua vita, la sua città, il suo stadio e la maglia che sente addosso come una seconda pelle, con la quale ha pianto, riso, si è emozionato, ha vinto (tanto) e perso (anche se non così di frequente). Leo è legato con un cordone ombelicale a Barcelona, al suo clima, ai suoi colori e ai profumi del mare e dei rami in fiore dei suoi alberi.

Tutto ciò non conta niente per Tebas, o barbaro, o Barberini che si voglia chiamare. Perché mai stupirsi. Tebas non ha né anima, né cuore, né tantomeno sentimenti, ma solo un registratore di cassa al posto del cuore e un foglio Excel in luogo dell’anima.

Una volta sfrattato dalla sua casa, deportato come un palestinese in uno dei campi ebraici con la sola colpa di respirare l’aria che qualcuno vuole respirare in esclusiva; una volta che Messi sarà andato a riscrivere altrove il finale della sua storia e carriera calcistica; una volta che La Liga del Ragionier Tebas (viene quasi meglio chiamarlo Fantozzi o Filini se non fosse per il buon gusto di evitare di denigrare i due suoi colleghi più famosi), avrà perso il suo giocatore più iconico e rappresentativo, il calciatore più forte della storia del calcio, l’unico per il quale il mondo si piazza davanti ai teleschermi per vedere il campionato spagnolo, saremo curiosi di vedere a chi sarà in grado di vendere i diritti tv di una Liga che non conta più nessun giocatore Estrella. Certamente non in Cina, in Giappone o negli Usa, dove vogliono vedere i grandi giocatori calcare le scene, non certo i Braithwaite, i Vinicius, o i Gerard Moreno. Forse, mendicando la mancia, potrà trovare qualche acquirente interessato in Sud Sudan, in Indocina o in Corea del Nord, i quali potranno pagare, forse, con qualche ciotola di riso e due fucili mitragliatori. Avrà così di che nutrirsi, oltre alla possibilità di difendersi dal resto dei presidenti e dei tifosi quando capiranno, ahimè troppo tardi, quanto poco incasseranno, e quanto poco interessante sarà la Primera División senza più le giocate e le magie di Leo Messi.

La cacciata di Messi dal Barça sarà il più grande fallimento e autogol che Tebas possa mai fare. Sulla sua lapide, nel lontano giorno che lascerà questa terra, verrà inciso: “Qui giace lo stolto che cacciò Messi dalla Spagna pensando di fare un affare”. Amen.