La Liga e Tebas cacciano Messi da Barcelona e dal Barça

Giuseppe Ortu Serra

Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini. Il detto si riferisce agli scempi dei Barberini a Roma intorno al seicento, quando saccheggiarono il Colosseo per la costruzione della loro dimora, Palazzo Barberini. Non solo, per la costruzione del Baldacchino di San Pietro e per i cannoni di Castel Sant’Angelo, vennero prese e fatte fondere le travi bronzee del Pantheon. Che cosa c’entrano i barbari e i Barberini vi chiederete voi? Domanda più che giustificata e legittima. Si potrebbe dire, altrettanto, che ciò che non hanno fatto i barbari lo ha fatto Tebas.

Peggio delle invasioni barbariche. Il capo de La Liga, in effetti, barbaro lo è, sebbene al suo confronto i suoi predecessori potevano essere definiti gentiluomini da ospitare per un tea a Downton Abbey. Avevano l’alibi di aver vissuto “in altri tempi” come si suol dire adesso e di non avere avuto un grado di civilizzazione e di cultura all’altezza dei tempi moderni. Tebas questi alibi non li possiede, e una giuria di 12 “suoi pari” (poveri loro) lo troverebbero decisamente colpevole.

Il “Signor Tebas” ha impedito che il Barça depositasse il contratto di Leo Messi e, automaticamente, che il club blaugrana e il suo iconico calciatore apponessero le firme sul rinnovo del contratto nel pomeriggio/serata di ieri. Di fatto ha spinto via il numero 10 da Barcelona, dal Barcelona e dalla Spagna.

Perché, vi chiederete voi. Qualche mese addietro La Liga aveva pubblicato i nuovi parametri del fair play finanziario spagnolo, vale a dire la quantità invalicabile di masa salarial che ogni squadra poteva impegnare per pagare i suoi giocatori ed iscriverli al campionato. Ora, a seguito della crisi economica, il Barça ha visto ridotto notevolmente la sua voce di spesa come monte ingaggi, costringendo Laporta ad operare una serie di enormi decurtazioni su tutti i giocatori. Messi e il Barça erano addivenuti ad un accordo per la riduzione del 50% della ficha affinché il giocatore potesse essere iscritto. Questo da solo non era sufficiente. Oltre a Leo sono arrivate le adesioni per la riduzione dell’ingaggio anche da parte di altri pesos pesados della plantilla. Il tocco finale sarebbe dovuto arrivare dal taglio di alcuni ingaggi pesanti come quelli di Umtiti, Coutinho, Griezmann, Dembélé. Per un motivo o per l’altro, come tutti sappiamo, non si è potuto addivenire a questa scrematura.

Il Barça ha provato a convincere Tebas della necessità di rivedere i parametri di masa salarial fissati a suo tempo, ma invano. Il “buon Javier” è stato irremovibile. Così che, alla riunione di ieri pomeriggio tra Laporta e l’entourage di Messi che avrebbe dovuto portare alla firma sul contratto di rinnovo per altri 5 anni del genio di Rosario, il presidente ha dovuto comunicare ai Messi che non si sarebbe potuto conchiudere il contratto perché La Liga non avrebbe permesso il deposito dello stesso. Al punto in cui siamo, La Liga, vale a dire Tebas, non permette al Barça di tenere Leo Messi in blaugrana perché il suo ingaggio, sebbene ridotto della metà come abbiamo accennato in precedenza, sfora quel tetto fissato dal “ragioniere Tebas” e dai suoi contabili, tutti con tanto di mezze maniche sporche di inchiostro.

Messi vuole il Barça, il club blaugrana vuole Messi, il calcio romantico vuole vedere ancora il 10 vestendo la camiseta azulgrana e chiudere al Camp Nou la sua carriera. L’unico che non vuole tutto questo, e sta operando affinché questo matrimonio non s’abbia da fare, è il crudele Re dei Numeri, il ragioniere de La Liga che, calcolatrice alla mano, matita nell’incavo dell’orecchio e visiera di ordinanza, andrebbe nel panico se non gli tornassero le virgole. Così, davanti a tanta maniacale ottusità al limite dell’autismo, Leo Messi deve lasciare suo malgrado la squadra della sua vita, la sua città, il suo stadio e la maglia che sente addosso come una seconda pelle, con la quale ha pianto, riso, si è emozionato, ha vinto (tanto) e perso (anche se non così di frequente). Leo è legato con un cordone ombelicale a Barcelona, al suo clima, ai suoi colori e ai profumi del mare e dei rami in fiore dei suoi alberi.

Tutto ciò non conta niente per Tebas, o barbaro, o Barberini che si voglia chiamare. Perché mai stupirsi. Tebas non ha né anima, né cuore, né tantomeno sentimenti, ma solo un registratore di cassa al posto del cuore e un foglio Excel in luogo dell’anima.

Una volta sfrattato dalla sua casa, deportato come un palestinese in uno dei campi ebraici con la sola colpa di respirare l’aria che qualcuno vuole respirare in esclusiva; una volta che Messi sarà andato a riscrivere altrove il finale della sua storia e carriera calcistica; una volta che La Liga del Ragionier Tebas (viene quasi meglio chiamarlo Fantozzi o Filini se non fosse per il buon gusto di evitare di denigrare i due suoi colleghi più famosi), avrà perso il suo giocatore più iconico e rappresentativo, il calciatore più forte della storia del calcio, l’unico per il quale il mondo si piazza davanti ai teleschermi per vedere il campionato spagnolo, saremo curiosi di vedere a chi sarà in grado di vendere i diritti tv di una Liga che non conta più nessun giocatore Estrella. Certamente non in Cina, in Giappone o negli Usa, dove vogliono vedere i grandi giocatori calcare le scene, non certo i Braithwaite, i Vinicius, o i Gerard Moreno. Forse, mendicando la mancia, potrà trovare qualche acquirente interessato in Sud Sudan, in Indocina o in Corea del Nord, i quali potranno pagare, forse, con qualche ciotola di riso e due fucili mitragliatori. Avrà così di che nutrirsi, oltre alla possibilità di difendersi dal resto dei presidenti e dei tifosi quando capiranno, ahimè troppo tardi, quanto poco incasseranno, e quanto poco interessante sarà la Primera División senza più le giocate e le magie di Leo Messi.

La cacciata di Messi dal Barça sarà il più grande fallimento e autogol che Tebas possa mai fare. Sulla sua lapide, nel lontano giorno che lascerà questa terra, verrà inciso: “Qui giace lo stolto che cacciò Messi dalla Spagna pensando di fare un affare”. Amen.

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