I peccati della Junta Bartomeu nel disfacimento repentino della squadra

di Giuseppe Ortu Serra

Sembra proprio non avere pace il Barcelona targato Koeman. Non che quello dei suoi predecessori scintillasse come pietre preziose baciate dalla luce del sole. E’ la fine di un ciclo, bisogna dirlo, una fase discendente che coinvolge tutto e tutti e tutto travolge. A scusante di Koeman è da dire che il brusco crollo della squadra è anche dovuto a una Junta che si è definitivamente sgretolata sotto i colpi di maglio con cui essa stessa ha finito per demolire le fondamenta del club e della squadra che avrebbe dovuto gestire, custodire, gelosamente serbare per il futuro. E’ chiaro che anche l’allenatore olandese ha le sue colpe e responsabilità. Esse le analizzeremo in altra sede. Per ora ci preme evidenziare quello che chiameremo Il Problema Numero Uno della crisi del Barça; l’elemento detonante, la miccia, il congegno che ha creato un Big Ben al contrario. A differenza di quello primordiale che ha dato origine al mondo, questo lo ha distrutto, facendolo deflagrare e creando un Buco Nero che ha inghiottito tutto. Esattamente come accade con l’esplosione di una Supernova. Il Barça, da stella di massima grandezza quale era, è stato inghiottito dallo stesso Buco Nero che ha creato la Junta Bartomeu.

Il Barcelona è come quelle grandi casate e dimore degli anni 20, che con il cambiamento dei tempi, della società, dello stile di vita e delle prospettive dovute alla Grande Guerra, fece sì che i proprietari, sempre sul filo del rasoio di una società e una economia che cambiavano, con il personale che preferiva fare gli impiegati o gli operai invece che lavorare in casa come cuoche, camerieri, cameriere personali, valletti e maggiordomi, si sentivano sempre meno proprietari e sempre più custodi di tenute e dimore da custodire e tramandare ai posteri. Il club non è di proprietà del presidente di turno. Lui ne è solo il custode, il gestore. Detiene il club che altri, i proprietari, gli hanno messo nelle sue mani. E in quanto tale, lo deve curare, gestire, coccolare. E farlo fiorire. Questo non è accaduto con la gestione Bartomeu. L’ex detentore blaugrana (da contrapporre al significato di possessore) non si è comportato come tale, ma come un proprietario-possessore, come una persona che poteva disporre a suo piacimento del club. Nulla di più errato. Questo è stato il primo peccato del Barcelona. Il peccato originale.

La Junta ha indebolito la squadra con una politica sbagliata di ingaggi e rinnovi a lunga distanza che hanno vincolato, strozzato il club e che il board non ha poi più saputo gestire, arrivando a regalare, financo a pagare pur di allontanare grandi giocatori divenuti all’improvviso troppo vecchi, cari e dal rendimento non più sufficiente. L’esempio più eclatante è quello di Suárez, regalato a una diretta concorrente in Liga e in Champions. Una mossa sciocca che avrebbe forse potuto porre in essere Pippo o il Ciccio di Nonna Papera, non il presidente di uno dei club più importanti al mondo. Deve far riflettere e insegnare la gestione di Diego Costa operata da parte dell’Atletico, dove Cerezo ha deciso sì per la rescissione del contratto del suo giocatore, ma con una clausola di 25 milioni se si dovesse accasare a Barcelona, Madrid e Sevilla, e di 10 se dovesse vestire la maglia di un club fuori dalla Spagna, rivale dei colchoneros in Champions. Il Barça è giunto alla situazione in cui verte oggi per una politica di rinnovi finanziariamente crescenti con l’aumentare dell’età anagrafica, invece che operare al contrario come qualsiasi manager di livello sobrio avrebbe fatto. Bartomeu & Co, invece, si sono comportati come sprovveduti bottegai di periferia che hanno scambiato i libri contabili e le colonne Dare e Avere per uno spartito musicale di cui nessuno aveva contezza. Questo, unito a un mancato graduale cambio generazionale, ha portato ad avere, oggi, una squadra debole, mal costruita, piena di buchi, colma di ragazzini di prospettive ma sprovveduti a certi livelli; una squadra senza campioni, in mancanza dei quali, è impossibile competere nei grandi palcoscenici internazionali senza fare la figura di si è introdotto con l’inganno a una festa esclusiva. Senza invito, senza modi e abiti adeguati. Questo sta diventando il Barça oggi: un imbucato laddove prima era l’ospite d’onore. Il passaggio da una formazione piena zeppa di celebrati campioni a una costituita per lo più da ragazzini di grandi speranze, è stato troppo repentino; perfino per il Barça.

Senza capo né coda. 1-1 contro l’Eibar in casa

di Giuseppe Ortu Serra

Una nuova, ennesima occasione persa dalla formazione blaugrana in questo campionato. Anche contro l’Eibar, nell’ultima gara dell’anno, sfugge la vittoria così come “la speme fugge i sepolcri”. Un pareggio per uno a uno contro un Eibar anonimo che non ha fatto assolutamente nulla per uscire dal Camp Nou con un punto in tasca e in classifica. Ha fatto tutto il Barça, nel bene (solo nella prima parte) e nel male (tanto e tutto nella ripresa). Le reti della gara sono state realizzate entrambe nella ripresa. Di Kike per l’Eibar che ha sfruttato un incidente alla Gerrard di Araujo, seppur priva di scivolata; di Dembélé per il Barça che ha pareggiato con un bel tiro in diagonale di piatto destro verso l’angolino lontano.

Ronald Koeman ha ripetuto il modulo contro l’Eibar schierando la squadra con la difesa a tre (Mingueza, Araujo, Lenglet) centrocampo a quattro con i due laterali alti (Dest e Junior, più Pjanic e De Jong). In attacco, in assenza di Messi, Koeman ha messo in campo Pedri da trequartista dietro Griezmann e Braithwaite.

Il primo tempo è stato buono da parte del Barça, con buona velocoità e geometrie pur in assenza del numero 10 argentino. Proprio il 9 danese è stato il protagonista dei primi 45′, nel bene e nel male. Iniziando dalle note meno liete, in apertura di gara è stato protagonista di un calcio di rigore fallito. Il penalty, concesso per fallo su Araujo in area di rigore, è stato incomprensibilmente battuto dal numero nove che ha fallito il bersaglio grosso, spedendo addirittura sul fondo. A metà del tempo lo stesso danese ha realizzato la rete del vantaggio blaugrana su cross da sinistra di Pedri che ha trovato al centro dell’area da rigore Braithwaite pronto a allungare in rete per il vantaggio. Il giocatore però, che partiva da una leggerissima posizione avanzata rispetto alla linea del pallone, si è visto annullare la rete del vantaggio. Nulla di fatto dunque dal punto di vista del risultato tra le due formazioni. In generale il Barça avrebbe però ampiamente meritato il vantaggio e di chiudere la prima frazione sopra di una e più reti. La difesa ha dato buone sensazioni e confermato le positive note rilasciate nella precedenza uscita. A tre la manovra difensiva blaugrana è molto più sicura della versione a quattro. I tre centrali danno quelle sicurezze che finora erano quasi sempre mancate. Buona l’attuazione anche di Pjanic che ha dato geometrie al centrocampo.

La ripresa è iniziata con Dembélé in campo al posto di Dest per garantire maggiore presenza offensiva alla squadra. La retroguardia è passata a quattro. In attacco i blaugrana hanno avuto qualche chance in più rispetto alla prima parte di gara, ma difensivamente si sono subito visti gli scompensi del reparto. L’assenza dell’americano, che con la sua velocità garantiva recuperi e presenza difensiva, si è fatta sentire. Tre occasioni in avanti, ma al primo errore difensivo la squadra è stata punita. Mancato intervento di Araujo sul pallone nel tentativo di girarsi e cedere al portiere e Kike lo ha anticipato, rubandogli tempo e palla. Nel contropiede susseguente, nell’uno contro uno con Ter Stegen, è giunta la rete del vantaggio armero. Incredibile ma vero.

Il Barça è andato per qualche minuto in bambola, fino ai cambi di Koeman, che ha inserito Coutinho e Trincao al posto di Pjanic e Griezmann. Il brasiliano è entrato in campo con il piglio giusto, fornendo la giocata a Junior che è valsa la rete del pareggio di Dembélé.

L’uno a uno però non è stato ulteriormente migliorato dalla formazione blaugrana, che ha sì continuato a attaccare, ma ha anche manifestato tutti i limiti di una stagione disgraziata da tutti i punti di vista. Pedri, Trincao, Braithwaite hanno avuto chance di realizzare la rete della vittoria, ma per in alcuni casi per sfortuna, in altri per imprecisione o per limiti tecnici non sono riusciti a sfruttare le occasioni e trasformarle in reti.

Sul finale di gara è arrivato l’ennesimo infortunio della stagione blaugrana. Coutinho, nel corso di una giocata, ha messo male la gamba sul prato e il ginocchio ha fatto un movimento poco ortodosso. Il ragazzo ha così dovuto abbandonare il campo lasciando i suoi in 10 uomini posto che Koeman non aveva più possibilità di ulteriori cambi.

Un pareggio, questo, che fa trascorrere un fine anno amarissimo alla squadra, mai così lontana dalla vetta nell’ultima era blaugrana. Un fine anno amaro, che ha interrotto anche la positiva tradizione della vittoria nell’ultima gara dell’anno che perdurava da ben 12 anni. Un 2020 che si chiude molto male con una squadra a pezzi dal punto di vista degli infortuni, del livello tecnico dei suoi uomini e dal punto di vista tattico, con un allenatore che mette mano in continuazione al modulo e allo schieramento tanto, forse, da rendere impossibile ogni tentativo di stabilità e continuità.

Messi enigmatico a La Sexta: “Restare? Perché no?” Ecco da cosa dipende.

di Giuseppe Ortu Serra

Leo Messi inedito a La Sexta. Nell’intervista di Jordi Évole, l’asso argentino si è messo a nudo, rivelando molti particolari della sua vita; privata e sportiva. Il 10 blaugrana ha parlato di tanti aspetti. Alcuni sono stati magistralmente dribblati con la sua solita maestria, facendo cadere nel nulla le insidiose domande dell’intervistatore. Politica, aspetti intimi del suo animo. Ad altre, invece, l’argentino si è aperto, rivelandosi nel profondo dei suoi pensieri, dei suoi dubbi ed emozioni.

Una tempesta di sentimenti quelli che riguardano il capitolo blaugrana. L’aspetto, certamente più caro a tutto il barcelonismo e al culé. Questa notte, c’è da giurarci, tutta la Spagna era davanti agli schermi. Chi in attesa di notizie tranquillizzanti, altri nella speranza di argomenti che mettessero al tappeto il nemico di una vita. Non per nulla la sua intervista sarebbe dovuta andare in onda nei giorni scorsi in coincidenza con la trasmissione benefica di La Marató di TV3. Il buon cuore dell’argentino ha fatto si che le sue parole non coincidessero con la maratona di solidarietà che ha calamitato i buoni sentimenti popolari con una raccolta fondi di più di 10 milioni. I tifosi blaugrana erano decisamente sulle spine in attesa di parole, da un lato temute, dall’altro sperate. Dolce e amaro. Chi si immaginava di assistere a un episodio finale di una saga in onda ormai da molti mesi è rimasto deluso. Per usare una terminologia calcistica l’incontro si è concluso con un nulla di fatto, un pareggio a reti inviolate che conduce ai supplementari. Con una visione più cinematografica il film si è concluso con un finale aperto che lascia aperte tutte le possibili soluzioni e che necessita di un nuovo capitolo per dipanare le ombre e le nebbie che continuano a restare posizionate sopra il cielo di Barcelona e del Camp Nou.

Messi non ha svelato l’arcano. Va via?, rimane? Non si sa. E non per malanimo, per cattiveria, per volontariamente nuocere alle coronarie degli aficionados blaugrana. No, semplicemente perché nemmeno lui ancora lo sa. Il suo futuro dipende da molte variabili. Certamente l’aspetto istituzionale sarà preponderante e basilare, diremo addirittura pregiudiziale. Leo è stato chiaro sotto questo aspetto: “que ojalá el presidente que venga haga bien las cosas para volver levantar títulos importantes”. “Conquistare trofei e avere un Presidente affidabile che lavori bene per il club. Un uomo di fiducia e di cui ci si possa fidare”. Questo in sostanza il Messi pensiero sul prossimo mandatario blaugrana.

La sensazione maturata nel corso dell’intervista è che molto, se non tutto, dipenderà da chi sarà a sedersi sullo scranno presidenziale. Con il nome giusto Messi (che non è voluto entrare in diatribe riguardanti un nome) rinnoverà e resterà. Con un profilo alla Bartomeu, o uno che già spinge per vendere l’astro argentino o che parla di costi insostenibili del suo ingaggio a prescindere, senza nemmeno prendere in mano le carte contabili, tanto da sembrare già una dichiarazione di intenti, Messi farà le valige suo malgrado. Sì, suo malgrado. Perché come ha rivelato, gli è costato moltissimo mandare il burofax e scendere sul piano di guerra “con il club della mia vita… fue una decisión terrible dificilísima de tomar, fue horrible”.

Una delle cose fondamentali per Messi è continuare a lottare per vincere, non necessariamente vincere. E la batosta contro il Bayern, il fatto di non esser stati in grado di competere con l’avversario, gli ha fatto vedere le cose in maniera differente: “Por perder, puedes perder, he perdido muchísimas veces y hay que aceptarlo. Pero sí que fue un momento duro por como se perdió… Podíamos perder pero no de la manera en que lo hicimos”.

Leo Messi realmente non sa cosa farà da grande, cosa accadrà al termine della stagione. Lo ha detto chiaramente, senza giri di parole: “No tengo nada claro hasta que termine el año, voy a esperar a que termine la temporada. Lo importante es pensar en el equipo, terminar bien el año, pensar en intentar conseguir títulos y no distraerme en otras cosas”. Molto importante questo concetto, il “provare a conquistare trofei”. Da notare l’uso del verbo “provare“.

Dal capitano blaugrana anche parole sibilline che hanno fatto sobbalzare più di una persona. Sopratutto quando ha parlato di “tornare a Barcelona”. “Pienso volver…, me voy a quedar a vivir en Barcelona, y quiero volver a Barcelona el día de mañana porque cuando deje de ser jugador quiero estar en el club, de alguna manera, aportando en lo que sepa en algo, es lo que quiero y lo que siento”. Una frase che ha fatto scattare ben più di un campanello d’allarme. Tanto che lo stesso intervistatore gli ha dovuto chiedere delle spiegazioni in merito. Cosa vuol dire “tornare”? “Siempre dije que tengo la ilusión de que me gustaría disfrutar de la experiencia de vivir en Estados Unidos, de vivir esa Liga y esa vida, pero luego si pasa o no, no lo sé, no es un ahora o en el futuro, y por eso digo lo de volver”.

Enigmi, ancora enigmi che non faranno fare sonni tranquilli ai tifosi, ai precandidati, sopratutto ad alcuni di essi, coloro che fermamente vogliono che Leo resti blaugrana per sempre. E ancora: “el Barcelona es mucho más grande que cualquier jugador, incluso a mí obviamente”. Dichiarazioni, quelle di Leo, che fanno rabbrividire se lette sotto un certo aspetto, ma forse lanciate, invece, per far arrivare un messaggio a chi di dovere.

E’ quasi un addio? O é forse un avviso ai naviganti? C’è il pericolo che Messi possa accettare la corte del City che gli ha proposto dopo alcune stagioni a Manchester un periodo nella loro squadra di New York? E’ un riferimento alla formazione dell’amico Beckham, l’Inter Miami CF? Tutti quesiti che resteranno tali fino alla fine della stagione. Anche sul punto il Diez è stato chiaro: “Attenderò fino al termine della stagione” nonostante sia libero di trattare con qualsiasi club già a partire da gennaio. Aspettare per vedere chi sarà il nuovo presidente, saggiare le sue intenzioni, tastare le qualità dei tanti ragazzi in squadra con il finale di stagione.

Leo è consapevole che sarà un percorso ad ostacoli quello che attende il club, anche per motivi economici. Ne è ben conscio, così come sa che non si potranno affrontare grandi spese per rafforzare la squadra. “Va a ser difícil también traer jugadores porque no hay dinero. Hay varios jugadores importantes para volver a pelear por todo y a esos jugadores hay que pagarles la ficha. Va a ser una situación difícil para el presidente nuevo. Tendrá que ser muy inteligente, ordenar todo y hacer muchos cambios para que le vaya bien”. Leo sa bene delle difficoltà economiche della squadra. Nonostante tutto è disposto a restare. Non è perciò un problema di soldi, né di giocatori. Leo ne fa un discorso di ambiente, di organizzazione, “que, ojalá, el presidente que venga haga bien las cosas para volver levantar títulos importantes”.

Nel corso dell’intervista ha detto una cosa molto importante che può servire ulteriormente per capire le sue necessità. Ad un certo punto, parlando dello spogliatoio, ha detto che “ci sono pochi giocatori della casa” che conoscono l’ambiente. Ecco un aspetto che la Junta di Bartomeu ha perso di vista. La strada maestra che parte dalla cantera e arriva in prima squadra, ma che a sua volta porta alla cantera. Una strada non più percorsa negli ultimi anni. Leo ha indicato la via. Spetta a chi ha capacità di leggere fra le righe tradurre questi stimoli in fatti e fare in modo che Leo rimanga al Barça per sempre. Compreso l’amore dei suoi tifosi. Leo lo ha detto chiaramente: “se la afición corease mi nombre seguramente sabría realmente la opinión del hincha del Barça, lo que piensa, lo demostraría en el campo, lo que ellos ven o sienten”. Amore, amore, ancora amore. Chiaramente eternamente blaugrana.

Adesso la palla passa nel campo del nuovo presidente. Il futuro di Messi e del Barça è nelle mani dei soci blaugrana che potranno votare alle elezioni del 24 gennaio. Solo quelli catalani e spagnoli, giacché per tutti gli altri sparsi per il mondo non ci sono possibilità stante i vigenti divieti imposti dalla pandemia e da un sistema di votazione stabilito dallo Statuto del Club più arcaico anche dell’età giurassica.

Messi-644 nella leggenda nella notte più convincente del Barça

di Giuseppe Ortu Serra

Messi oltre oltre limite, oltre i numeri già da record di Pelé. Messi nella leggenda, nell’Olimpo della storia del calcio. Anche l’ultimo baluardo che impediva al 10 argentino di issarsi in cima al Monte Olimpo come un moderno dio che detronizza il titano Pelé è caduto, si è disgregato, sgretolato sotto i colpi di maglio del blaugrana, che con una prestazione eccellente, ha siglato la rete che lo porta agli onori della storia come l’Immortale di questo sport. Con 644 reti realizzate con la maglia di un unico club, Leo Messi è adesso l’unico, indiscusso re, dio del calcio. O’Rey Pelé, fermatosi a quota 643 con la maglia del Santos, è stato superato. E c’è chi ancora crede che Maradona fosse il più grande. Nella serata in cui Messi diventa un elemento della mitologia del calcio, assurgendo a unico dio degli dei, a Zeus con calzoncini e scarpette, il Barça ha giocato la sua migliore partita della stagione, ha vinto e convinto, conquistando l’uditorio con un cambio di modulo che potrebbe costituire la chiave di volta della sua stagione.

Ronald Koeman ha presentato ai nastri di partenza della gara contro il Valladolid un nuovo Barça con un differente schieramento e modulo tattico. Lo aveva già provato negli ultimi 10 minuti della sfida contro il Valencia e lo ha riproposto oggi contro i pucelani. Stiamo parlando della difesa a tre. Un tre-quattro-uno-due che ha destato buone impressioni nei primi 45 minuti della sfida al Nuevo Zorrilla e per gran parte della ripresa, fino ai cambi decisi dal tecnico. Mingueza, Araujo e Lenglet a difendere un centrocampo con Dest, De Jong, Pjanic e Jordi. Pedri a fungere da trequartista tra le linee e Messi e Braithwaite davanti. Lo schieramento è apparso sin dall’inizio elastico e fluido, con facilità nelle ripartenze veloci e nella profondità. Non si era mai visto un Barça così leggero nelle giocate, con ampi spazi davanti che i blaugrana, ieri con la divisa rosa, calzoncini neri e calzettoni verdi dai risvolti del medesimo color rosa, hanno sfruttato a piacimento. Ogni giocata di Messi & Co. sembrava quasi un contropiede. Tanta velocità, tanta mobilità. Il risultato è stato una bella gara da parte di un Barcelona mai visto con tanti spazi a disposizione.

Di questo nuovo modulo sembra aver beneficiato tutti i blaugrana. Tra essi sopratutto Dest, che ha messo in campo una prestazione eccellente, certamente la migliore da quando è in blaugrana. Avazato sulla linea dei centrocampisti, con Mingueza a proteggergli le spalle, l’americano ha sciorinato tutto il suo repertorio fatto di velocità, tecnica, dribbling e precisione e pericolosità nei cross.

Sopra le righe anche Messi. Nuovo look, nuovo taglio di capelli e via la barba. Una prestazione molto positiva con una freschezza atletica finora mai vista in stagione. Sua la rete dello 0-3 nel secondo tempo con la quale ha superato Pelé nella classifica dei cannonieri di tutti i tempi con un solo club: 644 reti. Una leggenda.

Anche Pedri ha disputato una partita eccellente, evolvendo sempre più, gara dopo gara, il suo talento e la sua classe. In occasione della rete di Leo Messi, Pedri ha fornito un assist di suola al compagno lanciato che lo ha proiettato direttamente in area di rigore davanti al portiere avversario, Jordi Masip, ex blaugrana. Con l’argentino ha duettato per tutta la partita, trovando una intesa che ieri si è vista ancora di più, trascendendo i livelli di gioco che si erano visti nelle altre circostanze. Contro il Valladolid, grazie anche alla partita eccellente di tutti gli interpreti, probabilmente beneficiati anche dal nuovo modulo (per questo bisognerà accertarsene nei prossimi incontri per verificare se ci sarà continuità nelle prestazioni), il ragazzo e il campione hanno parlato la stessa lingua. Non solo, si sono chiaramente divertiti a giocare insieme. Leo era particolarmente sereno e felice in campo. Lo si è notato nelle espressioni facciali, nelle giocate, nel modo di rincorrere gli avversari, nei ringraziamenti profusi a piene mani verso i compagni per elogiare tutte le giocate, anche quelle che non sono andate a buon fine.

Molto buona la prestazione dei tre centrali, finalmente sicuri in ogni circostanza, e con loro anche l’intero reparto. Braithwaite si è confermato uomo dai mille polmoni utile per le sue capacità di lotta, di corsa e nel cercare costantemente la profondità e l’area di rigore. Suo il raddoppio giunto alla mezzora del primo tempo al termine di una splendida azione corale della squadra. Un giocatore che ieri si è visto pienamente calato nel ruolo di “blaugrana a tutti gli effetti”. Anche il danese ha mostrato enormi passi avanti nella consapevolezza e nella leggerezza mentale mostrata da tutta la squadra. Il danese, da mascotte del gruppo, una sorta di Ciccio di Nonna Papera della prima parte di stagione, è ora elemento addirittura imprescindibile. Questa atmosfera è chiaramente percepita dal ragazzo stesso, tanto da cercare, e sfiorare, addirittura la rete su un colpo di tacco che ha ricordato quella siglata in una famosa finale di Coppa dei Campioni (Porto-Bayern 1987) da Madjer, il tacco di Allah.

La rete che ha aperto la gara nel marcatore è stata di Lenglet, di testa, sugli sviluppi di un cross di Messi dalla sinistra. Per l’argentino si tratta del primo assist in campionato.

Modulo ok, prestazione ok, risultato ok. Tutto bene dunque? No, non proprio tutto. Ci sono anche note dolenti in questa partita. A metà, fine della ripresa, al minuto 71′, Koeman ha operato alcuni cambi, di fatto smontando squadra, gioco e prestazione. Hanno lasciato il campo De Jong (colpevolmente non menzionato tra i migliori in campo, certamente al pari di Messi e Pedri), Araujo e Jordi. Gli ingressi di Busquets per l’olandese, di Umtiti per l’uruguagio e di Junior per Jordi hanno smontato e distrutto la squadra. Senza Frenkie in campo la squadra ha perso la sua anima. Improvvisamente ha smesso di attaccare e di correre e si è appiattita in difesa, lasciando l’iniziativa agli avversari, riprendendo a rischiare come in tutte le precedenti uscite. Busquets ha mostrato quanto sia triste il presente di un ex campione che percorre la scalinata del successo in discesa sulla falsariga dell’ultima scena del film Viale del Tramonto, con Busquets nei panni che furono di Norma Desmond, come meravigliosamente interpretata da Gloria Swanson. Con Busi in mezzo al campo, la formazione blaugrana ha perso piglio, brio, tempi di gioco. Il numero 5 ha rallentato l’azione non permettendo più ai suoi di ripartire; ha sbagliato molti palloni, consentendo ai pucelani di riconquistare la sfera e di impossessarsi nella metà campo del Barça.

Umtiti, dal canto suo, ha sbagliato quasi tutti i palloni che ha giocato. Ben 7 su 10. Anticipi sbagliati, uscite con o senza pallone, errate e fuori tempo, che hanno creato buchi nella retroguardia barcelonista fino ad allora impeccabile. Il francese ha anche rischiato di causare un calcio di rigore per aver perso palla in piena area di rigore da un tranquillo e placido disimpegno da parte di un compagno. Insomma, un disastro.

Junior non si è macchiato di gravi errori come i suoi compagni, ma certo che non ha spinto come aveva fatto Jordi finché era rimasto in campo. Sarà lui, nella prossima sfida del Barça in campionato contro l’Eibar del 29 alle ore 19:15, a sostituire Jordi, che ammonito, salterà la prossima partita. A completare il quadretto poco edificante è giunta anche la sostituzione di Pedri a 10′ dalla fine. Al suo posto Coutinho. Tra i due giocatori il paragone è stato impietoso. Il brasiliano sembrava il ragazzino delle giovanili che sostituisce il crack della squadra. Il 14 è sembrato entrare in campo impaurito, con poca convinzione o cattiveria. Ha sbagliato subito un dribbling, poi ha giochicchiato in maniera molle senza costrutto. Da parte sua solo un palo esterno da segnalare nella colonna degli attivi, contro una notevole presenza di note rosse nella sezione passivi. L’ingresso in campo dei Quattro dell’Ave Maria (nel senso che bisogna rivolgerci alla Beata Vergine quando i quattro fanno il loro ingresso in campo), ha dunque cambiato in negativo la squadra, sconquassandola da cima a fondo e mettendo in evidenza una volta di più, se mai le precedenti esperienze non fossero servite per fare aprire gli occhi anche al più derelitto dei non vedenti, che quei quattro non devono mai più mettere piede in campo per il bene della squadra.

L’esperimento di Koeman è riuscito perfettamente fintantoché sono rimasti in campo i giocatori giusti. Adesso attendiamo nuove prove per testare questo modulo che, sebbene rivoluzionario per il Barça dell’ultima decade, ha profonde radici nel cruyffismo, posto che lo stesso olandese, deus ex machina del Barça moderno, ha giocato più volte con la difesa a tre. Se Rambo avrà trovato la soluzione ai mali della sua squadra è ancora presto per dirlo. Le prossime gare ci diranno se il percorso è quello giusto verso la resurrezione della squadra. Nella speranza che, come ha invece già fatto in altre circostanze, Koeman non decida di abiurare se stesso per rimescolare una volta di più le convinzioni acquisite. Speriamo che anche quel capitolo, con l’allenatore in versione croupier, sia solo un brutto ricordo del recente passato.

FC Barcelona – Koeman con il passo del gambero mentre l’Atletico scappa via

di Giuseppe Ortu Serra

Il Barcelona fa il passo del gambero, pareggia in casa contro il Valencia buttando via due punti e un primo tempo per delle scelte di formazione non corrette e un atteggiamento totalmente sbagliato degli undici in campo. Mentre nel primo pomeriggio l’Atletico ha liquidato l’Elche con due reti di Suarez, il Barça si è fermato a salutare la nave colchonera che ha preso il largo.

Un brutto Barcelona con una difesa da tregenda contro un Valencia tranquillo e ordinato che ha punito in contropiede, è passato in vantaggio su azione da calcio d’angolo, e ha sfiorato il raddoppio prima del pareggio di Messi su azione dopo aver fallito un calcio di rigore. Questo in sintesi il primo tempo del Camp Nou del pomeriggio. Il Barça, che veniva dalla bella e convincente vittoria contro la Real Sociedad di pochi giorni fa ha fatto non uno, ma mille passi indietro. Lento, impacciato, senza pressione sugli avversari, il Barcelona ha vivacchiato stancamente senza un briciolo di brio e inventiva.

Una squadra piatta, noiosa, con giocatori piatti e noiosi. Koeman ha concesso riposo a De Jong, il giocatore più importante dell’ultima partita e mezza, e ha rilanciato Coutinho. L’assenza dell’olandese è stata plateale. Sono mancate le sue azioni e accelerazioni; le sgroppate a tagliare in due le mediane avversarie e a creare il sovrannumero in attacco. Senza di lui la squadra è stata esanime. Il brasiliano, invece, è stato del tutto inutile alla manovra. Qualche tocchetto ravvicinato al compagno vicino, mai una iniziativa, una lettura brillante dell’azione. Solo un tiro da fuori area, peraltro terminato altissimo sulla traversa. Per il resto solo noia. Non che i suoi compagni di squadra abbiano fatto molto meglio, beninteso. Busquets ha giocato al rallentatore, perdendo una infinità di pallone in zone pericolose del campo e cercando di inseguire gli avversari che vicino a lui sembrano delle Mercedes in confronto a delle Ferrari senza motore e aerodinamica. Un giocatore decisamente dannoso per questa squadra. Il Valencia ha controllato la lenta manovra dei blaugrana e è passato sugli sviluppi di un corner. Rete facile facile per Diakhaby che con un blocco ha messo nel sacco tutta la retroguardia blaugrana e ha insaccato di testa solo soletto davanti al povero Ter Stegen. Difesa inesistente, squadra inesistente. Sul finire del tempo è giunta la rete del pari di Messi. Fallo da ultimo uomo di Gayá su Griezmann. Calcio di rigore e fallo da ultimo uomo. Ma qui inizia la pantomima del Var. Revisione a bordo campo arbitrale: il rosso diventa giallo, il penalty è confermato. Se è calcio di rigore è anche espulsione, se non è fallo da ultimo uomo non è nemmeno fallo e massima punizione. Una decisione inesplicabile, come troppe del mondo arbitrale spagnolo. Dagli undici metri Messi si fa respingere lateralmente la conclusione dal portiere, anche se sul proseguimento dell’azione riesce a insaccare di testa la rete dell’uno a uno. Con questo goal la Pulga entra nella storia. 643 reti messe a segno con un’unica maglia di club. Come Pelé. O’Rey con il Santos, Messi con il Barça. Due leggende viventi. I due unici mostri sacri della storia del calcio. La rete ha permesso di riprendere la gara per i capelli nel corso di un recupero di 5 minuti per le continue perdite di tempo dei giocatori ché. Un primo tempo che si è chiuso con una sensazione di pochezza della formazione di casa. Sterile e fragilissima in difesa, scontata e lenta in attacco. Mancanza di inventiva e di schemi offensivi hanno caratterizzato ogni tentativo della manovra d’attacco blaugrana. Il solito, stanco, trito e ritrito schema Jordi-Messi non è più sufficiente per sorprendere le difese avversarie. Lo conoscono tutti talmente a memoria che ormai non produce più effetti. Stupisce che in casa blaugrana pensino il contrario e che quel vecchio schema sia l’unica mossa dell’attacco. Una giocata vecchia di anni. Koeman, da quando è arrivato, non ha innovato nulla; non ha apportato niente che non sia affidarsi alla connessione Jordi-Messi. Un po’ poco per il tecnico olandese.

Nella ripresa Ronald ha lasciato in banchina Busquets per mettere in campo De Jong. Un giocatore importante al posto di un morto. Manovra azzeccata, anche se non ci voleva molto a operare la scelta ad inizio gara. Ma tant’è. Meglio tardi che mai dice un vecchi adagio. Solo che così si sono buttati al vento 45′. La seconda parte di gara, con il 21 in campo è tutta un’altra musica. L’olandese sveltisce la manovra, e collaziona le due fasi del gioco. Tutti ne hanno beneficio, anche coloro che erano stati più in ombra nella prima frazione. Una cosa non può migliorare l’olandese volante: la difesa. Basata sui ragazzini Mingueza-Araujo, la retroguardia è totalmente ballerina e inaffidabile. Ogni ripartenza o azione offensiva del Valencia è un attentato al risultato e alla porta del povero Ter Stegen. I miglioramenti della squadra blaugrana trovano subito il giusto premio con la rete del vantaggio di Araujo, che al 52′ si è esibito in una spettacolare mezza rovesciata volante per insaccare una palla che era rimbalzata in area di rigore tra De Jong e Pedri senza che nessuno dei due riuscisse a intervenire. Il vantaggio è durato fintantoché una clamorosa topica difensiva di Mingueza non ha regalato la rete del pari agli ospiti. Sulla rete di Maxi Gomez al 69′ Mingueza si trova avanti dell’avversario di ben 5 metri quando parte un cross in piena area di rigore dalla sinistra. Gomez, alle spalle del difensore blaugrana, spensierato come se stesse passeggiando in un campo di margherite, è andato incontro al pallone, è passato accanto a Mingueza ignaro di quanto stava accadendo alle sue spalle, gli è passato davanti e lo ha anticipato con un tocco con l’esterno del piede destro. Palla in fondo al sacco e rete del 2-2. Un patatrac. La classica frittata. Subito dopo è iniziata la girandola dei cambi di Koeman che ha deciso di lanciarsi in un azzardato tentativo con la difesa a tre. Dentro Lenglet e fuori Coutinho. Il difensore si è così unito a Mingueza e Araujo, permettendo a Dest da una parte e Jordi dall’altra di avanzare le loro posizioni e aggiungersi alla manovra offensiva. Oltre a Lenglet sono entrati anche Pjanic per Pedri e Trincao per Griezmann. Il risultato non è cambiato.

FC Barcelona – Champagne e sofferenza. Il Barça c’è!

di Giuseppe Ortu Serra

Vittoria per 2-1 contro la Real Sociedad e finalmente un ottimo Barça, sia nella versione spumeggiante del primo tempo che in quella tutta cuore e sofferenza della ripresa. Buona velocità di manovra, buona intensità e pressione alta. I blaugrana hanno iniziato la partita consci dell’importanza della stessa e consapevoli che un passo falso sarebbe stato fatale verso una diretta concorrente. Per essere tagliati fuori dalla corsa per la vittoria finale, il Barça doveva affrontare la partita con il piglio delle migliori occasioni, visto raramente in questo scorcio di inizio stagione. Così è stato. La squadra di Koeman ha premuto il piede sull’acceleratore sin dal primo minuto mettendo in grande difficoltà l’avversario. In questo modo ha costruito notevoli palle goal condite da un gioco finalmente sopraffino e delizioso, con eleganti e veloci giocate di prima e aperture larghe sulle due fasce. Ronald ha riproposto il solito modulo con De Jong insieme a Busquets, ma per la seconda volta l’olandese ha avuto molta libertà di movimento con ampia facoltà di attaccare gli spazi e l’area avversaria. Un primo saggio di questo nuovo ruolo cucitogli addosso dall’allenatore blaugrana lo avevamo visto nel secondo tempo dell’ultima gara di Liga giocata. Oggi è stato riproposto dall’inizio in questa versione e la scelta ha pagato. Un De Jong stratosferico sia in fase di recupero palla che di offesa. Non per niente la rete del sorpasso è arrivata proprio da una sua conclusione da centro area. Nonostante il grande inizio del Barcelona, è stata la Real a passare. Prima azione offensiva, primo calcio d’angolo per i baschi e subito in vantaggio. Errore del reparto difensivo nella circostanza e, incredibilmente, gli ospiti sono passati. Il Barça non si è demoralizzato e ha continuato a premere. La grinta, la voglia e la fiducia dei blaugrana è stata premiata, prima con la rete del pareggio firmata da Jordi, e poi con il sorpasso siglato, commetto, da De Jong. Nella ripresa la Real ha iniziato con maggior coraggio e forza d’impatto; il Barça ha resistito e risposto. Ancora grandi occasioni per triplicare da parte blaugrana sopratutto con Griezmann, ma il francese ha sbagliato l’impossibile. La Real, dal canto suo, ha sfiorato la rete del pareggio in quattro circostanze dimostrando la gran bella squadra che è, meritando la testa della classifica occupata fino a questa partita. Ter Stegen in due occasioni e Pedri (recupero con salvataggio su Isak lanciato a rete) hanno salvato il risultato. La formazione di San Sebastian ha pian piano preso il sopravvento, chiudendo la gara all’attacco alla ricerca della rete del pari. Il Barcelona ha sofferto, picchiato, giocato anche sporco, ma ha resistito, mostrando un aspetto del carattere finora non mostrato, né in campionato né in Champions. Per i colori blaugrana una grande partita, un grande risultato e una grande prestazione. Nel primo tempo per il gioco scintillante e glamour; nella ripresa per l’abnegazione, la capacità di soffrire e di rimboccarsi le maniche, lasciando lo stile da parte per andare al sodo con il gioco sporco e sparagnino necessario per l’ottenimento dei traguardi. I titoli si conquistano con il carattere, con la sofferenza, anche con il fiatone, non solo con il bel gioco.

Sorteggi Champions – Nel lago di Nyon, il Barça pesca il PSG

di Giuseppe Ortu Serra

Nell’urna di Nyon il Barça ha pescato i parigini del Paris Saint Germain. L’avversario degli ottavi di finale sarà la formazione di Neymar. Un sorteggio certamente non facile per una formazione in crisi di gioco, idee e identità come la catalana. La formazione di Al Khelaifi ha un historial tribolato con i colori del Barcelona. Il pernsiero corre immediatamente di diritto alla famosa remuntada del 2016-17, quel 6-1 al Camp Nou dopo lo 0-4 dell’andata. Da allora le due formazioni non si sono più incontrate. Dunque per i francesi sarà una sorta di match di vendetta e sarà, questo, l’elemento più pericoloso di questa partita per i colori barcelonisti: la voglia di rivalsa del Psg. 
Ad oggi il pronostico sembra segnato a favore dei blues parigini. Troppi i problemi e le instabilità della squadra e del club. Instabilità istituzionale, tecnico-tattica della squadra, incomprensioni a tutti i livelli. Ma a febbraio-marzo, periodo della disputa delle eliminatorie, tutto può accadere, in un senso o in un altro. Stati di forma dei singoli giocatori, della squadra in generale, infortuni. Tutto deve essere tenuto in considerazione in una competizione che si disputerà così lontano nel tempo. Le gare di andata degli ottavi si giocheranno in due tranche: 16 e 17 febbraio e 23 e 24 febbraio; il ritorno è invece fissato per il 9-10 marzo e il 16 e 17 marzo. In quel periodo si saranno già celebrate le elezioni presidenziali (in programma per il 24 gennaio) e anche l’ambiente si sarà certamente acquietato. Il tempo è il grande guaritore, si dice. Cura tutti i mali, fisici e dell’anima. In questo senso è l’unico alleato della formazione di Ronald Koeman. Solo se il nuovo presidente rasserenerà gli animi, darà certezze a Messi, garantendosi la sua continuità, e il progetto tecnico dell’allenatore olandese troverà un suo equilibrio, dando certezze tattiche alla squadra, al momento in piena confusione, si potrà affrontare la sfida con il Paris con uno sguardo positivo. Sono tante le variabili in casa Barcelona che dovranno sistemarsi, compresa la situazione cronica degli infortunati. Al momento gran parte del bagaglio tecnico della formazione blaugrana è in infermeria: Piqué (irrecuperabile), Dembélé, Ansu, Sergi Roberto. Bisognerà vedere quali di questi giocatori saranno recuperati. Certamente Dembélé e Roberto. Il discorso di Ansu è differente. Potrebbe essere recuperabile giusto appunto per l’appuntamento, se non per l’andata, almeno per la sfida di ritorno. 
Situazione infortuni che riguarda, da ieri, anche i parigini. Neymar, infatti, si è infortunato alla caviglia nella partita di ieri contro il Lione. Il Psg ha perso sia la gara in casa (0-1), sia il suo numero 10, che ha subito una durissima entrata da parte del brasiliano Thiago Mendes, espulso grazie all’intervento del Var. E’ stata esclusa la frattura della caviglia, ma non un interessamento dei legamenti dell’articolazione, sulla falsariga di ciò che è accaduto, in questo caso al ginocchio, a Piqué.Il periodo minimo di stop è indicato in circa un mese, più la ripresa della forma fisica. E’ chiaro che la situazione cambia completamente se ci sarà l’interessamento dei legamenti. In quel caso il tempo di stop si allungherà notevolmente. In campionato la squadra non è leader della classifica, ma occupa la terza posizione anche se dietro di un solo punto rispetto alla coppia Lille e Lione.
In merito ai precedenti, le due compagini si sono incontrate in 5 occasioni con gare di andata e ritorno per un totale di 10 partite. La prima volta nella stagione 94-95; l’ultima la già menzionata doppia sfida della remuntada nel 16-17. In una occasione le gare si sono giocate nei gironi, nelle altre quattro in occasione di eliminatorie. Su queste quattro, tre volte è passato il Barça (12-13; 14-15; 16-17), una il Psg (94-95).   

Messi da vita al Barça in Liga. 1-0 contro il Levante

di Giuseppe Ortu Serra

Il Barça risorge e risolve una tra le paertite più importanti della stagione grazia a una rete del suo giocatore simbolo, Leo Messi. Un uno a zero fondamentale per poter continuare a sperare nel sogno di riaprire una Liga m,ai complicata come quest’anno. 
La partita era iniziata con un primo tempo giocato in maniera confusa da un Barça irretito dalla sconfitta in Champions e dagli umori oscuri dello spogliatoio e delle mille voci che fuoriescono dal vestuario e ne minano la “serenità”. I risultati che non arrivano in Liga non stanno certo aiutando un Koeman che appare indeciso sullo schieramento da mandare in campo. Una volta con Braithwaite da nove di profondità, la volta successiva senza punto di riferimento offensivo. Contro il Levante si è tornati allo schema Braithwaite. Iniziato con il 4-2-3-1, nel corso della gara, viste le difficoltà nel fare breccia nello schieramento del Levante, oggi con la maglia a strisce bianconera per evocare funesti fantasmi nelle menti dei blaugrana, ma sopratutto davanti alle carenze difensive e con una formazione perennemente bucata a centrocampo ogni volta che i valenciani ripartivano, l’allenatore olandese ha deciso di modificare il modulo. Nuovamente nelle vesti di croupier, ruolo che ama svolgere da quando siede sulla panchina del Camp Nou, Koeman ha avanzato De Jong in avanti dandogli la duplice consegna di fare il centrocampista e di attaccante aggiunto. Nello stesso tempo ha rimosso Braithwaite dal centro dell’area e lo ha spostato sull’out di sinistra. In questo modo ha approntato una sorta di 4-3-3 che si è chiaramente visto in alcune fasi dell’incontro dalla disposizione dei giocatori in campo. Davanti quindi il danese a sinistra, Griezmann al centro e Messi a destra; a centrocampo Coutinho, Busquets e De Jong. Dietro sempre Dest a destra, Araujo, Lenglet e Jordi. Con il cambio della disposizione tattica la squadra è migliorata decisamente, arrivando anche a rischiare meno in difesa. Davanti molta buona volontà, qualche occasione da rete condita sempre con una sorta di maledizione nelle conclusioni. Alla squadra manca sopratutto brio, fantasia, tecnica e imprevedibilità. Non solo, il Barcelona ha anche necessità di tranquillità e certezze che in questo momento sono decisamente lontane dal Camp Nou. 
La ripresa è stata decisamente migliore. I giocatori hanno aumentato la rapidità nelle giocate, velocizzando la manovra e mettendo in difficoltà il Levante. La formazione granota non ha così più avuto la possibilità di ripartire come nella prima parte di gara. La palla è stata recuperata con maggiore frequenza dai blaugrana che hanno creato molto di più inj termini di occasioni da rete. Tra queste due chiari calci di rigore non assegnati dall’arbitro e dal Var. Uno su una trattenuta per la maglia ai danni di Messi, l’altra per un evidente fallo di mano di un difensore che ha anticipato Braithwaite in calcio d’angolo proprio con un tocco del braccio. Per arbitro e Var tutto regolare. I blaugrana hanno insistito in maniera corale e encomiabile. Koeman ha dato ingresso a Pedri al posto di Busquets e Trincao per Coutinho. La pressione del Barça è aumentata con i cambi. Sopratutto Pedri è stato importante per velocizzare le azioni e creare sopranumero. Dai e dai, batti e ribatti (alla fine il Barça avrà collezionato 24 tiri contro i soli sei del Levante), è giunta la meritata rete. A metterla a segno, come fosse un segno del destino, è stato Leo Messi al termine di una bella azione in velocità con De Jong che ha recuperato palla nella trequarti e ha servito il 10 che ha puntato l’area, si è allargato e h lasciato partire un tiro dei suo ad incrociare. La sfera ha colpito il palo lontano e si è insaccata. Una liberazione. Il Levante ha provato a rinvertire la situazione cercando di creare pericoli sopratutto su calcio d’angolo negli ultimi minuti del lungo recupero. Il risultato non è cambiato, assegnando così la vittoria ai blaugrana al termine di una partita scorbutica e molto travagliata.  

Editoriale – Casinò Barça, croupier Koeman

di Giuseppe Ortu Serra

In questa fase della stagione, il Barça appare come una grande sala da gioco. Non una squallida, immensa, paesana sala da bingo; no. Qualcosa di decisamente più professionale e raffinato. Un casinò. Non per niente a Barcelona il casinò esiste realmente. Guarda il mare e ha una atmosfera sbarazzina e colorata, come la città che lo ospita. Non sarà iconico, esclusivo, fashion e glamour come Montecarlo, certo. Nemmeno come quello a tinte fosche, intriganti e sinistramente pericolose così ben descritto in Casinò Royale, frequntato da spie, bari e criminali. Non sarà esotico come il casinò di Macau di Skyfall e nemmeno leggendario come quello rappresentato in Dr No che fece nascere la leggenda, il mito di 007 quando Sean Connery pronunciò per la prima volta in assoluto le famose parole “Il mio nome è Bond; James Bond”.
Il casinò di cui parliamo non possiede tavoli ricoperti da uno spesso e vellutato al tatto panno verde, ma solo uno, enorme. Al posto del panno verde c’è l’erba, altrettanto verde, morbida e anch’essa quasi vellutata al tatto. Le carte sono rappresentate dai giocatori, mentre il ruolo del croupier è svolto da lui, Ronald “Rambo” Koeman. Il nostro è un assiduo smazzatore e mescola le carte in continuazione tanto da non capirci più niente nemmeno lui. Ogni mano è, come nella migliore tradizione del gioco, diversa dalle altre. Se così non fosse si potrebbe pensare che a quel tavolo si giochi in modo irregolare. Nel gioco delle carte va bene, in quello del calcio meno. Qui ci vuole stabilità. Il calcio, come i mercati finanziari, aborrono le sorprese e l’incertezza. Progrediscono nell’ovvio, nello scontato, nel conosciuto. Come anche i giocatori. Avere al proprio fianco un compagno che conosci e che ti conosce porta sempre a migliori risultati che avere uno di cui non sai cosa aspettarti. Con ogni mano diversa dalle altre, non ci si abitua a una strategia che subito devi cambiare modo di pensare e approciarti agli avversari. 
L’allenatore olandese, da bravo croupier quale è, sta comportandosi alla stessa maniera con il suo Barça. Sembra di vederlo dietro il tavolo da gioco a mischiare e distribuire le carte, a toccare le fiches e a pagare i vincitori. Ogni mano diversa dalle oltre. Allo stesso modo, ogni partita ha una formazione diversa. Non nel modulo, sempre immobile e perenne come una sequoia del Sequoia National Park. Piuttosto nei nomi dei giocatori. Ogni due, tre partite portate avanti con un certo undici titolare, il buon Ronald mischia le carte, cambia i giocatori, e prepara una formazione profondamente diversa. La cosa che più sorprende è che quando la squadra trova una sorta di quadratura del cerchio, continuità e risultati, il tecnico cambia nomi e schieramento, stravolgendo quel precario equilibrio conquistato a fatica e riniziando tutto daccapo. Come un buon croupier, appunto, mescola le carte tanto per rendere la sfida più difficile ai propri giocatori. Giocatori diversi, schema tattico diverso. Inutile che il modulo rimanga il 4-2-3-1. Questi sono solo numeri. Sono i giocatori che mandi in campo a fare il modulo. Avere Braithwaite davanti, o avere Messi o Griezmann cambia completamente lo schieramento tattico, sebbene il modulo sia numericamente lo stesso. Braithwaite fornisce profonditàda nove, Messi torna indietro per lasciare lo spazio per gli inserimenti, Griezmann è ancora diverso. I giocatori non sono soldatini che puoi sostituire senza modificare tutto l’impianto di squadra. Ogni volta che Koeman trova equilibrio e continuità con uno schieramento e poi cambia i giocatori in campo, la squadra perde i punti di riferimento che stava faticosamente iniziando ad acquisire, oltre a mutare completamente la concezione dei movimenti che ognuno deve fare per interfacciarsi agli altri. Con Braithwaite, che fa certi movimenti, si richiedono certe giocate da parte dei compagni, con Messi falso nueve cambiano i compiti di chi gli gira intorno, con Griezmann sono ancora diversi. E’ strano che un allenatore dell’esperienza di Koeman ancora non lo abbia capito. 
In questo inizio di stagione è accaduto due volte che la squadra avesse acquisito certi automatismi e che Koeman abbia deciso di resettare tutto e ripartire da zero, alla ricerca di una nuova identità. Nelle prime tre gare della temporada, contro Villareal, Celta e Sevilla, l’undici è stato il medesimo, con davanti Griezmann, Coutinho, Ansu e Messi. La squadra stava funzionando e fornendo prestazioni, gioco e risultati. 4-0 al submarino amarillo, 0-3 al nemico Anoeta e 1-1casalingo con il Sevilla. Con il primo pareggio Koeman ha cambiato uomini proprio quando era il momento di insistere e mettere la squadra alla riprova nella gara successiva. A Getafe sono scesi in campo Messi, Pedri, Dembélé e Griezmann. La squadra ha perso, male, per 1-0. Il cambio non ha giovato. Dopo Getafe quattro partite, quattro formazioni diverse. Due sconfitte, un pari e una vittoria. 
Nuovo cambio in Champions contro la Dinamo Kiev. Entra in squadra Braithwaite a dare profondità all’attacco. Con lui il Plan BTrincao, Coutinho, PedriBraithwaite segna una doppietta; tutti i ragazzi giocano bene, quasi a memoria. Lo schema con il danese davanti funziona e viene riproposto per la seconda volta consecutiva in Liga. Questa volta invece dei ragazzi, dietro il nove ci sono Messi, Coutinho, Griezmann nei tre e Pedri doble pivote con De Jong. La squadra vince e convince. 4-0 il risultato. Con il danese in campo la squadra è concettualmente diversa da prima. L’esperimento viene ancora riproposto in Champions. Questa volta contro il Ferencvaros. Trincao, Griezmann, Dembélé e Braithwaite. Nuova rete del numero 9 (alla quarta in tre partite) e seconda consucutiva di Griezmann. Il modulo con un nove vero viene riproposto a Cadice dove giunge una sconfitta inaspettata. Una dopo tre prestazioni molto convincenti. Sembrava che ormai la linea fosse tracciata, tanto più che Koeman in conferenza stampa alla vigilia della gara contro la Juventus parlava già di lasciare a terra qualche pesos pesados per fare spazio ai giovani quali Alena, Riqui, Minguezache bene si erano comportati in quelle gare europee. 
Contro la Juventus l’olandese ha deciso di appiedare Braithwaite e tornare al passato. Nuovamente Griezmann da nove, con dietro Trincao, Messi e Pedri. Tutti sappiamo come è andata. Zero profondità, mai una volta che si sia giunti sul fondo nel primo tempo, nessuna velocità e imprevedibilità. Nuovamente una serie stanca, lenta di passaggi orizzontali. La squadra è migliorata nella ripresa con gli ingressi di Riqui e Braithwaite che hanno conferito rapidità e quella profondità che era mancata nei primi 45 minuti. Adesso siamo punto e a capo. Che farà il buon Ronald in Liga contro il Levante? Cambierà ancora alla ricerca dell’equilibrio perduto, tornerà sui suoi passi e punterà sul danese (l’unico in grado di fornire quel tipo di lavoro) e sulla verve di Alena e Riqui, o penserà di mischiare ancora le carte da buon croupierquale sta diventando e di sorprenderci con chissà quale mossa a sorpresa? Già tremiamo dalla paura all’idea delle soluzioni di cui potrà essere capace Mister Koeman

Ridicolo del Barça contro la Juventus.

di Giuseppe Ortu Serra

Il Barcelona perde in casa dopo sette anni. 0-3 a favore della Juventus che ottiene anche il primo posto del girone. Una partita iniziata male, malissimo, e terminata con un punteggio che è una batosta colossale per tutto il mondo Barça. Ronaldo, doppietta su rigore, e McKennie, sentenziano la gara. Messi, De Jong (ma brutto il primo tempo di Frenkie) e i subentrati nella ripresa Junior e Riqui, i migliori del Barça. 
Un rigore natalizio, con tanto di carta regalo e fiocchi dorati che l’arbitro ha messo sotto l’albero della juventus al Camp Nou; una squadra senza anima, piatta, senza voglia e pressione, vuota dentro e fuori, rinunciataria; una Juventus tonica, veloce, con molte idee, brillante, che gioca di prima e esercita una forte pressione sugli avversari. Questo, in sostanza, il sommario del primo tempo della partita al Camp Nou contro la Juventus. Il Barça sterile, senza gambe e privo di risorse mentali che abbiamo imparato a vedere in Liga quest’anno, è sceso in campo anche in Champions League. Tutto è andato storito. Dal primo istante. La Juve a pressare forte fin dentro l’area blaugrana; il Barça, spaventato, rattrappito, sconcertato e sconcertante, ad attendere come un coniglietto che si nasconde dentro la tana, tremante, per il timore di uscire all’aria aperta ed essere mangiato dai predatori del mondo animale. Per 20 minuti il Barcelona ha passato appena la metà campo, subendo le avanzate taglienti della Juventus. 
Subito il rigore inventato. Uno scontro regolare spalla a spalla, non spalla o anca contro schiena di Araujo su Ronaldo è stato giudicato falloso dal fischietto di giornata. Il Barça ha continuato a capire poco della gara, non riuscendo a prendere i centrocampisti avversari e subendone anche lo strapotere fisico. Così ha continuato a subire fino alla rete dello zero a due. Ronaldo porta fuori dal centro dell’area due difensori, così che Mckennie possa raddoppoiare tirando al volo solo soletto davanti a Ter Stegen
Solo dopo la rete del raddoppio il Barça ha provato timidamente a uscire dalla propria metà campo. Il solo Messi ha cercato di fare qualcosa, rendendosi pericoloso con qualche azione personale e andando al tiro più volte. Pedriimmediatamente dietro di lui quanto a volontà. Il peggiore in campo, certmente, Trincao. Un fantasma, una figura cartonata, un ectoplasma. E’ parso di aver giocato in 10 contro 11 con lui sul terreno di gioco. Un giocatore inutile. E non solo lui. In mezzo ai due tutta una serie di giocatori inesistenti. 
La ripresa è filata via con la stessa musica. Subito Braithwaite per Trincao, poi un rigore per la Juventus su fallo di mano insensato di Lenglet. 0-3 ancora di Ronaldo. I cambi di Koeman hanno in qualche modo migliorato una situazione comunque disastrosa. Umtiti (Lenglet), Junior (Jordi), Riqui (Pedri). Maggiore pressione e velocità sopratutto grazie a Riqui. La Juventus si è ritirata nella propia metà campo e i blaugrana hanno potuto giocare all’attacco, con Messi sempre il migliore dei suoi. Buona la gara di Riqui, che ha dimostrato di meritare di giocare al posto delle tante controfigure che indossano immeritatamente la maglia blaugrana. 
Questa partita ha detto che il Barcelona è davvero finito insieme a tanti dei suoi celebrati campioni. Eccetto Messi e De Jong, tutti gli altri meritano di stare fuori dal Camp Nou e lontani da Barcelona. E’ ora di dare definitivamente strada alla cantera, a Riqui, a Alena, a Mingueza, a Pedri. Tutti gli altri, Trincao compreso, che passino dalla cassa a pagare il biglietto prima di restare a casa loro a guardare la televisione.