Calendario Liga – Inizio durissimo per il nuovo ciclo del Barça

di Giuseppe Ortu

Poco fa è stato diffuso il calendario della Liga 2020-21. La prima giornata cadrà il 13 settembre, l’ultima il 25 maggio. Inizio con il botto per l’Atletico del Cholo che se la vedrà con il Sevilla del neo acquisto Rakitic. Il nuovo Barça post Messi, invece, avrà un inizio più morbido. Affronterà in casa la neo promossa Elche, giustiziere del Zaragozza nei play off di ascenso. Il Real Madrid avrà un incontro non facile nel primo derby della capitale con il Getafe. Detto dell’Elche, le altre matricole se la giocheranno contro l’Osasuna (il Cadice), e in trasferta contro il Villareal l’Huesca.

Il primo Clasico della temporada sarà in occasione della giornata 7, esattamente il fine settimana del 25 novembre e si giocherà al Camp Nou. Il ritorno al Bernabeu è in programma per il fine settimana dell’11 di aprile corrispondente alla trentesima giornata.

Il Gran Derby cadrà il 3 gennaio al Villamarin, mentre al Sánchez Pizjuán si disputerà il 14 marzo. Sempre in tema di stracittadine, Madrid e Atletico si affronteranno il fine settimana del 13 dicembre a Chamartin e il 7 marzo al Wanda.

Il prosieguo del torneo per la formazione blaugrana sarà molto complicato, posto che in successione Koeman dovrà andare a San Mames, ricevere il Villareral, nuova trasferta nel sempre difficile campo di Balaidos contro il Celta, per poi ricevere il Sevilla al Camp Nou. Nuova trasferta contro il duro Getafe per poi affrontare in casa il primo Clasico della stagione. Un inizio di stagione, dunque, che metterà a dura prova il nuovo progetto di Koeman, per la prima volta nella sua recente storia senza il giocatore più forte della storia del calcio e una formazione piena zeppa di promettenti ragazzi.  

Rakitic al Sevilla a zero più Bonus

di Giuseppe Ortu

Un altro ultra trentenne della plantilla del Barça lascia Barcelona. Si tratta di Ivan Rakitic che torna nella sua amata Sevilla dopo la tappa blaugrana. Il giocatore, in blaugrana dalla stagione 2014-15, torna così in Andalucia dove aveva giocato dal 2010/11 al 2013/14. Il giocatore, che aveva rifiutato tutte le offerte sulla carta disponibili, compie quindi il viaggio a ritroso. Rakitic sta in questi momenti compiendo le visite mediche per il Sevilla. Il contratto stipulato tra le due parti prevede il trasferimento a zero, ma con l’inclusione di diversi bonus a seconda del piazzamento della squadra in zona Europa League o Champions che potrebbero fruttare al Barça fino a 8 milioni di euro. Per il club blaugrana la cosa più importante è risparmiare i 10 milioni di euro dell’ingaggio del giocatore croato. 

La Liga dalla parte del Barça: “700 millones o nada”. Il meccanismo e i suoi rischi per il City

di Giuseppe Ortu

La guerra aperta tra Messi e il Barça si arricchisce di un nuovo capitolo pro blaugrana. Nella giornata di ieri, come sappiamo, la Liga ha dichiarato, in un comunicato ufficiale, che appoggia l’Entitad catalana nella sua posizione di non concedere al giocatore l’uscita dal contratto senza corrispettivo, rimettendosi alla clausola indicata nel negozio giuridico conchiuso con il giocatore.
In questo modo la strada per Manchester di Messi si complica enormemente. La Liga ha dichiarato che non concederà il transfer al giocatore se non dietro il pagamento dell’intera clausola rescissoria.
Messi e il suo entourage avevano sperato nella complicità della Liga per poter andare al City attraverso la richiesta del transfer alla federazione spagnola.

Vediamo come funziona il meccanismo della richiesta e concessione del transfer. Il giocatore richiede il transfer alla Federazione britannica. Dopo averlo concesso, questa lo richiede a sua volta alla consorella spagnola. Se la RFEF dovesse autorizzare il transfer al giocatore il gioco sarebbe fatto.  Ma non in questo caso perché la Liga ha già dichiarato di condurlo solo previo pagamento dei famosi 700 milioni.

Messi e il City possono ricorrere anche alla Fifa per ottenere il transfer. In situazioni di conflittualità, infatti, la Fifa è sostanzialmente orientata a concedere il transfer temporaneo come principio di tutela dei lavoratori (come è inquadrabile il giocatore di calcio). Il giocatore potrebbe dunque saltare il blocco derivante dal Barça e dalla Federazione spagnola e trasferirsi a Manchester. Ma attenzione, perché il transfer provvisorio non bloccherebbe per ciò stesso il processo che a quel punto si celebrerebbe tra le due parti. Il giudizio si svolgerebbe davanti a un giudice di Barcelona,competente a conoscere la causa per competenza territoriale. Con il giocatore già tesserato per il ManCity, il club inglese si esporrebbe a qualsiasi decisione possa prendere il giudice catalano, compreso l’ammontare del costo del trasferimento del giocatore che il City, a quel punto, sarebbe obbligato a pagare. Il giudizio verterà pregiudizialmente sulla validità o meno della clausola rescissoria. Una volta stabilita l’eventuale validità della clausola, il giudice entrerebbe nel merito della quantificazione, potendosi tranquillamente rimettere in toto all’ammontare della clausola indicata in contratto. A quel punto il club britannico non potrà più tirarsi indietro e sarà obbligato a pagare il totale dei 700 milioni stabiliti dalla clausola rescissoria come sancito dalla sentenza del giudice.

Come si vede una decisione estremamente rischiosa per gli inglesi quella di cercare di ottenere il transfer provvisorio attraverso la Fifa, perché ci si lega le mani e ci si rimette totalmente a quella che sarà la decisione del giudice. Un rischio non da poco se si pensa che alla fine della stagione, quello stesso giocatore che oggi potrebbe costringerti a pagare 700 milioni, potrà legittimamente giungere a zero. Il gioco vale la candela per avere Messi un anno prima della scadenza contrattuale?       

Messi non si presenterà domani ai test PCR

di Giuseppe Ortu

Prosegue la guerra fredda tra Messi e il Futbol Club Barcelona. Il 10 argentino ha comunicato tramite burofax che non intende presentarsi nella giornata di domani alla Ciutat Esportiva di Sant Joan Despí per sottoporsi ai test medici PCRanti coronavirus. La manovra continua nel solco tratto di tendere la corda fino alla fine al fine di ottenere la fuoriuscita gratuita dal club della sua vita. Leo Messi continua dunque a non proferire parola e insiste nel voler abbandonare il Barça sí o sí. Con le sirene che suonano da Manchester, e con la presenza di Pep Guardiola in città già da ieri, la volontà di Messi si fortifica sempre più.

Da parte del giocatore è partito un invito a sedersi attorno al tavolo per discutere la risoluzione del contratto e trovare un accordo. Il club ha risposto, per bocca di Bartomeu, che il presidente si siederà al tavolo solo per trattare il rinnovo del contratto. Non per nessun altro motivo.

Il comportamento del 10 argentino, se domani non si presentasse per i test medici sarebbe passibile di un espediente disciplinarlo che andrà via via a diventare sempre più grave con il passare del numero di assenze ingiustificate. Se domani la convocazione è fissata per i test anti Covid, da lunedì la squadra si ritroverà per la ripresa degli allenamenti. Senza gli esami medici Messi non potrà parteciparvi e ogni ulteriore giorno di assenza dai campi di allenamento non farà altro che aumentare il grado di gravità della violazione e la automatica e conseguente sanzione.

Oltre che un discorso economico-finanziario per il Barcelona (una sua fuoriuscita gratis o ad un prezzo inferiore alla clausola) sarebbe un danno enorme per il club, considerando il danno emergente e il lucro cessante che esso comporterebbe per il FC Barcelona), la questione si sta trasformando anche in una battaglia psicologica e di orgoglio tra le due parti.   

Messi. Da semidio a macchia nera

di Giuseppe Ortu

Quello tra Leo e il Barcelona era un un rapporto molto speciale. Un amore forte, profondo, intenso. Un po’ come il cordone ombelicale tra una mamma e il suo nato. Un legame che pareva indissolubile, unico, esclusivo. Come quei matrimoni ben riusciti e invidiati da tutti coloro che non rientrano in questa magica categoria. Tutti lo hanno pensato in questi lunghi anni di interregno messianico al Barça.

Evidentemente così non era se Leo ha deciso di compiere quel passo. Una azione incredibile, inspiegabile per lui e per tutto ciò che quella squadra, quella maglia, quei colori, quella città, quei tifosi hanno sempre significato per lui e la sua famiglia. Sentire il coro di quasi 100.000 persone che lo inneggiavano con quel “Messi – Messi” che risuonava al Camp Nou, dopo una rete, una giocata, una punizione delle sue. Un coro che ad azzittirsi e a stare ad ascoltare metteva i brividi per la forza, l’emozione, il trasporto di cui era pregno e che rimaneva sospeso nell’aria anche quando il pubblico si era acquietato. Più che un pubblico. La sua gente; rapita, trasportata come in trance dalle sue giocate, dalla sua presenza in campo che catturava, che calamitava occhi, attenzioni e che ti faceva trattenere il fiato ogni volta che lo vedevi muoversi, scattare, toccare la palla, iniziare una serpentina delle sue. In quegli istanti non c’erano occhi che per lui. Il fiato si bloccava e l’emozione ti faceva ammutolire fino alla conseguente rete o alla giocata successiva, quasi sempre conclusa con quel grido di ammirazione e devozione, quel “Messi – Messi”, che sapeva tanto di rito religioso, di celebrazione pagana di un Dio incensato e glorificato dai suoi devoti fedeli. Per chi ha avuto la fortuna di vedere giocare dal vivo il 10 blaugrana, a l’Estadi, in quell’enorme tempio ribollente di fede laica verso un semidio che il Barça e il barcelonismo tutto hanno innalzato al rango del mito di Achille, sa di quali emozioni si sta parlando.

Ora tutto questo sembra lontano anni luce da un’attualità fatta di distacco, freddezza, irriconoscenza, tradimento. Perché sono questi i sentimenti del popolo blaugrana. Sedotto e abbandonato da uno dei suoi figli più puri. E il tradimento di un figlio è sempre quello più doloroso e traumatico. Il comportamento di Leo Messi è incredibile, quasi fantascientifico. Il capitano, il primo capitano, che tace dopo la sconfitta più umiliante della storia del Barcelona, che non mette la faccia su quella pagina buia del barcelonismo. Il primo capitano che si rintana nella sua casa e lascia che siano gli altri (Piqué, Ter Stegen) a scusarsi e a esprimere il dolore per quell’8-2 che ha deflagrato nella notte di Lisbona. Dopo 11 giorni di tombale silenzio, il primo segnale di vita è un anonimo, freddo, glaciale fax con il quale chiede di lasciare il club della sua vita. Gratis. Null’altro. Né prima, né dopo. Il capitano, che dopo la sconfitta più cocente per il club e per quei soci e tifosi che lo hanno sempre innalzato a semidio abbandona la nave che affonda come uno Schettino qualunque, scappando furtivamente dalla porta posteriore senza proferire parola, o una spiegazione, un ringraziamento. Come se fosse lui, Leo Messi, l’offeso. Come se i quasi 100.000 del Camp Nou fossero i responsabili di chissà che cosa. Se di troppo amore sì, certo. Colpevoli Vostro Onore. Come se lui, Leo Messi, non fosse sceso in campo quella notte di Lisbona e si professasse puro, casto e innocente.  Un controsenso. A volte i deboli sono quelli che attaccano per primi. Qui a Barcelona sembra proprio che stia accadendo questo. Il capitano, il responsabile primo della squadra, (come un ufficiale lo è dei suoi uomini in battaglia) che si auto assolve gettando la macchia nera della vergogna sugli altri. Per i pirati la macchia nera era il segno del disprezzo più profondo per un loro affiliato. Il segno del tradimento. Tra i militari era in uso una piuma come segno di vigliaccheria e codardia. Messi, in queste circostanze, non meriterebbe nemmeno il beneficio del dubbio dopo un comportamento come questo. Un comportamento comune a quello di Neymar, suo grande amico, che fuggì nottetempo come un ladro dal Barcelona per rifugiarsi nella dorata Parigi salvo poi mendicare senza ritegno un riacquisto da parte del club. Messi ha appreso tanto dal modo di fare dal brasiliano e dalle conseguenze che esso ha avuto. E dovrebbe costituire un serio monito per lui. A futura memoria. Ma non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere. Chissà che non debba pentirsene quando avrà lasciato la comoda, dorata, soleggiata, calda Barcelona per vivere nella fredda, buia, piovosa, sinistra, cupa Manchester.

I motivi del suo gesto sono ancora ignoti. Sua maestà Messi X non ha voluto deliziare il suo pubblico attraverso l’uso della sua graziosa favella. Lo farà? Non lo farà? Sembra di sì, di grazia. Nei prossimi giorni. Secondo una voce, sembra che avesse addirittura pensato di lasciare il suo pensiero alla stampa inglese. Qualcuno del City, abbastanza più intelligente da capire che questo sarebbe stato veramente troppo, lo avrebbe fatto tornare sui suoi passi.  

Editoriale – De Messi Situatione

di Giuseppe Ortu

Il casus belli tra Messi e il Futbol Club Barcelona è più intricato che mai e lascia aperte una serie di ipotesi, congetture e analisi. Una situazione certamente incresciosa quella che si sta sviluppando a Barcelona, non fosse altro perché Messi è nato e cresciuto, calcisticamente parlando, nel Barça. Arrivato da impubere, alla soglia dei 13 anni, Messi ha sempre vissuto a Barcelona. Lì è cresciuto, si è sviluppato, è diventato uomo, si è costruito una famiglia con la ragazza dei suoi sogni di quando era un ragazzino di 10 anni. Barcelona è stata la sede della sua vita, il centro delle sue emozioni, della vita professionale e lavorativa, la città dove vive con tutta la sua famiglia. Famiglia allargata beninteso, perché a Castelldefels vivono tutti i parenti del crack argentino. Messi e Barcelona (e il Barcelona) è una unione unica nella storia del calcio. Un legame forte, indissolubile. Un caso unico nel mondo del calcio. La Pulce lo ha sempre detto: “il Barcelona è la mia casa; la mia vita”. Un legame che pareva indissolubile come tutti i matrimoni ben riusciti e invidiati da tutti coloro che non rientrano in questa magica categoria. Evidentemente così non era se Leo ha deciso di compiere quel passo. Una azione incredibile, inspiegabile per lui e per tutto ciò che quella squadra, quella maglia, quei colori, quella città, quei tifosi ha sempre significato per lui e la sua famiglia. 

A questo punto serge necessaria una riflessione. Perché l’addio di Messi? Non è certo una questione di cattivi rapporti con Bartomeu. Il presidente ha offerto le dimissioni in cambio della sua permanenza purché dicesse pubblicamente che il problema era lui. Nonostante ciò Messi ha mantenuto il suo silenzio. Non è un problema di allenatore perché Setién non è più al suo posto in panchina. E dunque? Si riduce tutto al fatto che alcuni suoi compagni di squadra, e amici, non fanno più parte del progetto sportivo del Barça?
Se così fosse, Messi non potrebbe pretendere di avere in squadra i suoi amici del cuore sempre e a ogni costo anche a dispetto degli interessi della squadra e del club. Il Barça non è una formazione amatoriale che gioca al sabato sera dopo il lavoro o lo studio. In quel caso schieri chi vuoi. Anche i vecchietti che giocano da fermo solo perché sono simpatici e dopo la partita vai a cenare assieme. Nel calcio professionistico non funziona così. Non si può mantenere una intelaiatura di ultra trentenni solo perché costituita da amici di Messi. E’ proprio per questo che si è perso 8-2 contro il Bayern.Perché mentre i ragazzi bavaresi correvano a mille all’ora, i vecchietti amici di Leo passeggiavano per il campo e si trascinavano per 90′. E alla fine è Messi a fare l’offeso per avere perso. 

Se il motivo del suo addio è invece la mancanza di trofei conquistati, sopratutto della “Copa tan linda e deseada” come lui stesso ebbe a dire qualche anno or sono in occasione di un Gamper, la risposta è connessa al precedente tema. Quello dell’età dei giocatori del Barça. Non puoi da un lato pretendere di avere gli ultra trentenni in formazione, e lamentarti se non vinci la Champions. Delle due l’una. O gli amici, o i trofei. Se fosse proprio questa la decisione dell’addio, la mancanza della Champions da cinque anni a questa parte, sarebbe curioso che con una carriera ormai alla fine il rosarino avesse deciso di cambiare squadra, città, nazione per tentare di vincere un’ultima Champions negli ultimi tre anni di carriera. Anche Neymar aveva preso la medesima decisione andando a Parigi, salvo poi pentirsi amaramente della scelta effettuata. Messi parlerà a giorni è stato detto e spiegherà i motivi del suo addio. Vedremo quale tra questi analizzati sarà il vero motivo della sua scelta. 

Un’altra considerazione è da fare. Dove sarà la sua vita dopo il calcio? Al City avrà un contratto di tre anni più due. Tre con i citizens e due a New York con l’altra squadra della proprietà degli emiri. E poi? A Barcelona, ritirandosi in blaugrana, avrebbe potuto fare ciò che avrebbe voluto. Entrare nel club, vivere da re nella città che ama e ha sempre amato. Adesso quel capitolo si è chiuso per sempre. Se rientrasse in città dopo il suo tradimento non sarebbe più lo stesso. Le porte del club sarebbero chiuse per sempre; la vita in città non sarebbe più la stessa come se si fosse ritirato in blaugrana. Lui stesso non sarebbe più Messi agli occhi della gente catalana, così orgogliosa e testarda. Che farà dopo? Resterà a vivere nella fredda e umida Manchester, dove un giorno di sole è celebrato come festa nazionale? Oppure ritornerà a Rosario, nella sua Argentina da cui manca da quando aveva 12 anni e dove la gente ama Maradona e disprezza Leo “perché con la seleccion non si impegna come con il Barça”? O resterà a vivere a New York? Una città bellissima, affascinante, trendy. Ma non il luogo ideale per lui. A Manhattan i ritmi sono agitati, frenetici. I ritmi di Leo sono calmi, tranquilli, rilassati. No, decisamente la meravigliosa New York non è proprio fatta per uno come lui.

Messi non è nuovo a certi colpi di testa. Dopo la cocente sconfitta con la nazionale in finale di Copa America del 2016,partita persa ai rigori contro il Cile con un suo errore dal dischetto, il quasi ex blaugrana aveva dato l’addio alla albiceleste per la forte delusione in quella partita. Da quella decisione tornò indietro dopo qualche tempo e riprese a vestire la maglia della sua nazione. Due anni dopo, mondiali di Russia, si ripete la stessa scena. Eliminazione nei quarti di finale contro la Francia e nuovo addio. Questa volta il break dura ben 5 mesi. Ma alla fine ha vestito nuovamente la camiseta biancoceleste. E’ chiaro, però, che l’Argentina e la nazionale sono una cosa, il club un’altra. Con l’albiceleste non hai vincoli. Puoi decidere di lasciare e riprendere da dove avevi ripreso in qualsiasi momento e liberamente. Non ci sono contratti, obblighi. Adesso è diverso. Una volta che lasci il Barcelona per andare altrove non si torna più indietro. La scelta è definitiva. E non si tratta di giocare fuori solo per qualche mese e poi tornare a casa. Una volta che lasci Barcelona è per sempre. E non importa quanto te ne possa pentire. Non saranno il magone, la nostalgia del mare, del caldo e del sole, della Sagrada Familia, del Camp Nou, dei “Messi – Messi” che i quasi 100.000 de l’Estadi ti hanno sempre dedicato ad ogni goal, punizione, giocata a farti lasciare il freddo e la pioggia di Manchester e tornare alla tua vita di un tempo. Alla tua squadra. Alla tua vita. Se lasci il Barça è per sempre. Come i diamanti. Solo che nel caso di Messi ci sarà ben poco da festeggiare. In quella ipotesi ci saranno solo sconfitti. Il giocatore, il Barça, i suoi soci e tifosi.

Bartomeu pronto a lasciare se Messi dichiarasse che il problema è lui

di Giuseppe Ortu

Bartomeu, così assicura TV3, sarebbe disposto a fare un passo indietro e lasciare l’incarico di Presidente del Barcelona se Messi dovessi pronunciarsi e dire che il problema che ne impedisce la continuità al Barça è lui. Bartomeu specifica che solo lui lascerebbe l’incarico, mentre la sua junta resterebbe in carica fino al termine del mandato. Il ruolo di Presidente sarebbe assunto dal suo vice.

Queste sono le condizioni che pone Bartomeu a Messi per evitare la sua fuga da Barcelona.

Con questa manovra a sorpresa la palla passa nel campo di gioco di Leo Messi, il quale è chiamato a prendere la parola, fare sentire le sue ragioni e dichiarare i motivi per i quali vuole lasciare il club di una vita. Se dovesse dichiarare che il problema che ostacola la sua permanenza nel Barça è la persona del presidente, tutto dovrebbe risolversi per il meglio.

Le dichiarazioni di Bartomeu mettono adesso con le spalle al muro il campione argentino, obbligato a rompere il suo silenzio e a manifestare il suo pensiero in merito alla sua volontà di lasciare il Barcelona.

Staremo a vedere se queste condizioni, che di fatto non risolvono il problema in quanto la Junta Bartomeu resterebbe in carica in tutti gli altri suoi effettivi, soddisferanno i malumori del Genio di Rosario. Restiamo in attesa di nuovi sviluppi su questa vicenda, sempre più ricca e costellata di nuovi capitoli. 

L’offerta del City e il diabolico piano di Bartomeu per vendere Messi. Tutti ugualmente colpevoli

di Giuseppe Ortu

 

In queste ultime ore concitate gli accadimenti si stanno succedendo a una velocità doppia del solito. Sembra quasi che attraverso un telecomando si stia pigiando sul tasto avanzamento veloce che ci mostra le immagini che ci scorrono davanti come se fossimo degli ignari spettatori. Così sembrerebbe se non fossimo al centro dell’azione, cercando di raccapezzarci in questa storia allucinante, incredibile, fantascientifica. Non si ha il tempo nemmeno per prendere fiato, tante sono le informazioni che ci sono pervenute dalla giornata di quel martedì alle ore 19:20 quando è giunta la prima notizia dall’Argentina del burofax di Messi al club. Da allora una notizia dietro l’altra. Fatti, accadimenti, supposizioni, illazioni, depistaggi, falsità. Una produzione di notizie così ampia e folta da creare come un denso fumo, una cortina di nebbia talmente densa da non riuscire nemmeno a vedere attraverso.

Protezione attraverso confusione. E’ uno dei sistemi migliori per proteggere un sistema operativo si sa, ma anche il metodo migliore per oscurare una verità. Notizie su notizie, anche contrastanti tra loro, concitate, che non permettono di leggere bene gli accadimenti. Nel mare di questa iper produzione di lanci di agenzia, tweet, post, indiscrezioni, articoli che provengono da più parti a 360° non si sa più dove girarsi. Ma non bisogna certo scoraggiarsi. Piano piano, infatti, la nebbia delle notizie inizia a diradarsi e iniziano a distinguersi i contorni delle cose. Allora è più semplice raccapezzarsi per il giornalista esperto. E’ come in un puzzle in cui sono stati inseriti, all’interno della scatola, tasselli di vari rompicapi diversi. Non appena la storia va avanti e prende forma, si intravedono i pezzi giusti, da quelli sbagliati. Quelli da tenere e quelli da scartare, messi lì apposta per confondere, depistare, far intraprendere la strada, il bivio sbagliato per fare inoltrare l’opinione pubblica in un vialetto di campagna che non conduce a nulla, se non in un punto morto.

Questa storia è come il groviglio di binari che fuoriescono da una grande stazione ferroviaria. Strade ferrate che si sovrappongono in modo disordinato fino a quasi non riuscire più a seguire il singolo binario, perso com’è nel caos degli incroci apparentemente inestricabili. Ma con una certa pazienza si riesce a seguire il binario giusto, che conduce alla verità. E così il nostro compito è quello di raccogliere un pezzo qui, una notizia là, un tweet laggiù e fare uno+uno+uno. Un lavoro da ricercatore, da studioso, da giornalista. Trovare la verità laddove vuole essere nascosta sotto un cumulo di falsità. Come nascondere un omicidio specifico si chiedeva la Christie? Inserirlo in mezzo a tanti altri casuali al fine di mascherare il movente e renderlo, dunque, irriconoscibile, facendogli perdere le connotazioni di unicità che lo avrebbero altrimenti reso immediatamente riconoscibile. E così esso movente e, di conseguenza, anche il suo autore.

Nel caso Messi ci sono alcuni elementi da prendere in considerazione. Analizziamoli come se fossimo Hercule Poirot. La riunione di Koeman con Messi, la telefonata dell’allenatore olandese a Suarez e Vidal, un tweet di Laporta, il fax di Leo al club, il muro iniziale della Junta, la notizia di una delegazione del City che starebbe per arrivare in città per trattare la cessione del giocatore. Ad essi aggiungiamoci l’elemento psicologico di Leo. Escludiamo ogni altro elemento che si è detto, scritto o riferito e concentriamoci su questi elementi. Perché essi sono già più che sufficienti per scoprire il nostro assassino e ricostruire il suo piano: fare terra bruciata intorno a Messi e costringerlo, usando la sua emotività come leva, la sua fragilità interiore, a chiedere la cessione.

I primi elementi li conosciamo ormai a memoria e quindi non vi dedicheremo molto tempo. Koeman si riunisce con Messi per convincerlo del suo progetto dopo il lungo silenzio dell’argentino. E’ stato il primo atto del neo allenatore dopo la sua presentazione, nella quale aveva dichiarato che ci sarebbero stati cambi e un ringiovanimento della squadra. Non si sa cosa si siano detti per la precisione, ma gli accadimenti successivi ci fanno capire che deve avergli parlato del taglio di alcuni elementi importanti della rosa come Suarez e Vidal, suoi grandi amici e alleati all’interno del vestuario, e del ridimensionamento del ruolo di altri pesos pesados. Questo deve avere frastornato Leo. Deve averlo fatto vacillare. Koeman quindi ha chiamato Suarez per comunicargli telefonicamente che non contava su di lui, invitandolo a “cercarsi squadra”. Una telefonata durata meno di un minuto. Non il miglior gesto per dire addio ad un giocatore importante come Suárez, terzo miglior artillero del club, uomo di rispetto e di principi che ha sempre dato il massimo per la squadra. Le modalità sono importanti per il piano del nostro assassino. Creare sconforto e rabbia in Messi. Lo stesso è stato fatto anche con Vidal. Stesse modalità usate con Suárez. Un freddo, laconico, antipatico comunicato telefonico. Altro colpo per Leo. L’incendio è partito e Messi sente come Bartomeu sta iniziando a bruciare la terra intorno a lui. E arriviamo così al tweet di Laporta, al quale non è sfuggito ciò che stava accadendo in quelle ore se è vero che l’ex presidente e prossimo candidato alle imminenti elezioni presidenziali ha cinguettato martedì pomeriggio scrivendo Han dit a #Suárez q no compten amb ell per telèfon? Em fa sospitar q volen vendre al #Messi (“Hanno detto a Suárez che non contano su di lui per telefono? Mi fanno sospettare che vogliano vendere Messi”). Poco dopo è giunta la notizia del burofax di Leo al club. Perché Laporta avrebbe parlato della volontà della Junta di Bartomeu di vendere Messi addirittura prima del gesto unilaterale di Leo? Inizialmente non aveva senso. La decisione è partita dal giocatore e Bartomeu si è subito opposto minacciando di portare l’argentino in tribunale. Ma tutto ciò ha un senso con la notizia della delegazione del City nelle prossime ore con una offerta per l’acquisto di Messi per circa 200 milioni tra contanti e giocatori. All’improvviso tutto acquista un senso e tutti i vari elementi del puzzle trovano miracolosamente il loro posto. Tutto quadra adesso. Se Bartomeu accetterà l’offerta del Manchester City di Guardiola sarà tutto perfettamente chiaro. Il bilancio del Barça ha subito delle grandi perdite a causa della pandemia. Ma anche tutti i precedenti acquisti errati (Dembélé, Coutinho su tutti) non hanno certo aiutato i conti della entità blaugrana, dinamitati da una gestione dissennata. Se i conti alla fine non dovessero tornare, per la legge spagnola sarà la direttiva a farsi carico personalmente dello sbilancio. E questa junta vuole evitare in tutti i modi di arrivare a questo punto. Come risolvere la situazione dunque? Vendere Messi, ma per evitare di passare per la Junta che ha venduto il giocatore più forte della storia del calcio, deve apparire che sia il giocatore a chiedere la cessione. E così stanno facendo. Fare terra bruciata intorno a Leo Messi, farlo sentire scomodo, non più desiderato in tanti modi diversi, un peso per il club. Contando sul fatto che il giocatore non avrebbe riflettuto a fondo e che si sarebbe fatto trascinare dall’emotività del momento, dal suo spirito latino, lo hanno di fatto portato laddove volevano portarlo. Che chiedesse di lasciare il Barcelona. Leo è caduto nella trappola orditagli da Bartomeu & Compagnia. Come il gatto e la volpe non hanno creduto ai loro occhi e alle loro orecchie. Che la piccola, fragile, ingenua preda abbia fatto il loro gioco, come un paziente sotto ipnosi scatta ai comandi del suo ipnotizzatore. Per Bartomeu è stato come dire “Madagascar. Lo scorpione di giada lo comanda”. E il nostro Leo ci è cascato con tutti e due i piedi nel fossato che gli avevano scavato intorno.

Se questa Junta accetterà l’offerta del City di acquistare Leo, mascherato dietro una richiesta unilaterale del giocatore, sapremo la verità. Messi è stato usato vigliaccamente, ben consci che il ragazzo non avrebbe mai indetto una conferenza stampa per denunciare il suo malessere per la situazione che si stava venendo a creare. Certo, anche lui ha le sue colpe. Avrebbe potuto resistere fino in fondo, a dispetto di tutti, a dispetto dei santi. Un capitano non abbandona mai la nave che affonda. E lui si sta comportando come uno Schettino qualunque, che si mette in salvo prima che la barca affondi. Da un capitano ci si aspetta ben altro comportamento. Ci si aspetta che dia l’esempio, non che scappi come un codardo al primo fischiare di pallottole. In guerra i codardi venivano passati per le armi. Messi non è Totti. Certo che no. Il romanista ha deciso di deglutire amaramente tutto ciò che quella dirigenza e il suo allenatore gli hanno fanno passare. Ma ha retto; non da detto “vado a giocare altrove”. Gli uomini veri si distinguono nei momenti difficili. Messi è un gigante dentro il campo quanto piccolo fuori dal campo. Un uomo senza spessore e personalità. Un uomo che fugge dalla porta posteriore come il suo amico Neymar. Messi, il debole, è stato manovrato, non c’è dubbio. Ma è chiaro che si può manovrare solo chi si fa manovrare. In questa triste, scadente, miserabile storia tutti sono colpevoli. Chi di essere un gruppo cinico e senza scrupoli; chi di essere colpevole di stupidità. Gli unici che risultano i soli danneggiati in tutta questa allucinante storia sono i soci, i tifosi, il club, la bandiera. E anche l’ultima bandiera del calcio ammaina tristemente i vessilli strappati e deturpati e abbandona vigliaccamente il campo di gioco.

C’era una volta…

di Giuseppe Ortu

C’era una volta. Cominciano sempre così le favole, le fiabe che si leggono ai bambini affinché possano ancora sognare ad occhi aperti, magari prima di addormentarsi per poi cadere in un sonno sereno cullati da racconti di principesse bellissime e principi che cavalcano bianchi destrieri. 

Le favole, si sa, non esistono. Sono racconti illusori che servono per rendere magico un mondo che tale non è. Un mondo cupo, pericoloso, triste. Un mondo pieno di miserie umane infinite. 

C’era una volta. Bella frase certo. Ma essa ha in sé una forte carica di malinconia. Si riferisce a un passato che esisteva una volta e che adesso non c’è più, sparito, passato, svanito come una bolla di sapone che fuoriesce da uno di quei giochini che piacevano tanto ai bambini di un tempo.

C’era una volta il calciatore bandiera. Colui che legava il suo nome, il suo destino, la sua vita a una squadra, una squadra sola. Era il vanto della propria tifoseria che lo idolatrava come un idolo greco. Le bandiere erano amate e rispettate anche dagli avversari, perché vedevano in loro il carattere forte, onesto, vibrante e vero dell’uomo tutto d’un pezzo. Mai in vendita, ricco di valori non barattabili. Di quegli uomini veri, da film di Sergio Leone, pronti a morire per un ideale, il mondo del calcio, e la vita, ne ha perso le tracce da molto tempo ormai. Sono sempre stati pochi e per questo sempre ricordati come dei miti. Gigi Riva, Totti. Capitani coraggiosi che hanno rinunciato a soldi, fama, titoli pur di perseguire la loro scelta di vita. Fatta anche di ostacoli e spine. 

Fino a ieri c’era anche Messi tra di loro, lassù, nel firmamento di Achille. Già, fino a ieri. Adesso la favola è finita. Il calcio non è proprio fatto per uomini veri. Quelli si trovano solo tra le pagine dei romanzi, tra le righe delle sceneggiature, nelle favole per i bambini. Le bandiere si stracciano dai pennoni e vengono trascinate via a forza da un forte vento di scirocco, umido e olezzoso, che si porta dietro tutto e tutti. Sogni, speranze, virtù.

Il mito di Messi andava oltre alla classe incommensurabile, al suo genio. La sua leggenda era anche dovuta al suo essere unico, il solo, the only one, la mosca bianca che in mezzo a tanti giramondo, girovaghi del pallone sempre alla ricerca di nuovi e più ricchi contratti, o perché mai contenti di se stessi, cambiano squadra su squadra. Messi era atipico, geniale anche nella sua unicità di essere legato a un’unico club, un unico popolo. Lui era calcio, famiglia e Barcelona. Lui aveva legato la sua vita, il suo nome e le sue magie a una città, a una squadra, a un club. Era quello che lo rendeva così speciale, al di là dei suoi goal o magie in campo. Tra tanti mercenari insicuri di loro stessi, lui emergeva con i suoi valori d’altri tempi. Adesso anche lui è rientrato nei ranghi andando ad affollare la schiera di tutti i calciatori che non riescono a legarsi a vita. Perché questo significa sacrificio, significa soffrire ma anche resistere. Significa amare. E l’amore è anche dolore; come in un matrimonio. Se ami, se vuoi bene, morirai prima di mollare. 

Con questo gesto la sua immagine di uomo viene sfregiata. Perde gran parte della sua grandezza che gli derivava proprio da quell’unicità. Sarà sempre il più grande calciatore della storia, ma da oggi sarà solo un calciatore. Nulla più.      

C’era una volta… e ora non c’è più. Anche l’ultima bandiera è andata via, scappata dalla porta posteriore come a suo tempo fece Neymar, nel silenzio più assoluto, come un ladro che agisce al buio, alla notte, mentre nessuno sta a guardare, mentre nessuno sente, come un codardo che non ha il coraggio di prendere la parola, guardare negli occhi chi lo ha osannato per tutta una vita e dire come stanno le cose, che non ha più voglia di essere amato, glorificato; che non ha più voglia di lottare per della gente che a sua volta ha lottato contro una dittatura e un destino crudele e che lo ha amato al di la di ogni altra cosa. Che è stanco dell’amore delle persone, di una città, di una regione perdutamente ai suoi piedi. Lawrence, Lawrence d’Arabia, ebbe a dire in un dialogo del film. «L’onore ha qualche valore anche tra i ladri, ma non ne ha alcuno tra i politici». Chissà cosa avrebbe detto a proposito di questa vicenda. 

Clausola sì, clausola no. Cosa dice il contratto. I possibili scenari

di Giuseppe Ortu

Il contratto di Messi, in scadenza nel 2021, parla chiaro. Il giocatore si può svincolare a zero esercitando la clausola indicata in contratto. Il negozio giuridico conchiuso tra Leo Messi e il Futbol Club Barcelona parla chiaro. La clausola è esercitabile entro il 30 maggio di ogni anno. Posto che a quella data l’argentino non ha dichiarato la sua volontà di lasciare il club, vien da sé che il contratto rimane in essere nella sua interezza. Di conseguenza esso è risolubile solo attraverso il pagamento della clausola rescissoria fissata in 700 milioni di euro.

Questa è la posizione che stabilisce il contratto di Leo con il Barça. Il club si rifà a questo scenario e giudica illegittimo e senza alcun valore legale il fax inviato da Messi al club. Il Barça sostiene che il tempo di esercizio della clausola era il 10 di giugno. In ogni caso, 30 maggio o 10 giugno, il tempo di applicazione della clausola è ampiamente scaduto.

La posizione del giocatore è invece sostanzialmente diversa. Lui e i suoi avvocati sostengono che la clausola è esercitabile fino al 31 agosto in quanto la stagione è terminata il 23 di questo mese.

Posto che in contratto non è indicato “fine stagione, ma una data, non sussistono molti dubbi in proposito. Il termine fine stagione sarebbe interpretabile; una data no. O è quella o no. Una data non è passibile di applicazione estensiva.

Attenzione però. E’ vero che si potrebbe dire che la data del 30 maggio era stata apposta perché in quel periodo la stagione finisce. Dunque si potrebbe anche sostenere che la volontà delle parti era quella di legare la clausola alla fine della stagione sportiva. Se si prendesse come valido questo ragionamento, la data sarebbe superata dalla reale volontà delle parti al momento della stipula del contratto, che spesso, in casi controversi, ha una valenza decisiva in questioni giuridiche e giudiziarie.

Se le parti dovessero restare ferme nelle loro posizioni si arriverebbe allo scontro giudiziario. In quella sede può accadere di tutto.