L’INSEGNAMENTO DEL FEMMINILE

Giuseppe Ortu Serra

Il Barça maschile ha conquistato matematicamente la Liga a quattro giornate dalla fine, e nelle restanti gare ha collezionato 3 sconfitte e una vittoria. In Europa è stato bocciato agli esami di riparazione, non riuscendo ad imporsi, nel percorso europeo, a formazioni sulla carta alla sua portata come Inter e Manchester United. Anche il Barça femminile ha conquistato il titolo nazionale a quattro dalla fine del campionato, ma ha messo a segno, nelle ultime giornate, un bottino di due vittorie, un pareggio e una sconfitta per 2 reti a 1 all’ultima giornata di campionato. In Europa, nella finale di Champions contro il Wolfsburg, le ragazze di Giráldez hanno chiuso il primo tempo sotto di due reti (0-2) per poi andare a vincere la gara nel secondo tempo per 3 a 2.

Due modi totalmente diversi di pensare lo sport e di affrontare le partite. Il maschile ha mollato in maniera inaccettabile appena ottenuto il titolo nazionale, mentre in Europa si porta dietro, da anni, un complesso di inferiorità unito ad una scarsa combattività e competitività. E questo al di là della forza dell’avversario; che si chiami Eintracht, Benfica, Inter o Man United il ritornello è sempre lo stesso: sembra che il Barça debba scalare, ogni volta, un muro invalicabile, che puntualmente si rivela tale. La sufficienza con la quale la squadra ha gestito il finale di campionato è solo uno dei sintomi della scarsa produttività e competitività vista in campo europeo. Questa è una squadra che si rilassa appena raggiunto l’obiettivo, o che si siede alla prima difficoltà incontrata per via della mancanza di quella mentalità vincente che ti permette di scrollarti dalle spalle l’intoppo inaspettato con un tocco della mano e proseguire come se niente fosse.

Il femminile, invece, è l’opposto. Una squadra che non teme niente o nessuno, nemmeno gli intralci, gli intoppi, o gli imprevisti, come il dover rimontare due reti in un tempo nella finale di Champions ad un avversario forte come la formazione tedesca che in tutto il cammino europeo non aveva perso nemmeno una gara. Da una parte una formazione debole mentalmente con una mentalità da squadra che si accontenta; dall’altra una formazione vincente e mai sazia, pirata e cannibale, talmente sicura di sé che nemmeno l’idea di essere sotto di due reti nel punteggio, a 45 minuti dalla fine, la smuove dalla ferma convinzione di essere in grado di vincere quel trofeo a dispetto di tutto e tutti.

Questione di mentalità. E al diavolo tutti i ragionamenti del tipo: “Tanto non serviva a niente”; “L’importante era vincere la Liga”, e amenità varie. Tutte frasi fatte per non spaventare una mentalità mediocre e trovare un riparo sicuro in pensieri costruiti per il perdente tipo. Le vittorie allenano la mente a generare vittorie. Le sconfitte allenano a pensare da perdente. Sarebbe come se nella Formula 1, Verstappen, raggiunto il titolo di Campione del Mondo piloti, avesse iniziato a perdere le restanti corse e a far vincere Perez o Hamilton. Perché tanto non serviva più. Quando mai! Verstappen è un vincente, un campione che non molla nemmeno un punto anche quando il mondiale è matematicamente in tasca. Perché lui è un cannibale, un pirata, e non vuole lasciare nemmeno le briciole agli altri. Quando a Barcelona, con un vantaggio enorme sul secondo a pochi giri dalla fine, ha chiesto al muretto quale fosse il tempo del giro veloce, l’ingegnere gli ha risposto di stare calmo e di non rischiare nulla. Bene, Super Max Verstappen, nel giro successivo, si è preso anche il giro veloce. Perché farlo, con la vittoria in tasca? Perché rischiare? Perché Verstappen è un vero campione, un vincente, un ragazzo dalla mentalità vincente. Uno che non molla mai. E se c’è da prendere qualcosa lui la prende.

Il campione del mondo della Red Bull è un vincente al pari delle ragazze del Barça femminile. I ragazzi del maschile, con la loro piccola mentalità da “Tanto abbiamo già vinto. Adesso possiamo anche non giocare più”, non lo saranno mai. È su questo che Laporta dovrà pensare e investire maggiormente per il nuovo progetto sportivo.

IL BARÇA CHIUDE LA LIGA CON UNA NUOVA SCONFITTA: 1-2 A BALAIDOS

Giuseppe Ortu Serra

Il Barça perde a Balaidos e saluta il campionato della 27ª Liga con una sconfitta, la terza nelle ultime 4 partite. I blaugrana hanno vinto solo quella in cui hanno omaggiato gli addii di Busi e Jordi. Per il resto, vestiti i panni del buon samaritano, hanno riempito la casella dei favori da farsi restituire nei confronti di Real Sociedad, Valladolid, che il Karma ha fatto retrocedere ugualmente, e Celta. Solo quest’ultima sconfitta può essere annoverata tra quelle “accettabili”. Il Barça ha affrontato la formazione di Vigo con molte rotazioni. I padroni di casa, impelagati nella lotta per non retrocedere, dovevano vincere per non rischiare di dover fare i conti con i risultati delle altre squadre imbrigliate nei bassifondi che si giocavano la permanenza negli ultimi, drammatici, 90 minuti.

Il primo tempo è stato giocato senza criterio tattico con azioni di “andata e ritorno” continue. Poca tattica e molta corsa. E poco cervello. Le azioni, in questo modo, sono fioccate da una parte all’altra, con praterie in mezzo al campo per entrambe le formazioni. Un goal annullato a testa e uno valido per il Celta hanno caratterizzato i primi 45 minuti. I padroni di casa sono passati, questa volta regolarmente, al 41′. Palla persa a centrocampo da De Jong, Alonso preso di infilata da Veiga, diagonale fulmineo e Ter Stegen battuto. Con la rete subita è sfumato anche il record assoluto dei clean sheet che il tedesco avrebbe battuto se avesse chiuso la partita con zero reti subite. Il numero uno blaugrana si è fermato a quota 26, dovendosi accontentare di aver raggiunto il portiere del Depor Liano. Un vero peccato, pensando alle occasioni perse anche nelle gare precedenti; contro la Real in casa e in trasferta a Valladolid. Nei primi 45′ Kessie è stato certamente il giocatore più pericoloso dei blaugrana.

La ripresa è stata caratterizzata dall’ingresso in campo di Gavi al posto di Christensen. Eric, che aveva iniziato la gara da pivote, ha abbassato la posizione retrocedendo in difesa. De Jong si è spostato in mezzo a fungere da mediocentro. Con il record di porterias a cero di Ter Stegen ormai sfumato, Xavi ha dato minuti a Inaki Pena. Insieme a lui sono entrati anche Dembélé per Raphinha e Ansu per Ferran. Nonostante ciò è stato ancora il Celta a festeggiare. Al 65′, da un cross sbagliato di Veiga, che cercava dalla destra di assistere un compagno sul secondo palo, è nato il raddoppio. La beffarda parabola ha scavalcato Pena, bacino al palo e rete del 2-0. Con il Valencia che perdeva, Valladolid, Getafe e Almería bloccati sul pareggio, la vittoria garantiva una serena salvezza ai padroni di casa.

Con lo schieramento blaugrana così modificato dai cambi effettuati da Xavi, e con giocatori meno fumosi in campo, il Barça ha premuto sull’acceleratore nel tentativo quantomeno di ridurre il passivo. La squadra ha giocato meglio, con maggiore costrutto e impegno. Al 79′ è arrivato il goal di Ansu che ha dimezzato lo svantaggio e ha posto le basi per il raggiungimento del pareggio.

Frattanto, mentre Getafe e Valladolid erano inchiodate sullo 0-0, e l’Almería passava dalle stelle all’inferno a Cornellá in una serie di rovesciamenti continui del risultato, il Celta ha moltiplicato gli sforzi per evitare che una rete ulteriore del Barcelona e una serie di carambole nei risultati delle altre pericolanti, potesse condannarli alla Segunda. Il Barça pressava nella parte finale della gara e la paura si tagliava a fette a Balaidos. Gli spalti fremevano, mentre in campo i galiziani correvano e battagliavano per due. I sei minuti di recupero hanno aggiunto ancora più tensione in campo, ma alla fine il risultato non è cambiato.