Dopo la squalifica d’urgenza del calciatore argentino, comunicata appena qualche ora prima dell’inizio della gara, dopo le prese di posizione pubbliche della federazione argentina, dell’FC Barcelona e di svariati personaggi del mondo del calcio, lo stesso numero 10 ha scritto una lettera alla Fifa per spiegare la reale portata dei fatti. La sanzione inflittagli ha trasformato la Pulga in una sorta di recordman. Quattro gare di stop per non avere insultato nessuno. Se pensiamo che Zidane, per la testata data a Materazzi durante la finale dei mondiali tedeschi era stato squalificato per tre partite, abbiamo il polso di quanto surreale e abnorme sia stato questo provvedimento.
Sono tante le cose “strane” in tutta questa faccenda. Sembra proprio che Messi si sia trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato, e che sia stato trascinato, suo malgrado, all’interno di una situazione paradossale. Essa ha come background una guerra Fifa – Afa; un risentimento infantile del massimo organismo calcistico mondiale per l’assenza di Messi e altri Blaugrana al primo premio The Best targato Infantino dalla fine dell’era Pallone d’Oro – Fifa, e per finire ha sullo sfondo le nefandezze del periodo blatteriano della Federazione internazionale e una immagine assolutamente da ripulire. Quasi come un capro espiatorio, il giocatore si è ritrovato a pagare tutte assieme colpe altrui. E’ come quando, in estate, il cielo si rannuvola di colpo, le nubi diventano sempre più plumbee e cariche di pioggia, il vento si placa e l’aria si rarefa. Si crea una situazione di attesa, come se da un momento all’altro stia per scatenarsi un temporale. Tutti lo sanno, ma per quanto si attenda, nulla accade. Qualcosa, in quota, impedisce l’evento temporalesco. Manca ancora un elemento chiave, un quid pluris. Finché, all’improvviso, una piccola mutazione della temperatura nell’atmosfera scatena il finimondo d’acqua. A Messi deve essere capitato altrettanto. Si è trovato a passare proprio nell’istante in cui tutte le componenti si sono ritrovate riunite nello stesso luogo: Buenos Aires, durante Argentina – Cile. Nel momento in cui Messi ha rivolto all’aria parole di rabbia, qualcuno a Zurigo ha deciso di fare i conti con la Federazione argentina per il caos istituzionale creatosi dalla morte di Grandona, mettere in atto ripicche fanciullesche per l'”affronto subito” di una premiazione snobbata, e ripulire l’immagine di una Fifa travolta da scandali e gravissime accuse di corruzione attraverso un provvedimento sanzionatorio che tende ad attribuirsi un’aria di candore e pudicità. Un po’ come quando si verniciano i muri scrostati e ammuffiti dando una mano di pittura senza prima raschiare a fondo il vecchio intonaco.
Ma andiamo per gradi. Il sospetto che sia tutta una enorme montatura nasce dall’analisi dei fatti. L’accusa sostiene che Messi abbia pesantemente offeso e ingiuriato l’assistente numero 1 dell’arbitro Ricci. La cosa oltremodo strana è che l’arbitro non abbia riportato nulla nel referto della gara, né che l’assistente stesso abbia riferito alcunché al direttore di gara. E stiamo parlando di categorie di soggetti particolarmente suscettibili a questo tipo di condotte. Come è possibile portare avanti la tesi che Messi abbia insultato l’assistente se lo stesso non ha riportato niente nel momento stesso in cui l’episodio è avvenuto o, quanto meno, al termine della gara? Suona alquanto strano che egli sia stato “pesantemente insultato e ingiuriato” e non abbia agito di conseguenza. La tesi del giocatore è che le parole insultanti fossero «dette all’aria», come lui stesso ha dichiarato nel documento di spiegazioni che ha indirizzato alla Fifa dopo la squalifica. «L’assistente ha sentito le mie parole» continua Messi nel documento, «ma era talmente chiaro che non erano dirette alla sua persona (che quando mi sono avvicinato) abbiamo parlato in maniera amichevole». Chi ha pensato che Messi abbia diretto gli insulti all’assistente, invece che a se stesso o all’aria, è incorso nel più classico errore sul fatto penalistico (Per non voler pensare alla tesi del complotto). Chi meglio dell’eventuale soggetto passivo della condotta, vale a dire l’assistente di Ricci, poteva valutare se le parole offensive pronunciate dal calciatore erano destinate a lui o meno? Il fatto che dopo quelle parole l’assistente abbia conversato con Messi come se nulla fosse, e l’ulteriore fatto che non abbia riportato alcunché nel referto arbitrale, è di tutta evidenza che non sussiste alcuna condotta offensiva e/o ingiuriosa da parte del calciatore argentino, e che di conseguenza la sanzione della squalifica è stata inflitta in maniera errata, non sussistendo i requisiti e gli elementi costitutivi la condotta vietata dall’art 57 del Codice di Disciplina della Fifa. A maggior conforto della tesi dell’innocenza di Messi possiamo proporre anche un ragionamento a contrario. Vale a dire che ammettendo pure che la Pulga abbia voluto proprio ingiuriare l’assistente (cosa che come abbiamo visto non è), la fattispecie dell’ingiuria è a consumazione istantanea, e il momento consumativo si produce con la percezione dell’offesa da parte del soggetto passivo nel momento esatto in cui vengono pronunciate le frasi ingiuriose. Posto che l’eventuale soggetto passivo non ha sentito/capito/reputato offensive le parole del calciatore, viene a mancare un elemento costitutivo della condotta richiesta, vale a dire il bene giuridico che la norma tende a proteggere, ossia la percezione dell’offesa al decoro personale e all’onorabilità del soggetto. Anche in questo caso non saremmo in presenza di alcuna condotta sanzionabile.
Che il giocatore sia dunque finito sotto le maglie stritolatrici di un gioco di potere e politica calcistica è desumibile da una serie di circostanze che è ora necessario evidenziare. I rapporti tra Fifa e Afa (la Federazione argentina) sono ai minimi termini. Durante gli anni di confusione (ben 973 giorni) conseguente alla morte di Grandona, ultimo Presidente forte della Federazione, tra cui quasi un anno, esattamente 251 giorni, di commissariamento in cui le sorti dell’organismo calcistico argentino sono state tenute da un Comité de Regularización prima che venisse eletto nei giorni scorsi Claudio Tapia, i rapporti tra la Federazione argentina e la Fifa sono scesi sotto il limite di guardia proprio per l’incapacità del Paese sudamericano di dotarsi di una valido organo di gestione interno. Dopo anni di contrasti, con la nazionale argentina che naviga in acque non tranquille nella classifica del girone di qualificazione a Russia 2018, la squalifica del miglior giocatore del mondo è parsa quasi come una punizione creata ad arte per escludere l’Albiceleste dalla prossima competizione iridata.
Nella scarpa della Fifa, tuttavia, c’erano altri sassolini che probabilmente da Zurigo hanno deciso di togliersi. Messi può essere stato punito anche per lo “schiaffo” dato a Infantino e alla Fifa tutta per aver disertato il premio The Best, che da gennaio ha sostituito il Fifa-Pallone d’Oro. Una ripicca piuttosto infantile se fosse vera, ma tant’è!
Infine non bisogna dimenticarsi che la Federazione calcistica mondiale è reduce da stagioni di veleni e scandali che hanno travolto Blatter (e Platini) e che il nuovo management della Fifa, capeggiato da Gianni Infantino, è alla disperata ricerca di un nuovo candore per la Federazione. E quale migliore occasione che punire il più forte giocatore del mondo in maniera eccessivamente severa al fine da mostrare al mondo la correttezza, e limpidezza del nuovo corso? Come dire: “non si guarda in faccia a nessuno nella nuova Fifa”. Ragionamento del tutto sbagliato. L’immagine di una Federazione si ricostruisce pian piano attraverso comportamenti corretti, seri, adeguati, limpidi e cristallini, non certo a discapito di terzi estranei e innocenti. La rispettabilità, come la fiducia, si guadagnano con la serietà e il duro lavoro. Se così fosse, la Fifa avrebbe iniziato molto male questo suo percorso di recupero dell’immagine.