SAN LEWY, PATRONO DI BARCELONA A MESTALLA

Giuseppe Ortu Serra

Lewandowski dà la vittoria al Barça segnando in allungo in pieno recupero al Mestalla. 93° minuto dei 96 concessi; 0-0 il risultato; Raphinha, dal vertice destro dell’area di rigore, scodella un pallone profondo facendolo scendere tra il dischetto e la linea di porta. Lewandowski, che aveva seguito la traiettoria del pallone inserendosi alle spalle della difesa, si lancia famelico in spaccata volante deviando il pallone di quel tanto che basta per mettere fuori causa l’uscita disperata di Mamardashvili.

La partita può essere riassunta nella giocata finale della gara. Per il resto una prestazione molto deludente, una gara giocata con ritmi bassi al limite dell’irritante da una squadra lenta, calma, compassata, fastidiosamente scolastica. Pochi spunti tecnici di nota. Appena qualche numero da giocoliere fine a se stesso e ininfluente per le sorti dell’azione. Poche le occasioni da rete, ancor meno i tiri in porta. Una manovra né bella, né efficace, troppo elaborata, scontata e manierista. Purtroppo ci dobbiamo ripetere su questo aspetto, e, cosa grave, il difetto non viene corretto, ma persiste. Una squadra che mostra limiti enormi in attacco (con un Ferran capace perfino di cadere sul pallone a un passo dalla linea di porta calciandosi la palla sulla gamba di appoggio), a centrocampo e in difesa. Ma con un Lewandowski in più. Si capisce benissimo come e perché questa squadra sia stata eliminata dai gironi di Champions. Una squadra senza nerbo e carattere, che sembra che non si giochi nulla ad ogni gara, tranne, forse, il gelato alla fine dei 90 minuti.

Contro il Valencia, Xavi ha puntato su alcuni cambi rispetto alla partita contro il Bayern. Balde è tornato sul laterale destro, Jordi sul sinistro; In attacco Ansu è stato riproposto come extremo a sinistra. Con essi anche il cambio del modulo, il classico 4-3-3 con tre giocatori offensivi invece della versione proposta contro i tedeschi in Champions con quattro centrocampisti e solo due attaccanti.

Il Barça, nel primo tempo della partita ha avuto il possesso palla e le maggiori occasioni, ma è apparso, ancora una volta scolastico e lezioso. Appena tre i tiri pericolosi, con Ansu al 12′ a tu per tu con il portiere avversario (tentativo di scavetto e respinta dell’estremo difensore), De Jong al 27′ (tiro dal limite, largo) e Lewandowski, di testa, che ha colpito la base del palo. Per il resto una serie di cross alti in area che hanno fruttato alcune incornate di Ansu e Koundé terminate alte.

In generale, però, la squadra ha dato l’impressione di giochicchiare con svogliatezza, come nella circostanza dei tre passaggi consecutivi a Ter Stegen, nella stessa azione, nell’impostazione da centrocampo. Da rimarcare le occasioni che i blaugrana hanno avuto per calciare, preferendo però cercare un appoggio che non ha portato a nulla. Al terzo minuto, per esempio, quando recuperata palla in area avversaria per un errato disimpegno, De Jong, invece che calciare da posizione favorevole, ha cercato il passaggio di tacco per l’inserimento di Ansu, perdendo così l’occasione, e al 24′, quando sia Pedri che Dembélé avrebbero potuto calciare, preferendo invece ricercare strade complicate che si sono rivelate autentiche chimere.

La ripresa è stata ancor più noiosa della prima parte. Xavi, dopo aver perso per infortunio Eric sul finale dei primi 45′, sostituito da Marcos Alonso, ha cambiato l’attacco inserendo Raphinha e Ferran al posto di Dembe e Ansu. Modifiche anche per il reparto mediano, con Gavi per Busi che ha comportato lo spostamento di De Jong nel ruolo di pivote. Senza il capitano la squadra si è mossa meglio nel reparto nevralgico del campo, certamente con maggiore brio, anche se con scarsi benefici a livello di produzione offensiva.

Il Valencia di Gattuso ha fatto anche meno per la verità, cercando di chiudere i corridoi e ripartendo appena due volte con una certa pericolosità. In una circostanza (49′) con una rete annullata per tocco di mano; nella seconda, al 70′, con una ripartenza conclusasi con una non difficile parata di Ter Stegen.

Da segnalare l’ennesima prestazione nera di Ferran, messosi in evidenza, in negativo, in due circostanze. Nella prima quando, in occasione di una ripartenza, non ha servito Raphinha, solo all’ingresso dell’area di rigore a destra, preferendo perdere la palla in una azione personale. Nella seconda, invece, è andato in scena il suo dramma personale (ma anche del Barça), già descritto in precedenza, ossia quando è caduto come un sacco di patate sul pallone dopo essersi calciato il pallone sulla gamba sinistra nel goffo tentativo di tirare di destro. Solo la rete di Lewandowski ha salvato il Barça dal ridicolo e Ferran dalla lapidazione sulla pubblica via.

Il nuovo infortunio di Koundé, che ha dovuto lasciare il campo al 73′ (sostituito da Piqué, dovuto entrare in fretta e furia senza riscaldamento) ripropone i dubbi sul sistema di allenamento dell’equipe di Xavi. Troppi infortuni in serie, eccessivi anche per un inizio di stagione giocato con ritmi da catena di montaggio.

IL BARÇA È ENTRATO IN CAMPO ELIMINATO E NE È USCITO UMILIATO

Giuseppe Ortu Serra

Un Bayern che ha giocato sulle punte batte con facilità estrema un Barça derelitto nella mente, nel morale, nelle gambe, nel gioco. I tedeschi sono giunti al Camp Nou primi in classifica e con molti dei titolari fuori formazione. Il Barça ha giocato, invece, già da squadra eliminata. Il risultato è stato impietoso. Uno 0-3 realizzato quasi senza sudare la maglia da parte dei bavaresi. Di Mané al 9′, Choupo Moting al 30′, Pavard al 94′, le reti bavaresi.

Per il Barça è parsa una montagna da scalare a piedi nudi. Ciò che ha destato la maggiore preoccupazione è stata l’impotenza mostrata dal Barcelona contro una squadra che ha giocato con il minimo impegno. Un abisso impressionante tra le due formazioni che dimostra che la squadra di Xavi è anni luce distante da un top club europeo. I risultati sono qui a dimostrarlo. Una sola vittoria in Champions (contro il Viktoria Plsen), tre sconfitte (due contro il Bayern, con 5 reti a zero, e una contro l’Inter a Milano) e un pareggio (in casa contro i nerazzurri con tre reti subite). Come lo scorso anno, con Koeman in panchina, il Barça ha perso tutte le gare contro formazioni di una certa caratura.

Era la partita più difficile per il Barça quella di questa sera contro il Bayern. Appena estromesso dalla Champions dalla vittoria dell’Inter contro il Viktoria Plsen, il Barcelona ha dovuto affrontare una delle squadre più forti d’Europa. Con il morale a terra, la squadra avrebbe potuto reagire in due modi opposti e differenti. O con la rabbia di chi vuole spaccare il mondo e “far male” all’avversario, pallone o gambe per intenderci, con preferenza per le seconde, o con la depressione di chi necessita un trattamento da uno strizzacervelli. Tra l’Eros o il Thanatos, il Barça ha scelto il secondo.

Sin dal primo istante si è visto che la squadra mancava di voglia, di concentrazione, di serenità. Una partita che nessuno dei blaugrana avrebbe voluto giocare. Bastava guardarli negli occhi. Funerei, tristi, bastonati. Voglia di giocare una partita contro il Bayern? Ma non scherziamo! Altri giocatori, altre squadre, avrebbero giocato con il coltello tra i denti per… “fargliela vedere”. Il Barça no. Il Barça è una squadra timida, sensibile, umana. Una squadra costituita da giocatori che scappano, che hanno paura e si nascondono. In questi casi vorresti avere undici Vinnie Jones (attore ed ex giocatore di Premiership: Chelsea, Wimbledon, QPR), invece di undici timidi ragazzi che tolgono la gamba nei contrasti e si fanno bullizzare in campo. Il Barça avrebbe dovuto fare “sentire i tacchetti” all’avversario dal primo minuto. Invece è stato esattamente il contrario. È stato il Bayern a picchiare i giocatori blaugrana al Camp Nou! Con la complicità di un arbitro “amicone”. Sempre il Vinnie Jones di cui sopra una volta disse: “Vorresti Lineker o me accanto a te in trincea in guerra?

La prestazione di tutta la squadra è stata destabilizzante, oltreché imbarazzante. Tanti errori di concentrazione. Sopratutto Bellerin e Koundé avevano la testa altrove. Ma anche Busquets non ha certo mostrato animo da combattente. E che dire di Dembélé? Uno dei pochi che ha corso, certo, ma senza costrutto, a volte creando più confusione che altro. Buona volontà senza criterio. Non solo. Il Barça in 90′ non ha tirato una volta in porta. Come nelle peggiori partite di Koeman.

E il gioco? Il calcio è uno sport semplice: passaggio in verticale, stop e tiro. Se non calci in porta non segni; se non segni non vinci; se non vinci non conquisti trofei; senza trofei una squadra come il FC Barcelona non va lontano. I blaugrana, oggi, si sono persi in una infinità di passaggi fini a se stessi. Un gioco lento, lezioso, inutile al fine di ottenere un risultato. Preziosismi e accademia che possono andare bene quando stai vincendo 3 o 4-0, non quando stai perdendo e devi vincere contro un avversario più forte per dimostrare che la tua eliminazione è stata ingiusta. Contro i tedeschi, invece, Xavi e i suoi hanno dimostrato che la retrocessione in Europa League (se si vincerà lo spareggio, il che è tutto fuorché scontato giocando in questo modo) è normale, scontata, automatica.

Il Barcelona di Xavi ha perso 90′ nel cercare l’azione perfetta che non è mai arrivata. Di conseguenza non è mai arrivato un tiro in porta. Invece che verticalizzare, stoppare e tirare come ha fatto il Bayern, si è smarrito in una serie di colpi di tacco, tentativi di tunnel, triangolazioni che sembravano pensate da un incomprensibile algoritmo. Il Bayern ha intercettato palla, verticalizzato con un passaggio, ha stoppato, tirato e andato in goal. Facile facile, come il gioco del calcio. Per il Barça è invece tutto di una difficoltà incredibile. Questa è stata l’ennesima gara degli errori. Errori dei giocatori, errori di Xavi, come sta ormai capitando da qualche gara di troppo. Giocare in questa maniera non serve a niente, certamente non serve per vincere le partite. Serve concretezza, semplicità e pragmatismo se si vuole competere. Questo, Xavi e la squadra, lo devono capire.

Il Bayern è andato a nozze con questa situazione. Tre affondi e due goal nel primo tempo; quattro tiri, un goal regolare e uno annullato, nella ripresa. In tutte le segnature del Bayern la difesa blaugrana è stata trovata scoperta dalle verticalizzazioni dei tedeschi. Ogni volta che gli avversari sono ripartiti, pur giocando con il freno a mano tirato, la difesa azulgrana è, o andata in difficoltà, o è stata tagliata fuori con una facilità disarmante.

Quanto si era pensato su questa squadra ad inizio stagione è assolutamente da rivedere. Una formazione debole in difesa, nel modo di giocare, nella testa e personalità dei giocatori. Concetti più volte emersi anche nelle stagioni passate. Allo stato dell’arte il progetto Laporta-Xavi è ancora enormemente indietro rispetto a quanto si pensava che fosse. Molta acqua deve ancora passare sotto i ponti. Il progetto di costruzione della squadra necessita ancora di molto lavoro. Tutti devono cresce, nessuno escluso. A partire da Xavi, che per la prima volta si scontra con una realtà che forse non pensava che fosse così pesante e dura.

TRE PUNTI PER RIASSAPORARE SENSAZIONI POSITIVE IN VISTA DEL BAYERN

Giuseppe Ortu Serra

Il Barça raccoglie altri tre punti nella corsa alla Liga e si mantiene lesto alle spalle del Madrid. Un 4-0 contro l’Athletic di Valverde che non lascia spazio ad equivoci, a se o a ma. Gara in cui il principale protagonista è stato Dembélé, autore della rete che ha aperto la partita e dei tre assist che hanno sentenziato la sfida.

Nella seconda partita consecutiva al Camp Nou contro l’Athletic di Ernesto Valverde, il Barça era chiamato a confermare le ottime sensazioni mostrate contro il Villarreal. Stante la vicinanza dei due impegni, a distanza di tre giorni l’uno dall’altro, Xavi, come già annunciato in conferenza stampa, ha deciso per alcuni cambi nell’undici titolare. In difesa si è visto il ritorno di Eric (per Marcos) come centrale e Balde (per Jordi) nel laterale sinistro. A centrocampo si è visto nuovamente Busquets insieme a De Jong e Pedri. Gavi è stato spostato più avanti, tra le linee della formazione basca e dietro le due punte Lewandowski e Dembélé. I due attaccanti leggermente allargati per permettere gli inserimenti del fiammante Premio Kopa e Golden Boy 2022. Un delantero in meno, dunque, e un centrocampista in più nel 4-3-1-2 di Xavi.

È da subito stato un ottimo Barça, che ha subito confermato le sensazioni positive della sfida precedente. Sugli scudi Lewy, Dembélé e Balde, leggermente superiori agli altri ma in una scala in cui tutti hanno giocato vicino all’eccellenza. La formazione blaugrana è stata non solo bella da vedere e veloce nelle giocate, grazie alla rapidità di manovra e pensiero di De Jong (mai giocate banali le sue), ma anche cinica. 4 tiri in porta nei primi 45′ e tre reti. Le marcature sono giunte nell’arco di 10 minuti. Contro il Villareal erano stati 8. Questa squadra è come un maremoto che quando parte non si ferma e travolge tutto quanto trova al suo passaggio.

La prima rete è di Dembélé su assist di Lewy, che ha raccolto una respinta laterale di Unai Simon su conclusione dal limite di Dembélé per rimettere al centro e trovare il colpo di testa del francese che ha sbloccato la partita. 6 minuti ed è giunto il raddoppio. Azione iniziata da Roberto che ha scambiato in velocità con Dembélé e, giunto in area, ha calciato dritto per dritto verso la porta avversaria trovando una deviazione che ha mandato il pallone in fondo al sacco. Dal 2-0 al 3-0 è passato un attimo. Appena 4 minuti e Lewandowski si è ripetuto nella rete contro il Villareal. Goal splendido identico a quella dell’ultima gara. Dembélé per Lewy che con un tocco di interno ha fatto fare un cerchio di 180° al pallone necessario per girarsi lui stesso (dava le spalle alla porta al momento di ricevere palla) e calciare di prima verso la porta. una rete spettacolare identica a quella contro il submarino amarillo. 3-0 in 21 minuti.

Non solo note positive, però. Gavi, che stava giocando un’ottima partita ha subito un doppio brutto fallo davanti agli occhi di Martinez Munuera che, incomprensibilmente, ha lasciato correre. Il ragazzo, cinturato da un avversario che gli ha fatto perdere l’equilibrio, è stato poi murato in corsa da un altro giocatore basco che lo ha investito come un treno in piena corsa. Spallata sul volto e ginocchiata all’inguine. Come un cartone animato, Gavi si è letteralmente spalmato sull’avversario, appiattendosi come fosse il coniglio di Looney Tunes. Il Golden Boy è stramazzato al suolo dolorante, Martinez Munuera ha fatto ampi cenni di continuare a giocare. Il Camp Nou è scoppiato in una sonora bordata di fischi che ha richiamato l’arbitro e, al termine dell’azione, ha permesso i soccorsi al numero 30. Rimesso in piedi, sono passati uno, due minuti, ma Gavi ha dovuto alzare bandiera bianca. Impossibile proseguire a giocare. Xavi è stato costretto al cambio. Dentro Kessié, fatto giocare nella posizione avanzata di Gavi tra le linee. Il Barça, come colpito dall’uscita dal campo di Gavi, ha subito abbassato il ritmo, quasi come avesse perso l’entusiasmo e la gioia di giocare come stava facendo fino a quel momento.

Nella ripresa, dopo un palo colpito da Pedri sottoporta dopo un tentativo di rinvio della difesa di Valverde, Xavi ha deciso di far tirare il fiato ad alcuni dei suoi numeri uno. Fuori Lewy per Ansu, Pedri per Ferran, Koundé per Marcos Alonso. Con un centrocampista in meno ed un attaccante in più, il tecnico blaugrana ha riportato Kessié a centrocampo, ripresentando il classico 4-3-3, con Kessié, Busi e De Jong in mezzo al campo, e Dembélé, Ferran e Ansu in avanti.

Al 72′ è poi giunta anche la quarta rete. Autore Ferran, che ha sfruttato una bella imbucata in area di Dembélé (eccellente la sua gara) per stoppare in corsa, girarsi e calciare in porta. L’uscita bassa del portiere, che in una precedente occasione gli aveva respinto una conclusione simile, questa volta non è servita per evitare la marcatura.

C’è stato ancora il tempo per registrare un nuovo infortunio, questa volta ai danni di Sergi Roberto, probabile lussazione alla spalla, che ha portato ad un nuovo stravolgimento tattico. Con i cinque cambi effettuati, Xavi ha optato per spostare Kessié nella posizione di laterale destro e portare a termine così la gara. Sul finire di partita, all’88’ un errore nel disimpegno di Ter Stegen stava per costare la rete dell’Athletic, ma prima Eric e poi Marcos Alonso sono riusciti a salvare sulla linea le conclusioni a botta sicura dei giocatori dell’Athletic.

Tre punti d’oro, 6 nelle due partite, che sono un ottimo viatico per la sfida contro il Bayern di mercoledì. Potrà essere, quella, una partita dal sapore amaro e senza valore, ma in campo e in palio, ci sarà l’orgoglio della formazione blaugrana che vorrà mettere in chiaro che, se anche dovrà essere retrocessione in Europa League, questa sarà stata esclusivamente frutto di un calo fisico e di uno sbandamento coinciso proprio con le partite più importanti di questo inizio di stagione. Da questa doppia sfida di campionato la squadra ha fatto il pieno di fiducia, buone sensazioni e reti 7 contro zero subite e la convinzione che il periodo di stordimento è già alla spalle. Adesso sotto con il Bayern per mostrare che il Barça è sempre il Barça

TRE SILURI BLAUGRANA AFFONDANO IL SUBMARINO AMARILLO

Giuseppe Ortu Serra

Il Barça batte il Villareal a casa con una prima parte di gara al fulmicotone e con tre reti giunte nell’arco di 8 minuti. Di Lewy, doppietta, e Ansu i siluri che hanno affondato il submarino amarillo.

Per affrontare il Villareal, partita verità del Barça dopo la sconfitta nel Clásico, Xavi, come fatto presagire nella conferenza stampa del mercoledì, ha cambiato sostanzialmente l’undici che è sceso in campo al Camp Nou per la 10 giornata di Liga. I centrali difensivi Koundé e Marcos Alonso e i laterali Roberto e Jordi. Centrocampo con De Jong al posto di Busi; attacco con gli extremos Ferran e Ansu. Gli attaccanti erano stati anticipati dal nostro articolo di ieri sulla conferenza stampa del tecnico blaugrana.

I cambi non sono finiti qui. La modifica più importante è stata sopratutto mentale e di atteggiamento. Il Barça è entrato in cambio con una condotta totalmente differente rispetto alle ultime partite. Gioco veloce, come richiesto dal tecnico, tocchi di prima per far correre il pallone e non permettere alla difesa avversaria di accomodarsi dietro nell’attesa dell’arrivo dei blaugrana. Uno degli artefici di questa nuova modalità è stato De Jong. L’olandese, impiegato da pivote, ha permesso, con il suo gioco di prima e i cambi di fronte con il pallone, che la palla pervenisse agli extremos prima che gli stessi venissero affrontati in uno contro uno o raddoppiati. I laterali del submarino amarillo hanno dovuto sempre rincorrere Ferran da una parte e Ansu dall’altra, senza mai riuscire a coprire o chiudere sui blaugrana. L’azione rapida e verticale, che ha perso lo sterile e stucchevole giropalla lento, è stato supportato sia dagli interni, Pedri e Gavi, che dai laterali, che hanno potuto sostenere l’azione offensiva. I centrali difensivi hanno ben controllato l’eccellente lavoro di pressione e veloce recupero della palla operato dai reparti offensivo e mediano. Conseguentemente la difesa non ha praticamente mai rischiato. Non solo, Koundé si è reso utile anche nella fase di attacco con alcuni palloni ficcanti offerti agli attaccanti. Altra novità sono stati i tiri in porta da fuori e /o dal limite. Insomma, tutto ciò che non si era visto nelle ultime gare, dal dopo Bayern è stato condensato in questa sfida.

Le reti che hanno deciso la partita sono giunte tutte nel giro di otto minuti in cui Lewandowski ha fatto il Wunder-Robert e Ansu il suo. Il polacco si è esibito con una doppietta in quattro minuti. Al 30′ con una rete spettacolare. Ricevuta palla da Jordi dalla sinistra, dando spalle alla porta, il 9 ha stoppato di tacco a seguire per portarsi la palla fronte alla porta. Nel gesto ha mandato a vuoto due avversari e, giratosi di 180°, ha fulminato il tentativo di uscita bassa di Rulli. Una rete stupenda! “Oh, what a magnificent goal!” avrebbe urlato un commentatore britannico. Se Paganini “non ripeteva”, Lewy, invece, ama farlo. E così, dopo appena 4 minuti, è giunto il bis richiesto dal pubblico a gran voce. E da rockstar qual è, Robert si è esibito in un tiro dal limite di destro, in diagonale, che è andato a gonfiare la rete interna sul palo opposto. Altra ovazione, altro spettacolo, altro goal. Giusto il tempo di vedere uno dei rari tiri del Villareal, Yeremi Pino di testa, ed ecco che, dopo altri quattro minuti dal 2-0 è giunta la terza rete che ha chiuso la sfida. Questa volta è stato Ansu a realizzare, di tacco, ribadendo in rete un suo stesso tiro (su cross di Ferran) terminato sul palo, e che la dea bendata gli aveva riposizionato sui piedi.

Dal punto di vista delle individualità, tutti i giocatori sono stati ampiamente promossi, ma la menzione d’onore va a De Jong, Ansu e Lewandoski. De centrocampista abbiamo ampiamente detto. Possiamo solo aggiungere che da oggi possiamo dire: habemus pivote. Con le difficoltà di Busi e la freschezza atletica, mentale, tecnica del 21, oltre ad una capacità di partire palla al piede e tagliare in due gli schieramenti avversari e ad una visione di gioco lucida e cristallina, credo proprio che non ci sia assolutamente partita per assegnare la maglia da titolare del ruolo per le prossime gare. Ansu, finalmente titolare, da mostrato una voglia di giocare, una esuberanza atletica incredibile. Le prime 5 occasioni da rete della gara portano tutte la sua firma (2′, 9′, 19′, 21′, 22′). Una forza della natura. Oltre a loro due, menzione per Lewandowski, autore di una prestazione che va oltre le due reti. Ha lottato, costruito, duettato, mostrando di essere rientrato all’interno del gioco di squadra, o come avrebbe detto Jack Byrnes ne: Ti presento i miei, di “essere tornato all’interno del cerchio della fiducia”.

La ripresa è stato un esercizio di stile. Il Barça ha calato i ritmi di gioco, ma senza per ciò stesso addormentarsi come in altre circostanze. Il Barça ha gestito bene, senza arretrare e lasciare l’iniziativa al Villareal. Xavi ha operato diversi cambi e risparmiato alcuni dei giocatori top della gara. De Jong ha lasciato il campo a Busi a metà ripresa. Questo dovrà essere, lo speriamo vivamente, il canovaccio da qui al resto della stagione. Lewy ha ceduto il posto a Dembélé, e Ansu a Raphinha. Il tridente d’attacco è cambiato, così, con Dembélé, Ferran, Raphinha. Un’altra modifica tra gli undici in campo ha creato un po’ di scompiglio tra gli oltre 77 mila spettatori del Camp Nou. La sostituzione di Koundé con Piqué. l’ingresso sul terreno di gioco del centrale ha scatenato i fischi di gran parte del pubblico, che ancora non ha perdonato al numero 3 i due errori suicidi contro l’Inter che sono costati la virtuale eliminazione dalla Champions. Ad ogni in tocco di palla del capitano si sono scatenati i contestatori, presto rintuzzati dagli applausi delle colombe. Ne è nato così un siparietto all’interno della gara che ha permesso di rendere più viva l’ultima parte di una sfida che è andata via via scemando e che ha tenuto viva l’attenzione del pubblico.

LE PAROLE DI XAVI SULLA SITUAZIONE DEL BARÇA

Giuseppe Ortu Serra

La conferenza stampa di Xavi in vista della partita di domani è stata una fonte di titoli e di risposte agli appunti che abbiamo mosso all’allenatore blaugrana e alla squadra in questi ultimi giorni. È sembrata, meglio, una continua risposta ai nostri interrogativi. Abbiamo sempre sostenuto che, sopratutto nella sfida con il Madrid c’erano stati molti errori di squadra rispetto ad altre gare, come quella contro l’Inter, sentenziata da sbagli individuali di Piqué e Busquets. Xavi sul punto ci ha dato ragione, dichiarando che “Los problemas del Barça son errores de conjunto, de equipo, de estructura. De línea defensiva. Tenemos que ajustar varias cosas tácticas para atacar y defender mejor”.

Nelle ultime sfide, uno dei giocatori più criticati è stato Sergio Busquets, uscito nella foto dell’1-2 dell’Inter e nell’1-0 del Madrid. Parlando del giocatore Xavi è stato chiaro, sostenendo che “Busquets sigue siendo una plaza fundamental”, anche se non si è nascosto in merito a possibili cambi nel ruolo, avendo in rosa possibili alternative: “Tenemos alternativas en el pivote: Frenkie, Kessié, incluso un central”. Sempre a proposito di De Jong, Xavi è stato chiaro su quello che sono il suo ruolo e la sua posizione in campo: “Le veo más de interior, pero puede actuar todavía de pivote”, specificando la sua importanza all’interno dello scacchiere tattico della squadra. “Frenkie puede aportarnos mucho en la salida de balón y en la construcción de las jugadas”.

Negli ultimi giorni abbiamo parlato, e scritto, di una chiara involuzione nel gioco del Barça, concetto abbracciato anche dal tecnico: “Empezamos bien la temporada, pero agora no estamos tan bien como antes. Tenemos que ir paso a paso. Toca mejorar, ese es el camino hacia el éxito”.

In questo calo di prestazioni è centrale la flessione di alcuni giocatori (Dembélé e Raphinha), come anche riferitovi in settimana. Proprio a proposito dei due extremos Xavi ha detto che “Frente al Villareal haremos algún cambios. Hay jugadores que acumulan mucha fatiga”. Per l’allenatore azulgrana una chiave della minor contributo del brasiliano e del francese è dato dall’atteggiamento delle formazioni affrontate. “Los rivales nos están haciendo muchas coberturas”. Se dunque gli avversari hanno ormai preso le misure al gioco dei due extremos, è necessario trovare delle alternative a questo modo di attaccare. È lo stesso Xavi a darci degli indizi su come si potrà ovviare a questa situazione. “Tenemos que circular más rapido el balón para que los extremos reciban en igualidad numérica e intenten desequilibrar”. Rapidità nella circolazione della palla, verticalità, imprevedibilità. Evitare, in sostanza, che gli avversari abbiano il tempo di piazzarsi dietro, chiudere le linee di passaggio e raddoppiare sugli extremos. Tutto quanto avevamo riportato nel corso delle ultime gare disputate.

Detto che contro il Villareal ci saranno dei cambi per il calo di forma di alcuni giocatori dovuto alla fatica accumulata, uno degli indizi propende per dare la maglia da titolare ad Ansu (“Está buy bien. El otro dia salió buy bien, participió en el gol y tuvo la ocasión del empate. Participará seguro. Va a ser importante”). Forse anche Ferran avrà l’occasione di partire dall’inizio.

La domanda chiave è la classica “come si esce da questa situazione?”. Xavi ha la sua ricetta: “Ganando, entrando bien, siendo positivos, haciendo un gran partido. Esta es la manera de cambiar la dinámica. Anímicamente el equipo está bien. A pesar de la derrota frente el Madrid, el equipo está solo tres puntos por detrás. La temporada va a ser muy larga”.

Positività necessaria per rasserenare l’ambiente, riportare la calma e riprendere il filo con la vittoria. Nonostante il momento difficile i programmi non cambiano: “El objetivo por el final de la temporada es ganar títulos. El club ha hecho un esfuerzo por intentar ganarlos”. Senza dimenticare che, in caso di necessità, c’è sempre il ricorso al mercato invernale (sia in entrata che in uscita). “Hay un mercado de invierno y el Barça tiene que trabajar en él”.

La pressione, sopratutto per un club come il Barça è sempre massima. Xavi lo sa benissimo, conoscendo alla perfezione l’ambiente. “En el Barça no hay años de transición. Estamos obligados a competir. Si no se consiguen los éxitos habrá consecuencias. También para mi. No quiero buscar excusas. Somos todos culpables, desde el entrenador hasta los jugadores”.

C’ERA UNA VOLTA IL CLÁSICO

Giuseppe Ortu Serra

C’era una volta il Clásico, una partita che catalizzava l’attenzione del mondo. Tutto il pianeta calcistico si fermava, si metteva davanti ai teleschermi per vedere l’epica sfida. C’era un tempo in cui il Barça-Madrid/Madrid-Barça era lo scontro tra titani. Lo stereotipo del Calcio. I migliori giocatori erano lì, inseriti nelle due squadre. Tante storie di rivalità storiche che venivano non solo celebrate, ma rinverdite dalle sfide dirette di giocatori stellari che magari nulla sapevano delle origini della sfida, degli anni ’30, della guerra civile, della verguenza de Chamartín. Era una sfida dentro la sfida. Erano duelli all’arma bianca quelli tra Messi contro Ronaldo, Ramos contro Xavi e Iniesta, o Rakitic e Busquets; Puyol contro Raul. Erano sfide tirate fino al massimo possibile con un gioco spettacolare in cui si giocava molto più dei tre punti. Giocatori tecnici e cattivi, che non si tiravano mai indietro. Non è mai stata una partita banale o fine a se stessa il Clásico. Dal campo si usciva senza più forze o energie, sfiancati da una battaglia di grandi giocate e interventi al limite e oltre. Messi sanguinante dal labbro per una gomitata di Marcelo, i giochi sporchi di Pepe, la cavalcata di Ronaldinho con il Bernabeu tutto in piedi all’unisono, la numero 10 di Leo esposta ai madridisti come il Manifesto della superiorità tecnica sulla forza agonistica. Quando si giocava il Clásico, tutti erano sintonizzati su quelle frequenze.

Il Clásico di domenica non ha fatto vedere nulla di tutto questo. Una partita comune, triste, grigia, sia da parte dei vincitori che degli sconfitti. Una partita come tante altre, peggiore di tante altre. Nulla delle epiche sfide tra Barça e Madrid si è visto in campo. Né voglia, né animosità, né carattere, né giocate, né agonismo. Il Barça ha manifestato la sua impotenza; il Madrid ha giocato a tocchetti in maniera stanca come si si trattasse di una stupida partita che ti trovi tra capo e collo prima di una sfida importante. Tutto è stato triste domenica.

Ancora di più perché il caso ci ha messo lo zampino e ha proposto un confronto tosto, vero. Il Dio del calcio ha voluto che lo stesso giorno fosse in programma Liverpool-City, partita tirata, spettacolare, ricca di giocate e giocatori monumentali. Due squadre che si sono date battaglia dal primo all’ultimo minuto, che hanno competuto al massimo delle loro capacità tecniche e fisiche. Il confronto tra le due partite è stato impietoso. Liverpool-City è stato uno spettacolo; Madrid-Barça una noia mortale, una partita brutta da mandare nel dimenticatoio al più presto.

Il confronto imbarazzante tra le due partite di cartello de La Liga e della Premier ha messo in evidenza il passare del tempo. Da una parte la storia raccontata attraverso pagine ormai ingiallita e macchiate dall’umidità, dall’altra la nuova era che avanza in maniera prepotente e irrefrenabile. I ruoli si sono definitivamente invertiti tra Liga e Premier. Il calcio spagnolo non è più ai livelli di un tempo, sorpassato, soppiantato, surclassato dalla Premier. I migliori giocatori non giocano più da noi, adesso giocano in Inghilterra. Chi ha iniziato a guardare il Clásico alle 16:15, è passato, tranne i tifosi delle due squadre, al Liverpool-City in programma alle 17:30 per godersi lo spettacolo. C’era un tempo in cui da tutto il mondo guardavano al Clásico come alla luce che schiariva il buio della barbarie calcistica. Quel tempo non c’è più ormai. La luce ormai rischiara da oltre manica

I PROBLEMI CHE ATTANAGLIANO IL BARÇA

Giuseppe Ortu Serra

Il Barça è in una fase di preoccupante stanca che dura da dopo il parón de las selecciones. Fino ad allora avevamo visto una squadra brillante, con un gioco veloce, sicuro, efficace; un bel gioco che esaltava le qualità di Robert Lewandowski, il cui ambientamento e inserimento ci aveva lasciati stupefatti. Con il gioco e le prestazioni stavano arrivando anche i risultati. Eccetto l’inciampo alla prima giornata in casa contro il Rayo, per il resto erano state solo vittorie, peraltro nette ed indiscutibili.

Con l’arrivo della pausa per le nazionali e i primi infortuni tutto è cambiato. Non stiamo qui a dire che le lesioni sono state determinanti. Hanno certamente interrotto il processo di crescita e reso la difesa meno sicuro, questo sì. Ma da quel momento abbiamo assistito a qualcos’altro. Il Barça del dopo pausa nazionali è una squadra totalmente diversa, opposta a quella esuberante e ilusionante della prima parte di stagione. A cominciare dal suo attaccante principe, quel Robert Lewandowski prima perno di ogni azione, ed ora abbandonato a se stesso e isolato dalla manovra della squadra.

La sconfitta di Monaco è stato il primo schiaffo e il Barça ha iniziato a girare come una trottola per non smettere più. Da quel momento è iniziata una nuova fase. Squadra sempre più timida, paurosa, incerta, irriconoscibile. Errori nei passaggi, nei movimenti, lentezza del giropalla, perdita della capacità di pressare alto. Via via la squadra ha tirato in porta sempre meno. E non solo contro le grandi. Anche in casa contro il Celta, o in trasferta contro il Mallorca, il Barça ha tentennato e tirato poco in porta e mai da fuori. Nel Clásico è stata di Ansu la prima conclusione da fuori, giunta al 77′, dopo poco il suo ingresso in campo.

È come se la sconfitta di Monaco abbia fatto perdere di colpo tutte le certezze fino a quel momento acquisite. Certezze di facciata, di carta, di argilla si potrebbero definire, data la velocità con la quale si sono dissolte e disciolte. Da quel momento solo una vittoria sicura, il 3-0 casalingo contro l’Elche. Poi una serie di vittorie risicate e, sopratutto, sofferte. Lo 0-1 di Mallorca e l’1-0 contro il Celta, con i galiziani che avrebbero certamente meritato il pari. E i rovesci europei: sconfitta a Milano contro una squadra che aveva appena perso contro la Roma e che aveva vinto la metà delle gare fino a quel momento disputate in Serie A; pareggio-sconfitta in casa contro la stessa formazione nerazzurra e capace di segnare tre reti – tre – al Camp Nou; altra sconfitta a Madrid contro un avversario che ha giocato quasi per il minimo sindacale.

Le regioni di questa metamorfosi? Difficile a dirsi, altrimenti, a saperlo, Xavi vi avrebbe già posto rimedio. Alcuni giocatori sono calati nel rendimento e nella forma fisica. Raphinha su tutti, ma anche Dembélé è meno esplosivo e imprevedibile di quello di inizio stagione. Di Busquets non se ne parli. Piqué non avrebbe neanche dovuto giocare in questa stagione. Nel Clásico abbiamo visto, tuttavia, un ulteriore passo indietro rispetto agli altri incontri. Se contro l’Inter la sconfitta è stata dettata da errori puramente individuali, contro il Madrid abbiamo visto errori di squadra, di collettivo, errori tattici gravi. I due goal subiti hanno visto la squadra spaccata in due tronconi, con la difesa eccessivamente schiacciata in area (sopratutto nella rete di Valverde) e il resto della squadra pigro e lento nel rientrare. E così le seconde palle sono state preda dei blancos senza alcun contrasto da parte dei centrocampisti. Nella rete del raddoppio, Pedri non era ancora arrivato su Valverde quando l’uruguaiano aveva già calciato. Errori imperdonabili! Errori di tutti, della squadra e di Xavi. Come gli errori nell’allestimento della formazione iniziale, con quel Sergi Roberto vs Vinicius, azzardato sin dall’ufficializzazione delle formazioni, che è costato quanto meno il primo goal, o l’ingresso di Ansu solo al 72′.

Sembra quasi che la squadra non risponda più agli stimoli dell’allenatore. Predica un tipo di calcio che il gruppo non sembra più in grado di applicare. Verticalità, gioco veloce, imprevedibilità, tiri da fuori. La squadra non fa più nulla di tutto questo. Come se l’allenatore non abbia più la squadra in mano. Il tecnico nei dopo partita parla sempre di delusione del risultato, della squadra, dei singoli giocatori. Anche questo non un bel segnale. Un po’ di autocritica non farebbe male.

Adesso arrivano due incontri nel giro di pochi giorni. Giovedì sarà di scena il Villareal al Camp Nou. Buono il suo rendimento in Europa, ma incostante il cammino in Liga. Ieri ha sconfitto l’Osasuna a La Ceramica, ma viene da due pareggi e due sconfitte nelle precedenti 4. Domenica, dopo tre giorni, sarà il turno dell’Athletic a fare visita ai blaugrana a Barcelona. Due partite da vincere obbligatoriamente attraverso prestazioni convincenti che dimostrino che si è iniziata la risalita della squadra. Il calendario, pur nella pressante necessità di arrivare a giocare un Mondiale a metà stagione per ripagare e ingraziarsi alla maniera mediorientale Al, stravolgendo il meticoloso e abitudinario lavoro di squadre e staff tecnici (preparazione fisica inclusa), dà una mano ai blaugrana presentando due incontri casalinghi consecutivi. Dopo Villareal e Athletic, con una pausa di appena tre giorni (giusto il tempo di tirare il fiato), ci sarà lo scontro con il Bayern. Alle 21:00, ora del calcio d’inizio, il Barça potrà essere matematicamente fuori dalla Champions (l’Inter gioca contro il Viktoria Plsen nel tardo pomeriggio) e in quel caso bisognerà giocare per il nome, l’immagine, l’onore (e perché no?, per evidenziare che il peggio è passato e che la sconfitta dell’andata era stata frutto del caso), oppure, in caso di risultato dei cechi a Milano, sarà caricato a molla in cerca dell’impresa.

La marea blaugrana che ha travolto Parigi in occasione della celebrazione del Pallone d’Oro, con i trofei consegnati a Gavi, Lewandowski e Alexia, potrebbe aver ridato entusiasmo e serenità ad un ambiente intristito e depresso e fungere da trampolino di lancio per invertire la rotta.

IL BARçA CADE ANCHE NEL CLÁSICO. NUOVA SCONFITTA CONTRO UNA GRANDE

Passió Barça

Giuseppe Ortu Serra

Il Madrid si aggiudica il Clásico con il minimo sforzo. un 3-1 che fa male per come è maturato (il Madrid non ha faticato mai nei 90 minuti) e perché si somma ai rovesci contro Bayern e Inter. Ormai non è più un caso. Il Barça di Xavi è malato e bisogna trovare la cura al più presto prima che la situazione precipiti.

Il Barça ha affrontato il Madrid in un primo tempo in cui ha tenuto palla e le redini del gioco, ma ha chiuso i primi 45 minuti sotto di due reti. Xavi ha approntato un undici titolare con Roberto, il recuperato Koundé , Eric e Balde in difesa. De Jong, al posto di Gavi, Busi e Pedri a centrocampo. Raphinha, Lewy e Dembélé in avanti. Sin dal principio la scelta di Roberto a guardia di Vinicius, il velocista blanco, è apparsa azzardata. La prima…

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IL BARçA CADE ANCHE NEL CLÁSICO. NUOVA SCONFITTA CONTRO UNA GRANDE

Giuseppe Ortu Serra

Il Madrid si aggiudica il Clásico con il minimo sforzo. un 3-1 che fa male per come è maturato (il Madrid non ha faticato mai nei 90 minuti) e perché si somma ai rovesci contro Bayern e Inter. Ormai non è più un caso. Il Barça di Xavi è malato e bisogna trovare la cura al più presto prima che la situazione precipiti.

Il Barça ha affrontato il Madrid in un primo tempo in cui ha tenuto palla e le redini del gioco, ma ha chiuso i primi 45 minuti sotto di due reti. Xavi ha approntato un undici titolare con Roberto, il recuperato Koundé , Eric e Balde in difesa. De Jong, al posto di Gavi, Busi e Pedri a centrocampo. Raphinha, Lewy e Dembélé in avanti. Sin dal principio la scelta di Roberto a guardia di Vinicius, il velocista blanco, è apparsa azzardata. La prima rete del Madrid, infatti, è partita proprio per la differente velocità tra i due giocatori. Roberto ha seguito il 20 blanco fino a centrocampo, ma nel momento di girarsi e scattare in avanti, Vinicius ha mostrato le doti di scattista e velocista. Il 20 blaugrana è rimasto indietro e non ha più avuto chance di acciuffarlo. Sul tiro in porta Ter Stegen è riuscito a respingere, ma sulla ribattuta Benzema ha avuto la possibilità di stoppare e colpire il portiere avversario. Il centrocampo blaugrana è rimasto passivo nell’azione del Madrid e non è rientrato, permettendo all’attaccante francese di avventarsi da solo sulla seconda palla e di ribattere in porta.

Anche nella seconda rete dei padroni di casa il centrocampo del Barça è colpevole di mancato recupero delle posizioni difensive. La seconda rete è molto simile della prima. Anche in questo caso Valverde ha potuto calciare dal limite in assoluta tranquillità. Sulla ripartenza del Madrid la squadra si è schiacciata troppo in area di rigore permettendo a Valverde, complice la lentezza dei centrocampisti (Pedri per esempio), di tirare in porta in solitaria. Errori clamorosi che non si possono fare in partite così importanti e con avversari scaltri e forti come i blancos. In occasione delle due marcature la squadra di Xavi si è trovata spaccata in due. Difesa da una parte, centrocampo e attacco dall’altra, con i due tronconi totalmente separati.

La ripresa si è aperta con una rete annullata a Benzema per fuorigioco, ma in ogni caso anche qui l’attaccante ha avuto tutto lo spazio per calciare in porta senza che nessuno gli uscisse contro per chiudergli la conclusione. Il Madrid ha continuato a giocare in scioltezza, il Barça è apparso nuovamente impalpabile, in avanti e in ogni zona del campo. Se non tiri mai in porta risulta difficile segnare. In questa fase di gara i blaugrana sono sempre arrivati in ritardo e fuori tempo sulla palla e sui contrasti, oltre a mostrare una pericolosità perdita delle distanze tra i giocatori.

Nella saga degli errori è da menzionare la solita attuazione sconcertante dell’arbitro. Sanchez Martinez ha fischiato tutto ciò che c’era, e anche ciò che non c’era, a favore del Madrid, mentre non ha sanzionato nemmeno i più semplici falli commessi dai blancos, non vedendo nemmeno un evidente calcio di rigore per una chiara spinta di Carvajal ai danni di Lewy che lo aveva sopravanzato nella posizione. Decisioni uguali giudicate diversamente (sbracciata sul volto ai danni di Lewy, regolare; manata lieve in campo opposto, punizione).

Incomprensibili alcuni cambi di Xavi nel corso della gara. Fuori Balde (59′) mantenendo in campo Roberto per esempio, con il 28 che aveva recuperato il doppio dei palloni del numero 20 oltre ad offrire la corsa che il compagno non poteva. Altri azzeccati anche se tardivi, come l’ingresso di Ansu per Dembélé (solo al 72′). Il 10 ha animato la squadra in chiave offensiva, anche se bisogna essere onesti, il Madrid aveva già da tempo iniziato a controllare la gara. Ansu, però, quanto meno ha dato coraggio ai compagni, svegliandoli da un profondo torpore che ne aveva contraddistinto tutta la ripresa. È suo, peraltro, il primo tiro in porta dei blaugrana. Giunto solo al 77′. Un po’ pochino per pensare di segnare. Il Barça, a quel punto, si è gettato in avanti a testa bassa. Lewandowski e Gavi hanno minacciato la porta di Lunin. Pochi minuti ed è giunta la rete dell’1-2. Azione a sinistra di Ansu, cross in mezzo, Lewy aggiusta di tacco per Ferran che da due passi infila la palla che dimezza lo svantaggio. Il Barça ha iniziato a crederci davvero e ha continuato a pressare, sforando la rete del pari all’86’, ancora con Ansu autore di una pregevole, quanto sfortunata, girata volante.

Ma ancora una volta non si erano fatti i conti con la fatalità, gli errori della squadra e il metro di giudizio a due facce della squadra arbitrale. Passava il 91° minuto quando il Madrid è partito in contropiede. La squadra è stata presa d’infilata, trovandosi esposta e scoperta. Imbucata in area e Eric, come contro l’Inter con Lautaro, è stato mandato al bar. Questa volta da Rodrygo, che lo ha saltato con un facile dribbling. Il difensore nel tentativo di intervenire ha pestato il piede dell’avversario finendo a terra in piena area di rigore. L’arbitro ha fatto proseguire, salvo poi essere richiamato dal Var. On field review e penalty. È stato lo stesso Rodrygo a trasformarlo nella rete del 3-1 finale. Rigore indiscutibile è da dire. Ma è altrettanto da sottolineare che quando ad inizio ripresa è stato commesso fallo da rigore su Lewandowsky, arbitro e Var hanno fatto spallucce. Il discorso non è lamentarsi degli arbitri o fare i vittimasti. Lungi da noi ricorrere a simili giochetti. Chi si lamenta degli arbitri in genere è un perdente. Ma è da segnalare che se in gare equilibrate vengono costantemente violate le regole da parte sia degli avversari che degli arbitri sempre e solo a senso unico, si alterano le forze in gioco. Se ad una formazione gli si fischia sempre contro e mai a favore; se non si concedono i calci di rigore che ci sono, mentre si concedono quelli che vanno a favore degli altri, così si violano le fondamenta dello sport e delle regole gentilizie del calcio, quelle che prevedono che tutti partano ad armi pari e che ci sia un giudice terzo e imparziale che applichi il regolamento con lo stesso metro di giudizio ai due contendenti in gioco. Se ad uno è consentito fare tutto, anche se va contro le regole, e l’altro è violato nei suoi diritti di base, tanto da essere costantemente bloccato in maniera irregolare senza sanzione per l’avversario, non sussiste più motivo per continuare a competere. Giocare sempre contro 11 più arbitri, più Var non è più possibile. E ciò al di là delle mancanze del Barça, sia in campo che in panchina.

Questa sconfitta pone seri dubbi sulla direzione che sta prendendo la squadra e la sua evoluzione. Iniziata bene, la stagione sta prendendo una china pericolosa dalla quale non si vede una luce alla quale aggrapparsi per sperare in una risalita. La squadra appare disunita e stanca, senza idee. Una involuzione a livello di prestazioni individuali e collettiva evidente. Una caduta nella qualità del gioco impressionante. La squadra appare fragile, lunga, spezzata in due, frastornata e imprecisa. E sopratutto, non tira in porta. Xavi avrà molto da lavorare per cambiare il trend da territorio negativo nel quale la squadra è piombata. Dopo Bayern e Inter, la sconfitta del Madrid evidenzia una triste costante già vista nelle stagioni passate. Con le formazione forti il Barça non solo non vince, ma va incontro a chiare sconfitte.

PIQUÉ, BUSI E GLI ALTRI

Giuseppe Ortu Serra

La partita di ieri contro l’Inter ha chiaramente sentenziato alcuni giocatori. Sentenza ormai passata in giudicato. Granitica, inamovibile. Come lo sono i giudizi sui giocatori peggiori della gara, i responsabili del tracollo in Champions. È inutile avere un attacco con un grande Lewandowski (ci dispiace per lui), autore di una doppietta, più un ottimo Dembélé, se dietro sabotano come e meglio delle spie infiltrate oltre le linee nemiche e fanno una tripletta a favore dell’avversario. Vedere Piqué, ieri, che ballava come un derviscio con quelle braccia larghe (mancavano solo le giravolte su se stesso e sarebbe stata una esibizione di danza perfetta) e lasciava passare quel pallone – “tanto non c’è nessuno alle mie spalle” – è stato qualcosa di sconvolgente. Sarebbe da dire comico e ridicolo se non si parlasse della realtà blaugrana. Una cosa del genere non si era mai vista in un campo di calcio serio, in una competizione seria. A farlo il sabato pomeriggio giocando con gli amici si verrebbe presi in giro a vita, con la macchia nera di non essere mai scelti quando si compongono le squadre. Farlo in una partita decisiva di Champions League ha del grottesco. Non contento, Gerard ha deciso di ripetersi in occasione della terza marcatura interista. Un “Quell’avversario laggiù è solo. Ma vuoi che la palla arrivi proprio a lui? Che senso ha spostarmi fin là?”, che è costato alla squadra l’eliminazione, al momento solo virtuale, dalla Champions. Un giocatore del genere, se avesse solo un po’ di vergogna di se stesso, dovrebbe ritirarsi dal calcio giocato oggi e emigrare a Timbuctù.

E che dire di Busquets? Un altro che, ormai stanco per l’età e le tante stagioni sulle gambe e nella testa, non riesce a reggere più di un tempo in un calcio con tanti impegni ravvicinati. Come farà il buon Busi al Mondiale proprio non si sa. Perdere quel pallone a centrocampo con la squadra ormai in uscita è stata una mazzata. Un uno-due in 12 minuti della premiata ditta Piqué-Busi che ha tagliato le gambe alla squadra. E meno male che c’era Lewa, prima doppietta per lui con la maglia del Barça e 5 reti in 4 partite, altrimenti staremo qui a parlare di una umiliante sconfitta. Ringraziamenti da estendere anche a Ter Stegen, autore di alcune parate eccezionali, tra le quali una anche su fuoco amico per una avventata deviazione di spalla di… Piqué (e chi altri?).

Piqué e Busi sono sfiancati ormai dall’età e dalle troppe stagioni ad altissimi livelli. Per loro è tempo di pensionamento. In estate devono essere salutati con onori per il loro passato (meno per il presente) con un arrivederci e grazie. Grazie per quanto avete fatto e dato, ma l’avventura al Barça è durata una/due stagioni di più. Questa loro prestazione, manco a farlo apposta, è giunta proprio dopo le parole di Alemany su quanto alcuni giocatori pesano a livello economico e di ingaggio. Un costo enorme da una parte, con dall’altra la prestazione di ieri.

Se Busi e Piqué hanno dalla loro la carta d’identità a giustificarli in qualche modo, che dire di Ferran? Ha appena 22 anni. Il ragazzo soffre forse la pressione, il grande palcoscenico, il peso della maglia. Non è né il primo né sarà l’ultimo. Altri giocatori hanno avuto necessità di trovarsi un ambiente più piccolo per emergere. La luce dei riflettori non fa per tutti. “Rovina la pelle di una ragazza” disse Holly Golightly in Colazione da Tiffany. In questo caso rovina la pelle di Ferran e il suo futuro, oltre che il Barça stesso. È lo stesso discorso già fatto tante volte per Depay. Scendendo di livello, anche Ferran troverà la sua dimensione. Ma certo che sarà lontano dal Barça. Entrato al posto di Gavi all’82’ per dare… verve?, goal?, tiri in porta?, assist?, il molto ex City si è fatto notare solo al momento della sostituzione. Poi l’oblio.

Il giardino di Can Barça necessita di molte cure straordinarie. Servono molti tagli. Troppi alberi hanno rami ormai secchi che devono essere potati per la salute stessa dell’arbusto. Questa sarà, speriamolo davvero, l’estate degli addii. Piqué, Busi, Ferran, Jordi, Depay, De Jong devono essere obbligatoriamente salutati. Il Barça non è una RSA, o un ente assistenziale in genere, ma una squadra di calcio.