VERSO L’ORA ZERO. DIARIO DI UN DISASTRO

Giuseppe Ortu Serra

Il pareggio del Barça in casa contro l’Inter, praticamente una sconfitta, e la virtuale retrocessione in Europa League per il secondo anno consecutivo (non accadeva dalla fine degli anni ’90 che il Barça non venisse eliminato due volte di seguito dai gironi di Champions: 97-98 e 98-99. Record negativo eguagliato) è un vero disastro economico e sportivo. Ma si sa, i disastri non arrivano mai da soli e non accadono mai all’improvviso. Il Barcelona è arrivato al minuto 97 di Barça – Inter attraverso un lungo percorso. Una serie di accadimenti di per se stessi non decisivi, ma che, messi insieme l’uno all’altro, hanno fatto precipitare la squadra, in maniera inesorabile, verso l’evento di ieri notte. Una serie di fatti, come le molliche di Pollicino, che messe in fila una dopo l’altra hanno portato a segnare la strada del destino verso un finale che nessuno si sarebbe mai sognato neanche solo di pensare, figuriamoci di scrivere. La longa manus del fato, del destino, ha fatto scivolare il Barça, ieri, verso la sua Ora Zero, che corrisponde al 97° minuto di gara, momento in cui l’arbitro Marciniak ha decretato la fine della gara con il suo triplice fischio.

La disfatta, il fallimento per meglio dire, inizia con il doppio infortunio dei centrali difensivi Araujo e Koundé in nazionale. L’infortunio di Araujo, al primo minuto di una inutile amichevole, Iran – Uruguay giocata in Austria il 23 settembre, ha costretto il giocatore a sottoporsi ad intervento chirurgico e a saltare tutta la prima parte di stagione, con un ritorno in campo fissato per il 2023. Idem dicasi di Koundé, infortunatosi al 23′ di Francia – Austria, partita di Nation League disputata il 22 settembre. Anche per il centrale francese uno stop lungo, con tempi di recupero che potrebbero coincidere con il Clásico di domenica prossima. Non solo, durante Inter – Barça della settimana scorsa, nel corso di un contrasto di gioco, si è infortunato anche Christensen, altro centrale difensivo. Conclusione, dei 5 centrali di cui disponeva Xavi, si sono salvati appena in due: Eric, che al massimo può fare la panchina in una formazione top class, e Piqué. Nel suo caso, invece, il suo ruolo è, al massimo, lo spettatore in tribuna al Camp Nou. Con la coppia Araujo – Koundé disponibile non avrebbe mai giocato Piqué, senza il quale non si sarebbe mai arrivati né alla rete dell’uno a uno, né a quella del due a tre. Con la coppia titolare in campo, o con almeno uno dei tre, inserendo nel calderone anche Christensen, quella palla non sarebbe mai passata perché intercettata dalla contraerea e spazzata via. Quello è stato il primo, ma fondamentale errore, che ha portato ad una concatenazione di altri svarioni. Non ultimo quello di Busi, che al massimo può giocare un tempo, con una squadra sbilanciata perché costretta a rischiare per ribaltare la situazione.

Non solo. A seguire tutte le concatenazioni di fatti che hanno portato all’Ora Zero del Barça, troviamo strada facendo anche gli errori arbitrali, che vanno contati e inseriti nel contesto. Di per se stessi non decisivi, ma sì se considerati nello sguardo d’insieme. L’evidente e chiaro fallo subito in area da Dembélé a Monaco di Baviera contro il Bayern sul risultato di 0-0 nei primi 45 minuti avrebbe potuto cambiare totalmente la partita e il risultato finale, portando nel carniere del Barça dei punti che avrebbero modificato l’asfittica classifica attuale. Ma è sopratutto il mancato rigore di Milano, al 92′ di una partita terminata con la sconfitta della formazione di Xavi che pesa come un macigno. Quella stoppata cestistica di Dumfries ad anticipare il tiro di Ansu sarebbe valso il rigore del pareggio. Risultato che avrebbe consentito ai blaugrana, unito al 3-3 di ieri, di mantenere la seconda posizione davanti alla formazione nerazzurra.

Vedete come cambiano totalmente le cose se viste nel loro insieme? Nessuno di quei fatti, da solo, è di per sé decisivo. Ma se uniti in un unico disegno, portano, inevitabilmente a precipitare la storia verso quel 97° minuto che costituisce per il Barça la sua Ora Zero. Sembra il disegno del destino, del fato, come quando una serie di apparentemente inutili e ridicoli ritardi o contrattempi (la macchinetta del caffè che si inceppa, una telefonata che ti blocca sulla porta di casa, l’ascensore occupato) fa sì che una persona si trovi ad attraversare la strada proprio nel momento sbagliato. Sarebbe bastata una frazione di secondo in più o in meno. Come, per il Barça, sarebbe bastato che solo uno dei fatti descritti non si accumulasse agli altri per aver avuto, ieri, un esito diverso.

Piqué e Busi condannano il Barça alla Europa League

Giuseppe Ortu Serra

Due Iceberg di nome Piqué e Busquets squarciano la fiancata della Barça blaugrana e la mandano a picco. Il Barcelona pareggia in casa per 3-3 sabotato dalle sciagurate giocate dei due veterani e lo condannano presumibilmente ad un’altra triste e fallimentare stagione di Europa League.

Xavi ha schierato l’11 migliore per affrontare la finale contro l’Inter, partita da vincere a tutti i costi, mandando in campo tutto ciò che aveva a disposizione. Nessuna scelta azzardata o sporadica. In campo i più esperti. La risposta è stata quella sperata. Il Barça ha giocato con il piglio giusto davanti ad un Camp Nou pieno che ha spinto la squadra son dal primo minuto. L’Inter, come preventivato, si è messa dietro, con una linea difensiva che in certi momenti è arrivata fino a sei uomini. Il piano della formazione italiana era chiaro: difesa ad oltranza, contropiede fulminei all’occasione e perdita di tempo professionale. Onana, portiere dei nerazzurri, ha iniziato con le manfrine ostruzionistiche sin dai primi minuti, come se si trovasse intorno al novantesimo. Ogni rimessa laterale e fallo a favore degli ospiti si è rivelato una occasione per perdere almeno 30” ogni volta. Il pubblico si è opposto sin dall’inizio, l’arbitro, invece, ha lasciato andare.

Il Barça ha chiarito subito che la musica sarebbe stata diversa rispetto a Milano. Gioco veloce al fine di guadagnare tempi di gioco e buona concentrazione. Lewa ha subito messo la testa all’8′, ma un salvataggio sulla linea ha strozzato l’urlo in gola. I tiri da fuori non si sono fatti attendere, come alternativa allo scenario d’attacco, come avevamo anche spiegato nell’articolo della previa del pomeriggio. Raphinha, Dembélé, Marcos Alonso, Sergi Roberto hanno provato la conclusione dalla distanza, a volte impegnando il portiere avversario, altre volte no. In ogni caso la strategia si è rivelata basilare per variare il canovaccio offensivo e non dare piste all’avversario. L’Inter si è resa pericolosa in alcuni frangenti in occasione dei contropiede. Dzeko ha colpito una traversa al 17′ sugli sviluppi di un calcio da fermo. In altre due circostanze Ter Stegen ha fatto il suo neutralizzando i tiri ospiti. Al 39′, infine, la rete del vantaggio. Porta la firma di Dembélé che ha deviato in rete un cross rasoterra di Sergi Roberto, a sua volta imbeccato da una giocata di Raphinha dopo aver recuperato un pallone sulla linea dell’out di destra.

La ripresa è stata sconcertante, con un uno-due dell’Inter terrificante per due errori marchiani, da dilettanti allo sbaraglio di Piqué e Busi, che hanno praticamente estromesso la squadra dalla Champions League per la seconda volta consecutiva. I veterani hanno fallito clamorosamente. Piqué nell’azione del pareggio di Barella e nel 2-3 di Gosens, Busquets in occasione dell’1-2.

Con il Barça in controllo del risultato e del gioco, al 50′, in occasione di un semplice pallone buttato in area di rigore, Piqué, allargando le braccia, ha fatto passare la palla, non accorgendosi che alle sue spalle stazionava Barella. Nulla di più facile. Stop e rete del pareggio. Dodici minuti dopo altra catastrofe, questa volta del capitano. Palla persa banalmente in uscita a centrocampo da uno stanco Busi (quando gli altri corrono, lui dorme), e contropiede mortifero dell’Inter con rete di Lautaro. Stop di petto su Eric, mandato al bar, tiro e palo, palo rete. Nel giro di una decina di minuti il Barça si è ritrovato addirittura sotto. Già prima del vantaggio interista Piqué aveva cercato di attentare alla porta di Ter Stegen con una deviazione di spalla involontaria che aveva costretto il portiere tedesco ad un grande intervento in angolo.

Xavi, a quel punto, ha prima fatto entrare De Jong per Busi (a mai più caro capitano) e Ansu per Raphinha, per poi passare alla difesa a tre facendo uscire Roberto per inserire Kessié e Marcos Alonso per Balde. Con la difesa a tre formata da Piqué, Eric e Balde, e un centrocampo già robusto, con Kessié, Gavi, De Jong, Pedri, il Barça ha pressato alto e forte, ma i tentativi della squadra, sopratutto di Lewandowski, sono stati neutralizzata dal portiere e dalla difesa avversaria.

Fino alla rete del pareggio, il 2-2 firmato da Lewa con un tiro da dentro l’area su una corta respinta della difesa avversaria. Sulla seconda palla vagante, il polacco si è avventato come una iena e ha centrato l’angolino basso alla destra di Onana. All’81’ era ancora tutto in gioco. Ma per l’Inter! Infatti se per Agatha Christie Il pericolo era Senza Nome nel suo 15° romanzo, al Camp Nou invece, questa sera rispondeva al nome di Gerard Piqué. Il numero 3 non aveva esaurito tutte le sue nefandezze con il primo errore che aveva portato alla rete del pareggio. All’88’, quando la squadra stava producendo il massimo sforzo nel tentativo di pervenire alla rete della vittoria, il numero 3 che stazionava come ultimo difensore sulla linea di centrocampo, ha pensato bene di lasciare un avversario tutto solo a distanza siderale da lui. Invece che andare a coprire un eventuale contropiede, è rimasto a fischiettare allegramente da tutt’altra parte. E che ti fa il destino? Fa partire il contropiede dell’Inter e pervenire la palla proprio a quel giocatore che, ricevutala, si è involato verso la porta sguarnita. L’azione si è sviluppata sulla destra, lontana dalla porta blaugrana, ma, ancora Piqué, ha chiuso in ritardo sull’assist centrale per l’inserimento centrale di Gosens che ha ringraziato e fulminato Ter Stegen.

All’88’ l’Inter era nuovamente avanti e il Barça di nuovo sotto. Neanche a volerlo fare apposta ci si riuscirebbe. Ma dove per gli altri è impossibile, nella è precluso per i giocatori blaugrana. Mentre la panchina italiana festeggiava in campo e fuori la rete della vittoria, il Barça ha ripreso a giocare. Grazie a Dio nel Barça oltre a i vari Piqué, Busi e Ferran (entrato in campo all’82’. Chi lo ha visto è bravo), c’è anche un certo Lewandowski. Al 92′ (con 6 minuti di recupero per i cambi e le continue perdite di tempo di una squadra di mestieranti stile dopolavoro ferroviario) palla in area nel mucchio dalla destra. Il polacco svetta su tutti e con un perfetto colpo di testa da manuale insacca il 3-3.

4 minuti da giocare. Tutto era ancora possibile. Ma l’assalto finale del Barça non ha portato ad altri scossoni nel risultato e la vittoria, l’aggancio dell’Inter al secondo posto e il proseguimento in Champions League, sono rimasti una chimera. Adesso il Barça è terzo con un piede e mezzo in Europa League, una competizione per formazioni e giocatori minori. Visto alcuni dei calciatori in campo questa sera nelle file del Barça, può essere la giusta competizione per loro. Peccato per gente come Lewandowski, Dembélé, Ter Stegen, Pedri e Gavi, gente di elevato livello calcistico che meriterebbero ben altre figure.

IL PIANO TATTICO DI XAVI PER MILANO

Giuseppe Ortu Serra

Cambi in vista per il regista Xavi nella sceneggiatura di Barça – Inter 2, La Vendetta. Nella partita più importante della stagione, il “dentro o fuori” del Camp Nou, l’allenatore blaugrana ha chiesto maggiore velocità, verticalità, tiri da fuori e cambi rapidi di gioco. Essere meno prevedibili, la parola d’ordine, per evitare così l’incapacità di creare pericoli sottoporta avversaria come nelle ultime partite (Mallorca, Inter e Celta). I cambi che il tecnico ha in mente vanno tutti in questa direzione. Secondo alcune indiscrezioni la difesa potrebbe tornare a quattro per salvare gli equilibri difensivi, anche se con cambi sostanziali negli uomini. A partire dai centrali, che potrebbero essere Eric e Marcos Alonso, con Roberto a destra e Balde a sinistra. In questo modo, a sinistra si avrebbe molta velocità da usare sia in attacco che in difesa. Quando nella ripresa di Milano è entrato il numero 28, si sono visti grandi progressi rispetto a un più statico Marcos Alonso. È vero che, avere un centrale come laterale in una partita così importante potrebbe non essere l’ideale se hai a disposizione uno specialista del ruolo. Non è da escludere, dunque, che la coppia di centrali possa essere formata da Eric e Piqué. Altrettanto è da supporre che la difesa, con una Inter schierata con una sola punta (Lautaro), possa passare a tre, con Balde più avanzato e quasi sulla linea dei centrocampisti. La velocità per i repentini rientri, nel caso di rapidi contropiede nerazzurri, è nelle sue caratteristiche.

Sempre a sinistra Balde potrebbe duettare con Ansu o Raphinha, sovrapponendosi sulla fascia per portare via un uomo all’extremo, o per effettuare il cross in area, preferibilmente arretrato per gli inserimenti dei centrocampisti visto quanto accaduto nella gara di andata. A destra, invece, Roberto sarebbe più cauto, presidiando meglio la zona centro-bassa del campo, tanto più se si dovesse giocare a tre dietro.

Il centro del campo non dovrebbe presentare sorprese, con Busi e Pedri indiscutibili. Unica variazione nel capitolo potrebbe riguardare Gavi. Se Xavi volesse preservarlo per un impiego a gara iniziata potrebbe partire titolare De Jong, utile per fornire una digressione sul tema, uscire dagli schemi e sorprendere l’avversario con movimenti non codificati. Frenkie potrebbe apportare inserimenti palla al piede nella mediana avversaria con la sua capacità di partire in velocità saltando uno o più avversari. In ogni caso i centrocampisti saranno chiamati al tiro dalla distanza per evitare che la difesa a riccio dell’Inter possa piazzarsi dietro preoccupandosi solo di evitare inserimenti in area e i cross dalle fasce. Il tiro da fuori, come strategia offensiva, non dà comodi punti di riferimento agli avversari che non devono preoccuparsi solo di chiudere basso, ma sono anche costretti ad uscire per accorciare su un eventuale tiro dalla distanza. In questo modo, se la difesa avversaria resta bassa a presidio dell’area di rigore, la conclusione da fuori non sarà contrastata; nell’ipotesi che la difesa esca a chiudere un eventuale tiro, ci sarà la possibilità per il portatore di palla di trovare spazio per l’imbucata e per un inserimento in area. Variare strategia d’attacco è fondamentale perché impedisce all’opponente di mettersi comodo e di doversi preoccupare solo di una modalità offensiva. Non c’è nulla di più facile che fronteggiare un avversario, scontato e prevedibile, che ha solo una strategia offensiva, dopo che ne hai preso le misure. Non devi fare altro che preoccuparti di effettuare bene sempre i soliti movimenti. Tutt’altra cosa se non sai come l’avversario ti colpirà. In quel caso la difesa sarà sempre in apprensione perché la fase offensiva varia in continuazione. È un po’ quando a tennis l’avversario gioca sempre da dietro e sempre con lo stesso, ripetitivo schema di colpi potenti. Ti piazzi dietro, stringi forte la racchetta e anticipi le sue giocate; sai perfettamente come neutralizzarlo. Diverso se alterna il gioco da fondo campo al gioco a rete, se ti arriva una palla lunga e poi una corta, se opta sia per la cannonata da dietro che per il serve and volley.

In attacco, scontata la presenza di Lewandowski, e crediamo anche di Dembélé, la terza maglia potrebbero giocarsela Raphinha e Ansu. Alle ore 21:00 il fischio d’inizio sarà dato dal fischietto Marciniak. Sarà polacco anche il Var (Kwiatkowski). Allora scopriremo le idee di Xavi e come se la vorrà giocare nella partita più importante di questa parte di stagione. Visto il rapporto non particolarmente da luna di miele del Barça con il mondo arbitrale, in casa e in Europa, i blaugrana hanno solo una valvola di salvaguardia per evitare di mettersi nelle mani dell’arbitro e del Var di turno. Segnare, segnare, segnare. E chiudere la contesa il prima possibile. Solo così si può disinnescare la minaccia arbitrale. È da ricordare che oggi non basta solo vincere e giocare bene (più per ritrovare piacevoli sensazioni e l’autostima che per altro), ma anche per la classifica. Una vittoria di misura, infatti, permetterebbe ai blaugrana di agganciare l’Inter in classifica, sì, ma per riprendersi il secondo posto è necessario vincere con almeno due reti di scarto dopo la sconfitta per 0-1 dell’andata.

XAVI: SALIR A GANAR SÍ O SÍ CON L’AYUDA DEL CAMP NOU

Giuseppe Ortu Serra

La conferenza stampa di Xavi della vigilia dell’incontro del Camp Nou contro l’Inter, “una finale” per Xavi, “quasi dei sedicesimi di finale della Champions League” è stata incentrata su ciò che il Barça deve fare per battere un avversario che “verrà a Barcelona per chiudersi anche più di quanto non fatto nella sfida di Milano”. Le parole del tecnico blaugrana, il suo mantra, sono state incentrate su come revertir una situazione che vede il Barça in calo nelle ultime tre partite e che viene da due sconfitte di seguito nella liguilla della Champions.

Secondo il tecnico blaugrana contro il Celta, dopo un buon primo tempo, il calo della ripresa “è stato dovuto ad un calo di intensità della squadra. Non c’è stata più pressione alta e pressione dopo la perdita del pallone. Il Celta, che è squadra di personalità, ne ha approfittato”. La ricetta? “Attaccare con intensità e aggressività. Pressione alta, velocità e cambi di gioco veloci. Dobbiamo attaccare come abbiamo fatto nella seconda parte di Milano”. Tra le cose da migliorare c’è anche il gioco all’interno del campo e la capacità di smarcarsi nello spazio.

Il capitolo Lewandowski è parte integrante di questo discorso. Nelle ultime tre gare e mezzo (il secondo tempo a Mallorca, con il Celta, più Bayern e Inter), il polacco è parso uscire di scena dalla squadra e estraniarsi dalla manovra. Non per nulla nel periodo di gioco preso in considerazione Lewa non ha segnato. Sopratutto non è stato servito dai compagni ed è apparso avulso dal gioco. Senza la partecipazione attiva di Lewa, il Barça non è stato mai pericoloso. Xavi ha spiegato questa involuzione con il fatto che il numero 9 non è stato più coinvolto nel gioco della squadra, ma è stato lasciato solo davanti e non sostenuto dai compagni. “Nelle ultime due partite abbiamo giocato poco con lui”. Non per niente contro il Celta lo si è visto, in campo, triste come mai prima d’ora.

In ogni caso la partita dovrà essere affrontata con calma mentale. “Se segnamo al primo minuto, meglio. Però abbiamo 90 minuti, Bisogna attaccare meglio. Sue attacchiamo come nel secondo tempo della sfida di Milano sono ottimista”.

Una delle chiavi della gara sarà il sostegno del pubblico. Xavi lo ha ripetuto più e più volte nel corso della conferenza stampa, quasi un messaggio indiretto, un avviso (o una speranza) rivolto ai tifosi che nei giorni scorsi hanno iniziato a mettere in vendita on line i biglietti per la gara. Per evitare che la passione patologica per i soldi di certi catalani superi quella per i colori blaugrana, e un ripetersi di un nuovo affaire Eintracht, il club ha reso noto che allo stadio si potrà entrare solo con l’abbinamento biglietto-documento d’identità. I controlli dovrebbero escludere dall’accesso alle gradinate, pertanto, tutti coloro che hanno acquistato il tagliando non tramite i caratteri ufficiali, quindi dal club, ma per vie traverse (E-bay, Vinted, ecc), di conseguenza direttamente dai barcelonisti.

Quella di mercoledì è veramente una sliding door per il Barça, che ha inserito nel presupuesto di questa stagione, approvato con delle entrate record pari a 1.255 milioni, l’accesso ai quarti di finale della Champions.

UN BARÇA DAI DUE VOLTI NELLA VITTORIA CONTRO IL CELTA AL CAMP NOU

Giuseppe Ortu Serra

Un Barça dai due volti vince por la minima contro il Celta e mantiene la vetta della classifica. Uno a zero con rete di Pedri nel primo tempo. Un bella prima metà gara a cui ha fatto seguito una seconda parte da film dell’orrore di koumaniana memoria, con il Celta ad attaccare con la pericolosità del City e il Barça a tentare di fare le barricate senza più riuscire a ripartire e a corto di ossigeno. Solo Ter Stegen ha evitato il disastro.

Contro il Celta Xavi aveva chiesto di giocare al massimo per presentarsi al Bernabeu da primi in classifica. I suoi giocatori lo hanno fatto nella prima metà di gara. Gioco veloce, tiri da fuori, smarcamenti nello spazio. Erano queste le consegne del tecnico ai suoi giocatori. La rete dell’uno a zero, infatti, è giunta proprio nel rispetto due di queste richieste, velocità e inserimenti nello spazio. Gavi, dopo avere scambiato con Jordi, è scattato proponendosi e dettando il passaggio. Sul cross del numero 30 un intervento in scivolata di Nunez a liberare l’area è stato raccolto dall’inserimento di Pedri che ha ribadito in rete. Al 16′ il Barça era in vantaggio.

La gara ha visto una formazione blaugrana molto particolare in difesa, con tre laterali sinistri schierati contemporaneamente sui quattro ruoli disponibili. Balde a destra come a Mallorca, Piqué (unico centrale di ruolo schierato) e Marcos Alonso al centro, e Jordi a sinistra. Nonostante una difesa totalmente inventata, la squadra non ha rischiato nulla dietro perché il Barça ha giocato seriamente, mettendo in mostra un calcio fluido, veloce e apparentemente semplice e facile. Quando la palla scorre velocemente senza intoppi o errori/imprecisioni nei passaggi, il gioco del calcio sembra di una facilità e linearità estrema. Non è così. Il Barça ha fatto sembrare facile anche il difficile e complicato.

Tra le richieste di Xavi c’era anche il tiro da fuori. I suoi ragazzi hanno rispettato anche questa, e con Balde e Raphinha, che ha seriamente impegnato il portiere avversario al 10′, hanno concluso dalla distanza. Da rimarcare l’ennesimo errore arbitrale a danno dei blaugrana, con un evidente fallo in area su Raphinha non ravvisato come tale dall’arbitro. Per Munuera Montero, invece, si è trattato di simulazione. In quel caso sarebbe dovuto scattare il cartellino giallo. Evidentemente negare il chiaro rigore era già abbastanza per il fischietto andaluso. Andare oltre sarebbe stato eccessivo.

La ripresa è stata di tutt’altra pasta. Il bel Barça dei primi 45′ è rimasto negli spogliatoi. Quello sceso in campo per il secondo tempo sembrava la pattuglia pavida, timida e tremante della scorsa stagione. Incredibile come una squadra possa trasformarsi così, in negativo, tra un tempo e l’altro. Il Celta ha fatto suo il gioco e ha dominato il campo. Prima timidamente, poi sempre più convinto e deciso a pareggiare e, probabilmente, a fare sua la sfida. Il Barça è sparito in zona offensiva. Inizialmente si è limitato a controllare, venendo però schiacciato dall’avversario. Le difficoltà hanno impaurito la squadra che è andata più volte nel panico, sopratutto nella fase finale dell’incontro quando non è più riuscita a tenere un pallone o a ripartire. La sequenza delle azioni e occasioni da rete è impietosa: otto, di cui alcune a tu per tu con Ter Stegen, contro una. Se il Barcelona ha vinto e può presentarsi da leader alla sfida del Clásico della prossima settimana al Bernabeu, il merito è solo del portiere tedesco che, con le sue parate, ha evitato una ecatombe. La prima parte di gara induce alla fiducia per le importantissime gare di Liga e Champions contro Madrid, Inter e Bayern, ma la ripresa pone tanti dubbi sulle reali capacità di questa squadra a livello mentale, il solito buco nero nel quale, ciclicamente, questa squadra viene risucchiata.

LA BANDA BASSOTTI E AL, IL PIFFERAIO MAGICO

Giuseppe Ortu Serra

Quanto si è visto ieri notte al Meazza, nel corso di Inter – Barça, è qualcosa di incredibile, allucinante e inverosimile. Probabilmente mai visto in precedenza. Il Barcelona, al di là della sua condotta di gara, che non stiamo qui a giudicare in quanto già in precedenza analizzata, è stato indubbiamente penalizzato, defraudato dalla condotta di arbitro (lo sloveno Vincic, curiosamente connazionale di Ceferin) e Var (l’olandese Pol Van Boekel). In due azioni diverse, ma con identico evento, un fallo di mano, il Var ha agito in maniera diametralmente opposta. In occasione della rete del pareggio di Pedri, preceduta da un tocco di mano, sebbene involontario di Ansu, il Var è intervenuto per segnalare e far sanzionare l’irregolarità con l’annullamento della rete . Questo accadeva al 66′. Al 92′, in occasione di un cross in area dalla destra destinato ad Ansu che si accingeva a colpire verso la porta avversaria, il giocatore dell’Inter Dumfries ha anticipato il blaugrana con un tocco di mano che ha impedito al pallone di giungere al numero 10. Una stoppata cestistica in piena regola. Nonostante quel punto dell’area fosse sgombro e la visuale dell’arbitro, dunque, non impallata, il signor Vincic non ha ravvisato nulla. Chiunque stesse guardando la partita, in presenza o alla tv, ha visto l’evidente fallo di mano. Tutti tranne l’arbitro. Nemmeno il Var, capitanato dal signor Pol Van Boekel ha visto nulla, nonostante avesse l’opportunità di rivedere l’azione tranquillamente seduto davanti agli schermi. Inspiegabile! Inconcepibile! Per dirla meglio, non credibile. Si può consentire la svista arbitrale perché il fischietto giudica in diretta (anche se in campo, da vicino, si deve necessariamente vedere meglio che dagli spalti), ma risulta assolutamente inaccettabile che chi ha l’opportunità di rivedere più e più volte l’azione dal monitor non veda. A meno che si decida di non vedere.

La rabbia in casa Barça è acuita dai differenti giudizi espressi su medesimi fatti. Due falli di mano giudicati in maniera diametralmente opposta. Uno, invisibile in diretta, che si è andato a cercare e si è sanzionato con l’annullamento del goal; l’altro, lampante, evidente e in piena vista, non visto dal Var e non sanzionato con la concessione del calcio di rigore.

Ma non è solo questo. L’errore di arbitro e Var (ma siamo sicuri che si sia trattato di errore?) fa il paio con quello di Monaco di Baviera che sono costati al Barcelona la concessione di un altro calcio di rigore per uno sgambetto di Davies ai danni di Dembélé in piena area di rigore del Bayern. Anche in quella circostanza, nonostante l’evidenza del fallo, né l’arbitro, né il Var videro e sanzionarono l’irregolarità che sarebbe valsa la concessione di un calcio di rigore a favore del Barça sul risultato di 0-0.

Sembra propio che ci sia un piano organizzato contro il club blaugrana, sotto assedio da questa estate da parte di stampa, dirigenti, presidenti e allenatori di altri club. Il fastidio maggiore è rappresentato dal fatto che in entrambe le partite al Var c’era la stessa persona, l’arbitro olandese Pol Van Boekel. Possibile che costui sia colpito da cecità psicosomatica improvvisa e temporanea solo quando si deve giudicare a favore del Barça e abbia una perfetta vista nelle altre circostanze? Possibile che uno stesso arbitro addetto al Var, che aveva già sbagliato nella partita precedente, venga assegnato al Var anche nella partita immediatamente successiva della squadra che era stata danneggiata dal suo precedente comportamento omissivo? Nessuno si era accorto della curiosa circostanza? Poco credibile. C’è per forza dell’altro sotto.

Di che tipo, verrebbe da chiedersi? Un riferimento ancora alla Superliga? Acqua. Non crediamo che possa essere solo il club blaugrana a pagare per tutti. Il Barça come club nemico del Burattinaio della Uefa? Fuochino, se non fuoco che arde. Burattinaio della Uefa, vi chiederete voi? Proprio così.

Il presidente Ceferin, secondo questa chiave di lettura, può essere visto come la classica testa di legno, il fantoccio da teatro per bambini a cui si infila la mano e tutto il braccio al suo interno fino a fargli muovere la bocca e fargli dire ciò che il burattinaio vuole che egli dica. Il Maestro, come nel film The Juror, Il Giurato. Il Pifferaio magico, in questo caso, che al suono del suo flauto mette in fila tutti i ratti e i bambini, e li porta lontano dalle loro case. Chi sarebbe costui?

Il presidente del Psg Al Khelaifi, ovvero il vero dominus, occulto, della Uefa. Presidente del Psg, membro del Comitato Esecutivo dell’Uefa, presidente della ECA, presidente di BeIn Sports che, recentemente, ha ottenuto dalla stessa Uefa i diritti esclusivi per la trasmissione in tutto il sud est asiatico delle partite della Champions League, Al Khelaifi colleziona cariche e presidenze, molte delle quali in chiaro conflitto di interesse tra di loro. Al è l’uomo nero dentro l’armadio, colui che non vorresti mai avere come socio. Nemico giurato del Barça dai tempi dei tentativi di acquisto di Thiago Silva, Marquinhos, Verratti, l’inimicizia, se non vero e proprio odio, è stata acuita dal famoso 6-1 di Champions.

Il qatariota si è impossessato virtualmente della Uefa quando ha spalleggiato Ceferin nell’opposizione alla nascita della SuperLiga. In quel momento Al ha giocato la sua fiche buttandola sul tavolo da gioco della Uefa, vincendo la mano e mettendosi Ceferin nel taschino, come si dice in certi ambienti malavitosi. Da questo momento il presidente della Uefa si trova in debito con Al, che inizia ad assumere il ruolo di presidente Uefa occulto. Quanto Al possa essere pericoloso è confermato da una inchiesta giornalistica del quotidiano Libération che parla di estorsioni, imprigionamenti illegali, torture fisiche e psicologiche ai danni di Tayed B., un imprenditore franco-algerino in possesso di materiale scottante che lega il nostro Al e l’emirato a una larga corruzione per l’assegnazione al Qatar dei Campionati del Mondo di Calcio 2022. Tayed, imprigionato per oltre 10 mesi nel paese mediorientale, sarebbe stato rilasciato il 1° novembre 2020 solo dopo la consegna dei documenti compromettenti. Al è un habitué delle aule dei palazzi di giustizia, posto che è stato rinviato a giudizio più volte con l’accusa di corruzione nell’alveo del processo noto come Fifagate, nel quale sono stati coinvolti Blatter, Platini, Valcke ecc. Il presidente del Psg, nonché ombra di Ceferin, avrebbe coartato e spinto Valcke (ex segretario generale della Fifa) a “operare” al fine di far assegnazione a BeIn Sport i diritti televisivi dei Mondiali del 2026 e 2030. In ragione dei favori fattigli, Al gli promise l’acquisto di una villa in Sardegna del valore di 5 milioni di euro della quale avrebbe potuto disporre liberamente. A marzo di quest’anno la procura federale svizzera ha chiesto, in appello, una pena di 28 mesi di reclusione per Al Khelaifi e di 35 mesi per Valcke. Il presidente del Psg per “istigazione all’amministrazione infedele” ai danni di Valcke, quest’ultimo per “amministrazione infedele” e “corruzione passiva”. Nel ’20, in primo grado, entrambi gli imputati erano stati assolti dalle accuse. Curiosamente la Corte d’Appello Federale svizzera ha condannato Valcke a 11 mesi più una multa (pena sospesa), per “ripetuta corruzione passiva” e “falsità in documenti”, ma ha confermato l’assoluzione per Al. La contraddittorietà della sentenza sta nel fatto che secondo la Corte d’Appello di Bellinzona esiste un corrotto (Valcke), ma non un corruttore, e che lo stesso condannato avrebbe, di fatto, agito contro la legge per… simpatia verso il qatariota e per puro spirito di liberalità.

Al Khelaifi è un uomo potente, un uomo pericoloso che vanta legami e amicizie altrettanto potenti. Persona notoriamente vendicativa, con quei background e curriculum, per lui è un passatempo pomeridiano organizzare una oscura Banda Bassotti armata di fischietto, con la sottomessa e silenziosa complicità degli organi competenti, e sguinzagliarla allo scopo di vedere e non vedere a comando, a seconda della bisogna, e sistemare qualche nemico in attesa di essere colpito, è questo il nostro timore, in qualche modo più impattante.

UN BRUTTO BARÇA CADE ANCHE A MILANO. E IL GIRONE SI COMPLICA

Giuseppe Ortu Serra

Un brutto Barça, grigio quanto le magliette che indossava la squadra, cade anche a Milano contro l’Inter. Una sconfitta per uno a zero che fa molto male, sia per la classifica del girone, che per la squadra e le sue prospettive. Con questa sconfitta il Barcelona è adesso terzo dietro al Bayern (9 punti) e all’Inter (6 punti). I blaugrana restano a quota tre, grazie alla vittoria casalinga contro il Viktoria Plsen nell’esordio casalingo della competizione. La sconfitta del Meazza, inoltre, pone una serie di interrogativi che inizieranno ad assalire dirigenti, allenatore, giocatori e tifoseria sulle reali capacità di questa squadra.

Nella sfida contro la formazione italiana, il Barça è apparso lento, compassato, prevedibile, quasi scontato nelle sue manovre. L’eccessiva imprecisione nei passaggi, che ne ha permeato le azioni in tutta la gara, non ha permesso uno sviluppo della manovra pulito e deciso. Passaggi errati nella misura o nella forza hanno rallentato le azioni, facendo perdere molti tempi di gioco e permettendo alla difesa avversaria di piazzarsi, intuire e annullare le offensive azulgrana. La squadra, poi, si è intestardita a cercare la via della rete attraverso imbucate centrali, sempre ben presidiate dai nerazzurri, o per la via di un Dembélé costantemente raddoppiato se non triplicato dagli avversari. L’alternativa allo stanco giropalla di matrice koemaniana è stata la via del cross alto messo in area. Ma, nonostante la presenza di Lewa in area di rigore, il Barça non è mai uscito vincitore da uno scontro aereo. La formazione catalana si è intestardita a buttare palloni in mezzo che la difesa (giocatori di movimento e portiere) ha sempre fatto suoi. Mai un tiro da fuori area in 90′. Appena due nel complesso in tutta la gara. Entrambi nei primi 45′. Uno di Christensen e il secondo di Lewandowski. Al 13′ e al 18′. Poi più nulla, il vuoto assoluto, the deep blue. Nel secondo tempo un palo colpito da Dembélé al 60′ da dentro l’area. La partita offensiva della squadra è tutta qua.

Molto deludente anche Xavi, che non è riuscito a incidere sulla gara, iniziata e terminata male. Squadra lenta e compassata all’inizio, che ha tenuto palla ma senza incidere o, come già detto, tirare in porta; ancora peggiore nella ripresa, dove non solo non ha continuato a tirare, ma in cui ha creato appena due occasioni da rete, il palo di Dembélé al 60′ e un colpo di testa di Busi sottoporta all’88’. Troppo poco per pensare di vincere una partita. I cambi sono stati effettuati troppo tardi. Kessié, in un centrocampo che pareva caduto in un barile di Lexotan, sarebbe dovuto entrare molto prima in campo, ad inizio ripresa, non all’83’, con la partita ormai andata. Era evidente fin dai primi 45′ che a questa squadra serviva corsa e impatto muscolare. E Kessiè, in mancanza di De Jong, che con le sue sgroppate avrebbe potuto tagliare la squadra avversaria in due, creando soprannumero e spazi per i compagni, era l’unico in grado di fare questo.

Oggi la formazione blaugrana ha fornito una prestazione da “vorrei ma non posso”, mostrando enormi limiti nel gioco, nell’intensità, nella corsa, nella personalità. Tutti limiti vecchi, che avevano caratterizzato i Barça perdenti delle ultime stagioni. Con la costruzione della nuova squadra e con Xavi in panchina dall’inizio, si pensava che quel libro dell’orrore si fosse chiuso; evidentemente così non è. Oggi il Barça ha dichiarato al mondo di non essere ancora pronta per giocare a questi livelli, e ci domandiamo quando mai lo sarà. Una partita che fa il paio con la brutta prestazione di Mallorca, vinta solo grazie a una giocata. In quel frangente avevamo detto che la squadra si era risparmiata per la Champions. Alla luce di questa scadente prestazione dovremo rivedere quel giudizio frettoloso e ottimistico, domandandoci, piuttosto, se il Barça non abbia imboccato una pericolosa china discendente.

Contro l’Inter hanno perso tutti, giocatori e tecnico, tutti ugualmente colpevoli. Hanno perso, inoltre, anche l’arbitro, il Var e la Uefa. Scandaloso e vergognoso quanto accaduto in campo verso la fine del secondo tempo. Un chiaro ed evidente fallo di mano di Dumfries ad anticipare Ansu di testa visto da tutti, allo stadio e a casa, che solo arbitro e Var, ben orchestrati dal “signor” Ceferin, hanno ignorato voltandosi dalla parte opposta. Una Uefa che dimostra, una volta di più tutta la corruttela di cui è capace, andando a braccetto con il Psg, il cui presidente affoga nei conflitti di interesse di berlusconiana memoria, che è sotto inchiesta, per ora solo giornalistica, per corruzione e per essere il mandante di sequestro di persona, violenza privata, estorsione, tortura e via così. La mancata concessione del calcio di rigore a favore del Barcelona per fallo di mano, lo stesso che lo zelante Var ha visto (giustamente) nella rete del pareggio di Pedri, fa il paio con l’altrettanto clamorosa “svista arbitrale” di Monaco di Baviera, quando Dembélé era stato sgambettato e messo a terra in piena area di rigore, ma anche in quella circostanza né fischietto, né Var avevano visto nulla, operando come Polifemo dopo l’incontro con Ulisse.

TRE PUNTI D’ORO A SON MOIX. É ANCORA LEWANGOLWSKI SHOW

Giuseppe Ortu Serra

Per la trasferta di Mallorca, che anticipa quella di Milano di Champions, Xavi, senza laterali destri, ha optato per l’utilizzo di Balde schierato a pierna cambiada. Soluzione che poteva essere pericolosa, tanto più vista la giovane età del giocatore. Il rischio era quello, già analizzato in settimana in questo senso, di mettere in difficoltà il ragazzo posto la sua scarsa esperienza. Il numero 28, che ha composto una difesa assolutamente sperimentale, con Piqué, Christensen e Jordi, ha risposto alla grande, dimostrando di essere più maturo di quanto si potesse pensare. Perfetto in difesa, in avanti non si è visto molto, ma la prestazione è stata comunque superlativa. A centrocampo Kessié insieme a Busi e Gavi. Davanti spazio ad Ansu, schierato al posto di Raphinha. A concludere il tridente Lewa e Dembélé.

Il Barça ha gestito e controllato la gara, senza strafare in vista della sfida del 4 contro l’Inter. Il vantaggio dei blaugrana, giunto al 20′ con uno splendido goal di Lewandowski imbeccato da Ansu, ha permesso alla squadra di Xavi di gestire il primo tempo, chiuso in vantaggio sui mallorquini. Da notare una paratissima di Ter Stegen su conclusione di Costa al 34′, praticamente un rigore in movimento con tiro ravvicinatissimo, che il portierone tedesco ha bloccato come la più semplice degli interventi. Un attaccante che segna e un portiere che para. Il segreto del calcio in due semplici mosse.

La rete del polacco è stata un capolavoro. Penetrato in area dall’angolo alto di sinistra, ha dribblato seccamente l’avversario diretto per poi lasciare partire un diagonale da sinistra a destra che è andato a gonfiare la rete interna accanto al palo lontano. Un colpo da biliardo che sembra provato e riprovato mille volte prima di riuscire, ma che al campione polacco è riuscito al primo colpo.

Nel rovescio della medaglia c’è l’effige di Gil Manzano. Quando l’arbitro è quanto meno scadente e decide di prendere la scena e assumere il ruolo di protagonista è sempre un danno per la partita. Sopratutto quando in campo c’è il Barça. I rapporti tra il fischietto con la bolsa del Madrid e la formazione blaugrana sono sempre stati disastrosi. le peggiori prestazioni di Manzano sono sempre state contro il Barcelona. Anche oggi non si è smentito. Ammonizioni a casaccio, sopratutto contro la squadra di Xavi e dei fischi che fanno dubitare della sanità mentale del fischietto amarillo.

La partita non è stata esaltante, ma un buon banco di prova per la sfida di martedì di Milano, e sopratutto tre punti d’oro nella lunga corsa della Liga. La ripresa è filata via liscia da parte di un Barça che non aveva alcuna intenzione di alzare i ritmi e rischiare alcunché dal punto di vista fisico. Solo nei minuti finali la partita si è accesa, ma i due portieri hanno fatto il loro, vanificando i tentativi degli opposti attacchi.