La corsa per la Liga dopo il tonfo con il Granada

Giuseppe Ortu Serra

Il Barça è passato, ieri, a ritrovarsi in testa alla classifica per la prima volta in questa stagione e ad essere il padrone del proprio destino, a dovere inseguire e a dipendere dai risultati delle altre contendenti alla vittoria finale. Il tutto nel breve volgere di un tempo di gioco. Alla fine dei primi 45‘, in vantaggio di uno a zero nei confronti del Granada, il Barça era andato negli spogliatoi nel migliore scenario possibile: a più uno rispetto ai colchoneros, a più tre dal Madrid e più quattro dal Sevilla.

Dopo soli 45‘, invece, la situazione si è ribaltata totalmente, in un upside down degno del migliore degli incubi distopici. I blaugrana hanno non solo perso la testa della classifica dopo una rincorsa durata tutta la stagione, ma sopratutto, cosa ben più grave, il diritto a pensare a loro stessi. Adesso non è più sufficiente vincere tutte le sfide che restano da qui alla fine della stagione (5), ma bisogna sperare che il Madrid non faccia altrettanto. In caso contrario la Liga verrà assegnata alla formazione di Zidane, in vantaggio rispetto ai blaugrana per via degli scontri diretti (1-3 al Camp Nou; 1-2 a Valdebebas).

Situazione rognosa, direbbe qualcuno.

Il Madrid non ha un calendario semplice. A priori il Barcelona parrebbe beneficato dagli ultimi cinque incontri restanti, ma pronosticare le gare del Barça è più complicato che indovinare dove cadrà un fulmine al prossimo temporale. Il Madrid giocherà, in serie, in casa contro l’Osasuna; ancora a Madrid contro il Sevilla; poi, in rapida successione, trasferta a Granada, a San Mamés contro l’Athletic, per chiudere a Valdebebas contro il Villareal. La prima, la sfida contro l’Osasuna, è un abbastanza morbida. Los de Pamplona sono tranquilli e non si giocano nulla. In casa con il Sevilla sarà la sfida madre. Inutile soffermarsi sulla sua difficoltà. Quindi doppia trasferta: Granada (morbida), Athletic, che ha sentenziato già l’Atletico, molto ostica. A proposito di sfide complicate, l’ultima, in casa contro il Villareral, è di quelle che possono valere una stagione. Il submarino amarillo si sta giocando l’accesso alla prossima Europa League con Betis e Real Sociedad. Tre squadre per due posti. Visto il cammino delle tre, non è impensabile che la lotta sarà risolta all’ultima giornata. I blancos, in quel caso, si troverebbero davanti un avversario che potrebbe giocare alla morte per conquistare dei punti. E noi sappiamo che il Madrid, come il Barça d’altronde, è obbligato a fare percorso netto. Riepilogando dunque, tre su cinque sono incontri tra i difficili e i molto difficili.

I blaugrana, invece, hanno un percorso all’apparenza più agevole. Parliamo di apparenza perché già abbiamo visto come è andata a Villareal, incontro molto difficile, e contro il Granada, apparentemente morbido. Domenica il Barça avrà la trasferta di Valencia al Mestalla, partita ostica per il Barça per questione sopratutto extra calcistiche (leggasi ambiente, società e politica). Alla quartultima, stessa giornata ma non stesso giorno (ahi Tebas!) del Madrid – Sevilla, il Barça avrà lo scontro diretto, in casa, contro l’Atletico. Se si fosse giocato con i blaugrana in testa alla classifica il Cholo sarebbe stato costretto a rischiare la vittoria. In queste condizioni i rojiblancos giocheranno, invece, sul loro campo, permettendosi il lusso di fare una gara di attesa e contropiede. Un po’ come giocare a poker con un noto baro nella sua tana e con la sua combriccola. Nemmeno il patibolo di Maria Antonietta fu più scomodo. Superati questi due scogli, Messi & Co avranno un calendario in discesa. Levante fuori, Celta in casa, Eibar (all’ultima) al Camp Nou. L’Eibar, l’unica squadra delle ultime tre avversarie che al momento si sta giocando qualcosa, all’ultima di campionato sarà probabilmente già in Segunda, e quindi libera da esigenze di risultato. Ricapitolando, delle cinque ancora da giocare, solo le prime due (Valencia fuori e Atletico in casa), sono difficili/molto difficili. Le altre non rappresenterebbero un grande ostacolo. La Liga, dunque, è ancora tutta in gioco. Tutto può ancora accadere.

Dura sconfitta al Camp Nou contro il Granada

Giuseppe Ortu Serra

Sconfitta inaspettata al Camp Nou contro il Granada nella gara che avrebbe potuto garantire la svolta del campionato e assicurare la testa della Liga. Quasi un match point fallito da Koeman & Co. Al vantaggio di Messi del primo tempo, hanno risposto Machis e Molina nella ripresa.

Un buon primo tempo della formazione di Koeman. Tranquillo, senza strafare, bene applicato. Il tecnico olandese ha approntato alcuni cambi. Roberto a destra per Dest, Umtiti tra i centrali per Lenglet, Ilaix nella mediana al posto di Pedri. Il resto è la solita formazione che ha permesso di dare una svolta a 180° da quando Koeman ha organizzato la sua squadra intorno al 3-5-2. Il Granada, invece, con diverse assenze, si è schierato con un molto prudente 5-2-3.

Il Barça ha fatto sua la palla, il gioco e la partita nel primo tempo. Possesso del pallone totale e assoluto, come anche le occasioni da rete. L’uno a zero di Messi è nato da una splendida combinazione tra Griezmann e Messi. Il 10 che cerca il 7; stop, giravolta con carezza al pallone con la suola, ingresso in area e nuova apertura per il capitano che, in diagonale, ha trovato l’angolino lontano, quello che il disperato tuffo del portiere avversario non è riuscito a coprire. Un goal da favola.

La squadra blaugrana ha continuato a fare la partita e a pressare alla ricerca del raddoppio. Altre occasioni, tra le quali una seconda di Messi con parata, questa sì, del numero uno opponente, che con il piede è riuscito a deviare il pallone di quel tanto da allargarne la traiettoria in calcio d’angolo. In difesa il Barça non ha rischiato nulla, posto che lo schieramento rojiblanco era troppo basso e difensivo per pungere davanti.

Il secondo tempo è stato un suicidio blaugrana. La manovra è andata via via spegnandosi, con un ritmo sempre più lento e con sempre meno occasioni da rete. Un tiro largo di Griezmann all’inizio della ripresa e poco altro. Mentre il Granada si difendeva con tutti i suoi uomini, la formazione di Koeman ha deciso di gestire con una manovra al limite della noia una partita che avrebbe meritato di essere aggredita senza se e senza ma. Sergi Roberto, incredibilmente e inaspettatamente rimasto sul terreno di gioco per tutti i novanta minuti, non ha guadagnato mai il fondo, limitandosi a uno stanco compitino scolastico di far girare la palla all’indietro ogni volta che riceveva palla verso il lato corto di destra dell’area di rigore. Non solo, anche Ilaix non ha inciso nella sua prima partita da titolare, lasciando l’amaro in bocca da chi si aspettava certamente molto di più da questo ragazzo. I blaugrana hanno dunque permesso alla partita di restare pericolosamente con il risultato in quasi equilibrio. Una sola rete di vantaggio è un margine risibile per decidere di gestire senza affondare in una partita fondamentale per la vittoria della Liga.

La gara è stata persa per due pasticci difensivi madornali. Nella rete del pareggio hanno sbagliato tutti i difensori coinvolti. Su una ripartenza del Granada, Umtiti ha sbagliato l’anticipo su un avversario; sul lancio conseguente, Mingueza è arrivato male sulla spalla, colpendola e allungandola per l’arrivo di Machis. Sergi Roberto, in ritardo e fuori posizione, non è riuscito a recuperare. Così il giocatore del Granada è potuto entrare in area di rigore e battere in uscita disperata Ter Stegen. Il raddoppio è giunto meno di venti minuti dopo. Altra sgroppata del Granada in avanti, Piqué e Umtiti, in area, larghissimi e lontani tra di loro. Molina, tranquillo davanti alla porta, ha così potuto ricevere il pallone scodellato da Marin e battere indisturbato di testa l’incolpevole Ter Stegen. Tra i due goals del Granada c’è stato l’allontanamento di Koeman da parte dell’arbitro della gara per delle dichiarazioni offensive, a detta dell’arbitro, nei confronti del quarto arbitro.

I cambi di Koeman sono arrivati dopo la rete del pareggio granadino. Dembélé per Mingueza, Pedri per Ilaix. Dopo il 1-2 è poi entrato Trincao per Busi. In panchina è rimasto Dest, il giocatore che avrebbe dovuto prendere il posto di Roberto ad inizio ripresa e che sarebbe stato molto più utile di altri nel tentativo di rimonta.

Questa è una sconfitta pesante e che potrà riverberarsi sul morale e sulla classifica. Il Barça era padrone del proprio destino prima e adesso non lo è più. Vincendole tutte, scontro diretto con l’Atletico fra due giornate incluso, i blaugrana potrebbero non essere campioni. Il Madrid infatti, davanti al Barça per scontri diretti, sarebbe campione davanti ai blaugrana. Da verificare quali conseguenze potrà avere anche sulla testa dei giocatori. La prossima sfida sarà la complicata trasferta di Mestalla contro il Valencia. Sarà il 2 maggio alle 21:00.

Partita “trampolín” per il Barça a La Ceramica

Giuseppe Ortu Serra

Il Barça ha vinto in trasferta a Vila-real con due reti di Griezmann nel primo tempo che hanno ribaltato l’iniziale vantaggio del submarino amarillo. La rete dei padroni di casa, realizzata da Chukwueze al 27′ dopo una serie di occasioni da rete del Barcelona, avrebbe potuto indirizzare la gara verso la vittoria del Villareal. Con il risultato a favore degli uomini di Emery, il Villareal avrebbe potuto giocare sugli inevitabili sbilanciamenti del Barça, sempre più frequenti e spregiudicati con il passare del tempo e con il permanere, il risultato, a favore degli amarillios. Il pareggio immediato di Griezmann, invece, giunto appena un minuto dopo il vantaggio dei padroni di casa, ha scongiurato questa ipotesi. La raggiunta parità ha riequilibrato tutto e, per dirla con gli americani, all the bet are off. Scommesse annullate, tutto daccapo. Come se nulla fosse accaduto. L’immediato pareggio ha rasserenato il Barça che ha affrontato un’avversario forte, scorbutico, con esperienza in campo e in panchina, impegnato in una corsa a tre, con Real Sociedad e Betis, per il conseguimento del passaporto europeo della Europa League. Tre squadre per due posti in appena un punto: 49 e 50.

Quella di questo pomeriggio era certamente la partita più complicata di quelle che restano ancora da giocare, scontro diretto con l’Atletico alla quartultima escluso, s’intende. Il Barça ha iniziato bene, con un buon pressing alto e una buona velocità di esecuzione, è andato sotto, ha recuperato immediatamente ed è passato in vantaggio. Un primo tempo di eccellente fattura sia dal punto di vista tecnico-tattico che da quello caratteriale. Il raddoppio, valevole come rete del sorpasso, è stata realizzata ancora da Griezmann, autore di una bella e importante doppietta.

Nella ripresa, come lo stesso Koeman ha ammesso nel dopo gara, la squadra ha accusato la stanchezza ed è calata dal punto di vista fisico. Il Villareal ha aggredito sin dall’inizio ed il Barça è parso più incline al controllo della gara e del risultato che a mettere al sicuro il punteggio con la rete del 1-3. Alcuni degli uomini di Koeman non sono sembrati nelle migliori condizioni di forma, e non in pochi sono calati fisicamente. Messi e Pedri, per esempio, hanno abbassato i ritmi e sono entrati in modalità gestione pneumatici come si direbbe in Formula uno.

Nella seconda parte di gara il Villareal è rimasto in 10 uomini per l’espulsione di Manu Trigueros, autore di un intervento killer ai danni di Leo Messi. Era il 65‘; restava ancora da giocare gran parte della gara. Il Villareal ha mollato leggermente la presa, ma il Barça non ne ha approfittato per chiudere i conti, continuando a controllare la sfida, pensando, forse, che un avversario in inferiorità numerica sarebbe stato più semplice da contenere e gestire. In questa frazione gioco i blaugrana hanno avuto diverse opportunità per assicurarsi i tre punti in anticipo e un finale di partita meno complicato. Ma un pizzico di presunzione nelle conclusioni (De Jong, a tu per tu con il portiere avversario, invece che concludere forte a rete ha cercato una vaselina terminata a lato) e di deconcentrazione, oltre alle grandi parate di Asenjo, hanno lasciato la sfida in un binario di aperta competitività. Il Villareal ha cercato di trovare la rete del pareggio fino alla fine. Ter Stegen è stato fondamentale in uno dei suoi interventi, una parata con la gamba destra mentre stava andando giù dalla parte opposta. I cinque minuti di recupero sono stati al cardiopalma per la formazione blaugrana e per i loro supporters.

Il triplice fischio finale è giunto come la manna dal cielo. Essere riusciti a portare a casa tre punti, soffrendo contro un avversario forte, a La Ceramica, è stato un passo importante che avvicina Koeman e Soci alla vittoria finale.

Barcelona-Getafe 5-2 Invito a cena con briciole di paura.

Giuseppe Ortu Serra

Il Barça riesce a battere il Getafe con un po’ di sofferenza nella parte mediale e finale del secondo tempo, ma alla fine esce dal campo con i tre punti e con cinque reti a favore contro due del conjunto azulón di Bordalás. Un primo tempo giocato in una maniera spettacolare, con un Messi superlativo, autore di due reti e di una prestazione scintillante. Il 10 argentino ha trascinato la sua squadra nei primi 45 minuti con una condotta di gara che è il perfetto specchio del Barça dell’era Laporta. Da qualche mese a questa parte, il rosarino sembra ringiovanito di vent’anni. Fisicamente dimagrito e tirato a lucido, tecnicamente ha riacquistato velocità, voglia e ispirazione. Le due reti sono un capolavoro da incorniciare, come tutto il giuoco della squadra nel primo tempo.

Prima della rete di apertura, giunta all’8′, il 10 aveva colpito la traversa con un tiro al volo che ha rimbalzato sulla linea di porta per poi prendere il giro sbagliato per le sorti blaugrana. Tra le due marcature di Leo (la seconda realizzata con un sinistro dalla linea del fondo dopo un iniziale destro al volo che aveva colpito il palo), ci sono state due autoreti, una per parte, che hanno movimentato la gara e rimescolato, ogni volta, gli umori dei giocatori in campo e degli spettatori davanti ai teleschermi. Prima è stato il turno del Barça, con Lenglet che ha regalato il momentaneo pareggio del Getafe. Pallone che schizza addosso alla figura del 15 e che rimbalza impazzito in fondo al sacco. In una serata di gesti cavallereschi in campo, botte a parte tra le due contendenti, dopo il regalo del Barça agli azulones, Chakla, inteneritosi dal regalo ricevuto, si è sentito in dovere di sdebitarsi e ricambiare il favore. Così, in concorso con il proprio portiere, hanno confezionato e impacchettato il dono di ritorno. In possesso di palla, il 21 del Getafe ha deciso di fare un retro passaggio proprio nel momento in cui il suo portiere era totalmente impreparato a ricevere la palla e si trovava fuori posizione. Risultato: pallone che corre fuori controllo verso la rete del Getafe, con il portiere alla disperata rincorsa dello stesso. Palla in fondo al sacco e due a due nel marcador.

La ripresa, iniziata 3 a 1 in favore del Barcelona, ha visto una girandola di sostituzioni da ambo le squadre. Il Barça ha continuato a giocare meravigliosamente bene, ma accentuando eccessivamente l’elemento accademia a dispetto dell’effettività e della concretezza. Questo è stato l’errore del Barcelona nella ripresa. Poco prima della rete del Getafe che ha accorciato il risultato, spaventando i blaugrana e accendendo gli animi e le speranze degli ospiti che hanno iniziato a premere alla ricerca del miracoloso pareggio, la formazione di Koeman ha avuto una chiara occasione da rete con Ilaix, che con la porta spalancata davanti a sé, invece che concludere, ha cercato il tocco raffinato all’indietro verso l’accorrente Messi. Il Barça ha buttato al vento l’occasione, e così, poco dopo, è arrivato il calcio di rigore che ha riaperto la gara. A destra, senza più Roberto (al suo posto era entrato Trincao) e con Mingueza fuori posizione, Take ha affondato fino all’area di rigore e ha centrato un pallone sul quale Araujo ha cercato l’anticipo su Enes Ünal. L’intervento stato però sul piede del turco che è finito a terra colpito dal centrale blaugrana. L’azione è inizialmente continuata, salvo poi essere bloccata dall’intervento del Var che ha chiesto all’arbitro la in-field review. Calcio di rigore affidato allo stesso Ünal e rete del 3-2.

Koeman, mai visto tanto infuriato conto i suoi, rosso in viso e inferocito nelle movenze posturali sopratutto con Mingueza, ha fatto uscire il canterano dopo pochi minuti. Al suo posto Umtiti, autore di un ottimo finale di gara. Il Barça si è spaventato e la partita è cambiata. Potenza del momento psicologico che domina e governa le partite. Il Getafe ha iniziato a crederci; il Barça ha perso sicurezza e non è più riuscito a imbastire una azione offensiva degna di nota. Sul finale di gara, all’87‘, sugli sviluppi di un calcio d’angolo, Araujo è salito in cielo e ha staccato perfettamente di testa, incornando in rete per il 4-2 della sicurezza. Riacquisita la tranquillità dopo il goal che assicurava un cospicuo vantaggio, i blaugrana hanno trovato ancora la via della rete. Questa volta su calcio di rigore per fallo su Griezmann. E’ stato lo stesso francese a trasformare dagli undici metri il goal della manita e della vittoria. Tre punti fondamentali per la corsa alla conquista della Liga.

La Super League di Florentino made in Real Madrid

Giuseppe Ortu Serra

Man mano che passano le ore si vanno conoscendo sempre più nuovi particolari sulla nascente Super League. E con il trascorrere del tempo aumentano sempre più dubbi e paure. Si era detto dall’inizio che, a differenza delle competizioni organizzate dalla Uefa, la Super League era una competizione privata, gestita da una società/ente/entità privato. Ma tra privato, nel senso di diritto privato in opposizione all’entità di diritto pubblico, e privato nel senso più stretto del termine di “privato, strettamente personale”, ce ne passa! La Super League non è solo un soggetto di diritto privato. La Super League è proprietà privata. Andiamo a dare una occhiata cosa c’è dentro la scatola, finemente, elegantemente e riccamente impacchettata, della nuova competizione che sta facendo rivoltare il mondo del calcio e dello sport.

Sì è detto che la manifestazione è di proprietà dei 12 club fondatori i cui nomi, ormai, tutti conosciamo a memoria. La realtà è leggermente diversa. La società che rappresenta e organizza la competizione è presieduta da Florentino. Avrà sede in Spagna, a Madrid. La gestione dell’entità sarà in mano ad uno dei collaboratori più stretti di Florentino, Anas Laghrari, quale Segretario Generale della Super League. Laghrari non è un collaboratore qualunque di Florentino. E’ un banchiere della società di consulenza spagnola Key Capital. E’ uomo di estrema fiducia del presidentissimo del Madrid, tanto che è colui che tratta i finanziamenti e i prestiti per i lavori della società di costruzioni e servizi ACS di Florentino. Non solo, è sempre lui il tramite per l’ottenimento dei finanziamenti riguardanti i lavori al Bernabeu. Una delle cose più curiose è che il finanziamento per i lavori di ristrutturazione/ricostruzione del Bernabeu sono stati concessi proprio dalla JP Morgan che, guarda caso, è anche la banca che finanzia tutta la Super League. Curiosa coincidenza, no? Questa competizione sembra veramente una cosa realizzata in casa, a mano; una questione di famiglia più che una competizione di proprietà della così detta sporca dozzina. Più che proprietà delle dodici, sembra una proprietà unica ed esclusiva, privatissima, di Florentino Perez e del Real Madrid. Una importante competizione sportiva made in Real Madrid a cui partecipa il Real Madrid. A voi non sembra che qualcosa non quadri e che pecchino anche solo i più basilari elementi di sportività e imparzialità?

Questa è una competizione che nasce monca, monca del comune senso di terzietà e di imparzialità. Una competizione spaventosamente sbilanciata dalla parte del Real Madrid. Una Super League che nasce priva delle necessarie garanzie di trasparenza e sana e corretta competitività. Come è possibile partecipare a una manifestazione sportiva di così rilevante importanza se una delle contendenti è anche la padrona della stessa? Mancano i requisiti minimi di parità di condizioni. Sarebbe come giocare a casa del boss (in senso statunitense s’intende), con il pallone del boss, contro la squadra del boss. Con il rischio, semmai le cose non dovessero andare per il verso giusto, che possa risentirsi e portarsi via la palla a metà gara. Come fanno i bambini prepotenti che non sanno perdere.

Tutta questa vicenda fa pensare al Signore degli anelli, dove un oscuro signore aveva forgiato un anello sovrano che superasse in potenza tutti gli altri e che fosse in grado di controllarli e controllarne i portatori. “Un Anello per domarli, un Anello per trovarli, Un Anello per ghermirli e nel buio incatenarli”. Sembra una descrizione, quella di Tolkien, perfetta per descrivere la creazione di questa Super League, una competizione apparentemente creata da pari tra pari, ma che in realtà così non è.

Il retroscena – Il cappio delle condizioni finanziarie della Super League e della JP Morgan Chase

Giuseppe Ortu Serra

Come è stato detto, i soldi per finanziare il progetto sono stati assicurati dalla JP Morgan Chase Bank. La banca d’affari americana fornirà 3,5 miliardi di euro ai club fondatori come “Welcome Bonus” all’atto dell’affiliazione. Tale emolumento sarà destinato ad un Infrastucture grant programme, un Programma di sovvenzioni per le infrastrutture. Praticamente questi capitali non potranno essere usati per scopi diversi da quelli infrastrutturali. Non potranno essere destinati, per esempio, a rinforzare le rose, acquistare top players (leggasi Haaland), ma solo per migliorare e ristrutturare le infrastrutture attuali o costruirne di nuove. Queste somme non sono una donazione, un prestito a fondo perduto, ma il debito sarà finanziato con un ammortamento spalmato su 23 anni secondo quanto riferito quest’oggi dal Financial Times. In particolare i club si sono obbligati a pagare 264 milioni all’anno a JP Morgan, cifra che include il 2 – 3% di interesse a favore della banca d’investimento.

Oltre a ciò, i club riceveranno un ulteriore “Bonus” di 200-300 milioni di euro (ancora non è chiaro se annuale o una tantum). Anche questi soldi non saranno un bonus di benvenuto, ma esclusivamente un anticipo su entrate future che, attenzione al passaggio del Financial Times, “dovranno essere restituiti se una qualsiasi squadra dovesse ritirarsi e lasciare la competizione (Super League)”. Queste affermazioni sono state rilasciate al quotidiano finanziario londinese da una fonte vicina alla Super League.

Tutte le condizioni descritte riguardano un “accordo vincolante” che i club fondatori hanno sottoscritto con la JP Morgan Chase Bank e appaiono decisamente come condizioni capestro per qualsiasi dei club sottoscrittori.

La Super League: scontro all’ultimo sangue tra Uefa e club.

Giuseppe Ortu Serra

Dalla mezzanotte di oggi è ufficialmente nata la Super League del calcio europea, una versione privata della Champions però ad alto coefficiente remunerativo, con ricavi più che decuplicati per le partecipanti, un numero di squadre con partecipazione fissa, una infinitesimale percentuale di ammesse per meriti sportivi e un cambio nel soggetto organizzatore: non più la Uefa, ma un nuovo organismo presieduto da un board creato dagli stessi club fondatori. Una manifestazione elitaria, dunque, in cui pochi, pochissimi club non appartenenti al bel mondo potranno avere accesso. Tutto ciò proprio nel giorno in cui la Uefa ha annunciato il nuovo formato della Champions League, una competizione da 32 squadre con accesso aperto a tutti e gestito solo dai risultati sportivi.

La Super League è stata creata da 12 club fondatori: tre spagnoli (Barcelona, Real Madrid, Atletico Madrid), tre italiane (Inter, Milan Juventus) e sei inglesi (City, United, Chelsea, Arsenal, Tottenham, Liverpool). L’annuncio è stato dato, ufficialmente, nella notte. A questi primi 12 club costituenti, dovrebbero aggiungersene altri 8 per arrivare al numero di 20. Inizialmente i club invitati dovevano essere Paris St. Germain per la Francia, Bayern Monaco e Borussia Dortmund in rappresentanza della Germania. Il PSG, per bocca del suo presidente Nasser Al-Khelaifi, ha dichiarato di aderire al nuovo progetto Champions della Uefa smarcandosi dalla Super League. Il BVB, sulla stessa linea, ha declinato l’invito. Il club bavarese, invece, finora non ha fatto sentire la sua voce. L’unico comunicato ufficiale del club riguarda il suo allenatore Flick e la sua intenzione di lasciare alla fine della stagione. Oltre ai 12+3 (a quanto pare ancora da eleggere), che saranno squadre sempre partecipanti in quanto fondatori, verranno ammesse altre 5 per meriti sportivi. Queste ultime, chiaramente, potrebbero mutare anno dopo anno, in quanto la loro partecipazione è legata solo ed esclusivamente ai risultati sportivi ottenuti nella stagione precedente. Si disconosce sia il criterio di meritocrazia sportiva in base al quale queste ulteriori 5 saranno ammesse, sia i Paesi di provenienza. Saranno ulteriori formazioni dei campionati delle 5 nazioni elette, o sarà in gioco anche l’Europa meno fashion? In assenza di notizie ufficiali non possiamo che fare mere congetture.

La struttura della nuova competizione ha già un presidente, Florentino Perez e un vice, Andrea Agnelli. La Super League si sostituirà in toto alla Champions League della Uefa e si giocherà durante la settimana, lasciando spazio per i campionati nazionali nel fine settimana, esattamente come avviene adesso con la Champions.

Ma qui si inserisce la reazione della Uefa, con annessa minaccia, che già nella giornata di ieri, prima dunque della nascita ufficiale della nuova competizione e dello strappo operato dai dodici, aveva ammonito di gravi sanzioni chiunque avesse dato vita alla Super League. Le sanzioni vanno a colpire i club e i loro giocatori. I primi non verranno iscritti ai tornei nazionali e internazionali organizzati da Uefa e Fifa; i giocatori saranno esclusi dalla partecipazione a Mondiali e Europei con le rispettive nazionali.

Perché si è arrivati a questo? Principalmente per una questione economica. La Champions League prevede degli introiti per le squadre partecipanti estremamente bassi e limitati. La squadra vincitrice della competizione ha, milione più, milione meno, degli introiti che ruotano intorno ai 100 milioni di euro. Quantità di denaro estremamente bassa, se si pensa ai costi attuali dei top players. In una competizione che basa le sue fortune sui calciatori e sui club, dove l’elemento principale sono le squadre di calcio, non è possibile che ai personaggi intorno a cui tutto ruota giungano esclusivamente le briciole. Il successo della Champions League, e via a scendere con l’Europa League, non è dato dalla Uefa, dal suo presidente Ceferin, o dalle riunioni che l’organismo europeo del calcio celebra a Nyon, ma da chi scende in campo, da chi segna e da coloro che, con fatica, costruiscono le squadre che si danno battaglia sul terreno di gioco. La Uefa si è adagiata per troppi anni sugli allori portati da altri elementi dell’equazione calcio, senza notare che il merito in percentuale della Uefa nel successo della Champions era infinitesimale. Da anni il calcio europeo è stato gestito come un signore feudale con i suoi vassalli, lucrando sul lavoro di questi ultimi e mantenendo per sè il massimo guadagno possibile.

Il progetto della Super League nasce come risposta a questa situazione. Finanziata in parte da JP Morgan, la nuova competizione prevede un introito di 200 milioni a club per la partecipazione, e un finanziamento di 3,5 miliardi di euro agli stessi sotto forma di finanziamento da rimborsare con i proventi ottenuti dalla competizione.

Non si esclude che il tutto sia organizzato anche solo come “stimolo” verso la Uefa per accordarsi diversamente sul ritorno economico che le squadre partecipanti meritano di avere, non solo per partecipare, ma per ogni gara disputata, per ogni singolo passaggio di turno, oltre che per la vittoria finale.

Che siamo davanti da uno scisma temporale sulla scia di quanto avvenuto all’interno del papato nel 1378, con la doppia sede papale a Roma e Avignone, o allo scontro papato-impero (Gregorio VII-Enrico IV) con epilogo nel 1077 per la lotta delle investiture, o a una semplice manovra per avere un forte potere contrattuale, sulla scorta delle baruffe tra Trump e Xi Jinping non ci è dato sapere. Allo stato delle cose ogni strada è aperta: dallo scontro frontale da “si salvi chi può“, da cui tutti potrebbero uscirne sconfitti, tanto è il peso delle forze belligeranti contrapposte, a un accordo raggiunto in extremis che favorirà dal punto di vista economico i club partecipanti alla Nuova Champions. Per chiudere, una citazione dal film Gli Intoccabili: “Voglio dirvi ancora una cosa: questo è un incontro all’ultimo sangue. Aspettate la fine, uno solo resterà in piedi; è così che saprete chi ha vinto“.

Il Barça Campeón de Copa de España por 31ª vez

Giuseppe Ortu Serra

Il Barça è campione di Copa. Una Copa conquistata per la 31ª volta nella sua storia. Una vittoria inequivocabile, sin un peró, senza che sia mai stata in discussione. L’Athletic si è trovato nella condizione di giocarsi due finali di Copa del Rey nel giro di poche settimane. Le ha perse entrambe. Koeman ha schierato i suoi con il 3-5-2, con Piqué in campo e Griezmann per Dembélé. Marcelino ha risposto con un 4-4-2 molto prudente, con Muniain in campo.

Il Barça ha iniziato molto bene, con buona velocità, pressione e fantasia in attacco. Subito occasioni da rete per sbloccare la gara, tra cui un palo a portiere battuto di De Jong che ancora grida vendetta. Ma, nel corso del primo tempo, la manovra blaugrana ha perso mordente e fantasia in avanti. Sempre grande dominio del pallone e della gara, con più dell’80% di possesso palla, ma in fase offensiva non si sono più creati evidenti pericoli.

L’Athletic ha iniziato a prendere le misure dell’avversario e non ha più concesso conclusioni o grandi chance da rete. L’ingresso in area di rigore della palla è stato sempre più difficoltoso; Dest non ha raggiunto quasi mai il fondo, fermandosi sempre nei pressi del vertice basso dell’area per distribuire la palla verso l’interno del campo. Sono mancate le conclusioni da fuori che potevano essere un’alternativa al gioco di possesso e agli scambi in velocità palla al piede.

La ripresa ha sbloccato tutte quelle asperità che non avevano permesso alla squadra di Koeman di andare in goal. Da subito si è visto una squadra decisa, ancora più affamata e “cattiva”. I risultati si sono visti subito. Tiri da fuori (Pedri), da sotto porta (Busi). Nel secondo tempo sono arrivati anche i cross dal fondo. In uno di questi è giunta una doppia clamorosa occasione di Griezmann che ha calciato in porta a tu per tu con Unai Simón, respinta di piede sullo stesso francese che derivando nella scivolata ha nuovamente colpito il pallone, ma lo stesso è scivolato a fin di palo. Tutte occasioni in rapida successione nei primi dieci minuti.

Poteva essere l’ennesimo segnale di manifesta sfortuna e della serata di grazia del portiere avversario. Ma così non era. A leggerli a posteriori erano, invece, i prodromi di un recital che avrebbe portato la formazione blaugrana a conquistare la sua 31ª Copa del Rey e a mettere in scena una partita clamorosa. La prima rete non è tardata ad arrivare. Al 60′ è stato Griezmann a sbloccare e far sbocciare la partita come una rosa che si sveglia dopo una lunga notte buia ai primi caldi raggi di sole del mattino. L’assist, sempre da un cross dalla destra (l’importanza di arrivare sul fondo!), è stato di De Jong, uno dei due uomini in più, fondamentale, basilari di questo Barça insieme a Messi.

Con l’uno a zero il Barcelona ha mollato gli ormeggi, salpando verso l’orizzonte azzurro e la gloria. Appena tre minuti ed è arrivato il raddoppio. De Jong, su assist di Jordi, ha agito da perfetto nueve, colpendo di testa in tuffo e battendo per la seconda volta Unai Simón. Al 68′ è giunta la prima delle due reti di Messi. Un capolavoro. Una rete costruita sull’asse Messi-De Jong, iniziata dall’argentino a centrocampo, ricamata dall’olandese con due assistenze per il 10 e definita in rete con una giocata in area di rigore e un tiro chirurgico, rasoterra, sul palo lungo che ha lasciato il numero uno avversario di stucco, immobile, consentendogli solamente di voltare il capo per ammirare il pallone finire in fondo alla rete. Una meraviglia. Il Barça ormai giocava sul velluto, con le ali di mercurio ai piedi.

Al 72‘ ancora Messi, questa volta su assistenza di Jordi, ha portato il risultato sul 4-0. Una doppietta del capitano per sigillare non solo la conquista del primo trofeo della stagione, ma sopratutto il compromiso tra Leo Messi e il Barça. Un legame quest’oggi apparso ancora più forte.

Le reti sarebbero potute essere anche cinque. Griezmann aveva anche realizzato il goal della manita. Sarebbe stata la sua doppietta personale. Il goal è stato però viziato da una millimetrica posizione di fuorigioco dello stesso giocatore francese che ne ha viziato l’esito positivo.

Una gara, una vittoria, un trionfo che si farà ricordare per la difficoltà che ha richiesto per conseguirla. Una partita che fa ripartire il Barça, fa dimenticare il passo falso nel clásico, e rilancia la squadra per la parte finale della stagione di Liga.

Conferenza stampa di Koeman tra futuro e presente

Giuseppe Ortu Serra

La conferenza stampa di Koeman alla vigilia della Finale di Copa del Rey contro l’Athletic Bilbao è stata ricca di spunti. Un Koeman sereno, anche se piccato a tratti, come in occasione dell’ultima domanda del pomeriggio, quando la domanda giunta dagli Stati Uniti lo ha in qualche modo urtato. Era in merito al suo futuro nell’ipotesi in cui non dovesse conquistare domani la Copa del Rey. Dulcis in fundo, per dire che il meglio arriva alla fine. Non certo per Ronald. Il tecnico, risentito, ha risposto che trova “strano che io debba rispondere sul mio futuro. Abbiamo giocato 19 partite di file, ne abbiamo persa una e devo parlare del mio futuro. Capisco, devo accettare questo, ma non sono d’accordo. Sto facendo il mio lavoro e mio ancora un anno di contratto. So che questo il lavoro dell’allenatore. E’ una grande pressione e accetto questo”. Ma non è d’accordo. Quella di domani sarà certamente una partita speciale per la squadra e il suo allenatore. Dopo la sconfitta su misura nel clásico condite da polemiche messianiche, arriva subito una controprova. Un nuovo banco di prova per il tecnico olandese. Una sorta di esame finale. Se lo passa arriverà un trofeo (il primo e chissà che poi non ne arrivi un secondo), che potrà in qualche modo stemperare la temperatura, improvvisamente alzatasi dopo la sconfitta con il Madrid, e riportare la calma nell’ambiente. In caso contrario, il buon Koeman si troverà al centro del mirino, per citare il film con la coppia Eastwood-Malkovich e le polemiche non si fermeranno più.

Partita cruciale, dunque, per la stagione di squadra e tecnico, sebbene il suo “ho ancora un anno di contratto” lasciano emergere soffusi e conflitti emergenti in stile Popeye-Braccio di ferro. Per la gara più importante dell’anno, insieme a Barça – Atletico della quartultima di campionato, sempre che la classifica lo permetta, Koeman recupera certamente Piqué che “si è allenato tutta la settimana e potrà giocare domani”.

Recuperato il centrale, la parola passa adesso alla squadra e a come affronterà l’Athletic. Koeman è stato chiaro, puntando gran parte della sua conferenza stampa sull’aspetto difensivo della sua formazione. “Domani dobbiamo difendere bene. Sappiamo come affrontare questa squadra dopo averla affrontata diverse volte”. In questa stagione ci sono stati vari incroci, sia in Liga che in Supercopa. La difesa, il chiodo fisso di Koeman per domani, sopratutto dopo le due reti subite nel clásico, sopratutto la prima, con un contropiede che ha trovato Jordi completamente sorpreso e fuori tempo nel tentativo di uscita su Valverde. Il tecnico olandese quindi puntualizza. “E’ importante essere ben collocati in difesa anche quando abbiamo il possesso palla e stiamo attaccando”. Leggasi marcature preventive.

Circa l’avversario, l’Athletic, Koeman ne ha messo in evidenza gli aspetti positivi, definendola una squadra che lotta, forte a palla ferma” (lo spauracchio Villalibre è sempre presente nella mente dei tifosi catalani). Una formazione pericolosa anche in velocità e in contropiede con Inaki Williams. “Quando perdiamo il pallone dobbiamo essere meglio collocati difensivamente che nel clásico”. Ecco che l’incubo difesa torna sistematicamente nella mente e nelle parole del tecnico blaugrana.

In merito alle motivazioni di Messi e della squadra, e della loro preparazione mentale a giocare una finale, Koeman è stato chiaro, sostenendo che “Messi è motivato per vincere la Copa” e che “non è necessario motivare i giocatori. Sanno ciò che devono fare. Nelle ultime due partite abbiamo perso energie. Dobbiamo recuperare forze per domani”. In merito ai tanti giovani con poca esperienza per giocare partite importanti come una finale, Koeman ha delegato il compito di fare da apripista ai veterani per mostrare la strada ai giocatori giovani.

Come giocare la partita contro l’Athletic? Già detto dell’importanza della disposizione difensiva, Koeman ha detto che il piano è quello di “cercare giocatori tra le linee, giocare sulle bandas e recuperare velocemente il pallone quando lo si perde”. “Abbiamo una squadra vincente e domani dobbiamo dimostrarlo”.

La traversa e Gil Manzano danno i tre punti all’umile Zidane

Giuseppe Ortu Serra

Ha vinto il Real Madrid. Viva il Barcelona. Il Barça ha perso 2-1 ma avrebbe meritato di più, molto di più. Sopratutto avrebbe meritato una cornice arbitrale da top campionato, non da barzelletta tragicomica. Zidane è stato umile. Ha appostato per un undici con 5 difensori, quattro centrocampisti e un attaccante, ma tutti pronti a scattare in velocità nei corridoi che si sono aperti in contropiede. Il Barcelona è stato forse ingannato da questo falso senso di sicurezza che Zidane ha infuso nelle menti blaugrana. Il classico Cavallo di Troia. Il Barça ha pensato di poter osare di più, mollando un attimo dal punto di vista del controllo della concentrazione. Il Barça ha giocato con i cinque centrocampisti per dominare la linea mediana. Sono mancate però effettività, cinismo, tiri da fuori e precisione nei passaggi. I troppi errori negli appoggi hanno minato la velocità della manovra. Contro una difesa a cinque, l’area di rigore è stata eccessivamente intasata. Ciò avrebbe necessitato una diversa soluzione tattica: il tiro da fuori. Nei primi 45′, invece, il Barça non ha mai tentato la conclusione da fuori, intestardendosi nel voler entrare a tutti i costi in area palla al piede. Questo fatto ha agevolato enormemente il compito della difesa dei blancos, che tutto sommato non hanno sofferto più di tanto. Una occasione prima della rete di Benzema, un palo di Messi dal corner, un altro tiro di Leo da distanza ravvicinata con paradón del numero uno del Madrid.

Le reti del Madrid sono arrivate su un contropiede fulminante, aperto da Valverde che ha superato Jordi a centrocampo e creando la superiorità numerica e chiuso dal tacco di Benzema, e su un calcio di punizione di Kroos deviato da Dest nella propria porta. Al Barça manca un nove. inevitabile.

La ripresa ha visto l’intervento di Koeman a modificare squadra, modulo, atteggiamento. Subito dentro Griezmann al posto di Dest e il passaggio al 3-4-3. Il cambiamento mostra subito i suoi benefici. La squadra è più snella e veloce. Il Madrid non riesce più a ripartire. Il Barça preme e crea da subito pericoli alla difesa blanca. La rete arriva grazie a un cross da sinistra, velo di Griezmann che si è inserito subito bene, dando presenza e peso in attacco, e inserimento di Mingueza che realizza la rete del 2-1. Il Barça continua a martellare ma non riesce a passare. Inizia la girandola dei cambi, con Sergi Roberto per Busi e Ilaix per Araujo. I cambi animano ulteriormente la squadra, ma sembra di andare a sbattere contro un muro. Il Barça meriterebbe ampiamente la rete del pareggio. Braithwaite per Dembélé e Trincao per Pedri sono gli ultimi tentativi di Koeman di riprendere la gara.

Un rigore chiesto per fallo sul nove è rimasta lettera morta per Gil Manzano che non è andato nemmeno a rivedere l’episodio al Var. Un doppio fallaccio di Casemiro in pochi minuti costa al brasiliano prima il giallo e poi il rosso. Il Barcelona insiste; il Madrid vacilla, si aggrappa alla coda del diavolo che lo sospinge sulla sue ali e riesce a non cadere nemmeno al 94‘ quando Ilaix, al termina di azione furibonda in area di rigore colpisce una traversa che avrebbe meritato certamente la rete a Curtois battuto e che reclama ancora vendetta.

I quattro minuti di recupero concessi dall’arbitro, notoriamente madrididista anche per il suo passato quale presidente di una pena di sostenitori del Madrid, sono l’ennesimo schiaffo alla sportività e alla correttezza di questa partita. Otto sostituzioni, equivalenti a 4 minuti, più almeno due di interruzione per un guasto all’apparato audio dell’arbitro con il Var sarebbero valsi, come minimo 6 minuti. L’ineffabile Manzano, che solo qualche stagione fa fu visto abbandonare il Bernabeu con una busta del Madrid gonfia di omaggi al termina di una partita del Real Madrid da lui stesso arbitrata (situazione che racconta più di mille discorsi filosofici sull’onestà intellettuale, sui sospetti e sull’imparzialità del fischietto che corrisponde al nome di Gil Manzano), ha deciso di applicare i saldi sul tempo di recupero mentre il Madrid vacillava e il Barça soffiava come un toro dalle narici fumanti e infiammate. 4 minuti su almeno 6 sono un vantaggio enorme per la formazione di casa.

Il Madrid vince con eccessivo merito rispetto a quanto mostrato sul campo. Il Barça, a fronte di una prima frazione mancante, ha messo in campo una ripresa tutto pepe, meritando ampiamente come minimo il risultato di parità per occasioni, spirito di squadra, condotta di gara. Koeman, nel secondo tempo è stato in grado di cambiare la partita. Giusti i cambi effettuati nel momento opportuno. Alla fine è mancato un pizzico di fortuna che la squadra ha dimostrato di meritare e una accoppiata arbitro-Var all’altezza dell’appuntamento. Una gara con una platea mondiale diretta da una terna e da una direzione Var da campo polveroso amatoriale. Questa è la situazione arbitrale in Spagna. Da terzo mondo, come tante altre cose in questo Paese retto da una monarchia messa sul trono da un dittatore.