DA MISTER LAMENTO KOEMAN A XAVI POTTER IN 136 GIORNI. E SENZA PASSARE DAL VIA!

Giuseppe Ortu Serra

Domenica indimenticabile, quella vissuta e goduta ieri. Una Domenica di Passione, di Fede, di Resurrezione; una Domenica di Magie. Una Domenica che ha uno stretto filo conduttore nell’asse Maranello-Barcelona. Il grana in comune, un motore potente che tutto schiaccia e travolge nel cuore; una fede cieca nel lavoro di squadra, nei protagonisti e nella propria guida sportiva. La Ferrari era dal 2019, a Singapore, che non otteneva una doppietta come quella di ieri in Bahrain.

Il Barça ugualmente. Ultimo Clásico vinto nel 2019, uno 0-1 al Bernabeu con rete di Rakitic su assist di Roberto. In mezzo, una serie di brucianti sconfitte e umiliazioni che parevano aver restaurato il dominio baronale del Madrid protetto dalla dittatura franchista. Un pareggio, nel dicembre del 2019 (stagione 19-20), quasi una avvisaglia della brace ormai spenta, e poi cinque vittorie consecutive dei blancos. Le stagioni 19-20, 20-21, 21-22 sono state disastrose e segnate dall’incapacità di tecnici non all’altezza come Valverde, Setién e Koeman. Con Mister Lamento si è toccato veramente il fondo.

Fino a ieri. Fino a Xavi. Fino alla Restaurazione del cruyffismo e guardiolismo attraverso il xavista pensiero. Fino alla Resurrezione del Calcio e de l’Estílo, del Barcelonismo. Fino all’avvento di Xavi Potter che con l’incantesimo del lavoro, della Cultura del Lavoro per essere più precisi e con il ritorno alle origini, laddove tutto era nato, è riuscito nell’incredibile: trasformare una pattuglia che per Mister Lamento Koeman era “Esto es lo que hay”, in “Esto, es lo que hay! “. Si tratta solo di una virgola, di una pausa nella lettura, di una inflessione per mettere l’accento su di una parola, ma che cambia totalmente il significato della frase. Sì, Esto, es lo que hay, caro Koeman! E ci dispiace dirlo, ma non avevi capito nulla.

Ieri Xavi Potter, in un Bernabeu colmo di gente giunta per assistere all’ennesimo semplice trionfo contro l’odiata Catalunya e Barcelona, hanno partecipato da auto invitati alla celebrazione del Calcio made in Masía. I fischi assordanti di coloro che pensavano di umiliare e schiacciare la pulce Barcelona come avevano fatto pochi giorni prima con il Psg, si sono trasformati in silenzio rotto solo dai canti del barcelonismo che, con fede e speranza, avevano assiepato le tribune di Chamartín.

Xavi Potter ieri ha scatenato un Incanto Patronus per bloccare le forze del male dei Dissennatori del mago oscuro Lord Florentino Voldemort. In campo è scesa una sola squadra. Ha giocato una sola squadra: il Barça. Il Madrid è stato a guardare, ad ammirare, a “cercare di sparare”, come avrebbe detto El Indio in Per Qualche Dollaro in Più. Ma senza riuscirci. Letteralmente basito, stupito, bloccato, catatonico, ipnotizzato dal gioco blaugrana, dalla superiorità della squadra catalana in ogni zona del campo e sotto ogni aspetto del gioco: dal palleggio alla capacità emotiva; dalla personalità alla tecnica calcistica; dalla tattica alla copertura di ogni centimetro del terreno di gioco. Scacco matto ad Ancelotti, il cui sopracciglio, ieri, ha raggiunto altezze siderali. Ogni spazio, ogni centimetro del campo era presidiato, coperto, dominato da maglie con la Senyera. Ulteriore schiaffo al madridismo più becero. La squadra è stata corta, veloce, spettacolare. Aggressiva nel recupero immediato del pallone con un pressing altissimo che non ha mai accennato a diminuire, come la cieca fede dei suoi protagonisti nel Manifesto Calcistico del loro Padre Putativo, Mentore, Maestro.

I cori dei tifosi blaugrana che inneggiavano a “Xavi Hernandez” hanno squarciato, con un fragore lacerante, il silenzio opprimente di un Bernabeu immerso nel lutto più profondo. Anche il Madrid in campo lo era (in lutto). I giocatori vestiti di nero, la panchina vestita di nero. Le facce, le espressioni dei madridisti, lunghe, funeree, color della pece. Xavi Potter ha trasformato una pattuglia di giocatori dal grande talento, ma distrutta nel morale, nella psiche e nelle gambe, ormai quasi irrecuperabile, in una delle più belle, floride, limpide e cristalline realtà d’Europa che gioca a memoria con uno spettacolo che nemmeno il City di Guardiola riesce ad esprimere sul terreno di gioco, e lo ha fatto in appena 136 giorni. Da Mister Lamento Koeman a Xavi Potter Hernandez in 136 giorni. E senza passare dal Via!

UN BARÇA MONUMENTAL ANNICHILISCE IL MADRID AL BERNABEU: 0-4

Giuseppe Ortu Serra

È stata la risposta di Xavi a tutti coloro che ancora, nonostante tutto, sostenevano che il Madrid fosse superiore al Barça. Forse adesso ammetteranno di avere sbagliato tutto, o forse, di non avere capito nulla. Uno schiaffo in faccia ai miscredenti e disfattisti di parte catalana, oltre a tutti i madridisti. Questo è il Barça di Xavi, il Barça di chi non si tira indietro e di chi mai lo farà, di chi ha sempre creduto in questa squadra a prescindere dai disfattisti di professione, dagli iettatori, da tutto e da tutti. A Madrid, come alcuni ancora a Barcelona, pensavano, forse, di trovare il Barça di Koeman “sbalenato” nella poltrona della sua panchina.

Così non è. Questo è il Barça di Xavi, una squadra che non è inferiore a nessuno, capace di andare al Bernabeu, dopo Clásicos segnati da sconfitte umilianti, e di annichilire l’avversario. Il Barça ha dominato in lungo e in largo; si è letteralmente mangiato l’avversario. Lo 0-4 finale sta anche stretto alla pattuglia del tecnico di Terrassa. In molte occasioni la squadra ha sfiorato la manita, risultato che sarebbe stato più congruo e altisonante alla prestazione da standing ovation della formazione blaugrana.

Con la Senyera come maglia e bandiera, il Barcelona ha fatto letteralmente nero il Real Madrid, che già, forse come una sorta di presentimento e lapsus freudiano, di nero già si era vestito per disputare la gara. Il risultato è stato una partita in cui si è vista una sola squadra in campo: il Barcelona. Spettatori non paganti, imbucati alla festa, i giocatori del Real Madrid, che hanno fatto da comparse alla celebrazione blaugrana.

Le reti sono state frutto di un gioco dominante, asfissiante, betabloccante per i poveri, spaesati, confusi, increduli madridisti. Il tornado Xavi si è abbattuto sul Bernabeu con la stessa furia delle arpie della mitologia greca. Gli uomini di Ancelotti non ci hanno capito nulla dall’inizio alla fine della gara. I fischi iniziali del Bernabeu, forse di scherno, di paura, o per intimidire una squadra forte e salda come una roccia dal punto di vista morale e caratteriale, si sono trasformati in un silenzio irreale, rotto solo dai canti festanti dei tifosi blaugrana che hanno intonato i loro inni al di sopra dello sconcerto blanco. Ci aveva già provato la tifoseria del Galatasaray a fischiare in maniera incessante i blaugrana. Ed era finita come tutti sappiamo. Adesso è stato il turno dei madridisti: fischiare e poi piangere.

Le reti di un match epico, mitico, che riscrive la storia degli ultimi clásicos e apre una nuova era dopo i tormenti di Mister Lamento, portano la firma di Aubameyang, autore di una doppietta, di Araujo e Ferran.

Aubameyang, un raggio di sole in una squadra che necessitava un attaccante vero. Una manna caduta dal cielo grazie a una strepitosa operazione di mercato. Un giocatore da 9 reti in 10 presenze giunto a parametro zero. Araujo, ragazzo forte e intelligente capace di segnare e difendere con la medesima facilità. Ferran, ancora troppi gli errori sottoporta, che apre il gioco e partecipa alla manovra come nessun altro. E sopratutto Xavi, il Gran Maestro, il Dominus, il Rector. Un allenatore con i fiocchi capace di trasformare in un diamante azzurro purissimo una pietra che per altri era un fondo di bottiglia.

BARÇA CHAMPAGNE. LE BOLLICINE SONT ICI

Giuseppe Ortu Serra

È tornato il super Barça, il Barça spettacolo; quello da spot pubblicitario: “This is football; this is Barça”. Xavi lo aveva detto in conferenza stampa. “È tutto una questione di testa“. Come avevamo scritto dopo il Galatasaray, Xavi ha usato i nostri ragionamenti per dire che se prendi sotto gamba partita e avversario, nell’errata convinzione di essere superiore, “todos te pasan por encima”.

Contro l’Osasuna la squadra non ha commesso il medesimo errore commesso contro i turchi, e dopo la sfuriata del suo allenatore, questa volta il Barça è sceso in campo concentrato e con la testa nella partita. Il risultato è stata una partita spettacolare, ben giocata, senza nessuna chance per l’avversario. Si sono visti tutti i capi saldi del Manifesto Xavista. Gioco di prima, velocità, intensità, aggressività, recupero immediato della palla con due/ tre uomini a pressare in avanti, cambi di cambio di 40/50 metri, ampiezza di gioco. Tra i migliori blaugrana vanno menzionati certamente Dembélé, autore di una partita preziosa corroborata da due assist per due dei tre goal con il quale si è chiuso il primo tempo di gara. Questo giocatore, con la testa dentro il club e la partita, è un elemento indispensabile per il calcio di Xavi. Dà imprevedibilità, cambi di gioco, permette di saltare l’uomo creando un continuo soprannumero. Oltre ad esso fornisce una continua fonte di assist per i suoi compagni. Questo è certamente il miglior Dembélé di sempre.

Capitolo Aubameyang. Oltre alle due reti di Ferran, Aubameyang ha segnato la sua sesta rete in maglia blaugrana. Un calciatore fondamentale anche lui. Senza il 25 la squadra è meno pericolosa e gioca in maniera differente. Aubameyang da sostanza in area ed è un pericolo costante per gli avversari. La sua rete, su assist del suo ex compagno al BVB, è un inno alle capacità che deve avere un vero nueve. Sempre pronto a smarcarsi, a farsi vedere dai compagni e lesto a ricevere palla. La sua grande capacità tecnica ne fa un elemento prezioso per questa squadra. È arrivato a febbraio, ma sembra che abbia sempre giocato in questo club e con i suoi attuali compagni. La sua rete è stata un perfetto tempismo sul cross di Dembélé. La doppietta di Ferran (su rigore e azione), dimostra i progressi del ragazzo anche dal punto di vista delle conclusioni. Evidentemente il lavoro di Xavi in allenamento sta iniziando a produrre e suoi frutti. Tutto sta a saper aspettare.

Con il risultato sul 3-0 alla fine del primo tempo, il Barça è saltato in campo per giocare la ripresa senza alcuna intenzione di fermarsi. Calcio a ciclo continuo e recital anche nella seconda parte, assolutamente dominata. I cambi di Xavi hanno modificato leggermente la squadra anche in vista del ritorno di Europa League in Turchia. Dunque nei secondi 45′ Piqué, leggermente malconcio ad una gamba (lo abbiamo visto in panchina con del ghiaccio sulla parte interessata), Pedri, Aubameyang, Jordi e Ferran hanno lasciato il terreno di gioco. Al loro posto sono entrati Lenglet, che non giocava dalla terza di ritorno contro l’Alavés, Riqui, Memphis, Mingueza e Braithwaite, prima assoluta con Xavi in panchina (non giocava dalla terza di andata in campionato). La squadra ha continuato a giocare a memoria e non si è fermata. Ha proseguito nel dare il maggior spettacolo e divertimento possibile al suo pubblico. Riqui, che sta ritrovando piano un certo protagonismo, ha voluto rendere la sua partita memorabile con una rete, la quarta del Barça questa sera, con un omaggio a un grande blaugrana, il migliore e più forte di tutti i tempi: quel Messi che oggi abbiamo visto (e sentito) umiliato dal pubblico parigino, capace solo di inseguire, morire di invidia e restare perdente a vita. Era il 75′ quando, dopo un tiro di piatto che ha costretto Herrera a una respinta centrale, il numero 6 è stato il più lesto a recuperare il pallone, saltare il portiere, accentrarsi e rientrare in campo dalla linea di fondo, saltare un uomo appostato sulla linea di porta e insaccare trovando l’angolino opposto. I 57 mila del Camp Nou hanno coreato il nome di Riqui come festeggiavano le reti del Diez. Con un “Riqui, Riqui” che è stato un involontario omaggio al più grande nella sua giornata più brutta di sempre. E un gancio al Barça del futuro. Un bel momento, importante per il giocatore, per il gruppo e il morale di tutta la squadra.

Il Barça ha dimostrato, oggi, di essere un gruppo granitico, un monolite in cui allenatore e giocatori sono elementi inscindibili. Dopo le vittorie di Villareal, Real Sociedad e Betis, il Barça ha risposto in modo forte e perentorio. Il Madrid è troppo lontano, certo. Per il resto, tutte le squadre dovranno fare i conti con questa squadra, Sevilla compreso. Il secondo posto è 5 punti oltre. La formazione andalusa vive un momento di calo, è al secondo pareggio consecutivo, ha una partita in più e lo scontro diretto si deve ancora celebrare; e al Camp Nou per giunta. Adesso sotto con il Galatasaray in Turchia, sempre senza pensare che potrà essere una passeggiata. Lo sarà, forse, solo se il Barça affronterà la partita come fosse la più difficile possibile. Con queste premesse, nessun traguardo sarà precluso al Barça. E siamo appena all’inizio.

IL BARÇA STECCA LA PRIMA CONTRO IL GALATASARAY

Giuseppe Ortu Serra

Zero a zero in casa contro il Galatasaray nell’andata degli Ottavi di finale di Europa League. Il Barça butta via un tempo (il primo) e si complica il ritorno in Turchia. I primi 45 minuti hanno visto una squadra molle, svagata, con la testa non nella gara nella (errata) convinzione che l’avversario fosse abbordabile, come da tutto l’ambiente definito dopo il sorteggio, certamente benevolo. La squadra, entrata in campo con la convinzione che bastasse una prestazione appena sufficiente, senza grande dispendio di energie e concentrazione per avere la meglio sulla formazione di Galata, ha giocato di conseguenza. E come spesso accade nello sport, non solo nel calcio, la convinzione che la gara sia facile ti porta a giocare come se lo fosse. Solo che nel calcio professionistico, specialmente in Europa, non esistono partite, o avversari, facili. Le partite diventano semplici solo se le affronti con concentrazione, impegno e senza sottovalutare l’avversario. È quanto, invece, è capitato al Barcelona.

Primo tempo facilone; minimo di intensità, velocità, pressing. Svagatezza e errori negli appoggi e nel recupero delle posizioni. Risultato: gioco scontato, prevedibile, noioso e due conclusioni appena. Memphis, su punizione e azione, è stato l’unico blaugrana ad avvicinarsi alla rete. Il Galatasaray? Difesa compatta a chiudere e sporcare ogni linea di passaggio e quasi mai in affanno. Anche i turchi si sono affacciati dalle parti di Ter Stegen. Due conclusioni come i catalani. Decisamente poco per un Barça che aveva incantato ad ogni uscita.

La ripresa è stata decisamente diversa. Innanzitutto subito i cambi di Xavi per cercare maggiore pericolosità davanti. Un cambio per reparto, con Piqué (per Araujo), Busi (per Nico) e Dembélé (per Ferran). Il secondo tempo ha visto un Barça diverso, concentrato e con una differente attitudine rispetto alla prima parte della gara. I miglioramenti si sono visti immediatamente. E non sono dovuti unicamente ai cambi, ma al differente approccio alla gara che Xavi è riuscito a trasmettere alle menti dei giocatori nell’intervallo. Elementi come Pedri, ma sopratutto De Jong, presenti in entrambi i tempi di gioco, hanno interpretato la gara in maniera totalmente differente nella seconda parte.

La produzione offensiva è aumentata, e con essa l’intensità di squadra. Maggiore velocità e cattiveria nelle giocate. L’area di rigore del Galatasaray è stata cinta d’assedio come un fortino negli scontri tra Nativi e Cavalleria delle pellicole cinematografiche anni 50/60. La difesa turca, ben diretta dal catalano Torrent, ha balbettato e ballato più volte, e più volte è stata sul punto di cadere. Ma un po’ di imprecisione, le parate dell’ex Pena, e un palo clamoroso colpito da De Jong dopo un assist in rovesciata di Aubameyang (subentrato al 61′ a Memphis), hanno impedito la meritata rete blaugrana.

A questo punto sarà lo scenario dello stadio del Galatasaray che deciderà la contesa e il passaggio del turno. Qualcosa che nessuno al Barça avrebbe voluto: doversi giocare la qualificazione in un campo caldo come quello turco e con la formazione di casa con tutte le chance di giocarsi la qualificazione.

A ELCHE TRE PUNTI FONDAMENTALI NELLA CORSA CHAMPIONS

Giuseppe Ortu Serra

Il Barça vince al Martines Valero di Elche nel corso di una gara combattuta e sofferta con il risultato di 1-2 in rimonta (prima o tempo terminato a favore dei locali). Di Fidel, Ferran e Memphis le reti dell’incontro. Tre punti fondamentali in chiave terzo/quarto posto per la formazione blaugrana vista la doppia sconfitta di Villareal e Real Sociedad che inseguono da presso. Con questo risultato le due squadre di Vila-real e San Sebastian (che hanno giocato anche una partita in più) si trovano adesso lontane rispettivamente 6 e 5 punti.

Per la gara del Martinez Valero Xavi ha presentato l’undici migliore evitando rotazioni in vista della partita contro il Galatasaray di giovedì prossimo. Gli unici cambi hanno visto la staffetta Adama-Dembélé (preferito il secondo) e Gavi-Ferran (preferito il primo).

L’Elche si è presentato in campo con una formazione abbottonata e guardinga, cercando di chiudere ogni varco con tre linee molto ravvicinate per non lasciare spazio per le imbucate tra le linee. Forte pressing a partire dalla loro metà campo su ogni blaugrana in possesso di palla con costanti raddoppi. Il Barça ha provato dunque a rendersi imprevedibile alternanza azioni con aperture lunghe sulle ali per prendere la difesa alle spalle ad azioni più ragionate e corte. I blaugrana hanno avuto tre chiare occasioni da rete nei primi 45 minuti con Dembélé e De Jong nella medesima azione (respinta del portiere sulla conclusione del francese, e respinta sulla linea sul conseguente tiro di De Jong). La seconda occasionassimo porta ancora la firma del numero 21, che lanciato in contropiede dopo una azione dei padroni di casa che aveva portato Morente alla conclusione, si è fatto deviare in corner il diagonale dal portiere. Al 41′, poi, l’infortunio che ha portato alla rete del vantaggio dell’Elche. Su azione iniziata dall’estremo difensore locale, Pedri ha trovato l’anticipo a centrocampo su un avversario, ma il forte contrasto (all’indietro), ha messo in movimento Fidel e tagliato fuori tutta la difesa del Barça, in proiezione avanzata. Il giocatore dell’Elche ha avuto così la possibilità di entrare in area dal lato corto di sinistra e calciare in porta con un diagonale che ha battuto Ter Stegen.

Nella ripresa è entrato Ferran subito a posto di Gavi. La partita è stata meno bella, più tirata e confusa. Il Barça ha insistito nella ricerca del pareggio e lo ha trovato quasi subito, al 61′, per opera di Ferran che ha sfruttato un tiro cross di Jordi, deviandolo sotto porta e spiazzando il portiere. Dopo la rete del pareggio l’Elce ha avuto due chiare occasioni, ma Ter Stegen in una delle due (pacatissima sotto l’incrocio dei pali) e la scarsa mira di Ponce nell’altra, hanno evitato la seconda capitolazione.

Da quel momento la squadra di Xavi ha ripreso a menare la danza, e a dominare, ma Ferran ha sbagliato anche l’impossibile. Ben 5 occasionassime capitate sui sui piedi e tutte sprecate malamente. Che pena vedere un giocatore così, che si muove bene, crea, ma non azzecca un tiro che sia uno. Il Barça avrebbe potuto capitalizzare una nuova goleada se il suo giocatore avesse avuto una mira da giocatore professionista e non da studente in vela.

Per fortuna, o forse sarebbe meglio dire per giustizia divina, a cinque dalla fine è giusto il meritato premio. Fallo di mano di Barragan (tocco con il gomito) per anticipare Memphis (entrato al 75′ al posto di Aubameyang; grigia partita la sua) in calcio d’angolo. Revisione Var e assegnazione di un corretto calcio di rigore. Sul dischetto lo stesso numero 9 che ha trasformato, spiazzando il portiere, con uno splendido destro finito nell’angolo alto alla sua destra.

Gli ultimi minuti (5+1 il tempo di recupero) sono stati segnati dalle polemiche e proteste dei locali per due presunti falli di mano di Jordi e Busi sui quali non poteva assolutamente esserci irregolarità, posto che nel primo la palla è finita sul braccio tenuto parallelo al corpo; nel secondo la palla è finita chiaramente sulla pancia del pivote blaugrana. Con questa partita il Barça ha dimostrato di sapere vincere anche quando le cose non filano tutte per il verso giusto e le partite diventano sporche, quasi da guerriglia. Xavi ha ancora molto da lavorare, ma la squadra, lo spirito di gruppo e appartenenza sono quelli giusti. Gara gli aspetti che richiederanno il maggior sacrificio da parte del tecnico blaugrana c’è certamente il discorso Ferran e la sua incapacità sotto porta.