Giuseppe Ortu Serra
Domenica indimenticabile, quella vissuta e goduta ieri. Una Domenica di Passione, di Fede, di Resurrezione; una Domenica di Magie. Una Domenica che ha uno stretto filo conduttore nell’asse Maranello-Barcelona. Il grana in comune, un motore potente che tutto schiaccia e travolge nel cuore; una fede cieca nel lavoro di squadra, nei protagonisti e nella propria guida sportiva. La Ferrari era dal 2019, a Singapore, che non otteneva una doppietta come quella di ieri in Bahrain.
Il Barça ugualmente. Ultimo Clásico vinto nel 2019, uno 0-1 al Bernabeu con rete di Rakitic su assist di Roberto. In mezzo, una serie di brucianti sconfitte e umiliazioni che parevano aver restaurato il dominio baronale del Madrid protetto dalla dittatura franchista. Un pareggio, nel dicembre del 2019 (stagione 19-20), quasi una avvisaglia della brace ormai spenta, e poi cinque vittorie consecutive dei blancos. Le stagioni 19-20, 20-21, 21-22 sono state disastrose e segnate dall’incapacità di tecnici non all’altezza come Valverde, Setién e Koeman. Con Mister Lamento si è toccato veramente il fondo.
Fino a ieri. Fino a Xavi. Fino alla Restaurazione del cruyffismo e guardiolismo attraverso il xavista pensiero. Fino alla Resurrezione del Calcio e de l’Estílo, del Barcelonismo. Fino all’avvento di Xavi Potter che con l’incantesimo del lavoro, della Cultura del Lavoro per essere più precisi e con il ritorno alle origini, laddove tutto era nato, è riuscito nell’incredibile: trasformare una pattuglia che per Mister Lamento Koeman era “Esto es lo que hay”, in “Esto, es lo que hay! “. Si tratta solo di una virgola, di una pausa nella lettura, di una inflessione per mettere l’accento su di una parola, ma che cambia totalmente il significato della frase. Sì, Esto, es lo que hay, caro Koeman! E ci dispiace dirlo, ma non avevi capito nulla.
Ieri Xavi Potter, in un Bernabeu colmo di gente giunta per assistere all’ennesimo semplice trionfo contro l’odiata Catalunya e Barcelona, hanno partecipato da auto invitati alla celebrazione del Calcio made in Masía. I fischi assordanti di coloro che pensavano di umiliare e schiacciare la pulce Barcelona come avevano fatto pochi giorni prima con il Psg, si sono trasformati in silenzio rotto solo dai canti del barcelonismo che, con fede e speranza, avevano assiepato le tribune di Chamartín.
Xavi Potter ieri ha scatenato un Incanto Patronus per bloccare le forze del male dei Dissennatori del mago oscuro Lord Florentino Voldemort. In campo è scesa una sola squadra. Ha giocato una sola squadra: il Barça. Il Madrid è stato a guardare, ad ammirare, a “cercare di sparare”, come avrebbe detto El Indio in Per Qualche Dollaro in Più. Ma senza riuscirci. Letteralmente basito, stupito, bloccato, catatonico, ipnotizzato dal gioco blaugrana, dalla superiorità della squadra catalana in ogni zona del campo e sotto ogni aspetto del gioco: dal palleggio alla capacità emotiva; dalla personalità alla tecnica calcistica; dalla tattica alla copertura di ogni centimetro del terreno di gioco. Scacco matto ad Ancelotti, il cui sopracciglio, ieri, ha raggiunto altezze siderali. Ogni spazio, ogni centimetro del campo era presidiato, coperto, dominato da maglie con la Senyera. Ulteriore schiaffo al madridismo più becero. La squadra è stata corta, veloce, spettacolare. Aggressiva nel recupero immediato del pallone con un pressing altissimo che non ha mai accennato a diminuire, come la cieca fede dei suoi protagonisti nel Manifesto Calcistico del loro Padre Putativo, Mentore, Maestro.
I cori dei tifosi blaugrana che inneggiavano a “Xavi Hernandez” hanno squarciato, con un fragore lacerante, il silenzio opprimente di un Bernabeu immerso nel lutto più profondo. Anche il Madrid in campo lo era (in lutto). I giocatori vestiti di nero, la panchina vestita di nero. Le facce, le espressioni dei madridisti, lunghe, funeree, color della pece. Xavi Potter ha trasformato una pattuglia di giocatori dal grande talento, ma distrutta nel morale, nella psiche e nelle gambe, ormai quasi irrecuperabile, in una delle più belle, floride, limpide e cristalline realtà d’Europa che gioca a memoria con uno spettacolo che nemmeno il City di Guardiola riesce ad esprimere sul terreno di gioco, e lo ha fatto in appena 136 giorni. Da Mister Lamento Koeman a Xavi Potter Hernandez in 136 giorni. E senza passare dal Via!