ADEU CAMP NOU. ADEU JORDI. ADEU BUSI. BARÇA IN FESTA CONTRO IL MALLORCA

Giuseppe Ortu Serra

Nella festa del Camp Nou, l’addio dello stadio come lo conosciamo oggi, e nella partita despedida di Busi, Jordi e di molti altri blaugrana che saranno ceduti al termine della stagione per permettere la costruzione di una squadra che possa pensare di competere anche al di fuori della Liga, il Barça ha indossato nuovamente le vesti della grande squadra e ha hecho sus deberes giocando come avrebbe dovuto anche contro Real e Valladolid. La voglia, l’impeto, la determinazione, la chispa, l’intensità erano quelle giuste. Primo tempo totalmente a senso unico, con un recital davanti al proprio pubblico per dire addio ad una stagione conclusa con due trofei, ad uno stadio unico e mitico e a due dei capitani del conjunto blaugrana. Il Barça è passato subito, al primo minuto, con rete di Ansu, forse anche lui ai titoli di coda da giocatore azulgrana. L’espulsione del mallorquino Ndiaye al 14′, intervento da codice pensale ai danni di Balde, che ha dovuto abbandonare il terreno di gioco minuti dopo (rottura parziale del legamento esterno della caviglia destra), ha ulteriormente agevolato il compito al Barcelona, che ha divertito e si è divertito giocando alla grande una prima parte di gara. Il raddoppio, senìmpre di Ansu, è giunto al 24′ al termine di una bella giocata corale. Nella ripresa è giunto il terzo goal; autore Gavi con un bel tiro da centro area finito sotto la traversa. Prima e dopo ancora occasioni e gioco divertente.

Festa doveva essere, e festa è stata. Ter Stegen ha eguagliato il record storico di clean sheet con 26 porterias a cero. Jordi e Busi sono stati salutati come meritavano da parte del pubblico. Sostituiti da Xavi al 79′ (Jordi) e all’84’ (Busi), i due giocatori hanno lasciato il campo tra le lacrime del laterale e il sorriso sereno del pivote. Abbracci da parte di compagni e avversari. Una emozione incredibile che ha unito terreno di gioco e spalti, plasmandoli in un unico momento da pelle d’oca.

Al triplice fischio finale di Figueroa Vasquez è iniziata l’altra festa, quella vera. Tutti i giocatori blaugrana in campo a festeggiare i compagni con il pasillo de honor. Jordi, il primo ad entrare, con in braccio la Supercopa; Busi, portando la Copa de LaLiga. Le immagini sul maxi schermo dello stadio che richiamavano i momenti storici del club al Camp Nou, alla sua ultima gara della sua “vecchia” vita. Il prossimo sarà diverso, rimodernato, tecnologico, ma non sarà più questo. Tra i goal e le azioni mostrate quelle dei giocatori che hanno fatto la storia del Club, Ronaldo, Ronaldinho, Cruyff, Messi, ovazionatoi dagli 89 mila con il coro “Messi – Messi”. Le giocate di Busi e Jordi, da bambini con la maglia blaugrana a campioni celebrati. Dopo il pasillo e le immagini è stato il momento dei discorsi. Emozione allo stato puro, lacrime sugli spalti, specialmente per i più giovani, riempiti da quasi 89 mila spettatori. Jordi ha ricordato Tito Vilanova e la sua Liga dei 100 punti, Busi ha ringraziato i tifosi di una vita e giocatori presenti e passati. L’orchestra sinfonica, sistemata sul prato, ha intonato le note dell’inno del Barça mentre la Sardana, ricollegava spiritualmente e emotivamente l’inaugurazione dello stadio, avvenuta nel settembre del 1957, con la sua chiusura. Anche allora, infatti, i balli catalani furono al centro dell’attenzione e della festa, allora per un Bevingut Camp Nou ricco di speranza e fiducia verso un futuro che è stato ricco di successi, adesso per un Fins aviat colmo di altrettanta speranza per un club ed una squadra in via di ricostruzione, ma che lascia intravvedere segnali incoraggianti per un futuro che può essere radioso come il passato. Adeu Camp Nou. Adeu Busi. Adeu Jordi. Y Moltes Gracies per tot.

IL BARÇA PERDE PARTITA E DIGNITÀ A VALLADOLID

Giuseppe Ortu Serra

Il Barça perde anche contro il Valladolid. 3-1 al Nuevo Zorrilla, ma il passivo sarebbe potuto essere di molto superiore. Tre reti subite, due pali colpiti dagli avversari, altre occasioni che non sono state tramutate in rete per un soffio della formazione pucelana. Una ecatombe. Una umiliazione. Presi a pallate da una squadra che veniva da 5 sconfitte consecutive, che in quelle stesse gare aveva incassato la bellezza di 14 reti contro appena 4 realizzate. Contro i blaugrana hanno invece esondato, manco fossero stati il Manchester City. Una vergogna assoluta per una formazione come il FC Barcelona, non certo l’ultima squadra del panorama calcistico che, raggiunta la salvezza in anticipo, vivacchia senza intensità giochicchiando e regalando le vittorie agli avversari perché… tanto non c’è più nulla da difendere. Magari l’onore, no?, o l’orgoglio di essere la squadra campione, o il nome da proteggere, salvaguardare, tutelare; e con esso lo scudo sulla maglia. Tutte cose che questa notte, a Valladolid, sono state macchiate, stracciate e calpestate da giocatori che non meriterebbero un solo minuto di più di vestire questi colori. Così si comportano le piccole squadre. Piccole dentro, nell’animo, nel dna; le squadre perdenti mascherate da vincenti o quelle senza alcuna etica professionale. Le debacle europee consecutive, prima in Champions, poi anche in Europa League (come essere rimandato a settembre ed essere bocciato agli esami di riparazione) è la cartina di tornasole di una squadra in grado di rovinare, nell’immagine, tutto il bene fatto in questa Liga.

Cosa dirà adesso Xavi? Che scusa accamperà per questa prestazione disastrosa? Dopo la sconfitta casalinga contro la Real Sociedad aveva sostenuto che il flop era frutto dei festeggiamenti per la Liga conquistata. E adesso? Quale nuova giustificazione trarrà dalla tasca? Oppure deciderà di fare l’allenatore da Barcelona e battere i pugni sul tavolo? La sua prossima mossa ci dirà di che pasta è fatto anche lui. Se sarà complice o vittima di questo disastro. Pensate forse che Guardiola e il suo City sbroccheranno come sta facendo il Barcelona una volta conquistata la Premier? Non c’è da scommetterci.

e rispetto per i tifosi (i veri tifosi, non gli ultras beceri che pensano solo ai loro gemellaggi che nulla hanno a che vedere con lo sport e il calcio vero e sano) che li seguono.

C’è da dispiacersi per Ter Stegen, che abbandonato dai suoi compagni, sta vedendo sfuggirgli di mano il conseguimento del suo record personale: il minor numero di clean sheet e di reti incassate; per Lewandowski, abituato a giocare fino all’ultimo secondo dell’ultima gara quando era al Bayern. Ma, prima di tutto, per i tifosi che hanno a cuore le sorti della propria squadra e che non la baratterebbero mai per niente al mondo. I veri tifosi s’intende, non gli ultras beceri che pensano solo ai loro gemellaggi, ai loro maneggi, e che nulla hanno a che vedere con lo sport, con il calcio vero, quello sano.

A questo proposito, a proposito degli ultras, un mondo tossico che inquina tutto ciò a cui viene a contatto, la cosa più triste è stato sentire, nella gara contro la Real, il coro levatosi dalla grada d’animació e rivolto ai giocatori in campo, di “non vincere contro il Valladolid”. Se siamo tornati a questo punto, con gli ultras che come in Italia comandano, minacciano e tengono sotto scacco la squadra, è meglio iniziare a preoccuparsi e a pensare di intraprendere quelle drastiche misure che avevano portato il calcio spagnolo a ripulire gli stadi e le curve, e a bannare, allontanare dagli impianti e vietarne l’ingresso a ultras, gruppi radicali, gruppi organizzati – chiamateli come volete – prima che riprendano a distruggere, ammorbare e appestare il mondo del pallone. Ieri hanno chiesto ai giocatori di non vincere contro il Valladolid (e la squadra ha perso), domani cosa faranno? Quale sarà il futuro del Camp Nou? Uno stadio off limits per famiglie e bambini come lo conosciamo adesso, terreno di caccia per esagitati e delinquenti?

“CAMPEONES, CAMPEONES” IN UNO STADIO CHE CELEBRA IL TITOLO DI LIGA

Giuseppe Ortu Serra

Ha vinto la Real, 1-2 il risultato finale, ma il Barça ha sollevato la Coppa de LaLiga per la ventisettesima volta nella sua storia. Prima sconfitta interna per i blaugrana nella giornata della festa al Camp Nou, della consegna del trofeo, dei coriandoli gialli e rossi, dei discorsi e del giro del campo. Delle foto nel dopo gara con le famiglie dei calciatori, i bambini in braccio o tenuti per mano. È stata una vera e meritata festa.

La partita l’ha giocata meglio la Real e ha meritato i tre punti che la avvicinano al piazzamento Champions. Barça bene nel primo tempo, eccessivamente sottotono e svagato nella ripresa. Sarebbe stato bello festeggiare con una vittoria, ma così non è stato. Troppi gli errori nelle due fasi, sopratutto in occasione delle due reti dei baschi, per portare a casa un risultato differente.

Per la gara contro la Real Sociedad Xavi è tornato a los dos extremos, Raphinha a destra, Dembélé a sinistra. Centrocampo con Kessié, Busi e De Jong. In difesa, Balde a pierna cambiada a destra; centrali Christensen e Koundé; Jordi nel lateral izquierdo. La partita è iniziata con il pasillo de honor fatto da los donostiarras ai blaugrana Campeones de Liga. Ma la celebrazione da parte della Real è finita qui. In gara i baschi hanno giocato senza fare sconti e senza porgere ulteriori omaggi ai fiammanti campioni di Spagna. Al 5′ subito vantaggio ospite con Mikel Merino, che ha approfittato di un pallone datogli in area da Sorloth dopo averlo rubato a Koundé in impostazione. Errore del francese che ha perso contrasto e palla con l’avversario. In area Christensen ha lasciato il controllo di Merino per andare a chiudere su Sorloth, ma il passaggio verso il compagno ha tagliato fuori il danese. Nel tu per tu con Ter Stegen, Merino ha avuto la meglio portando in vantaggio i suoi.

Il Barça ha cercato da subito di riportarsi in parità sopratutto grazie alla verve e alla velocità di Dembélé (il migliore in campo insieme al portiere tedesco nel primo tempo), ma Remiro non è stato da meno e ha annullato ogni tentativo dei blaugrana. Dove non è riuscito ad arrivare il portiere della Real hanno potuto i difensori, che in due circostanze hanno evitato la marcatura di Kessié con Elustondo e Le Normand. La Real però non è rimasta passiva. Ha approfittato di ogni errore del Barça e di ogni ripartenza per cercare il raddoppio. Ter Stegen ha così salvato sia su Barrenetxea che su Cho, mentre sempre Berrenetxea ha sollevato lo scavetto oltre la traversa al 31′, risparmiando complicazioni a Marc André e una presuntiva rete.

È stata una partita difficile come nelle previsioni vista la forza della Real impegnata nella lotta per un posto Champions, tanto più dopo la vittoria del Villarreal a Girona nel pomeriggio che aveva portato a -2 le lunghezze dai baschi.

Nella ripresa Koundé, male la sua gara, ha lasciato il posto ad Alonso che ha occupato il posto di centrale lasciato dal francese. Una ripresa sottotono e “piantata” da parte del Barça nella quale la Real ha giocato meglio, è stata più pericolosa, ha sfiorato maggiormente la rete (Santo Ter Stegen), ha raddoppiato e ha meritato la vittoria in un Camp Nou sì, con l’amaro in bocca per la sconfitta, ma con l’orgoglio di essere Campioni di Spagna 4 anni dopo l’ultima volta. La rete di Lewandowski, a uno dal novantesimo, ha reso meno amara la sconfitta e ha permesso di fare un passo in più al polacco verso il Pichichi de LaLiga. La seconda rete della Real ha messo in evidenza che la decisione del capitano di dire l’addio al Barcelona è stata la più corretta, per la squadra e per il giocatore stesso. Lento nel recupero dopo una ripartenza su palla persa da De Jong nella metà campo avversaria, errata la scelta di andare a stringere a sinistra su Zubimendi (zona peraltro già presidiata da due maglie blaugrana) invece che andare a chiudere su Sorloth che, solo soletto, si è proposto in area, ha ricevuto dal compagno e ha infilato un incolpevole Ter Stegen. Per Lewandowski è stata una gara difficile in cui ha dovuto combattere contro i mulini a vento, contro una marcatura fin troppo ferrea di Le Normand, e contro un arbitro che non gli ha fischiato un solo contrasto a favore, soprassedendo su molti interventi fallosi ai suoi danni da parte del numero 24 basco.

Al triplice fischio è iniziata la festa dei giocatori sormontati e circondati dagli 88 mila e 46 spettatori del Camp Nou. Busi è stato il primo a prendere la parola. Ha ringraziato i compagni che avevano iniziato la stagione e che per un motivo o per l’altro non l’hanno potuta concludere, non trovandosi lì con loro a festeggiare un titolo che è, in percentuale, anche loro. Ha ringraziato il Presidente e la Junta, per poi rivolgere il pensiero ai tifosi, vicini alla squadra per tutta la stagione e senza i quali “tutto questo non si sarebbe potuto compiere”. E ha concluso con un benaugurante… “questo è solo l’inizio”. Dichiarazioni che hanno fatto il paio con quelle rilasciate a David Villa da Alemany nel pre-gara ai microfoni di Dazn Espana, in cui ha dichiarato che “la prossima stagione rafforzeremo la squadra, faremo un passo in più e lotteremo per tutti i titoli”. Prima del giro d’onore e delle foto con le rispettive famiglie è stato il turno di Xavi che, coreado dallo stadio che acclamava il suo nome, ha parlato dell’importanza di un titolo insperato la stagione passata, sopratutto pensando “da dove siamo partiti”.

ALIRÓN EN CORNELLÁ. BARÇA CAMPEÓN DE LIGA. ESPANYOL CON UN PIÈ Y MEDIO EN SEGUNDA

Giuseppe Ortu Serra

Il Barça è Campione di Liga tre anni dopo l’ultimo titolo. Un campionato conquistato al termine della quintultima giornata prima della fine naturale della stagione. È finita con il risultato di 2-4 per i blaugrana. Una vittoria festeggiata sul campo di Cornellá, i cui ultras hanno deciso di fare ciò che agli ultras riesce meglio, distruggere ogni cosa capiti sotto i loro piedi. Al triplice fischio di De Burgos Bengoetxea il Barça ha iniziato a festeggiare sul campo con una gioia spontanea che ha portato i giocatori a fare un girotondo che si infila in profondità nella realtà sociale di Barcelona e della Catalunya. Los espanolistas, con un piede e mezzo in Segunda, hanno manifestato tutta la loro maleducazione e pericolosità sociale invadendo il campo con intenti minacciosi per impedire ai blaugrana di proseguire nella celebrazione di un titolo stra-meritato. Gli ultras dell’Espanyol sono corsi verso i giocatori del Barcelona con spranghe, seggiolini divelti, cartelloni pubblicitari da usare come arieti al coro di “Puta Catalunya” e altri insulti, alla fine, rivolti anche a loro stessi. Ma come si può anche solo pensare che ultras, radicales, hooligans, frequentatori delle varie gradas, chiamateli come più vi piace, abbiano una minima capacità intellettiva? In testa hanno solamente una cosa: un pallone sgonfio, floscio come il calcio che amerebbero vedere. Immagini, quelle di Cornellá, che ci hanno portato alla mente le scene degli stadi italiani, o dell’Inghilterra anni ’80 prima che la mai abbastanza rimpianta Cura Thatcher, fatta di tolleranza zero, facesse piazza pulita di certi delinquenti e liberasse gli stadi a favore delle famiglie e delle persone pulite e oneste.

La gioia blaugrana, per tornare alla partita e alle cose pulite di questo sport, è iniziata subito, sin dalle fasi iniziali della gara. La prima rete è giunta nel minuto 11 grazie a Lewandowski, mentre la quarta, ed ultima, al minuto 52 per mezzo di Koundé. Nel mezzo Balde al 19′ (prima rete per lui) e ancora Lewandowski (21º goal e record per il polacco). Un Barça dominante per tutta la prima parte di gara e gran parte della seconda, con l’Espanyol che raramente ha superato la metà campo blaugrana. Almeno fino all’uscita dal terreno di gioco di Gavi e Christensen. Senza i due giocatori, usciti al 73° minuto, la squadra si è squilibrata e sfilacciata, perdendo unità, compattezza e misure di reparto sia a centrocampo, dove Gavi è assolutamente indispensabile, sia in difesa. Senza il numero 30 il centrocampo è diventato una ciambella con un buco in mezzo. Senza Christensen la difesa, già orfana di Araujo – uscito al 61′ – è diventata improvvisamente fragile.

L’Espanyol ha trovato spazi nelle penetrazioni verticali sui lanci lunghi ed è improvvisamente diventato pericoloso. Da qui le due reti di Puado (73′) e Joselu (92′) per la disperazione di Ter Stegen che vede adesso più a rischio il record di minor numero di reti subite in una sola stagione.

Al di là di questo aspetto tattico, che anche in un momento di felicità come questo è giusto non sottacere, questo titolo permette di porre il primo mattoncino nella costruzione della squadra della prossima stagione che dovrà confermare il titolo di Liga e provare a dare l’assalto al titolo europeo. Le vittorie e i trofei si costruiscono dalla base. E questo titolo di Liga costituisce le fondamenta per la costruzione dell’edificio che dovrà guardare e puntare in alto. Le vittorie portano vittorie; i trofei conducono ad altri trofei. Questo è un titolo che permette di costruire quella autostima, quell’esperienza, quella mentalità vincente che sono necessarie per puntare a ripercorrere sentieri dal sapore dimenticato, ma che costituiscono il Dna di questa squadra e di questo club. Una consapevolezza che deriva sì dai trionfi, ma che deve necessariamente passare da un sostanziale ritocco della squadra, sia nei titolari che nei giocatori che partono dalla panchina.

VITTORIA NELLA RIPRESA CON JORDI E RECORD PER TER STEGEN. alirón ad un passo

Giuseppe Ortu Serra

Vittoria per uno a zero sul finale di una gara appassionante, giocata contro un avversario in 10 dalla mezzora e con un secondo tempo arrembante da parte della formazione blaugrana. Con questi tre punti il Barça inizia a fare i conti su quando potrà cucirsi il parche del titolo sulla manica della camiseta. Forse già contro l’Espanyol, se il Madrid non dovesse vincere stanotte o nella gara successiva contro la Real.

Per questa gara Xavi ha ripetuto l’once con il quale aveva battuto il Betis pochi giorni prima. L’Osasuna di Arrasate si è disimpegnato con una formazione molto bassa e difensiva. Tre linee molto strette e compatte a creare un muro davanti all’attacco blaugrana. Difesa a quattro che è arrivata fino a 6, con i rientri dei due extremos Benito a destra e Ruben García a sinistra. A volte è stato Aimar a retrocedere sulla linea difensiva.

Il Barça, con il falso extremo, ha giocato in maniera molto compassata e lenta, dando vita ad una prima parte di gara piuttosto noiosetta e senza grandi emozioni in zona offensiva. La prima occasione, di Pedri, è giunta, infatti, solo al 25° minuto. Un bel cross di Balde, il migliore in campo insieme a Araujo, per il numero 8 che ha mancato l’impatto pieno con il pallone davanti alla porta sguarnita. La palla, colpita non bene, è finita larga e fuori dallo specchio di porta. Subito dopo l’Osasuna è rimasto in 10 per l’espulsione di Herrando che, errando sul controllo di Pedri, sfuggitogli sulla linea del centrocampo con la difesa di Pamplona altissima, ha deciso di intervenire sul blaugrana cinturandolo e interrompendo una chiara occasione da rete. Rosso indiscutibile e Barça in superiorità numerica. Arrasate non ha operato alcun cambio, limitandosi a arretrare la posizione di Ibanez nel ruolo di centrale difensivo.

Il fatto di giocare 11 contro 10 non ha smosso più di tanto l’atteggiamento degli uomini di Xavi, che hanno proseguito con un fraseggio senza mordente. 5 tiri in porta, ma sempre senza centrarne lo specchio. Al 35′ Gavi ha dovuto lasciare il terreno di gioco per un problema muscolare all’adduttore ricavato durante un contrasto con un avversario. Al suo posto Ansu, il cui padre, Bori, ha incontrato Jorge Mendez durante l’incontro, chiaro indice che le voci che coinvolgono una eventuale uscita del ragazzo dal Barça sono sempre più fatti e sempre meno rumors.

Nella ripresa l’Osasuna ha operato il cambio non effettuato al momento del rosso di Herrando. Dentro Munoz al posto di Aimar. I navarri hanno continuato nella loro tattica difensiva, il Barça ha piano piano iniziato ad aumentare i giri del motore e ad accelerare, abbassando i tempi sul giro con lo scorrere del cronometro.

L’ingresso in campo di Dembélé al 52′ è stata la prima scossa per una squadra che aveva dormito nel primo tempo. Grazie alla sua verve e velocità, il francese ha dato una svegliata a tutto il gruppo che ha iniziato ad ingranare come in un crescendo rossiniano. 53′, 55′, 60′, 61′, 67′, 73′. Le azioni si sono susseguite e sono iniziate a fioccare le occasioni. Molte le imprecisioni nelle conclusioni, però. Clamorose quelle di De Jong (solo davanti al portiere e tiro alla figura) e Dembélé (tiro sbucciato da ottima posizione terminato poi sul fondo). L’altra scossa è giunta con l’inserimento di Jordi al posto di Balde (che si era ottimamente disimpegnato nel primo tempo, risultando uno dei migliori dei suoi). Insieme a lui, al 75′ anche Ferran per un esausto Busi (non può giocare così a lungo in una gara).

Jordi è stato il vero deus ex machina della vittoria del Barça, non solo per aver segnato la rete del successo, ma sopratutto per aver dato la definitiva carica ad un meccanismo che era stato revisionato ad inizio ripresa con l’inserimento di Ousmane e con un atteggiamento mordace e pugnace dell’intera squadra. Prima una rete sfiorata, incredibile, di Ferran su un rimpallo con il portiere che era uscito con i piedi fuori dall’area per salvare su Lewa lanciato, poi un goal annullato allo stesso polacco per fuorigioco di Ferran.

I tempi erano ormai maturi. Il pubblico spingeva sempre di più con una ansia che stava attanagliando anche i giocatori in campo e la panchina, che si muoveva sempre più freneticamente, con Xavi stretto nella morsa della tensione. Jordi, a sinistra, aveva ormai preso possesso del lato corto dell’area di rigore e ruggiva famelico pronto per avventarsi sulla preda, ferita dall’espulsione di Herrando che aveva lasciato i suoi in 10 uomini nei primi 45′. Cross, pressione, passaggi e tanta corsa e abnegazione, queste le qualità messe in campo dal numero 18 blaugrana. E proprio dal suo piede, all’85’, è giunta la rete che ha consegnato i tre punti alla squadra e una fetta importante di Liga. Azione tambureggiante iniziata con un cross verso destra per Lewandowski, leggermente troppo lungo. Il polacco ha controllato la palla retrocedendo verso la bandierina ma, sempre all’interno dell’area, si è girato e ha trovato De Jong all’altezza del dischetto del rigore. Frenkie, con perfetta visuale su tutta l’area, inchinandosi leggermente ha girato di testa verso Jordi, il quale, appostato sul vertice sinistro dell’area piccola, non ci ha pensato due volte a calciare al volo di esterno sinistro. Il pallone, colpito alla perfezione, nonostante fosse indirizzato sul lato del portiere ha baciato il palo interno ed è finito in fondo al sacco, prendendo sul tempo Aitor e rendendo vano il suo tentativo di parata. Goal e festa grande al Camp Nou, con un Madrid ricacciato indietro (in attesa della sua gara: ore 22:00) di 14 punti. I blaugrana hanno continuato ad insistere per arrotondare il bottino, ma senza più riuscire a battere il portiere avversario nonostante le occasioni accumulate.

Nuovo 1-0, nuova portería a cero per Ter Stegen, giunto a quota 25 clean sheet. Superato Bravo – e conseguito il record in maglia blaugrana -, ha battuto anche il Cech della stagione 04-05 che deteneva il record della Premier sempre con 24 partite a zero.