ALIRÓN EN CORNELLÁ. BARÇA CAMPEÓN DE LIGA. ESPANYOL CON UN PIÈ Y MEDIO EN SEGUNDA

Giuseppe Ortu Serra

Il Barça è Campione di Liga tre anni dopo l’ultimo titolo. Un campionato conquistato al termine della quintultima giornata prima della fine naturale della stagione. È finita con il risultato di 2-4 per i blaugrana. Una vittoria festeggiata sul campo di Cornellá, i cui ultras hanno deciso di fare ciò che agli ultras riesce meglio, distruggere ogni cosa capiti sotto i loro piedi. Al triplice fischio di De Burgos Bengoetxea il Barça ha iniziato a festeggiare sul campo con una gioia spontanea che ha portato i giocatori a fare un girotondo che si infila in profondità nella realtà sociale di Barcelona e della Catalunya. Los espanolistas, con un piede e mezzo in Segunda, hanno manifestato tutta la loro maleducazione e pericolosità sociale invadendo il campo con intenti minacciosi per impedire ai blaugrana di proseguire nella celebrazione di un titolo stra-meritato. Gli ultras dell’Espanyol sono corsi verso i giocatori del Barcelona con spranghe, seggiolini divelti, cartelloni pubblicitari da usare come arieti al coro di “Puta Catalunya” e altri insulti, alla fine, rivolti anche a loro stessi. Ma come si può anche solo pensare che ultras, radicales, hooligans, frequentatori delle varie gradas, chiamateli come più vi piace, abbiano una minima capacità intellettiva? In testa hanno solamente una cosa: un pallone sgonfio, floscio come il calcio che amerebbero vedere. Immagini, quelle di Cornellá, che ci hanno portato alla mente le scene degli stadi italiani, o dell’Inghilterra anni ’80 prima che la mai abbastanza rimpianta Cura Thatcher, fatta di tolleranza zero, facesse piazza pulita di certi delinquenti e liberasse gli stadi a favore delle famiglie e delle persone pulite e oneste.

La gioia blaugrana, per tornare alla partita e alle cose pulite di questo sport, è iniziata subito, sin dalle fasi iniziali della gara. La prima rete è giunta nel minuto 11 grazie a Lewandowski, mentre la quarta, ed ultima, al minuto 52 per mezzo di Koundé. Nel mezzo Balde al 19′ (prima rete per lui) e ancora Lewandowski (21º goal e record per il polacco). Un Barça dominante per tutta la prima parte di gara e gran parte della seconda, con l’Espanyol che raramente ha superato la metà campo blaugrana. Almeno fino all’uscita dal terreno di gioco di Gavi e Christensen. Senza i due giocatori, usciti al 73° minuto, la squadra si è squilibrata e sfilacciata, perdendo unità, compattezza e misure di reparto sia a centrocampo, dove Gavi è assolutamente indispensabile, sia in difesa. Senza il numero 30 il centrocampo è diventato una ciambella con un buco in mezzo. Senza Christensen la difesa, già orfana di Araujo – uscito al 61′ – è diventata improvvisamente fragile.

L’Espanyol ha trovato spazi nelle penetrazioni verticali sui lanci lunghi ed è improvvisamente diventato pericoloso. Da qui le due reti di Puado (73′) e Joselu (92′) per la disperazione di Ter Stegen che vede adesso più a rischio il record di minor numero di reti subite in una sola stagione.

Al di là di questo aspetto tattico, che anche in un momento di felicità come questo è giusto non sottacere, questo titolo permette di porre il primo mattoncino nella costruzione della squadra della prossima stagione che dovrà confermare il titolo di Liga e provare a dare l’assalto al titolo europeo. Le vittorie e i trofei si costruiscono dalla base. E questo titolo di Liga costituisce le fondamenta per la costruzione dell’edificio che dovrà guardare e puntare in alto. Le vittorie portano vittorie; i trofei conducono ad altri trofei. Questo è un titolo che permette di costruire quella autostima, quell’esperienza, quella mentalità vincente che sono necessarie per puntare a ripercorrere sentieri dal sapore dimenticato, ma che costituiscono il Dna di questa squadra e di questo club. Una consapevolezza che deriva sì dai trionfi, ma che deve necessariamente passare da un sostanziale ritocco della squadra, sia nei titolari che nei giocatori che partono dalla panchina.

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