I PROBLEMI CHE ATTANAGLIANO IL BARÇA

Giuseppe Ortu Serra

Il Barça è in una fase di preoccupante stanca che dura da dopo il parón de las selecciones. Fino ad allora avevamo visto una squadra brillante, con un gioco veloce, sicuro, efficace; un bel gioco che esaltava le qualità di Robert Lewandowski, il cui ambientamento e inserimento ci aveva lasciati stupefatti. Con il gioco e le prestazioni stavano arrivando anche i risultati. Eccetto l’inciampo alla prima giornata in casa contro il Rayo, per il resto erano state solo vittorie, peraltro nette ed indiscutibili.

Con l’arrivo della pausa per le nazionali e i primi infortuni tutto è cambiato. Non stiamo qui a dire che le lesioni sono state determinanti. Hanno certamente interrotto il processo di crescita e reso la difesa meno sicuro, questo sì. Ma da quel momento abbiamo assistito a qualcos’altro. Il Barça del dopo pausa nazionali è una squadra totalmente diversa, opposta a quella esuberante e ilusionante della prima parte di stagione. A cominciare dal suo attaccante principe, quel Robert Lewandowski prima perno di ogni azione, ed ora abbandonato a se stesso e isolato dalla manovra della squadra.

La sconfitta di Monaco è stato il primo schiaffo e il Barça ha iniziato a girare come una trottola per non smettere più. Da quel momento è iniziata una nuova fase. Squadra sempre più timida, paurosa, incerta, irriconoscibile. Errori nei passaggi, nei movimenti, lentezza del giropalla, perdita della capacità di pressare alto. Via via la squadra ha tirato in porta sempre meno. E non solo contro le grandi. Anche in casa contro il Celta, o in trasferta contro il Mallorca, il Barça ha tentennato e tirato poco in porta e mai da fuori. Nel Clásico è stata di Ansu la prima conclusione da fuori, giunta al 77′, dopo poco il suo ingresso in campo.

È come se la sconfitta di Monaco abbia fatto perdere di colpo tutte le certezze fino a quel momento acquisite. Certezze di facciata, di carta, di argilla si potrebbero definire, data la velocità con la quale si sono dissolte e disciolte. Da quel momento solo una vittoria sicura, il 3-0 casalingo contro l’Elche. Poi una serie di vittorie risicate e, sopratutto, sofferte. Lo 0-1 di Mallorca e l’1-0 contro il Celta, con i galiziani che avrebbero certamente meritato il pari. E i rovesci europei: sconfitta a Milano contro una squadra che aveva appena perso contro la Roma e che aveva vinto la metà delle gare fino a quel momento disputate in Serie A; pareggio-sconfitta in casa contro la stessa formazione nerazzurra e capace di segnare tre reti – tre – al Camp Nou; altra sconfitta a Madrid contro un avversario che ha giocato quasi per il minimo sindacale.

Le regioni di questa metamorfosi? Difficile a dirsi, altrimenti, a saperlo, Xavi vi avrebbe già posto rimedio. Alcuni giocatori sono calati nel rendimento e nella forma fisica. Raphinha su tutti, ma anche Dembélé è meno esplosivo e imprevedibile di quello di inizio stagione. Di Busquets non se ne parli. Piqué non avrebbe neanche dovuto giocare in questa stagione. Nel Clásico abbiamo visto, tuttavia, un ulteriore passo indietro rispetto agli altri incontri. Se contro l’Inter la sconfitta è stata dettata da errori puramente individuali, contro il Madrid abbiamo visto errori di squadra, di collettivo, errori tattici gravi. I due goal subiti hanno visto la squadra spaccata in due tronconi, con la difesa eccessivamente schiacciata in area (sopratutto nella rete di Valverde) e il resto della squadra pigro e lento nel rientrare. E così le seconde palle sono state preda dei blancos senza alcun contrasto da parte dei centrocampisti. Nella rete del raddoppio, Pedri non era ancora arrivato su Valverde quando l’uruguaiano aveva già calciato. Errori imperdonabili! Errori di tutti, della squadra e di Xavi. Come gli errori nell’allestimento della formazione iniziale, con quel Sergi Roberto vs Vinicius, azzardato sin dall’ufficializzazione delle formazioni, che è costato quanto meno il primo goal, o l’ingresso di Ansu solo al 72′.

Sembra quasi che la squadra non risponda più agli stimoli dell’allenatore. Predica un tipo di calcio che il gruppo non sembra più in grado di applicare. Verticalità, gioco veloce, imprevedibilità, tiri da fuori. La squadra non fa più nulla di tutto questo. Come se l’allenatore non abbia più la squadra in mano. Il tecnico nei dopo partita parla sempre di delusione del risultato, della squadra, dei singoli giocatori. Anche questo non un bel segnale. Un po’ di autocritica non farebbe male.

Adesso arrivano due incontri nel giro di pochi giorni. Giovedì sarà di scena il Villareal al Camp Nou. Buono il suo rendimento in Europa, ma incostante il cammino in Liga. Ieri ha sconfitto l’Osasuna a La Ceramica, ma viene da due pareggi e due sconfitte nelle precedenti 4. Domenica, dopo tre giorni, sarà il turno dell’Athletic a fare visita ai blaugrana a Barcelona. Due partite da vincere obbligatoriamente attraverso prestazioni convincenti che dimostrino che si è iniziata la risalita della squadra. Il calendario, pur nella pressante necessità di arrivare a giocare un Mondiale a metà stagione per ripagare e ingraziarsi alla maniera mediorientale Al, stravolgendo il meticoloso e abitudinario lavoro di squadre e staff tecnici (preparazione fisica inclusa), dà una mano ai blaugrana presentando due incontri casalinghi consecutivi. Dopo Villareal e Athletic, con una pausa di appena tre giorni (giusto il tempo di tirare il fiato), ci sarà lo scontro con il Bayern. Alle 21:00, ora del calcio d’inizio, il Barça potrà essere matematicamente fuori dalla Champions (l’Inter gioca contro il Viktoria Plsen nel tardo pomeriggio) e in quel caso bisognerà giocare per il nome, l’immagine, l’onore (e perché no?, per evidenziare che il peggio è passato e che la sconfitta dell’andata era stata frutto del caso), oppure, in caso di risultato dei cechi a Milano, sarà caricato a molla in cerca dell’impresa.

La marea blaugrana che ha travolto Parigi in occasione della celebrazione del Pallone d’Oro, con i trofei consegnati a Gavi, Lewandowski e Alexia, potrebbe aver ridato entusiasmo e serenità ad un ambiente intristito e depresso e fungere da trampolino di lancio per invertire la rotta.

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