Giù le mani da Pique

Si è sempre detto che l’importanza della vita di una persona si giudica dalle scelte che ha fatto nel corso della sua esistenza. C’è chi decide di prendere la strada più facile e semplice, ricoperta di velluto, chi quella più impervia e sconnessa. Chi si accoda al Signore del castello, e chi, invece, intraprende un percorso opposto, scegliendo i veri valori, i nobili principi anche a costo di scelte dolorose e affatto semplici.

Il Barça è stato fondato dai, e sui valori del multiculturalismo, internazionalità e sulle libertà di pensiero, d’azione e d’espressione. E’ sempre stato così, sin dalla sua fondazione. È stato fondato da un non catalano, uno svizzero, e come tutti i non catalani che sposano questa cultura e la sua linea di pensiero, è diventato più catalano dei catalani di nascita. La catalanità e il barcelonismo sono una cosa che ti entrano dentro, e una volta in te non ti abbandonano più. Ti avvolgono e diventano l’essenza di te stesso.

Pique non ha mentito, ha detto la verità con le sue dichiarazioni rilasciate in zona mista nel dopo Francia – Spagna. Dichiarazioni forti, dal contenuto desequilibrante come le sue azioni difensive sul campo di gioco; ma vere. Affermazioni che hanno dato la vuelta al mundo come era facile prevedere e scatenato polemiche a non finire. Affermazioni che sono state confermate dal direttore di As riguardo all’imbarazzante presenza di Marta Silva negli spogliatoi del Bernabeu; affermazioni che hanno avuto l’immediato appoggio del Club Blaugrana per il tramite di Cardoner.

La nostra è una società che ha dimenticato il valore della verità e onestà intellettuale, che sta forgiando tante piccole serpi che, invece che uscire allo scoperto a costo di sacrifici e critiche, preferisce fare lo struzzo o nascondersi dietro un muretto e scagliare la pietra senza essere visto. Non stiamo forgiando leaders signori, no, stiamo forgiando tanti mostri che tradiranno alla prima occasione per avere un comodo salvacondotto. Ma non questo ragazzo; questo ragazzo non tradirà mai! Onore a Pique, dunque! Mi viene in mente il memorabile discorso del tenente colonello Frank Slade in Scent of Woman. Sì, lui avrebbe apprezzato le parole di Pique, anche perché, lui stesso, aveva sempre seguito la via più agevole, quella meno impervia. Perciò, giù le mani da Pique!

I valori inquadrano la storia degli uomini e di un Club attraverso comportamenti sedimentati e cementati nel corso dei lunghi anni della sua esistenza. Il Barça ha sempre fondato i suoi sulla libertà. Libertà di essere internazionale, inteso come non appartenente a un determinato confine, libertà di esprimere le proprie opinioni e di dissentire in un innumerevole spettro di modi (fischiando inni sinonimo di tirannia, giocando sotto le bombe durante la guerra civile, opponendosi a dei regimi totalitari, parlando un idioma vietato, appendendo ritratti al contrario, scegliendo di non viaggiare su un tram, esponendo simboli e bandiere di identità nazionale e di libertà).

Ognuna di queste citazioni corrisponde a fatti determinati che hanno segnato profondamente la storia della Catalunya e del Barça. Un Club, che sin dalla sua nascita, è stato “contro”. Contro qualcuno, contro qualcosa, contro l’idea stessa di un bavaglio, qualunque forma esso avesse.

A cominciare dal suo fondatore, Joan Gamper, che scelse di fondare l’FC Barcelona perché, in quanto straniero, gli fu impedito l’affiliazione a una squadra di calcio di Barcelona; per proseguire con l’inno spagnolo fischiato il 14 giugno 1925 sotto la dittatura di Primo de Rivera che costò la sospensione di sei mesi da ogni attività sportiva per il Club e l’inizio di un ostracismo verso Gamper che lo portò a lasciare la Spagna nel 1929. E come non ricordare la partite disputate sotto le bombe durante la Guerra Civile per fornire conforto ai cittadini, fondi per le vittime del franchismo e per gli ospedali del sangue della città; oppure giocando, e vincendo, come simbolo di opposizione ai regimi di Primo de Rivera e di Franco che avevano spogliato la cultura catalana dei suoi simboli, vietando l’uso del catalano pena il carcere e modificando nome e scudo del Club Blaugrana; e avanti così attraverso l’usanza di appendere sottosopra i ritratti del re Filippo V fautore della strage del 1714 (si possono trovare ancora oggi in città), celebrata al Camp Nou al minuto 17 e 14 secondi con i cori Independència; o ancora scelte come quella di boicottare l’uso dei tram in quel giorno di diluvio del marzo 1951 piuttosto che sottostare agli aumenti tariffari imposti dal franchismo; o, arrivando ai nostri giorni, l’esposizione delle Esteladas al Camp Nou e i fischi all’inno della Champions per le multe che ne sono conseguite.

Le parole di Pique, che parla di personaggi di potere che tirano i fili del Paese e che fanno bella mostra di sé nel palco del Bernabeu; quelle del direttore di As, che sostiene che prima di Florentino il palco del Bernabeu era sempre frequentato da persone di potere, ma che l’aria che si respirava era comunque calcistica, mentre adesso l’aria che si respira è esclusivamente di potere, ben si sposano con la storia del Club Blanco. Come non ricordare l’affaire Di Stefano o la Verguenza de Chamartin e l’11-1 in favore del Madrid, con oscuri personaggi che avevano fatto visita ai giocatori Blaugrana negli spogliatoi prima dell’incontro (qui le voci sono discordanti, alcuni parlano di armi mostrate ai calciatori, altri solamente di sguardi tesissimi e di silenzi carichi di tensione e paura).

Pique è un ragazzo che non si nasconde dietro un dito o una frase di circostanza. Non è un ipocrita. E’ una persona vera, che dice una verità che tutti conoscono, ma nessuno vuole sentire, una verità fatta di due pesi e due misure, di una Spagna ancora legata a vecchi schemi di potere, regole e ataviche tradizioni.

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