C’era una volta…

di Giuseppe Ortu

C’era una volta. Cominciano sempre così le favole, le fiabe che si leggono ai bambini affinché possano ancora sognare ad occhi aperti, magari prima di addormentarsi per poi cadere in un sonno sereno cullati da racconti di principesse bellissime e principi che cavalcano bianchi destrieri. 

Le favole, si sa, non esistono. Sono racconti illusori che servono per rendere magico un mondo che tale non è. Un mondo cupo, pericoloso, triste. Un mondo pieno di miserie umane infinite. 

C’era una volta. Bella frase certo. Ma essa ha in sé una forte carica di malinconia. Si riferisce a un passato che esisteva una volta e che adesso non c’è più, sparito, passato, svanito come una bolla di sapone che fuoriesce da uno di quei giochini che piacevano tanto ai bambini di un tempo.

C’era una volta il calciatore bandiera. Colui che legava il suo nome, il suo destino, la sua vita a una squadra, una squadra sola. Era il vanto della propria tifoseria che lo idolatrava come un idolo greco. Le bandiere erano amate e rispettate anche dagli avversari, perché vedevano in loro il carattere forte, onesto, vibrante e vero dell’uomo tutto d’un pezzo. Mai in vendita, ricco di valori non barattabili. Di quegli uomini veri, da film di Sergio Leone, pronti a morire per un ideale, il mondo del calcio, e la vita, ne ha perso le tracce da molto tempo ormai. Sono sempre stati pochi e per questo sempre ricordati come dei miti. Gigi Riva, Totti. Capitani coraggiosi che hanno rinunciato a soldi, fama, titoli pur di perseguire la loro scelta di vita. Fatta anche di ostacoli e spine. 

Fino a ieri c’era anche Messi tra di loro, lassù, nel firmamento di Achille. Già, fino a ieri. Adesso la favola è finita. Il calcio non è proprio fatto per uomini veri. Quelli si trovano solo tra le pagine dei romanzi, tra le righe delle sceneggiature, nelle favole per i bambini. Le bandiere si stracciano dai pennoni e vengono trascinate via a forza da un forte vento di scirocco, umido e olezzoso, che si porta dietro tutto e tutti. Sogni, speranze, virtù.

Il mito di Messi andava oltre alla classe incommensurabile, al suo genio. La sua leggenda era anche dovuta al suo essere unico, il solo, the only one, la mosca bianca che in mezzo a tanti giramondo, girovaghi del pallone sempre alla ricerca di nuovi e più ricchi contratti, o perché mai contenti di se stessi, cambiano squadra su squadra. Messi era atipico, geniale anche nella sua unicità di essere legato a un’unico club, un unico popolo. Lui era calcio, famiglia e Barcelona. Lui aveva legato la sua vita, il suo nome e le sue magie a una città, a una squadra, a un club. Era quello che lo rendeva così speciale, al di là dei suoi goal o magie in campo. Tra tanti mercenari insicuri di loro stessi, lui emergeva con i suoi valori d’altri tempi. Adesso anche lui è rientrato nei ranghi andando ad affollare la schiera di tutti i calciatori che non riescono a legarsi a vita. Perché questo significa sacrificio, significa soffrire ma anche resistere. Significa amare. E l’amore è anche dolore; come in un matrimonio. Se ami, se vuoi bene, morirai prima di mollare. 

Con questo gesto la sua immagine di uomo viene sfregiata. Perde gran parte della sua grandezza che gli derivava proprio da quell’unicità. Sarà sempre il più grande calciatore della storia, ma da oggi sarà solo un calciatore. Nulla più.      

C’era una volta… e ora non c’è più. Anche l’ultima bandiera è andata via, scappata dalla porta posteriore come a suo tempo fece Neymar, nel silenzio più assoluto, come un ladro che agisce al buio, alla notte, mentre nessuno sta a guardare, mentre nessuno sente, come un codardo che non ha il coraggio di prendere la parola, guardare negli occhi chi lo ha osannato per tutta una vita e dire come stanno le cose, che non ha più voglia di essere amato, glorificato; che non ha più voglia di lottare per della gente che a sua volta ha lottato contro una dittatura e un destino crudele e che lo ha amato al di la di ogni altra cosa. Che è stanco dell’amore delle persone, di una città, di una regione perdutamente ai suoi piedi. Lawrence, Lawrence d’Arabia, ebbe a dire in un dialogo del film. «L’onore ha qualche valore anche tra i ladri, ma non ne ha alcuno tra i politici». Chissà cosa avrebbe detto a proposito di questa vicenda. 

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