FC Barcelona Editoriale – Arthur e Vidal I due volti del centrocampo del Barça

Arthur e Vidal sono i volti del centrocampo del Barcelona di questa stagione. Due giocatori completamente differenti l’uno dall’altro. Tecnico e ragionatore il primo, irruento e istintivo il secondo. Entrambi i centrocampisti si sono inseriti alla perfezione nel tessuto calcistico della squadra nonostante i molti dubbi che li avevano accompagnati a Barcelona.

Diversi, diversissimi, si diceva. E grazie a questa differenza Arthur e Vidal permettono alla squadra di giocare in maniera diametralmente opposta a seconda che giochi l’uno o l’altro. Con il brasiliano abbimo un Barça più classico e fedele alla tradizione del juego de toque barcelonista. Con il cileno, la squadra diventa un inno all’assalto all’arma bianca e alla carica sfrenata della cavalleria. Con l’uno o l’altro sul terreno di gioco la squadra, e il suo modo di giocare, muta. Due giocatori totalmente differenti, ma entrambi fondamentali per la stagione del Barça, per i risultati che essa sta ottenendo, e per le speranze di triplete.

I due nuovi acquisti si sono inseriti alla perfezione in un tessuto complicato come quello del FC Barcelona. Solitamente i nuovi giocatori, salvo poche eccezioni, necessitano di un anno di apprendistato per entrare nei delicati e complicatissimi meccanismi del centrocampo de toque blaugrana. Fior di campioni hanno balbettato nella loro prima stagione al Camp Nou. Laudrup e Neymar sono due di questi esempi. A differenza loro né Arthur, né Vidal hanno avuto evidenti difficoltà ad adattarsi ad una realtà così particolare come quella del Barça. Vidal qualcuno ad inizio stagione lo ha avuto in effetti, ma tutto è presto rientrato.

Arthur, dotato del DNA Barça nonostante non abbia speso nemmeno un giorno nella Masia, è stato il più fulgido esempio di come un giocatore possa trovarsi nel suo habitat naturale nonostante provenga da una realtà lontana. E’ brasiliano, certo, ed in quanto tale è dotato di una tecnica che lo avvicina quasi automaticamente al tiqui taka. Le similitudini, tuttavia, iniziano e finiscono qui. I ritmi completamente diversi tra il campionato del brasilerao e l’Europa, e la Liga in particolare; la giovane età e la differente pressione di una maglia come quella blaugrana che richiede di essere al 100% per tutti i 90 minuti in tutte le gare della stagione, sollevavano alcuni dubbi sul suo immediato inserimento. Che fosse bravo lo si sapeva, bastava vederlo all’opera nel Gremio per capire che era un futuro crack, ma le previsioni e le speranze sono andate ben al di là di ogni più rosea previsione. Nel Gremio il ragazzo non perdeva un pallone neanche se ostacolato o caricato, ma sarebbe stato in grado di fare la stessa cosa ai ritmi raddoppiati del calcio europeo e all’alto standard richiesto in una squadra che del toque e della posesion ne ha fatto una filosofia di vita, uno stile inconfondibile e un marchio riconoscibile a qualsiasi latitudine terrestre? E ancora, sebbene sia stato in grado di essere il leader di un centrocampo che ha dominato in Copa Libertadores, risultando l’MVP della competizione, sarebbe riuscito a sopportare il peso di una camiseta indossata da Xavi, Iniesta, Koeman, Guardiola?

Ad entrambi gli interrogativi la risposta è stata ampiamente positiva. Sin dai primi allenamenti i compagni di squadra ne hanno magnificato la capacità di tenere la palla e di non perderne mai il controllo in qualsiasi situazione di gioco. Alla prima amichevole ufficiale, durante la gira americana, in lui si sono riviste le movenze, le capacità di palleggio e di regolare il ritmo della squadra, con accelerazioni e rallentamenti, di Xavi. In quella circostanza è bastata un’occhiata per dire immediatamente che quel ragazzo con il numero 8 sulle spalle (una scelta da predestinato) era il nuovo Xavi.

Entrato in squadra non ne è più uscito, perpetuando la tradizione della Casa. Con lui, in questa stagione, la squadra di Valverde ha fatto un salto di qualità enorme a centrocampo. Recuperi, possesso, ritmi differenti a seconda delle necessità del momento agonistico, assist verso i compagni d’attacco, visione di gioco e d’insieme. Tutto ciò che mancava dall’addio del numero 6 blaugrana è tornato come magicamente. Arthur deve ancora crescere sopratutto dal punto di vista fisico e della muscolatura, ma con lui in campo la squadra ha ripreso a dominare palla, gioco e avversari; in una parola, le partite.

Se Arthur rappresenta il ritorno alla tradizione, Vidal è la rivoluzione, la rottura, la mosca nel bicchiere di latte. A prima vista Vidal e il Barça non potrebbero essere più distanti come impostazione filosofica e pensiero calcistico. Mi piace definirlo un combattente, un guerriero che usa la clava in mezzo agli spadaccini. Ad inizio stagione, ad acquisto ufficializzato, gran parte del barcelonismo è insorto. Tutt’oggi, nonostante le eccellenti performance, si sopporta mal volentieri il vederlo in campo dal primo minuto. Si può anche accettare se entra a gara iniziata, ma non se parte titolare.
Dopo qualche scaramuccia creatasi nei primi mesi di campionato per qualche post poco gradito all’interno del vestuario, nella Junta Directiva e nella grada del Camp Nou (è anche stato sonoramente fischiato in occasione di una sostituzione), il cileno si è integrato perfettamente con i compagni e l’ambiente, calandosi nella nuova realtà. Lavoro, pazienza, rispetto e codice comportamentale. Questi sono i dettami di Can Barça. Chi non si uniforma è fuori. Vidal ha capito e in breve è diventato un elemento fondamentale nello scacchiere del centrocampo di Valverde. Vidal è l’alternativa assoluta a Arthur. L’opposto concettuale. Forza, grinta, aggressività, cattiveria e una certa improvvisazione e anarchia tattica conferiscono alla medular blaugrana quel quid pluris che mancava fino allo scorso anno e che garantisce grande spessore, tenuta e ritmo alle partite del Barcelona. A seconda della gara, o del momento all’interno della stessa, Il Barça è in grado di cambiare completamente pelle e di passare da un atteggiamento ad uno completamente diverso. In questo modo, con un solo cambio, la squadra è in grado di trasformarsi radicalmente come un camaleonte si trasforma per ingannare i suoi nemici.

La riprova di questa doppia faccia è nella partita contro il Lione di Champions. Il Bacrcelona ha iniziato con Arthur titolare e Vidal seduto in panchina. La squadra ha dominato l’avversario e la sfida, andando sul doppio vantaggio e meritando di andare oltre nel punteggio. Nella ripresa è cresciuta la formazione di Genesio. Ha portato il suo baricentro avanti di buoni venti metri, e ha premuto sul pedale dell’acceleratore. Il Barça ha pensato più che altro a controllare. Con il calo fisico di alcuni giocatori, causa di un abbassamento dell’intensità da parte blaugrana, e dell’aumento dei giri motore del propulsore lionnaise, la squadra di Valverde è andata pian piano in difficoltà.

Con la rete di Tousart il Barça si è spaventato e il Lione ha iniziato a intravedere il miracolo già messo in atto con la squadra di Guardiola nella doppia sfida dei gironi di Champions (due gare; una vittoria e un pareggio). I blaugrana hanno iniziato a girare a vuoto e i fantasmi della nottata romana devono essere riaffiorati alle menti dei giocatori. Messi & Co hanno perso la posesion e il controllo della gara, passando da un 77% di possesso dei primi 45′ a poco più del 50% del secondo tempo. Nel momento di massima pressione e sofferenza, Valverde ha deciso di cambiare il chip della sua squadra, facendo uscire Arthur per inserire Vidal. Si era al 74′. Come un pilota di Formula 1, il tecnico ha modificato la ripartizione di frenata, passando dall’avantreno al retrotreno. Appena il cileno ha messo piede in campo, ha iniziato a correre con l’indole di un cavallo selvaggio imbizzarrito. Sembrava posseduto dallo spirito di un antico guerriero pellerossa. Ha iniziato a dare battaglia, correre dietro i giocatori del Lione, disturbare la loro corsa, entrare in tackle, rubare palloni, spingere gli avversari sporcandone traiettorie di passaggi e disturbandone la manovra. Con il suo modo di fare non solo ha iniziato a farli giocare male, ma con la sua trance agonistica ha contagiato i compagni, infondendo loro nuova forza e spirito positivo. Li ha rianimati e incoraggiati. La gara è cambiata completamente. La squadra impaurita di pochi minuti prima si è trasformata in un gruppo pronto a ripartire e a restituire colpo su colpo. 4 minuti dopo il suo ingresso in campo il Barça è ripartito e Messi ha realizzato la rete del 3-1. Altri 3′ e Piqué ha portato a quattro le marcature. Ancora 5 minuti e Dembélé ha messo a segno la rete del definitivo 5-1.

Due giocatori, dunque, per due stili differenti, ma entrambi compatibili e utili alla causa blaugrana. Valverde ha trovato nell’attrazione degli opposti la ricetta per conseguire risultati, traguardi e trionfi.       

Lascia un commento