Giuseppe Ortu Serra
Sapevamo sin dall’inizio del campionato che questa era una Liga apparecchiata per il Madrid; meglio, prenotata, reservada, booked, assegnata. Già l’avevamo chiamata La Liga del Caudillo tempo fa. Ma adesso, dopo questa partita dal sapore chiaramente franquista, nessuno può più dire nulla. Chissà se Ancelotti avrà ancora la faccia, il coraggio, di presentarsi davanti alla stampa e celebrare l’impresa dei suoi, della sua squadra o di difendere ciò che tutto il mondo onesto ha visto. 98 minuti segnati da un arbitraggio stile Fuga per la Vittoria scandalosamente a favore dei blancos.
Il Madrid, dall’alto della sua arroganza e spocchia (arroganza e spocchia si abbinano sovente con l’ignoranza e la povertà di stile, cultura, eleganza) è sceso in campo con tre centrocampisti in difesa. Camavinga nel lateral izquierdo, Tchouameni centrale, Vasquez sul lateral derecho. Mal gliene incolse. Pronti via, e il Barça ha dimostrato che l’allenatore italiano aveva erroneamente immaginato di poter preparare lo Champagne con l’uva da discount. Errore sul fatto, avrebbe detto il mio vecchio professore di Diritto Penale.
Il Barça ha messo subito i puntini sulle “i”, passando in vantaggio con Christensen sugli sviluppi di un calcio d’angolo battuto dalla destra da Raphinha. Di testa, appostato sul secondo palo, il danese ha sfruttato l’uscita a vuoto di Lunin e ha insaccato. Il Madrid ha provato a rendersi pericoloso, ma invano. Il Barça, molto attento in ogni zona del campo, salvo in quella coperta da Cancelo, ancora in confusione dopo in doppio errore contro il Psg, e ancora una volta in campo per tutti i 90 minuti (bravo Xavi!), ha creato enormi problemi allo schieramento locale. Ogni volta che è ripartito, sempre con costrutto, intelligenza e verticalità, ha sfiorato la rete. Rete che, invece, è stata assegnata vergognosamente al Madrid. Errore di Cancelo nella marcatura su Lucas Vasquez. Il portoghese si scansa lungo la linea del fondo e il madridista passa; Cubarsí allarga le gambe a compasso prima dell’arrivo della palla, Vasquez scalcia il difensore del Barça, si butta in terra e l’arbitro, che non attendeva altro, assegna il rigore. Non è fallo di Cubarsí. È Vasquez che colpisce l’avversario. Chiaro, limpido, cristallino! Il Var si nasconde dietro l’ombra di Florentino e vergognosamente tace, non procedendo nemmeno al controllo della giocata (altrimenti avrebbe dovuto cancellare la massima pena concessa). Batte Vinicius e trasforma il regalo nella rete del pareggio.
Il Barça non demorde e insiste nel suo gioco veloce e verticale. E va nuovamente in goal. Con Yamal questa volta. Azione da corner dalla destra di Raphinha. Palla per Lamine che allunga la traiettoria in porta. La palla ha già superato tutta la linea di porta quando Lunin la raccoglie e la porta fuori con sguardo terrorizzato che tutti possano aver visto ogni cosa. Goal chiaro ed evidente. Per tutto il mondo. Non per Soto Grado e nemmeno per il Var. Il Madrid non può perdere. Non può. Non deve! La cricca, il Gatto e la Volpe, si organizza un’altra partita alla Madrid-Almería. Pantomima infinita al Var sul fatto che la palla avesse, o meno, superato la linea di porta e alla fine il risultato è… “Non è goal! Non è goal!”. Roba da lasciare immediatamente il terreno di gioco e ritirare la squadra per non essere complici di questa scandalosa, agghiacciante operetta di quart’ordine, di questa rapina a mano armata di fischietto e computer. La Liga, per aiutare il Real Madrid a vincere in questa maniera, non ha voluto impiantare la Goal Line Technology. Come altrimenti permettere a una squadra come questa di venire a capo di situazioni in cui gli avversari sono superiori e meritano la vittoria sul campo? In un mondo fatto di cavalieri, di gentleman, di onore, etica e moralità, un mondo ahinoi morto e sepolto, questa partita, l’arroganza dei giocatori in maglia blanca e dei loro sostenitori che sputano odio, bullismo, violenza dagli spalti sugli avversari, non potrebbe esistere. Il sistema arbitrale spagnolo è senza spina dorsale e moralità, pronto a genuflettersi davanti al potente di turno e ad elargire favori in cambio di un saluto, di un sorriso, di una stretta di mano, di una “lisciata”, di una pacca sulle spalle con tanto di… “Bravo. Hai fatto un buon lavoro!” Questa Liga, questa partita, il campionato del Real Madrid, le provocazioni continue che provengono da quelle latitudini, sono la vergogna dello Sport con la “S” maiuscola, la morte e la fine dell’onestà, di tutto quanto è stato prima pensato, immaginato e poi costruito sin dai tempi di De Coubertin.
Dopo quell’episodio la gara si è accesa ancor più, alimentata dalle polemiche e dal senso di frustrazione proveniente dalla squadra del Barcelona. Come si fa a combattere contro i mulini a vento? L’impotenza è palpabile. Nonostante ciò i blaugrana non demordono e vanno avanti, lancia in resta, confidando nel giudizio divino e nel fato dei giusti. Fallo in area su Yamal al 31′? “Proseguire! Proseguire!” urla l’ineffabile Soto Grado. Intervento duro, cattivo, di Valverde su De Jong che deve abbandonare il campo in barella nel recupero del primo tempo? “Scontro di gioco!”. Nessuna ammonizione per il giustiziere del parcheggio del Bernabeu.
Nel secondo tempo la musica non cambia. Rudiger affronta Fermín (sostituto di Christensen nell’intervallo) con il corpo in area di rigore. Spallata più ancata, con gomito armato, in pieno petto quando il blaugrana si stava presentando davanti a Lunin pronto a realizzare la rete del nuovo vantaggio. Fermín scaraventato a terra e palla per Rudiger. Rigore? Non scherziamo! “Proseguire! Proseguire!”. Al 68′ nemmeno arbitro e Var possono fare nulla. Disgraziatamente per loro e per il Madrid, è tutto perfettamente regolare e pulito. Nemmeno un calzettone abbassato da parte dei giocatori del Barça o una maglietta fuori dai pantaloncini. Nemmeno un Vaffa da punire con l’annullamento della rete. Fermín ribatte in rete una corta respinta centrale del portiere avversario su tiro-cross di Yamal e Barça nuovamente in vantaggio. La gioia dei blaugrana dura poco. Dove non possono i poteri forti può Cancelo, che dopo i disastri di Champions ha continuato anche a Chamartín nella sua scia ferale. E così, mentre da sinistra giungeva un innocuo cross verso l’aria di rigore, il portoghese decideva di fermarsi a contare le margherite. Palla per Lucas Vasquez, totalmente ignorato dall’ex City, e rete del pareggio. Un disastro.
Nei minuti finali, infine, è giunta la rete della vittoria dei blancos con Bellingham. Ancora una volta è Cancelo ad uscire nella foto, totalmente fuori posizione, fuori contesto e fuori luogo. Mentre gli altri giocano, corrono, si dannano e pensano a ciò che devono fare, lui pare guardarsi attorno come attonito, domandandosi che diavolo può mai trovarsi a fare in mezzo a tanta gente in maglietta e calzoncini che corre affaccendata dietro ad un pallone.
La partita è finita così, con la vittoria merengues per 3 a 2 e quella de LaLiga. Ma non è questo che abbiamo visto noi, né tutto il mondo che non sia totalmente corrotto o marcio dentro. No, signori! Ciò che abbiamo visto stasera, e a cui abbiamo amaramente assistito, è stato uno stupro di gruppo al mondo del calcio, al mondo dello sport, ai loro valori, all’onorabilità dell’anima. Oggi non è sembrato di scendere in campo in uno stadio di un Paese civile all’interno dell’Unione Europea. No, è stato come entrare dentro un incubo, dentro un garage puzzolente, pieno di materassi sudici, fradici di urina di gatto e pieni di fetide macchie giallastre su cui qualche prostituta di strada vende il proprio corpo. E, in un luogo da tregenda come quello, trovarsi accerchiati da una gang di malavitosi e criminali, butterati e tatuati fin dentro lo spirito, armati di bastoni e catene e pronti ad assalire l’innocente e malcapitato di turno. Oggi non è sembrato di essere nella civilissima Spagna. Certo che no! Non in Unione Europea, semmai nella Russia di Putin, in Corea del Nord, in Cina, in qualche dittatura sudamericana, in Ruanda al tempo del genocidio, financo nelle vecchie Zaire e Congo Belga. Oggi non si è giocata una partita di pallone. No, oggi si è venduta l’anima al diavolo per uno stupido trofeo. Per uno stupido campionato di calcio fasullo e farlocco, per un parche che finirà sulla manica di una maglia sporca come la pece, come la coscienza e l’anima di tutti coloro che hanno permesso questo scempio, questa vergogna, questo… questo stupro di gruppo ai valori dello Sport, del Calcio, della Cavalleria, dell’Onorabilità umana. Oggi è morto tutto questo.