Giuseppe Ortu Serra
Una partita da vincere a tutti i costi è stata pareggiata con uno scadente 0 a 0 (e un tiro in porta da parte blaugrana) in una gelida serata bilbaina. Il Barça di Xavi ha buttato dalla finestra l’occasione della stagione: riaprire la Liga dopo il pareggio di ieri del Madrid a Mestalla e la sconfitta del Girona di questo pomeriggio. È davvero la stagione perfetta da buttare nel fondo di un cassetto da chiudere a chiave. Una gara del genere si sarebbe dovuta giocare in un’altra modo rispetto a come Xavi l’ha impostata e giocata. Quanto meno si sarebbe dovuto tirare in porta. Il numero di passaggi non contano al fine del risultato finale e non fanno vincere le partite. Nemmeno a Subbuteo. Anche le scelte del dimissionario tecnico blaugrana gridano vendetta e scadente chiarezza di visione.
Primo tempo duro, con l’arbitro Hernandez Hernandez che ha permesso il gioco ruvido dei padroni di casa. Una prima parte di gara che ha visto le due squadre affrontarsi per lo più all’altezza della metà campo. Partita veloce, con molti scontri e poche chiamate da parte del fischietto di Arrecife. Due infortunati da parte del Barça: De Jong, traumatico, e Pedri, muscolare. L’olandese, distorsione della caviglia destra, è stato sostituito da Fermín al 26′. Pedri, lesione alla gamba destra, probabilmente soleo, da Yamal. Se il Barça aveva iniziato la sfida con il ormai classico “Modulo City”, con l’ingresso in campo di un extremo in luogo di un centrocampista, è passato al 4-3-3. Da rimarcare la sportività del pubblico di San Mamés che ha applaudito calorosamente entrambi gli infortunati al momento di lasciare il terreno di gioco: Frenkie a bordo dell’automobilina medica, Pedri sulle sue gambe. Il canario che ha iniziato a piangere in campo, si è definitivamente sciolto in lacrime una volta accomodatosi in panchina.
Se le squadre si sono praticamente equivalse nella metà campo, entrambi gli attacchi hanno avuto poche occasioni per segnare. Queste poche, tuttavia, sono capitate tutte ai blaugrana, oggi in maglia bianca con calzoncini azzurri. La più ghiotta, e unica di fatto, è di Cancelo, che al 31′ ha costretto Yeray al salvataggio sulla linea per evitare l’inevitabile marcatura. L’occasione è nata da una imbucata per Fermín, anticipato da Unai Simón con i piedi al limite della sua area. La palla è terminata sui piedi del portoghese che dalla trequarti ha calciato di prima. Una traiettoria tesa, forte, a salire, e a scavalcare il portiere e il difensore, salvatosi quest’ultimo con una rovesciata acrobatica proprio sulla linea. Le difese hanno ben controllato gli attacchi avversari, che hanno avuto poche chance per mettersi in mostra. Un primo tempo di studio avrebbe dovuto lasciare il posto, automaticamente, ad una ripresa più coraggiosa da ambo le squadre, sopratutto da quella blaugrana che, vista la contingente situazione di classifica, e la formazione rimaneggiata mandata in campo da Valverde, avrebbe dovuto aver più fame e necessità di vincere. Invece no.
La ripresa ha visto una squadra più pimpante dell’altra. Ma non era il Barcelona. L’Athletic sceso in campo per disputare la ripresa è stato certamente più aggressivo e convinto in avanti. D’altro canto si è visto un Barça in fase calante, timoroso e titubante, nebuloso e fumoso in attacco. Un Barça messo sotto dai leones baschi che si è limitato a difendersi. Le giocate offensive? Quasi N.P., come le temperature di certe località estreme negli anni pre digitalizzazione. Certamente l’assenza di De Jong e Pedri hanno squilibrato la squadra, facendole perdere controllo in mezzo al campo, sia in fase offensiva che difensiva. La presenza del canario nel fornire supporto all’attacco è basilare. Quella dell’olandese nella fase difensiva, con i raddoppi, le chiusure, le diagonali, altrettanto. Gundogan si è abbassato, andando a costituire la coppia con Christensen. Ma basta questo per spiegare il secondo tempo anemico della squadra?
Al di là degli scompensi che i due infortuni possono avere causato alla squadra, c’è stato anche dell’altro. Nella seconda metà di gara i blaugrana non hanno mai tirato in porta. Nelle poche occasioni che si sono presentati con pericolosità in avanti, hanno sempre effettuato la scelta sbagliata, cercando un passaggio in più, invece che la conclusione. E si sa, se non si tira in porta non si segna. Anche dall’altra parte non è stata la migliore serata per gli attaccanti. Nonostante la maggiore pressione dei leones di Valverde, l’Athletic raramente ha concluso in porta. Solo una volta, con Guruzeta, che ha calciato debolmente e centralmente.
Nella ripresa sono entrati, per parte del Barça, Inigo Martinez (fischiassimo dai suoi ex tifosi) per Cubarsí, Romeu per Christensen, Joao Felix per Raphinha. E Vitor Roque? Ancora una volta è rimasto seduto in panca. Forse il brasiliano non si è ancora abituato al freddo dell’inverno europeo provenendo dall’estate brasiliana e preferisce non mettersi in calzoncini e maglietta alla sera, seguendo i consigli della mamma. Battute a parte, in una gara da vincere a tutti i costi per avvantaggiarsi del pareggio del Madrid e della sconfitta del Girona, pensare che il brasiliano sia rimasto con il giubbotto indosso e la copertina sulle gambe in panchina è inconcepibile. Per qualsiasi allenatore, anche per il più scalcinato dell’ultimo campo terroso e polveroso dell’ultima periferia del calcio. Qui, invece, siamo al Barcelona, vale a dire il top del top. O così, almeno, dovrebbe essere. Tenendo in considerazione che nel calcio, moderno o antico, si vince tirando in porta e che Vitor Roque, nelle poche volte che Mister Xavi ci ha omaggiato mostrandocelo in campo, è attaccante dal calcio semplice che prima tira in porta e poi pensa a ciò che si deve fare, il brasiliano era il giocatore da buttare nella mischia. Forse il nostro eroe lo vuole riservare per le prossime partite di Liga che non serviranno più a niente. Se c’era una partita da vincere sí o sí era questa. E Vitor Roque era una carta da buttare sul tavolo verde insieme ad un rilancio sostanzioso per spaventare gli avversari. Lewandowski è stato abbandonato a se stesso nella solitudine di una metà campo avversaria in cui spiccavano solo maglie rojiblancas. 45 minuti, o poco meno, da cella d’isolamento. Vitor Roque gli avrebbe dato certamente man forte, impegnando i difensori di Valverde con la sua velocità in contropiede, aprendo spazi per il polacco e/o duettando con lui. Quando Xavi ci arriverà sarà ormai troppo tardi.