Giuseppe Ortu Serra
Doveva essere una partita di calcio contro un avversario che si sapeva essere ruvido, ma abbiamo assistito a una gazzarra indecorosa tra undici malviventi che hanno messo in scena una vergognosa caccia all’uomo dal promo all’ultimo minuto, cercando di azzoppare (per non dire di peggio) i giocatori del Barcelona giunti al Coliseum Alfonso Perez per la disputa della prima giornata del massimo campionato di calcio spagnolo. Se il Getafe è un esempio delle squadre che disputano la Primera División iberica, possiamo anche dedicarci a guardare altro, perché oggi, Getafe-Barça è stato tutto fuorché un evento sportivo. Giocare a Getafe è un terno al lotto per l’incolumità personale dei giocatori che affrontano una squadra, quella azulón, non dura, ma cattiva, violenta, che non possiede il minimo sentimento sportivo. Puoi mettere in campo intensità, aggressività, corsa, ma non deve mai mancare la sportività, l’onore e l’onestà che devono contraddistinguere il modo di giocare dei calciatori. A Getafe questo non capita mai. Meno che meno oggi. Capitanati da un allenatore, Bordalás, che insegna la cattiveria e spinge i propri giocatori a operare interventi al limite del delinquenziale, la formazione di casa è una mina vagante. Fa della provocazione, del bullismo, delle entrate criminali il suo mantra. È come andare a giocare in un campo di terra battuta in uno dei quartieri più malfamati della città contro una formazione composta da personaggi che mai vorresti incontrare né sul campo, né tanto meno in strada. La formazione di Bordalás è scesa in campo contro il Barcelona per provocare e picchiare, per fare male e non fare prigionieri, non per giocare a calcio. Dal primo minuto ha iniziato a mettere una dietro l’altra una serie di aggressioni ai giocatori del Barcelona. Entrate vigliacche realizzate per punire gli avversari e metterne a rischio l’incolumità fisica, pugni al volto, gomitate alla figura. Ne hanno fatte le spese Gündogan, Lewandowsky, Koundé, Araujo, De Jong, Pedri. L’arbitro? Soto Grado è rimasto vergognosamente spettatore delle aggressioni dei giocatori di casa. Tra i più cattivi certamente Damian Suarez, il numero 22 del Getafe, una faccia che nel film “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” Gian Maria Volonté avrebbe definito “da galera”. Ampiamente perdonato dal pessimo Soto Grado, il 22 ha ricevuto il giallo solo al minuto 81.
La tattica dei padroni di casa era chiara. Provocare, intimorire, cercare di mettere fuori dalla gara i blaugrana e non farli giocare. Missione riuscita. I falli non sono stati giudicati per la gravità degli interventi compiuti, né con la severità che avrebbero meritato. Per Soto Grado era tutto regolare. “Continuate, continuate!” sembrava dire ogni volta che gli azulónes colpivano uno dei blaugrana. Esattamente come il famigerato arbitro di “Fuga per la Vittoria”.
Le provocazioni pianificate da parte della panchina del Getafe hanno avuto il loro massimo effetto quando hanno portato all’espulsione di Raphinha che ha deciso di farsi giustizia da solo e ha colpito con il gomito un avversario. In precedenza, altrettante gomitate erano state ignorate dall’arbitro, come quella ai danni di Gündogan (ma non solo) colpito ad inizio gara in pieno petto e finito in terra senza riuscire a respirare per alcuni secondi. Ma per Soto Grado quell’intervento non è stato meritevole di alcuna sanzione.
Il Barça è stato costretto a giocare in queste condizioni dal primo minuto con il beneplacito di un arbitro accondiscendente. Con sei uomini dietro e gli altri ammonticchiati tra le linee a ruggire sulle gambe dei giocatori del Barça, il Getafe ha difeso ad oltranza. I blaugrana, prima e dopo il rosso diretto al brasiliano, hanno attaccato per quanto hanno potuto, cercando di evitare avversari e infortuni per gli interventi spaccagambe dei padroni di casa.
Nella ripresa Xavi ha mescolato le carte nel tentativo di riuscire a trovare un buco nella muraglia cinese eretta da Bordalás. E così dentro Abde e fuori Christensen, con De Jong retrocesso sulla linea dei centrali. Al 57′, finalmente, anche un giocatore del Getafe finisce anzitempo sotto la doccia per un secondo giallo sventolato dopo l’ennesimo fallo ai danni di un giocatore azulgrana (questa volta Araujo). Ma al termine di una giocata di Abde finito a terra mentre, lanciato a rete, si accingeva a entrare in area avversaria, Soto Grado ha espulso anche Xavi per aver protestato in merito al differente metro arbitrale usato nel giudicare le entrate fallose da una parte e dall’altra.
Con Yamal e Ansu, al posto di Romeu e Pedri (opaca la sua gara), Xavi, tramite il suo vice, ha cercato quasi il tutto per tutto nel tentativo di pervenire ad un meritato trionfo. Le occasioni si sono succedute, ma senza che la palla sia riuscita ad essere spinta in fondo al sacco. Al termine di un infinito recupero (9 minuti + 7), Araujo è stato atterrato in area di rigore. Il Var ha richiamato l’arbitro, che anche in questa circostanza non aveva visto nulla. Nell’on field review Soto Grado ha trovato l’escamotage di trasformare un chiaro colpo di petto di Gavi in un tocco con il braccio, cosa che gli ha permesso di non assegnare il calcio di rigore al Barcelona e assegnare la punizione a favore del Getafe.
Se LaLiga 23-24 inizia a questa maniera, tutelando e permettendo un calcio da quartiere malfamato, interpretato da delinquenti in maglietta, calzoncini e scarpette, non sarà un bel vedere. Sopratutto sarà un prodotto, per dirla con Xavi, che sarà difficilmente vendibile all’estero in cui la cultura sportiva da gentlemen non ammette indecorosi spettacoli di questo tipo. Il calcio stile secondini contro carcerati potrà essere vendibile come prodotto cinematografico, ma non certamente a chi vuole vedere una partita di calcio in cui, alla fine, sono l’onore, il rispetto e la cavalleria a prevalere.