Editoriale – E’ questa la risposta di Valverde a Messi?

Appena qualche giorno fa Messi rilasciava una intervista nel corso della quale dichiarava che il Barça è la sua casa e che la sua volontà è quella di restare per tutta la carriera. Ma, cosa molto importante, con un proyecto ganador, con un Barça ganador. La dichiarazione era stata data in risposta a una domanda sul suo futuro, sul contratto, e sul gentlement agreement secondo il quale D10S può svincolarsi gratis dal FC Barcelona al termine del 2020. Vale a dire alla fine della stagione in corso.

In Italia si dice: uomo avvisato, mezzo salvato. Come a dire… Sapete quello che è il mio pensiero, il mio amore per questa città, questa gente, questa squadra, ma sono competitivo e voglio giocare per vincere. Per Leo la vittoria, la competizione, il giocare, il tendere a superarsi, a battere traguardi dopo traguardi fa parte del suo DNA, scorre nel suo sangue insieme a piastrine e globuli. 

Detto fatto. Manco a farlo apposta, Valverde ha risposto alle ambizioni e dichiarazioni di Leo con la gara di Dortmund. Se lo si voleva rassicurare circa il progetto ganador, ossia vincente del Barça, forse non è stata scelta l’occasione migliore. A Dortmund abbiamo visto un assalto alla diligenza di stampo western, dove la diligenza era rappresentata dalla porta del povero, meraviglioso Ter Stegen, e il gruppo di banditi armati di tutto punto erano rappresentati dalla banda di Lucien Favre. Per fortuna del Barça Marc André, vestiti i panni di un moderno Pinkerton, ha difeso la porta blaugrana con tutto ciò di cui disponeva: mani, braccia, gambe, figura del corpo. Siamo certi che registi del calibro di Sergio Leone, John Huston, Sam Peckinpah o James Mangold (Quel treno per Yuma) avrebbero fatto a gara per girare il film della partita per quanto eroica è stata la strenue difesa del migliore portiere del mondo (per buona pace di Neuer).

Al di là della prestazione da 10 e lode del super portiere blaugrana, la gara è stata un autentico disastro. Il Barça ha fatto la figura della piccola squadra che viene presa a pallate dalla grande di turno. Un tiro al piccione stile battaglia d’Inghilterra della seconda guerra mondiale. Se si voleva rassicurare Messi sulle potenzialità della squadra e sul proyecto ganador, francamente si è proprio sbagliato il messaggio inviato. Questa Junta e Directiva si sono legati mani e piedi a Valverde e, stando a vedere come sono andati fin qui questi due anni e un’anticchia (Totò docet) di regno di Re Ernesto, non sembra che ci sia molto da stare allegri. La partita di ieri è stata come un tweet di Trump che minaccia nuovi dazi contro la Cina in un periodo in cui i mercati sono già in correction territory. Invece che rassicurare, quelle notizie scatenano il panico e gli investitori vendono facendo colare a picco i mercati. Dovremo sentire oggi il Messi pensiero sulle possibilità di questa squadra di trionfare in Champions. Non è con figure di quel genere che si invoglia a restare chi vuole sopratutto vincere.

Vedere quella partita ci è dispiaciuto sopratutto per il Genio di Rosario. Ieri è entrato in campo e si è trovato nell’impossibilità di fare alcunché. Non aveva compagni vicini da servire o da cui farsi assistere. Intorno a lui regnava solo il caos tattico. Difensori che concedevano tre metri all’avversario per la giocata o il cross. Centrocampisti che non rientravano, allungando la squadra come un organetto rotto. Attorniato dal caos tattico più assoluto, Leo ha provato a giocare da solo. Dopo alcune serpentine veniva costantemente bloccato da tre, quattro avversari all’ingresso dell’aria di rigore. Povero Leo!

   Invece che costruire intorno a lui una squadra che possa anche esimerlo da essere necessariamente il salvatore della patria, come sempre ha fatto negli ultimi anni, fornendogli anche la possibilità di tirare il fiato, si costruisce una squadra che non gioca nemmeno in attacco. Una squadra che fa (male) difesa e contropiede; che non gioca più la palla, ma la calcia via; che non incanta più i tifosi, i soci o i ragazzini che si avvicinano al calcio perché hanno visto una partita del Barcelona. Un tempo sì, ora non più.

Le colpe di chi sono? Dei giocatori? No. Piuttosto di chi li mette (male) in campo; di chi dice loro cosa fare e come farlo, come se in passato avesse allenato chissà quali squadre e vinto chissà quali titoli

Alcuni colleghi dicono che gli allenatori non contano o contano poco in una squadra di calcio. Forse è così se il materiale umano è di scarso valore. Purtroppo gli allenatori sono in grado di incidere positivamente o negativamente con altissime percentuali. Un tecnico con un grande materiale a disposizione è in grado di fare disastri colossali semplicemente snaturando le caratteristiche di una squadra per l’arroganza e la presunzione di dover lasciare l’orma del suo passaggio. Ne più ne meno come gli uragani.

A tal proposito la scorsa estate c’è stato il ciclone Ernesto. Aveva colpito l’Atlantico, i Caraibi e poi si era diretto in Europa (Danimarca e Inghilterra). Dopodiché si era dissolto. Almeno così sembrava. Al momento di tirare le somme di ciò che è stato, sempre che non sia troppo tardi, non basterà il pensiero di Gwendolen (Frances O’Connor) sull’Importanza di chiamarsi Ernest a salvare Valverde da quello che sarà il suo destino. All’opposto suo, e per fortuna, a Barcelona non interessa a nessuno come ti chiami conta una sola cosa: vincere giocando bene

Lascia un commento