Koeman, el anti cruyffista

Giuseppe Ortu Serra

Nella guerra in atto nel barcelonismo, tra laportismo e bartorosellismo, guardiolismo, cruyffismo e koemanesimo, tutti sono impegnati nella battaglia. Periodismo, commentatori extra stampa, semplici aficionados, autorevoli o meno. Tutti stanno giocando un ruolo in questa Notte dei Lunghi Coltelli. La stampa ha una parte importante in questa battaglia, diremo addirittura fondamentale. L’importante è però giocare pulito, e non barare con gli assi nascosti all’interno della manica della giacca. Purtroppo ciò che non accade quasi mai nelle guerre importanti/fondamentali come questa.

Certa stampa, quella più conservatrice, sponsor della parte sconfitta del barcelonismo, cacciata malamente dal club con una mozione di censura (unico caso nella storia del FC Barcelona), e di quella che si è riciclata alle ultime elezioni per portare avanti gli interessi della cordata Rosell-Bartomeu, sta ora impazzendo nel cercare in tutti i modi di rovinare Joan Laporta e sostenere a spada tratta, fino alla completa cecità o addirittura alla totale distruzione del club, Ronald Koeman, uomo di fiducia di Bartomeu, da lui voluto, scelto e insediato nella panchina blaugrana. Da buon soldatino fedele, come un giocattolo di latta a carica manuale, Ronald Koeman, presto trasformatosi in Mister Lamento sia per la sua incapacità e impreparazione tecnica, sia per evidenziare al microscopio le difficoltà del progetto Laporta, nate e programmate sotto la Junta Bartomeu come una bomba a orologeria settata perché esplodesse durante il mandato presidenziale successivo, sta seguendo il manuale del provetto guastatore. Non sappiamo, in percentuale, quanto di realmente voluto, o di incapacità e incompetenza, ci sia nel suo agire, certo è che il Programma sta riuscendo a meraviglia. Punto per punto, spuntata dopo spuntata, la lista dei To do, delle cose da fare, si sta completando riga dopo riga.

La parte della stampa più conservatrice, più retrograda, più vecchia, che puzza di muffa e di cadavere in via di decomposizione, quella maggiormente ammanigliata con i Baroni del club, adesso si è chiaramente schierata fino alla morte con Ronald Koeman, effige di un presente che è già passato all’interno del club. Dal “Koeman maltrattato da Laporta” della fine della stagione scorsa (nonostante i zero titoli e quel finale di temporada da tregenda), al “Koeman esponente del cruyffismo” di questa, i tentativi dei Baroni stanno raggiungendo il parossismo. Non sapendo più come difenderlo, quasi come fosse il team di avvocati di un serial killer indifendibile, adesso gli è stata cucita addosso la patente di cruyffista, parola magica a Can Barça.

Koeman e Cruyff non hanno nulla a che vedere. Il koemanesimo e il cruyffismo sono due aspetti del barcelonismo distanti come possono esserlo un musulmano con un ebreo. Cruyff era un allenatore che faceva giocare chi meritava il campo di gioco; Koeman no. Hai i suoi cocchi, che giocherebbero anche con le stampelle (Jordi è stato schierato contro il Bayern con 38 di febbre) e poi ci sono coloro che per ragioni conosciute, forse, solo al Signore, non vengono degnati nemmeno di uno sguardo o di una educata spiegazione sul perché non mettono mai piede in campo (chiedere a Pjanic per conferme). Cruyff puntava sui giovani, della casa o no, e su La Masia. Koeman no. Mister Lamento non ha concesso un solo minuto di gioco a Riqui (perla de La Masia), nonostante lo abbia schierato, e con ottimi risultati, per tutta la pretemporada. Demir, altro giocatore dalle grandi prospettive, è finito quasi nel dimenticatoio. Altri giovanissimi, come Gavi, sono maggiormente utilizzati, ma mai nella loro posizione. La ragione? Fossimo in finanza si potrebbe pensare allo Stress-Test a cui sono sottoposte le banche. In questo caso il motivo può essere, più prosaicamente, l’incapacità di Mister Lamento, o peggio, una sottile vena di sadismo nel vedere un giovanissimo come fosse un pesciolino a cui viene data la possibilità di verificare sulla propria pelle l’effetto di provare a vivere fuori dall’acqua. Eppure, in pretemporada, Gavi aveva sempre giocato nella sua zona di campo, da interno sinistro. Contro il Bayern, sullo 0-2, in piena disfacimento tattico, Koeman lo ha schierato interno destro! Come fare, dunque, a paragonare Cruyff con Koeman? O non si capisce nulla di calcio, o si è nel bel mezzo di un addio al celibato a Las Vegas. La terza ipotesi, che va contro ogni codice deontologico, preferiamo solo pensarla.

Addirittura alcuni sono arrivati al punto, rovistando sotto le pietre tra i lombrichi, di scomodare il Laporta del 2003. All’epoca Jan avrebbe visto in Koeman “il candidato ideale” per il suo Barça prima di puntare su Rijkaard (grazie al Cielo!). Mister Lamento Koeman, secondo questa informazione, sarebbe stato, in una ipotetica lista, davanti a nomi come Hiddink e appunto Frank Rijkaard. Va bene, ammettiamo pure che sia così. E con ciò?, ci si domanda. Ammesso e non concesso che nel 2003 Laporta avesse pensato a Koeman come allenatore, ciò è sufficiente per legarlo con il bostik di Bartomeu alla panchina del Barça nel 2021 e a Laporta? Primo, tra il 2003 e il 2021 sono passate due ere geologiche. Secondo, Laporta allora lo scartò, e una ragione ci sarà stata se non ha puntato su Koeman ma scelse Rijkaard. Terzo, la correttezza della decisione del 2003 è testimoniata dal fallimento della gestione Koeman in questo suo anno e spiccioli di avventura sulla panchina del Barça. Ergo, scartare Koeman nel 2003 fu corretto perché, come ampiamente dimostrato, Ronald non è un allenatore capace per questi livelli. Quarto, tutti hanno diritto al loro momento di follia. In quel caso la follia, se ciò dovesse corrispondere al vero, fu avere inserito il suo nome in una lista di papabili.

Il contagiri di Laporta con Koeman. Tre partite per decidere il suo futuro

Giuseppe Ortu Serra

È un Laporta stranamente riflessivo, flemmatico, freddo e calcolatore, si direbbe perfino pauroso e indeciso quello che ci troviamo di fronte in questo inizio di stagione. Il Barcelona è un disastro. È sotto gli occhi di tutti. Una squadra in stile Elche, Osasuna, Huesca che rimane dietro, tremante, in attesa di ricevere la sciabolata decisiva, il colpo di grazia dell’avversario. Non è il Barça che ci si sarebbe atteso. Non solo in campionato (con l’Athletic per esempio), ma anche contro il Bayern, il Barça ha vestito i panni della vittima sacrificale, dell’agnello natalizio, del Xmas turkey da servire sulla tavola imbandita preparata dall’avversario di turno. Le prestazioni negative non sono i soli punti di frizione tra presidente e allenatore: le parole sferzanti e da presa in giro di Koeman verso Laporta, la gestione dei giocatori e il mancato inserimento in squadra di alcuni di essi; uno in particolare: Riqui Puig, la ilusión della gran parte del barcelonismo.

Davanti a questo scenario, Laporta non ha preso la decisione di sradicare il tumore dalla radice una volta per tutte, ma solamente di prolungare il calvario concedendo a Koeman ancora tre partite dal cui esito dipenderà la sua permanenza nella panchina blaugrana. Ciò sarebbe stato deciso in una riunione celebrata nel post-gara di ieri a cui hanno partecipato, oltre al presidente, anche Yuste e Alemany. Se i risultati dei test-matches (forse non solo a livello di punteggio) non dovessero essere soddisfacenti, Ronald Koeman sarà esonerato.

Un bel rischio senza dubbio nell’ottica laportista. Le prossime tre gare in programma sono infatti tre incontri di Liga piuttosto semplici (ammesso che esistano partite semplici per il Barça di Koeman). Barça-Granada il 19 settembre, Cadice-Barça il 22 e Barça-Levante il 26. Vincolare la permanenza di un allenatore non gradito ai risultati di tre partite non complicate (che potrebbero essere vinte anche con un po’ di fortuna), è la maniera migliore di vincolarsi mani e piedi contro la propria volontà. Tanto più che la gara immediatamente successiva alla fine del periodo di prova è la decisiva sfida di Champions contro il Benfica in trasferta. Permettere a Koeman di vincere le tre di campionato, rafforzarlo sulla panchina blaugrana per poi fallire malamente il decisivo incontro da dentro o fuori del da Luz, stadio che evoca catastrofici ricordi recenti, sarebbe solo fare il gioco di Koeman e del bartorosellismo. Mossa dannatamente sbagliata Jan.

No es así, querido Piqué.

Giuseppe Ortu Serra

Nel dopo gara di Barça-Bayern, sia Koeman che Piqué hanno rilasciato le medesime dichiarazioni: “Esto es lo que hay”. Un’alleanza, quella dell’allenatore e del centrale che stupisce. Primo perché con il non gioco di Koeman e la mancata organizzazione che ha apportato il nederlandese al Barcelona, tutti i giocatori, lui per primo, fanno delle magre figure e vengono messi alla berlina. E’ chi scende in campo che viene additato dall’opinione pubblica come “ormai andato, cotto, vecchio, bollito, scarso” e via dicendo, per usare alcuni degli aggettivi più gettonati per descrivere i giocatori blaugrana dopo l’esibizione di ieri notte, e non certo l’allenatore, che siede sprofondato nella sua poltrona extralusso del Camp Nou, mezzo appisolato e pesante dopo un lauto pasto consumato nel pre-gara.

“Esto es lo que hay” sono parole che può usare Mister Lamento Koeman per commiserarsi e piangersi addosso, urlando al cielo la sfortuna di essere seduto sulla panchina del FC Barcelona. Parole che sono il più classico degli scaricabarile. “Esto es lo que hay”, vale a dire, se ho quattro stracci non posso confezionare un abito di alta sartoria. La colpa non è del sarto, ma degli stracci a disposizione con i quali non si può fare Haute Couture. Detta diversamente, “se ho quattro asini, come faccio a competere contro il Bayern Monaco?”. Questo il significato vero di quel “Esto es lo que hay” pronunciato da Mister Lamento. E passi che quelle parole le usi Koeman, notoriamente non un Cuor di Leone e che, se potesse, si nasconderebbe perfino dietro la propria ombra pur di non risultare mai tra i responsabili di un qualcosa. Anche se, in questa circostanza, è proprio lui l’unico imputabile di questo disastro blaugrana ampiamente annunciato sin dal suo arrivo.

E’ invece alquanto bizzarro che sia Piqué a fare il verso al proprio tecnico e a sposare, in virtù di non si sa quale alleanza, il suo stesso verbo. Perché se è vero come è vero che a Koeman quelle parole fanno gioco, servendogli per scaricare sugli asini la responsabilità del suo fallimento in blaugrana, è anche vero che in bocca a Piqué, quelle parole identificano, dipingono e vestono lui come l’asino della circostanza, con tanto di orecchie e coda.

Usare quella frase, non solo è fuori luogo, ma è sopratutto concettualmente sbagliato. L’allenatore è come il padre dei suoi giocatori; Piqué, da veterano e capitano, è un po’ il fratello maggiore dei suoi compagni. E in famiglia il padre difende sempre i suoi figli all’esterno, salvo dargli degli scapaccioni tra le quattro mura domestiche. Altrettanto fa il fratello maggiore verso i più piccoli. I giocatori si difendono sempre dagli attacchi esterni, cari Koeman e Piqué, e mai e poi mai si accusano, si sminuiscono, di ridicolizzano, si dileggiano dall’interno. Un genitore che si comporta così merita di essere svergognato e messo alla gogna in pubblico per il suo comportamento. Un fratello maggiore, che invece di difendere i più piccoli, si unisce ai linciatori, merita altrettante sorte. No, non è così, caro Piqué.

Il Barça sull’orlo del precipizio Mentre Koeman ingrassa in panchina

Giuseppe Ortu Serra

Il Barça ne ha presi tre dal Bayern. Müller e doppietta di Lewandowski siglano la morte celebrale dei blaugrana di un Mister Lamento sempre più affossato nella sua incapacità tattica. Il Barça è un deserto, ma non un deserto bello, elegante, ricco come il Sahara, con le sue affascinanti dune sabbiose, ma un deserto povero, misero, stepposo e sassoso come il Gobi. Un Barcelona imbarazzante è stato strapazzato dalla corazzata bavarese. Il risultato è persino migliore della prestazione offerta dai catalani. La formazione di Koeman ha mostrato oggi il suo lato peggiore contro una formazione di valore assoluto che ha dimostrato di essere superiore di due, tre categorie rispetto ai blaugrana. E non ai suoi giocatori, beninteso, ma certamente al suo “allenatore”.

Mister Lamento, la cui migliore dote è quella di fare il pianto greco su ciò che non ha, piuttosto che far fruttare ciò che ha a disposizione, ha sbagliato tutto contro la formazione teutonica. Dopo un inizio di stagione impostato sul 4-3-3 e con un certo tipo di giocatori, l’infiltrato della banda bartorosellista nel Barça di Laporta con lo scopo scientifico di demolirlo mattone su mattone a colpi di incapacità, stupidità e incompetenza, ha affrontato una delle più forti formazioni d’Europa modificando lo schieramento all’improvviso con la malsana idea di impostare una gara difensiva. Tutta la stupidità umana messa assieme non avrebbe potuto avere una pensata tanto deleteria. Immaginare di difendersi a oltranza contro il Bayern è stato come consegnarsi al nemico. Difesa a tre con Araujo, Piqué e Eric; centrocampo a 5 con il soldatino di piombo Sergi Roberto, De Jong, Busquets, Pedri e Jordi; Memphis e il fiammante nuovo arrivato Luuk de Jong in attacco.

Sarebbe facile rimarcare che questa squadra è passata in pochi anni dall’avere Messi, Suarez e Neymar a dover schierare Memphis e de Jong in Champions contro il Bayern Monaco. Laporta ha dovuto fare scelte dolorose perché la Junta precedente ha dissennatamente preso a picconate la cassa del club e ha letteralmente buttato in fondo al Mar Mediterraneo il suo prezioso contenuto. È sbagliato ricordare il nome dei giocatori del recentissimo passato perché non vogliamo fornire assist, alibi e altri fazzoletti a quel coccodrillo di Koeman che sembra quel viandante senza fissa dimora che si piange addosso in una plumbea giornata di pioggia a cani e gatti.

Non è un discorso di giocatori. Chi ha avuto modo di vedere Young Boys-Man Utd del pomeriggio di ieri, ha potuto notare che anche un avversario decisamente debole, se allenato con coscienza, serietà, preparazione, competenza e organizzazione, può mettere sotto (e arrivare a vincere), anche un avversario nettamente superiore come lo United. Per giunta nel Barça gli uomini ci sono; il materiale umano e sportivo c’è. Giovani forti, di talento, che chiedono solo di giocare, che supplicano di avere una occasione, una chance di dimostrare tutto il loro valore. Calciatori come Riqui, da titolare inamovibile nella pretemporada a reietto senza nemmeno un minuto nella stagione ufficiale; Demir, Gavi (che quando entra non gioca mai nella sua posizione), Nico, Balde. Giocatori dal grande futuro. In mano a un allenatore capace questi ragazzi potrebbero comporre una squadra forte e temibile. Ma non con in panchina un uomo che fa della sciatteria il marchio del suo lavoro.

Contro il Bayern la formazione blaugrana ha dimostrato di non avere un tecnico in panchina, piuttosto un uomo che guarda la partita e ingrassa mentre viene pagato per stare a guardare. A vedere Koeman seduto in panchina viene alla mente il film “L’uomo che osserva le capre” con George Clooney. A scanso di equivoci, le capre non sono i giocatori, beninteso. Il riferimento al titolo del film è solo per l’atteggiamento di Ronald Koeman. Seduto a osservare ciò che accade attorno a lui senza capirci minimamente nulla.

Ieri sera il Barça ha fatto difesa a oltranza senza nemmeno essere riuscito a difendere, a mantenere la porta inviolata. Un controsenso. Come dire di un tacchino che è a favore del Natale. Nel Barcelona non c’è gioco, non ci sono schemi o idee, né posizioni da rispettare per i giocatori. Ogni uomo vaga in campo come se fosse alla ricerca di se stesso. E’ evidente che non sono preparati tatticamente né bene allenati. Nel Barça non si preparano le partite. Ieri si è visto un po’ di difesa; poi il nulla. Un dato per tutti: in 92 minuti di gioco il Barça non ha fatto un tiro in porta. Basterebbe questo per far suonare le campane a morto per Ronald Koeman. Per un tempo e mezzo il Barça ha superato raramente la metà campo, affacciandosi anche meno in area avversaria. Solo nella ripresa, dopo i cambi e il ritorno al 4-3-3, avvenuto peraltro sullo 0-2, dunque a partita già ampiamente finita, la squadra ha ripreso un minimo di animo. Si è svegliata dal suo torpore nel quale era caduta fino ad allora e si è avvicinata alla porta avversaria. Ha continuato a non concludere in porta, ma quanto meno ha annusato il profumo dell’area avversaria e a calciare verso i pali difesi da un inoperoso Neuer.

Questa squadra è in caduta libera. Se continuerà su questa falsariga sarà difficile qualificarsi secondi nel girone, con dunque il rischio di retrocedere in Europa League (da quest’anno accesso non più automatico, ma solo dopo uno spareggio con le seconde dei gironi di EL). Anche il percorso in Liga, con Mister Lamento in panchina sarà tutto in salita. Nessuno sarà disposto a fare un sacrificio per permettere al Barcelona di entrare nelle prime quattro, anzi, se qualcuno potrà, sarà ben lieto di fare uno sgambetto ai blaugrana, mai in difficoltà come in questa stagione, almeno negli ultimi decenni.

La ricetta? La medicina? Se si vuole salvare la stagione, evitare la retrocessione in Europa League o l’eliminazione totale dalle competizioni europee, oltre alla mancata qualificazione in Champions per la prossima stagione in campionato, tutte circostanze attuali e concrete, non ci sono altre strade se non esonerare Mister Lamento Koeman seduta stante. Oggi stesso il pseudo allenatore del Barça deve lasciare l’incarico e liberare la panchina. Se si vuole il bene del Football Club Barcelona non ci sono alternative. Qui c’è in gioco il futuro del club. La mancata qualificazione agli ottavi di finale o alla prossima Champions League in Liga equivarrebbe ad un danno economico di proporzioni stratosferiche da cui, allora sì veramente, il Barcelona non riuscirebbe mai più a riprendersi. Continuare con Koeman vorrebbe dire mettere a serio rischio la vita del club, una certa trasformazione in S.A. e una pietra tombale sul FCB come lo abbiamo sempre conosciuto. E’ giunta l’ora delle decisioni importanti. Laporta deve assumersi la responsabilità del proprio mandato e scegliere tra salvare Ronald Koeman e i suoi amici bartorosellisti o la vita del Football Club Barcelona.

Conferenza stampa di Koeman e Busquets

Giuseppe Ortu Serra

La conferenza stampa della vigilia della partita di Champions tra il Barça e il Bayern si è celebrata davanti a microfoni e telecamere con la partecipazione di Ronald Koeman e Sergi Busquets. Il messaggio lanciato da allenatore e pivote è stato chiaro: l’avversario è molto forte e preparato; non abbiamo paura, giochiamo in casa davanti a 40 mila spettatori e cercheremo di iniziare la nuova avventura in Champions con una vittoria.

Koeman ha dichiarato di “aver voglia di giocare in casa davanti a quasi 40 mila spettatori, un ambiente di cui abbiamo bisogno perché il calcio si gioca per il pubblico”. L’allenatore blaugrana non si è sottratto alla realtà: “Giocheremo contro un avversario che ci presserà molto”. La sua ricetta? “L’uscita del pallone dal basso sarà molto importante e dovrà essere fatta molto bene perché così creiamo spazi che possono far loro danni”. Ha aggiunto un “non abbiamo timore” , anche se ha avvertito che che “non dobbiamo commettere errori con il pallone in uscita perché loro sono molto forti in contropiede”. In ogni caso “sarà molto importante fare un buon risultato nel primo incontro del gruppo”.

Questa fiducia, se di fiducia si tratta, o più semplicemente pretattica e giochi psicologici, nasce dal fatto che Koeman vede la sua squadra “molto bene fisicamente. Non abbiamo giocato in settimana e abbiamo potuto riposare, sopratutto i giocatori impegnati con le rispettive nazionali. Abbiamo fatto 2-3 allenamenti per preparare la partita di domani”.

Dal canto suo Busi non si è sottratto alla ilusión per l’inizio di questa nuova stagione di Champions contro un avversario molto complicato. La speranza è sempre quella della vittoria anche per il numero 5 blaugrana “per iniziare bene la stagione”. Il capitano è tuttavia conscio della grande difficoltà che presenta la gara di domani contro un avversario che ha “tanti grandi giocatori, hanno acquistato bene, hanno cambiato l’allenatore e capacità economiche molto forti”.

I lamenti di “Mister Lamento” Koeman

Giuseppe Ortu Serra

Proseguono senza sosta le litanie di Mister Lamento Koeman che si comporta in maniera criptica come un caterpillar che va avanti senza soluzione di continuità fintanto che ha il carburante. Una volta piange perché non ha più Messi, alzando bandiera bianca sulle prospettive della squadra in questa stagione (senza pensare che è lui l’allenatore ed è sempre lui che vi deve porre rimedio con il lavoro tattico); un’altra si dispera come un bambino brufoloso e piagnucoloso perché il presidente non gli conferisce “i pieni poteri”, manco fosse un principe della saga Star Wars che gioca con le spade laser tra il letto e la finestra della cameretta; un’altra volta è ancora Laporta (ma è un chiodo fisso!) che fa filtrare senza permesso indiscrezioni sul vociferato ampliamento di contratto condizionato. Laporta, sempre Laporta. Una fissazione per Koeman, una malattia ormai. Lo sognerà anche la notte mentre va in giro a rivelare quante volte si alza dal letto per andare in bagno. Quasi come Tebas con il Barça, Howard Hughes con la pulizia e la Pan Am, Otello con la gelosia e Berlusconi con i comunisti.

Mister Lamento Koeman non perde occasione di punzecchiare il suo presidente, in un gioco senza senso e senza alcuna utilità, se non la distruzione della serenità all’interno del club. Un modo di fare in cui il bambino piagnucoloso vuole forse ergersi a scudiero di una frangia del barcelonismo attualmente fuori dalla giunta del club? Un ruolo stile infiltrato o agente doppio delle spy stories internazionali, il doppiogiochista che sorride all’amico mentre passa i file segreti al nemico di cui lui ne è parte integrante. Nel calcio ne abbiamo viste tante, ma quella dell’allenatore che si prende gioco del presidente, che lo punzecchia e lo mette alla berlina nelle dichiarazioni rilasciate ai media, ancora non si era vista. Un gioco pericoloso in cui ci si può scottare le mani. Un gioco in cui, a perderci, è sopratutto la squadra, i risultati e i soci culés. L’ultima è stata proprio ieri, quando all’emittente pubblica olandese, NOS (Nederlandse Omroep Stichting), Mister Lamento ha fatto ciò che meglio gli riesce: lamentarsi. Prima è tutto un auto incensarsi: “Il club ha un futuro grazie a me”. Posto che nessuno glielo riconosce, e non a torto, è lui stesso che si esamina, si valuta e si promuove. Un giochino in cui Koeman è esaminatore e esaminando: facile prendere 30 e lode. Qualcosa che ci ricorda tanto un altro esame, anche quello ormai piuttosto famoso: “io parlare Italiano”; “tu uomo bianco”; “capitale Italia è Torino”; “molto contento essere qui”. Alla emittente NOS, Mister Lamento ci è andato giù pesante nei confronti di Laporta: “Mi relación con Laporta ha mejorado, pero la semana pasada sucedió algo que creo que… no está bien. Estaba sugiriendo que el entrenador no tiene todo el poder. Habló demasiado”. Dichiarazioni da circoletto rosso, da triplice punto esclamativo, da “Gulp⁉️”, “Gasp”, “AAARGH!” dei fumetti di Topolino. Ancora questa storia di “avere tutto il potere”. È propio una fissazione! Una mania fanciullesca di un di 58enne sull’Orlo di una crisi di nervi. E poi quel “(Laporta) ha parlato troppo”. Cose mai viste, o meglio mai sentite. Tanto più che nella medesima intervista, Ronald ha dichiarato: “Il presidente crede che io abbia buttato via il titolo (lo scorso anno). Io penso che non sia così. Ma lui crede così. Anche se la “gente di calcio” dentro il club la pensa differentemente”. Altro Gulp e Stragulp! Nella conferenza stampa di stamattina in vista della sfida contro il Bayern di domani sera, esordio in Champions del Barça post Messi, Koeman ha dichiarato che “con Laporta ci sono state delle cosette”, come dire degli screzi: “hemos tenidos algunas cositas”.

Qual’è il suo scopo? Sta per caso ergendosi a paladino del Barto-Rosellismo? Vuole farsi cacciare per diventare un martire della resistenza di quella frangia politica che ha portato il Football Club Barcelona sull’orlo del baratro economico per poi accusare Laporta di aver perso Messi perché non c’erano più soldi? Pensa forse che il governo spagnolo emetterà una serie filatelica dedicata agli “Eroi del Bartorosellismo”?, come accadeva sotto il Terzo Reich o l’Unione Sovietica con i loro eroi?