di Giuseppe Ortu Serra
Il progetto è in marcia da tempo. Una delegittimazione continua, puntuale, assidua, instancabile. Puntuale come un cronometro certificato, scientifica come una ricerca di laboratorio con tanto di provette, ampolle, microscopio, spettrometro di massa. Il tentativo ha un unico scopo, un unico fine. Costringere Leo Messi a fare i bagagli e trasferirsi il più lontano da Barcelona. Dove? Per i promotori di questo complotto non ha importanza dove. Manchester, Parigi, New York, Dubai o Timbuktu. Purché sia, ovunque fosse, ma lontano da Barcelona.
Nelle ultime ore sono giunti nuovi indizi di quella che sta ormai diventando una prova granitica di questo progetto. Le dichiarazioni dell’ex agente di Griezmann che ha sparato a zero su Messi incolpato del mancato inserimento del suo ex assistito in blaugrana a cui è stato data una gran pompa in Catalunya; il filo di domande a cui è stato sottoposto Messi a El Prat al suo rientro dal Perù, dove aveva giocato con la albiceleste, proprio su quel tema da parte dei giornalisti assiepati ad attenderlo come un plotone di esecuzione. Domande che hanno portato il giocatore a sbottare, esplodendo in un moto di rabbia avvelenato, nella classica delle sue espressioni: “Sono stanco di essere sempre accusato di essere il problema di tutti i mali del club”; i minuziosi controlli alla dogana dello scalo privato del terminal a cui è stato sottoposto insieme alla famiglia e a tutto l’equipaggio del suo volo, come se, invece di Messi, avesse fatto Escobar, o Messina Denaro, di cognome.
Tutte situazioni sommatesi nel giro di poche ore che vanno ad aggiungersi a uno stillicidio costante, persistente, calcolato e scientifico, quasi matematico, di attacchi personali scatenatisi negli ultimi anni. E non è tutto. Nelle ultime settimane le dichiarazioni a orologeria, avvelenate e velenose, di Setién contro la dittatura del terrore instaurata dal minaccioso, terribile e prevaricatore ragazzo di Rosario, un vestito comportamentale cucitogli addosso da chi aveva appena visto il capolavoro di Orson Wells L’Infernale Quinlan. Certo, la sua decisione di uscire fuori con il burofax non lo ha aiutato. Quello è il suo peccato originale. Una mossa sbagliata in una strategia contraria in piedi da molto, troppo tempo. Uno scivolone che in tanti speravano che prima o poi facesse.
I segnali del progetto di costringere Leo Messi a lasciare città e club sono vecchi di anni ormai. Parte della stampa catalana soffia contro il numero 10 da molto tempo, mettendo in evidenza qualsiasi granello che possa fuoriuscire da quello spartito di eccezionalità, di eccellenza, di meravigliosa quotidianità che il ragazzo sta scrivendo, e eseguendo, da più di vent’anni. Troppe le continue voci che vanno contro il 10 blaugrana per essere il frutto del caso, che tendono a metterlo in cattiva luce, a oscurarne la stella che illumina il Camp Nou molto più dell’illuminazione artificiale dell’impianto stesso. Quando Leo Messi scende in campo il Barça prende colore, si illumina d’immenso, inizia a giocare e a splendere. Senza di lui è una squadra in bianco e nero, con poco contrasto e sovraesposta, come una composizione musicale eseguita con poco brio, in maniera monocorde, buttata lì.
Ad alcuni settori del barcelonismo questo non va giù. Non piace più questa poesia in campo, questi fari costantemente su di lui che lascia nell’ombra della meschinità tanti altri e scatena gelosie e complotti degni della Corona britannica del 1300. Di conseguenza fa di tutto perché l’epoca di Messi in blaugrana finisca al più presto.
In maniera codarda, chi spinge verso questa drastica soluzione non vuole nemmeno assumersi la responsabilità delle proprie azioni. Tipico dei codardi, lanciare la pietra e nascondere la mano per poi incolpare una terza persona che passava di lì per caso. Fossimo negli stati del sud degli Usa sarebbe certamente colpa di un nero che stava transitando ed è stato visto aggirarsi in zona con fare sospetto. A Barcelona, invece, la colpa è di Messi. La squadra non gira? La colpa è di Messi. Griezmann non gioca bene? La colpa è di Messi. Il Barça viene schiantato 8-2 dal Bayern? La colpa è di Messi. Ibrahimovic o David Villa a suo tempo non si sono inseriti? La colpa è sempre e solo di Leo Messi. Non mancherà molto affinché anche la diffusione del coronavirus sarà imputato a Leo Messi a Barcelona. La defenestrazione degli incapaci Martino, Valverde e mister Uomo Qualunque? Sempre colpa sua.
Perché tutto ciò? Perché questa volontà autodistruttiva del barcelonismo? Possono essere individuati sostanzialmente tre ordini di motivi. Il primo. L’aspetto economico. In tempo di pandemia, di crisi economica, fare cassa e procedere alla riduzione di spese richiede intelligenza, lavoro e applicazione. Pensare di vendere il giocatore più forte della rosa con un ingaggio stratosferico e ottenere una montagna di danaro immediatamente (a gennaio) o semplicemente rinunciare al suo ingaggio a partire da giugno è certamente più facile. Ci riuscirebbe anche un bambino. Come quando devi lanciare una campagna pubblicitaria di un prodotto commerciale. Realizzare una campagna intelligente e che funzioni necessita di cellule grigie, per dirla con Hercule Poirot, affidarsi a un testimonial famoso significa poter spegnare il cervello e dormire sulla scrivania dell’ufficio. A Barcelona accade lo stesso per quanto riguarda Messi.
Punto due. Il caprio espiatorio. Un po’ quanto scritto in precedenza a proposito di sparare da dietro i muretti a secco restando invisibili o lanciare la pietra nascondendo la mano. Facile accusare Messi di tutti i problemi del club, della squadra e del Barcelonismo. Più complicato è analizzare i problemi, individuare le cause, trovare le soluzioni e alzare la mano per dichiarare le proprie responsabilità.
Punto tre. Il ruolo di Messi e il potere acquisito dalla squadra. Piqué lo aveva dichiarato chiaro e tondo nella sua intervista a La Vanguardia. “Se in alcuni momenti la squadra ha preso in mano il potere, è perché chi avrebbe dovuto esercitarlo non lo ha fatto”. Demandare il potere e scaricare sugli altri la responsabilità è facile. Sopratutto perché quando le cose vanno male si può sempre dire: “Io non c’entro; non l’ho fatto io; non ne sapevo niente; io ero altrove”. Tutto nel più classico gergo delinquenziale. La colpa è sempre degli altri. Essere il più forte, il più bravo, il migliore, può essere snervante quanto essere un incapace. Ti assumi un peso enorme che può finire con lo schiacciarti e farti diventare antipatico. Essere Zio Paperone è per certi versi molto più difficile che interpretare lo sfigato Paperino. Zio Paperonediventa antipatico, sempre così vincente. Lo sfortunato Paperino diventa automaticamente simpatico. Con Messi da certi settori blaugrana è stato lo stesso. Supportato all’esterno perché fa vincere la squadra, mal sopportato e detestato off the record. E così, con il passare degli anni, diventando meno decisivo che in passato, qualcuno ha deciso di iniziare a fargli scontare tutti quei privilegi e onori di cui era stato fino ad ora sommerso.
E’ triste e meschina la vita. Fatta di persone piccole, ottuse, mancanti di spessore, qualità morali e sentimenti. Piccole macchine calcolatrici con un registratore di cassa al posto del cuore, chip come sinapsi e un software senza vita umana in luogo del cervello.